In lotta con la nevrosi: differenze tra le versioni

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con le sue paure.
con le sue paure.
Lo so, Marisa.
Lo so, Marisa.
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'''Chions (Pn) novembre 1988'''

'''Qui sono nato'''
<poem>
Gli occhi corrono
la vastità della campagna.
Un profondo benessere
si diffonde
in me.
Qui sono nato
tanti anni fa.
L’aria porta con sé
l’acre odore di stallatico.
Ovunque guardo
tutto mi è amico:
sento che ciò mi fa bene.
Convalescente,
assaporo
la libertà ritrovata.
Tutto mi ama:
uomini, animali,
e cose dei tempi andati.
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Versione delle 08:55, 16 apr 2009

CHI E’ L’AUTORE

Santino Scapin, è nato a Chions, nel Friuli. Fin da piccolo, com'era allora consuetudine, è entrato tra i frati. Ha compiuto i suoi studi universitari a Roma e a Milano, ottenendo la Licenza in Teologia e la laurea in Filosofia.

Nei burrascosi anni '70-'80 ha fatto il prete operaio e il sindacalista; ha tentato nuovi modi di vivere la vita di frate, puntando soprattutto sulla povertà e sulla preghiera.

A tale scopo, è stato alcuni anni anche in Sicilia per portare avanti con altri frati questo tipo di vita religiosa.

Alla fine degli anni '80, lo ha colpito una depressione e un forte esaurimento di energie fisiche e mentali. Perciò, ha dovuto mettersi in analisi presso uno psicoterapeuta che nel tempo si è rivelato per lui un caro amico.

Ha pubblicato due libri di poesie ed anche un’autobiografia dal titolo: Uomo in fuga.

Le presenti poesie sono state scritte nel periodo che è al culmine della malattia mentale. Scritte al volo. Là dove l'autore si trovava. Tanto per liberarsi dal cancro del tormento interiore.

NATURA E AMICIZIA

Faccio il poeta

 
Cavo dall’oscurità
dolce poesia.
Mi parlano al cuore
la notte e il silenzio,
il tedio della vita
e la sua pesantezza,
le ali della farfalla
e il distratto
rumore dell’asfalto.
Ad ogni cosa
strappo il suo velo.
Al di là del velo
il silenzio mi parla.


Cerco una luce.

 
Ficco gli occhi nella notte:
cerco una luce,
una sola.
Non la vedo.
La metto io,
là,
sopra la collina
perché
mi scaldi il cuore.


Stenico (Tn), ottobre 1988

Cascata del rio Bianco

Sento il rumereggiar
delle acque.
Vedo lo scorrere antico
di bianca schiuma.
La cascata si spezza
in mille rigagnoli,
dall’alto in basso,
tra antichi muschi
che nulla temono
della furia del torrente.
La mia vita
è come quel muschio:
non cede.
Buono è
lo scorrere della vita.
Sbatte, squassa
i miei teneri rami.
A volta a volta
essi caparbiamente
rinascono.


Inno alla Montagna

Montagna,
mia casa.
I dubbi, le speranze, la rabbia,
il vuoto, l’oggi e il domani
pellegrino
presso i tuoi sentieri
e le misteriose fonti, deposi.
Solo.
Se dell’immenso Dio qualcosa conobbi,
questo fu
tra le tue nevi a me sempre care,
gli abissi e le maestose rocce.
Ho negli occhi la tua potenza.
Montagna.
E nel corpo i sudori, la stanchezza
e la paura, perché mai perdoni
chi sbaglia.
Montagna, sorella.


Notturno sul Lago

La notte mi avvolge.
Tenera.
Sulla spiaggia, i piedi nudi,
dentro le calme acque del lago.
La sua quiete mi è pace.
Ho atteso a lungo:
oltre l’umano sperare.
Un anno, due, tre.
Il torbido, il disgusto, la nausea
mi hanno avvolto,
squassato,
fatto prigioniero.
Triste compagno del dolore.
A capo chino ho sempre detto sì.
Anche questo torbido
è l’uomo.
L’ho capito col tempo.
Ora le stelle, il vasto buio,
le luci che si allungano
sulle acque
mi accarezzano il corpo.
Soavemente.
Lo spirito è sereno.
una brezza leggera
mi solleva i capelli.
Guardo lontano.
Oltre la notte.


