I suicidi di Parigi/Episodio primo/I: differenze tra le versioni

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Il dottore conte di Nubo dava a desinare nella sua casa di campagna a Saint-James.


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E’ non aveva, a vero dire, l’abitudine di offrir pranzi; perocchè, quantunque si avesse in casa, da due anni, una nipote, e’ continuava a vivere da scapolo, mangiando in città, al restaurant o al club.

Quel giorno, però, era in qualche guisa obbligato a violar la regola. Egli maritava sua nipote. Il fidanzato aveva inviato il cesto da nozze. Degli amici e delle amiche avevano espresso il desiderio di vederlo. Si era in campagna, al mese di luglio.

Due persone fra i convivi avevano mancato all’invito: Sergio di Linsac e la signora Augusta Thibault. Malgrado ciò, vi era ancora una ventina di commensali, assai festevoli per rallegrare il pranzo e fare onore alle squisite vivande servite da Potel.
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La signora Thibault giunse pertanto, alla fine della tavola e diè, sul suo ritardo, di quelle spiegazioni, che in bocca di chiunque altri sarebbero state scuse, ma che sono sempre delle ragioni ragionevolissime nella bocca di una bella vedova. Insomma, ella aveva pranzato altrove.

Sergio di Linsac non comparve affatto.

Il desinare finito, gli uomini uscirono a fumar nel giardino. Le dame restarono ad ammirare o criticare il cesto da nozze - sopratutto, ad invidiarlo.

Imperciocchè, la prima sensazione che produce un bell’oggetto sur una femmina, è sempre un pensiero di appropriamento - il quale, se resta nello stato di desiderio nella donna ricca, diviene voglia spasmodica nella povera. L’Invidia è un’impotenza.

Alberto Dehal, il fidanzato, aveva menate le cose da principe. Era egli un ricco banchiere, ed aveva calcolato la spesa alla tavola pittagorica del suo amore.

Una duchessa del sobborgo Saint-Germain sarebbe stata rapita di quei doni. Regina vi prestò poco o punto attenzione. Ella faceva alle sue amiche gli onori dell’esposizione di quei regali, come un custode mostra e spiega i diamanti della Corona - per una fredda ed insipida nomenclatura.

- Oh! ma il disegno di questo scialle incarna un poema fatato di Saadi! - sclamò la signora Augusta, palpando uno sciallo dell’Indie di una bellezza incomparabile.

Si portavano ancor scialli a quell’epoca. La degradazione di gusto nelle donne li à poscia aboliti.

- No, cara te - rispose la nipote del dottore - esso non vien mica da Saadi, ma da uno Smith o da un Brown qualunque - il corrispondente del signor Dehal a Calcutta.

- Ma non si direbbe dunque che questo monile è uscito dall’officina di Benvenuto Cellini! - osservò la vecchia marchesa di Montmartel.

- Ebbene, sì! dite codesto al signor Alberto ed e’ tirerà di tasca il listino di Froment-Maurice e vi risponderà: Benvenuto Cellini! sconosciuto nel mercato di Parigi.

- Vedete qui! Furono, per Giove, delle fate che stellarono questi pizzi! - mormorò il giovane poeta Marco di Beauvois! l’amico intimo di Sergio di Linsac.
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- Corbellate voi, sir di Beauvois! - replicò Regina. Furono nè più, nè meno che delle povere creature Welche, bene in cenci ed affamate al punto, ve lo assicuro.

- Cara mia - disse la signora Augusta - tu ài bello ad affettare l’indifferenza; i tuoi occhi, il tuo aspetto ti tradiscono. Tu irradii.

- Proprio così - rispose Regina, e continuò, noncurante, l’esposizione del suo cesto.

Ella ammonticchiava così la biancheria di madama Petit su i cappelli di Alexandrine, i coturni di Muller sulle magiche seterie di Lyon. Si sarebbe detto che Regina non comprendesse nè la ricchezza, nè la bellezza, nè il gusto elegante di quei capi d’opera dell’industria francese; che ella non sentisse la maestà dell’abbigliamento - questa sovranità, questa poesia della donna. Una donna mal vestita è un oggetto d’arte mancato, un fiore senza colore e senza profumo. Però, osservando con quanta ricercatezza, con quale gusto Regina era azzimata, uno si rassicurava: ella era incapace di quella indifferenza nella religione delle toilette.

La rivista terminata, si uscì nel giardino. Alberto Dehal si slanciò all’incontro della sua fidanzata, gittando precipitosamente il puros che aveva acceso.

