In lotta con la nevrosi: differenze tra le versioni

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'''Valsugana, 21 maggio 1989'''
'''Valsugana, maggio 1989'''


'''Corri trenino'''
'''Corri trenino'''

Versione delle 10:47, 17 apr 2009

CHI E’ L’AUTORE

Santino Scapin, è nato a Chions, nel Friuli. Fin da piccolo, com'era allora consuetudine, è entrato tra i frati. Ha compiuto i suoi studi universitari a Roma e a Milano, ottenendo la Licenza in Teologia e la laurea in Filosofia.

Nei burrascosi anni '70-'80 ha fatto il prete operaio e il sindacalista; ha tentato nuovi modi di vivere la vita di frate, puntando soprattutto sulla povertà e sulla preghiera.

A tale scopo, è stato alcuni anni anche in Sicilia per portare avanti con altri frati questo tipo di vita religiosa.

Alla fine degli anni '80, lo ha colpito una depressione e un forte esaurimento di energie fisiche e mentali. Perciò, ha dovuto mettersi in analisi presso uno psicoterapeuta che nel tempo si è rivelato per lui un caro amico.

Ha pubblicato due libri di poesie ed anche un’autobiografia dal titolo: Uomo in fuga.

Le presenti poesie sono state scritte nel periodo al culmine della malattia mentale. Scritte al volo. Là dove l'autore si trovava. Tanto per liberarsi dal cancro del tormento interiore. In un continuo girare qua e là, senza pace.

NATURA E AMICIZIA

Faccio il poeta

 
Cavo dall’oscurità
dolce poesia.
Mi parlano al cuore
la notte e il silenzio,
il tedio della vita
e la sua pesantezza,
le ali della farfalla
e il distratto
rumore dell’asfalto.
Ad ogni cosa
strappo il suo velo.
Al di là del velo
il silenzio mi parla.


Cerco una luce.

 
Ficco gli occhi nella notte:
cerco una luce,
una sola.
Non la vedo.
La metto io,
là,
sopra la collina
perché
mi scaldi il cuore.


Stenico (Tn), ottobre 1988

Cascata del rio Bianco

Sento il rumereggiar
delle acque.
Vedo lo scorrere antico
di bianca schiuma.
La cascata si spezza
in mille rigagnoli,
dall’alto in basso,
tra antichi muschi
che nulla temono
della furia del torrente.
La mia vita
è come quel muschio:
non cede.
Buono è
lo scorrere della vita.
Sbatte, squassa
i miei teneri rami.
A volta a volta
essi caparbiamente
rinascono.


Inno alla Montagna

Montagna,
mia casa.
I dubbi, le speranze, la rabbia,
il vuoto, l’oggi e il domani
pellegrino
presso i tuoi sentieri
e le misteriose fonti, deposi.
Solo.
Se dell’immenso Dio qualcosa conobbi,
questo fu
tra le tue nevi a me sempre care,
gli abissi e le maestose rocce.
Ho negli occhi la tua potenza.
Montagna.
E nel corpo i sudori, la stanchezza
e la paura, perché mai perdoni
chi sbaglia.
Montagna, sorella.


Notturno sul Lago di Garda

La notte mi avvolge.
Tenera.
Sulla spiaggia, i piedi nudi,
dentro le calme acque del lago.
La sua quiete mi è pace.
Ho atteso a lungo:
oltre l’umano sperare.
Un anno, due, tre.
Il torbido, il disgusto, la nausea
mi hanno avvolto,
squassato,
fatto prigioniero.
Triste compagno del dolore.
A capo chino ho sempre detto sì.
Anche questo torbido
è l’uomo.
L’ho capito col tempo.
Ora le stelle, il vasto buio,
le luci che si allungano
sulle acque
mi accarezzano il corpo.
Soavemente.
Lo spirito è sereno.
una brezza leggera
mi solleva i capelli.
Guardo lontano.
Oltre la notte.


Val d’Algone (Tn), ottobre 1988

Brani di luce

L’inverno avanza,
inghiotte a brani
il verde dell’estate.
Il fogliame tiene ancora
il calore.
……

A DORA, NELLA SUA MORTE

Un groppo mi serra il cuore.
Una lacrima mi scende in volto
mentre scorro i fogli scritti per te,
un tempo.
Ti portai dentro il cuore.
Nascosta, in segreto.
La vita mi sorrideva allora.
Moristi un triste giorno d’agosto.
Sulla bara deposi
i pochi fiori, che la montagna mi dette
in cambio d’una lacrima.
Facesti un baratto:
la tua morte per la mia vita.
Ti riuscì.
A te il mio canto,
la mia primavera.
Ti ricordi la mia nuda terra?
Ora è piena di fiori! Grazie.