Val d’Algone (Tn), ottobre 1988

Brani di luce

L’inverno avanza,
inghiotte a brani
il verde dell’estate.
Il fogliame tiene ancora
il calore.
……

A DORA, NELLA SUA MORTE

Un groppo mi serra il cuore.
Una lacrima mi scende in volto
mentre scorro i fogli scritti per te,
un tempo.
Ti portai dentro il cuore.
Nascosta, in segreto.
La vita mi sorrideva allora.
Moristi un triste giorno d’agosto.
Sulla bara deposi
i pochi fiori, che la montagna mi dette
in cambio d’una lacrima.
Facesti un baratto:
la tua morte per la mia vita.
Ti riuscì.
A te il mio canto,
la mia primavera.
Ti ricordi la mia nuda terra?
Ora è piena di fiori! Grazie.


A GRAZIA

Guardo, riguardo
i tuoi colori, le nature morte,
i paesaggi;
la casa
che si rispecchia sul lago,
i visetti di bimba,
i cesti di fiori.
Sono la tua gioia di vivere
impressa sul foglio.
Sono colmo di meraviglia,
Grazia,
perché il dolore
che è in te,
non ti spegne i colori.
Ti spezzerà il cuore
ma non ti incatenerà
la vita.
Profumi di primavera,
Grazia.
Sai colorare di gemme
l’arido inverno.


Sono solo

Sono solo in casa:
nessun passo,
nessun rumore.
Posso toccare, palpare,
la mia solitudine.
In essa
tutto mi viene in superficie.
Come tronchi
presi dalla corrente.
Certezze, dubbi,
fragilità, fortezza,
assenza, presenza.
Sogni giovanili
e dura realtà di adulto.
Prendo in mano
ora un tronco
ora l’altro.
Ecco tutto ciò che possiedo.
Sono io.
Proprio io
e non un altro.
Nudo,
a capo chino,
mi accetto anche così.
La solitudine
elimina le scorie,
rafforza la volontà.
O ti fa impazzire.


S. Vito al T.(Pn) 20 novembre 1988

Come una zolla

Per la sconfinata pianura
vago solitario.
Mi sento smosso
come queste zolle qui
sotto i miei piedi.
Frutto della fatica
di genti
che non conobbi.
Lavorato per interi secoli
perché,
guardandomi dentro,
conoscessi la pace.
Umile zolla
che, chinando il capo,
abbraccia la speranza
che la vita gli dona.


Grazie per chi mi ama

Grazie, mio Dio,
per chi mi vuol bene.
Per chi coglie i miei cocci
e li rende uomo.
I miei frantumi
e gli da
occhi, mani, bocca.
Essere che merita
fiducia.
Seme cui si offre
un terreno fertile
per una nuova seminaggione.
Grazie, mio Dio,
per chi mi ama.


Se scompare l’amore

So cos’è l’amore,
Marisa:
due braccia aperte,
una carezza,
uno sfiorar di corpi
che si riparano,
si guariscono,
si proteggono
a vicenda.
Non sono giudice
di chi ama.
Piango con lui,
in silenzio,
se scompare l’amore,
avvolto dalla tomba
per sempre.
Si spegne una luce.
Torna il freddo della notte
con le sue paure.
Lo so, Marisa.


Chions (Pn) novembre 1988

Qui sono nato

Gli occhi corrono
la vastità della campagna.
Un profondo benessere
si diffonde
in me.
Qui sono nato
tanti anni fa.
L’aria porta con sé
l’acre odore di stallatico.
Ovunque guardo
tutto mi è amico:
sento che ciò mi fa bene.
Convalescente,
assaporo
la libertà ritrovata.
Tutto mi ama:
uomini, animali,
e cose dei tempi andati.