- Ah! chè n’eravate voi lì, signor Alberto! - disse Regina, accettando della punta delle dita il braccio del suo promesso - vi sareste rigioito dell’estasi di queste signore, contemplando i vostri meravigliosi regali.

- In fatto di estasi, io non ne conosco che una, madamigella - rispose Alberto d’un tuono sommesso.

- Sì - l’interruppe Regina - quella del sigaro.

Alberto si tacque.

- Quanto a me, io ne conosco due - riprese Marco di Beauvois...

- Il whist ed un poney di corsa - osservò Augusta sorridendo.

- .... I vostri occhi e la vostra bocca - soggiunse il giovane all’orecchio della vedova.

- Eh! caro, voi non farete mai sempre che di distici per avviluppare i bonbons fulminanti - osservò Regina, che aveva udito il motto del giovane poeta.

Si rientrò nel salone.
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Le tavole da whist assorbirono una parte della società. Alcuni giovani circondarono il piano, ove Regina con noncuranza si assise. Si ascoltava di già!

Regina suonò alla ventura, tutti i pezzi che le vennero a mente, sfiorando qua e là il suo repertorio di opere, di valtzer, d’inni, d’oratori, correggendo Lanner con Bach, Rossini con Beethoven, Musard con Bellini, Haydn con Donizetti, passando dal gaio al lugubre, dal canto fermo alla danza alata, e legando il tutto con fioriture della sua fantasia, folgorante come un razzo. Imperciocchè, artista d’istinto prima di esserlo per scienza, ella non possedeva quel talento da conservatorio che consiste a saltabeccare, a sgambettare con un’agilità di scimmia sulla tastiera dello strumento; ma aveva quel sentimento della melodia che è lo scintillìo della musica.

La musica non è uno sforzo a superare; è un’idea a creare. L’artista non è un gladiatore; è un mago.

Alberto si tenne vicino al piano, silenzioso, gli occhi ebbri. Gli altri sclamavano:

- Va, Regina: ancora, ancora!

Bisognava essere giuocatore di whist per non discontinuare la partita in mezzo a quella cascata di melodie. L’orologio scoccò, per rompere la fascinazione del giuoco. Infatti, l’orologio suonando mezzanotte, i giuocatori si alzarono.

Alla mezza, eran tutti partiti.

Il dottore, che aveva guadagnato, sbadigliò spaventevolmente ed andò a coricarsi.

Ad un’ora del mattino, non era più in casa alcuno che non dormisse.

O’ detto alcuno? No.

Regina non era neppure andata a letto.

La sua cameriera, Lisa, affastellava in un sacco da notte alcuni oggetti.

Quando le due donzelle si furono assicurate che il sonno chiudeva tutte le palpebre - perchè Lisa andò prudentemente ad ascoltare alle porte - esse scesero sulla punta dei piedi al salone.

Nick, il bel Terranuova, andò a leccare la mano di Regina e la guardò con occhi teneri e supplichevoli, quasi che avesse indovinato il disegno della fanciulla. Regina
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lo baciò. Nick si coricò, avendo compreso che gli era mestieri discrezione.

Lisa aprì allora dolcemente la porta vetrata che immetteva nel giardino.

Regina restò ad ascoltar per qualche secondo se alcun non le udisse. Poi, Lisa salì nella camera della padrona; recò giù un sacco da notte, un mantello da viaggio ed un cappello; spense il lume; ed entrambe uscirono, socchiudendo le imposte.

Nick gemè sommessamente.

La casa di campagna del dottore toccava il parco di Madrid, ove egli aveva diritto di passeggiare. Questo parco, scomparso oggidì, aveva ancora a quell’epoca una porta sporgente sul bosco di Boulogne, di cui il dottore possedeva una chiave per uso suo.

Lisa aprì - ed alle due del mattino si trovarono nel bosco. Lisa richiudeva la porta, quando un giovane si avanzò verso di loro.

- Regina! mormorò egli.

- Sergio! rispose questa.

Il giovane fischiò, ed immediatamente comparve una berlina di posta nascosta sotto gli alberi del viale.

Il postiglione aprì lo sportello senza soffiar verbo. Le due donzelle entrarono nella vettura con Sergio.

- Guida tripla - disse costui. Via d’Inghilterra.

I cavalli partirono ventre a terra.

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Episodio primo - I. Il cesto da nozze e ciò che segue

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Episodio primo Episodio primo - II


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I SUICIDI DI PARIGI



REGINA




EPISODIO PRIMO.


I.

Il cesto da nozze e ciò che segue.

Il dottore conte di Nubo dava a desinare nella sua casa di campagna a Saint-James.

