Canto elegiaco offerto a due nobilissime giovani: differenze tra le versioni

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| Nome e cognome dell'autore = Giovanni Prati
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| Nome e cognome del curatore = Olindo Malagodi
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| Titolo = Canto elegiaco offerto a due nobilissime giovani
| Titolo = Canto elegiaco offerto a due nobilissime giovani
| Anno di pubblicazione = 1916
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| prec = Dalle carceri di Padova il 17 gennaio
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Giovanni Prati

Olindo Malagodi 1852 Indice:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. II, 1916 – BEIC 1901920.djvu sonetti Canto elegiaco offerto a due nobilissime giovani Intestazione 23 luglio 2020 25% Da definire

Dalle carceri di Padova il 17 gennaio Dolori e giustizie
Questo testo fa parte della raccolta XI. Dai 'Canti politici'
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IV

CANTO ELEGIACO

OFFERTO A DUE NOBILISSIME GIOVANI

Ahi! son lunge le stelle. E il tristo lume
neppur oggi, per duol, velasi o langue,
oggi che scorre ogni lombardo fiume
d’italo sangue.
5Popoli schiavi o popoli guerrieri,
faccian sonar le ree catene o i brandi;
scendano a pugna i torbidi emisferi,
e di nefandi
urli echeggi la terra, ardano i flutti,
10ardano i campi di tonante foco,
e la gramaglia dei materni lutti
vesta ogni loco.
Gelido è il tempo, immobile la sorte;
di pianeti si copre il paradiso;
15quaggiú l’orrido ghigno della Morte,
e lassú il riso.

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Perché, gran Dio, sotto un funereo velo
mi si asconde la sacra poesia?...
Aimè! tedio il pensier, fatta è di gelo
20l’anima mia.
Gli archi, i templi, le logge, i baluardi
miro e le insuperate acque deH’Arno.
Tendo al divino Rafael gli sguardi,
ma tutto indarno!
25E, se talor mi desta e mi ragiona
del mio maestro il formidabil spettro,
sulla trina e possente arpa gli suona
lacrime il plettro.
Ella ò cosi. La delfica mia nota
30nelle turbate viscere s’uccide.
Noi Iacrimiam; la dura plebe ignota
folleggia e ride.
Oh voi due giovinette, angeli cari,
se da questa di sangue avida arena
35una pietosa fantasia pei mari
del ciel vi mena;
oh voi due giovinette, ove superba
non sia la prece, alzatevi al Signore,
e ditegli coni’io sotto poca erba
40mista d’un fiore,
valicati non anche i sette lustri,
in nuda zolla dormirei soletto;
né compor mi potrien rose o ligustri
piú dolce letto.

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45Ditegli ch’io sperai dar di mia vita,
in questa di mal seme ispida valle,
piú gentil segno. Ma l’etá fuggita
non rifa il calle.
E mal si doma la presente noia,
50né la speme futura è piú gioconda.
Ahi! sulla barca della nostra gioia
passata è l’onda,
come quando al nocchier naufrago mugge
scellerata ne’fianchi; ond’egli mira
55su dal livido inferno il di che lugge,
ricade e spira.
Oh mie limpide aurore! oh de’ miei monti
crime, ov’io stetti e favellai con Dio!
oh rosati crepuscoli! oh tramonti
60del cielo mio!
Quand’io rammento il suono acre de’ corni,
e le cacce, e le prede, e i prandi lieti
sotto le vespertine ombre degli orni,
o tra i vigneti;
65quand’io ripenso le mie dolci rime
cantate in faccia alle nascenti stelle,
e lo slancio dell’anima, sublime
al par di quelle;
quand’io ricordo i lenti occhi e le nere
70trecce d*Elisa, vergine pensosa,
che cinque consolò mie primavere,
ed oggi, ahi! posa

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sotto povera gleba; una feroce
malinconia sull’anima mi piomba,
75ed è l’alto desio, che piú mi coce.
quel della tomba.
Gran Dio, che valse il lastrico cruento
render d’Ausonia, e con orrendi squilli
scotere i morti, e volteggiarsi al vento
80armi e vessilli?
Gran Dio, che valse la tiara e il trono
por sul Carroccio coll’evento infido?
Ahi! presso te non può trovar perdono
dunque il mio nido?
85il mio nido d’Italia, ove alle zebe
son pur misti i leoni? ove s’eleva
la tua Chiesa immortai, faro alla plebe
misera d’Èva?
Oggi men pronto a’ tuoi delubri io reco,
90(gran Dio, perdona!) il dubitante piede.
Guai, se tra ’l nembo furioso e cieco
muor la tua fede!
Ah! cotesto roveto ultimo e solo
arda d’Italia alle famiglie grame.
95Per me, tu ’l sai, che in poco eremo suolo
stan le mie brame.
Quando pére l’amor, quando i ridenti
nidi si sfanno per le civiche ire,
dolce è quell’ora, che le sciocche genti
100chiaman morire.

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E poi, ben si diserta, anco derisi,
una palestra insanguinata e cruda,
dove spesso balenano indivisi
Caino e Giuda.
105Ma potessi morir. l’inno ascoltando
della vittoria! e contemplar le sparse
barbare tende, e tra la croce e il brando
Solima alzarse,
e dai letti di spasimo coperti
110gittar le coltri abominate e sozze,
e impor sul capo i radiosi serti
delle sue nozze!
Che troppo ai giusti veramente grava
quest’aer morto, che ogni piaggia ingombra,
115onde par che si battano alla schiava
ceppi nell’ombra.
Stia con voi, giovinette, il triste carme,
né sovr’esso mortale occhio s’arresti.
Direbbe il mondo che oggi è tempo d’arme,
120non d’esser mesti:
perché il mondo non sa come talvolta
tacita, esuberante, indefinita
nel cenere dell’anima sepolta
trema la vita.
125Misterioso è il mar. Rugge e scompiglia
lidi e viventi: di furor si pasce:
e frattanto nel sen della conchiglia
la perla nasce.