E’ non aveva, a vero dire, l’abitudine di offrir pranzi; perocchè, quantunque si avesse in casa, da due anni, una nipote, e’ continuava a vivere da scapolo, mangiando in città, al restaurant o al club.

Quel giorno, però, era in qualche guisa obbligato a violar la regola. Egli maritava sua nipote. Il fidanzato aveva inviato il cesto da nozze. Degli amici e delle amiche avevano espresso il desiderio di vederlo. Si era in campagna, al mese di luglio.

Due persone fra i convivi avevano mancato all’invito: Sergio di Linsac e la signora Augusta Thibault. Malgrado ciò, vi era ancora una ventina di commensali, assai festevoli per rallegrare il pranzo e fare onore alle squisite vivande servite da Potel. [p. 6 modifica]

La signora Thibault giunse pertanto, alla fine della tavola e diè, sul suo ritardo, di quelle spiegazioni, che in bocca di chiunque altri sarebbero state scuse, ma che sono sempre delle ragioni ragionevolissime nella bocca di una bella vedova. Insomma, ella aveva pranzato altrove.

Sergio di Linsac non comparve affatto.

Il desinare finito, gli uomini uscirono a fumar nel giardino. Le dame restarono ad ammirare o criticare il cesto da nozze — sopratutto, ad invidiarlo.

Imperciocchè, la prima sensazione che produce un bell’oggetto sur una femmina, è sempre un pensiero di appropriamento — il quale, se resta nello stato di desiderio nella donna ricca, diviene voglia spasmodica nella povera. L’Invidia è un’impotenza.

Alberto Dehal, il fidanzato, aveva menate le cose da principe. Era egli un ricco banchiere, ed aveva calcolato la spesa alla tavola pittagorica del suo amore.

Una duchessa del sobborgo Saint-Germain sarebbe stata rapita di quei doni. Regina vi prestò poco o punto attenzione. Ella faceva alle sue amiche gli onori dell’esposizione di quei regali, come un custode mostra e spiega i diamanti della Corona — per una fredda ed insipida nomenclatura.

— Oh! ma il disegno di questo scialle incarna un poema fatato di Saadi! — sclamò la signora Augusta, palpando uno sciallo dell’Indie di una bellezza incomparabile.

Si portavano ancor scialli a quell’epoca. La degradazione di gusto nelle donne li à poscia aboliti.

— No, cara te — rispose la nipote del dottore — esso non vien mica da Saadi, ma da uno Smith o da un Brown qualunque — il corrispondente del signor Dehal a Calcutta.

— Ma non si direbbe dunque che questo monile è uscito dall’officina di Benvenuto Cellini! — osservò la vecchia marchesa di Montmartel.

— Ebbene, sì! dite codesto al signor Alberto ed e’ tirerà di tasca il listino di Froment-Maurice e vi risponderà: Benvenuto Cellini! sconosciuto nel mercato di Parigi.

— Vedete qui! Furono, per Giove, delle fate che stellarono questi pizzi! — mormorò il giovane poeta Marco di Beauvois! l’amico intimo di Sergio di Linsac. [p. 7 modifica]

— Corbellate voi, sir di Beauvois! — replicò Regina. Furono nè più, nè meno che delle povere creature Welche, bene in cenci ed affamate al punto, ve lo assicuro.

— Cara mia — disse la signora Augusta — tu ài bello ad affettare l’indifferenza; i tuoi occhi, il tuo aspetto ti tradiscono. Tu irradii.

— Proprio così — rispose Regina, e continuò, noncurante, l’esposizione del suo cesto.

Ella ammonticchiava così la biancheria di madama Petit su i cappelli di Alexandrine, i coturni di Muller sulle magiche seterie di Lyon. Si sarebbe detto che Regina non comprendesse nè la ricchezza, nè la bellezza, nè il gusto elegante di quei capi d’opera dell’industria francese; che ella non sentisse la maestà dell’abbigliamento — questa sovranità, questa poesia della donna. Una donna mal vestita è un oggetto d’arte mancato, un fiore senza colore e senza profumo. Però, osservando con quanta ricercatezza, con quale gusto Regina era azzimata, uno si rassicurava: ella era incapace di quella indifferenza nella religione delle toilette.

La rivista terminata, si uscì nel giardino. Alberto Dehal si slanciò all’incontro della sua fidanzata, gittando precipitosamente il puros che aveva acceso.

— Ah! chè n’eravate voi lì, signor Alberto! — disse Regina, accettando della punta delle dita il braccio del suo promesso — vi sareste rigioito dell’estasi di queste signore, contemplando i vostri meravigliosi regali.

— In fatto di estasi, io non ne conosco che una, madamigella — rispose Alberto d’un tuono sommesso.

— Sì — l’interruppe Regina — quella del sigaro.

Alberto si tacque.

— Quanto a me, io ne conosco due — riprese Marco di Beauvois...

— Il whist ed un poney di corsa — osservò Augusta sorridendo.

— .... I vostri occhi e la vostra bocca — soggiunse il giovane all’orecchio della vedova.

— Eh! caro, voi non farete mai sempre che di distici per avviluppare i bonbons fulminanti — osservò Regina, che aveva udito il motto del giovane poeta.

Si rientrò nel salone. [p. 8 modifica]

Le tavole da whist assorbirono una parte della società. Alcuni giovani circondarono il piano, ove Regina con noncuranza si assise. Si ascoltava di già!

Regina suonò alla ventura, tutti i pezzi che le vennero a mente, sfiorando qua e là il suo repertorio di opere, di valtzer, d’inni, d’oratori, correggendo Lanner con Bach, Rossini con Beethoven, Musard con Bellini, Haydn con Donizetti, passando dal gaio al lugubre, dal canto fermo alla danza alata, e legando il tutto con fioriture della sua fantasia, folgorante come un razzo. Imperciocchè, artista d’istinto prima di esserlo per scienza, ella non possedeva quel talento da conservatorio che consiste a saltabeccare, a sgambettare con un’agilità di scimmia sulla tastiera dello strumento; ma aveva quel sentimento della melodia che è lo scintillìo della musica.

La musica non è uno sforzo a superare; è un’idea a creare. L’artista non è un gladiatore; è un mago.

Alberto si tenne vicino al piano, silenzioso, gli occhi ebbri. Gli altri sclamavano:

— Va, Regina: ancora, ancora!

Bisognava essere giuocatore di whist per non discontinuare la partita in mezzo a quella cascata di melodie. L’orologio scoccò, per rompere la fascinazione del giuoco. Infatti, l’orologio suonando mezzanotte, i giuocatori si alzarono.

Alla mezza, eran tutti partiti.

Il dottore, che aveva guadagnato, sbadigliò spaventevolmente ed andò a coricarsi.

Ad un’ora del mattino, non era più in casa alcuno che non dormisse.

O’ detto alcuno? No.

Regina non era neppure andata a letto.

La sua cameriera, Lisa, affastellava in un sacco da notte alcuni oggetti.

Quando le due donzelle si furono assicurate che il sonno chiudeva tutte le palpebre — perchè Lisa andò prudentemente ad ascoltare alle porte — esse scesero sulla punta dei piedi al salone.

Nick, il bel Terranuova, andò a leccare la mano di Regina e la guardò con occhi teneri e supplichevoli, quasi che avesse indovinato il disegno della fanciulla. Regina [p. 9 modifica]lo baciò. Nick si coricò, avendo compreso che gli era mestieri discrezione.

Lisa aprì allora dolcemente la porta vetrata che immetteva nel giardino.

Regina restò ad ascoltar per qualche secondo se alcun non le udisse. Poi, Lisa salì nella camera della padrona; recò giù un sacco da notte, un mantello da viaggio ed un cappello; spense il lume; ed entrambe uscirono, socchiudendo le imposte.

Nick gemè sommessamente.

La casa di campagna del dottore toccava il parco di Madrid, ove egli aveva diritto di passeggiare. Questo parco, scomparso oggidì, aveva ancora a quell’epoca una porta sporgente sul bosco di Boulogne, di cui il dottore possedeva una chiave per uso suo.

Lisa aprì — ed alle due del mattino si trovarono nel bosco. Lisa richiudeva la porta, quando un giovane si avanzò verso di loro.

— Regina! mormorò egli.

— Sergio! rispose questa.

Il giovane fischiò, ed immediatamente comparve una berlina di posta nascosta sotto gli alberi del viale.

Il postiglione aprì lo sportello senza soffiar verbo. Le due donzelle entrarono nella vettura con Sergio.

— Guida tripla — disse costui. Via d’Inghilterra.

I cavalli partirono ventre a terra.


II.

La lettera.

La luna navigava tranquillamente pel cielo. Il profumo degli alberi saturava l’aria infocata e voluttuosa. Le foglie alitavano appena, come il respiro di un fanciullo. Non una nuvola. Le stelle palpitavano di una luce azzurrognola. Si udì dunque nella berlina la parola: Grazie! pronunziata dal giovane, ed il rumore di un bacio lungo — protratto come