A GRAZIA

Guardo, riguardo
i tuoi colori, le nature morte,
i paesaggi;
la casa
che si rispecchia sul lago,
i visetti di bimba,
i cesti di fiori.
Sono la tua gioia di vivere
impressa sul foglio.
Sono colmo di meraviglia,
Grazia,
perché il dolore
che è in te,
non ti spegne i colori.
Ti spezzerà il cuore
ma non ti incatenerà
la vita.
Profumi di primavera,
Grazia.
Sai colorare di gemme
l’arido inverno.


Sono solo

Sono solo in casa:
nessun passo,
nessun rumore.
Posso toccare, palpare,
la mia solitudine.
In essa
tutto mi viene in superficie.
Come tronchi
presi dalla corrente.
Certezze, dubbi,
fragilità, fortezza,
assenza, presenza.
Sogni giovanili
e dura realtà di adulto.
Prendo in mano
ora un tronco
ora l’altro.
Ecco tutto ciò che possiedo.
Sono io.
Proprio io
e non un altro.
Nudo,
a capo chino,
mi accetto anche così.
La solitudine
elimina le scorie,
rafforza la volontà.
O ti fa impazzire.


S. Vito al T.(Pn) 20 novembre 1988

Come una zolla

Per la sconfinata pianura
vago solitario.
Mi sento smosso
come queste zolle qui
sotto i miei piedi.
Frutto della fatica
di genti
che non conobbi.
Lavorato per interi secoli
perché,
guardandomi dentro,
conoscessi la pace.
Umile zolla
che, chinando il capo,
abbraccia la speranza
che la vita gli dona.


Grazie per chi mi ama

Grazie, mio Dio,
per chi mi vuol bene.
Per chi coglie i miei cocci
e li rende uomo.
I miei frantumi
e gli da
occhi, mani, bocca.
Essere che merita
fiducia.
Seme cui si offre
un terreno fertile
per una nuova seminaggione.
Grazie, mio Dio,
per chi mi ama.


Se scompare l’amore

So cos’è l’amore,
Marisa:
due braccia aperte,
una carezza,
uno sfiorar di corpi
che si riparano,
si guariscono,
si proteggono
a vicenda.
Non sono giudice
di chi ama.
Piango con lui,
in silenzio,
se scompare l’amore,
avvolto dalla tomba
per sempre.
Si spegne una luce.
Torna il freddo della notte
con le sue paure.
Lo so, Marisa.


Chions (Pn) novembre 1988

Qui sono nato

Gli occhi corrono
la vastità della campagna.
Un profondo benessere
si diffonde
in me.
Qui sono nato
tanti anni fa.
L’aria porta con sé
l’acre odore di stallatico.
Ovunque guardo
tutto mi è amico:
sento che ciò mi fa bene.
Convalescente,
assaporo
la libertà ritrovata.
Tutto mi ama:
uomini, animali,
e cose dei tempi andati.


Settimo (Ve) 7 dicembre 1989

RICORDI

Ero fanciullo.
Ricordo
la vasta campagna:
mi perdevo in essa,
tra gli alberi nudi
dell’inverno,
sempre raccolti
nell’ovattata nebbia.
Mi sentivo a mio agio
nel cuore della nebbia,
sicuro,
come nel ventre
di mia madre.
Ancora ricordo la casa,
la dolce casa
dove Rina
in assenza della madre morta,
portava la fatica
della nostra fanciullezza,
mia e di Luigina.
Ricordo mio padre,
duro
ma protettivo.
Ed ancora:
le trasognate serate
passate nel calore
della stalla
dove
animali ed uomini
scrivevano insieme
le vicende della vita.
Rammento le allegre risate
che si perdevano
nella grande pianura estiva.
Come sogno
quei tempi sereni,
senza spaccature,
di pura dolcezza!
Quando lo stesso dolore
veniva guarito
dal sole, dalla pioggia
e dalla scarna esistenza
che ognuno tesseva
per l’altro
come un caldo panno
sulle spalle del ferito.

ognuno ha fatto allora
del suo meglio
 per dare senso alla vita.
Ci siamo dati tutti
una mano.
 Ciascuno a modo suo.
La vita
ci condusse poi
per strade diverse,
impegnative.
Ma allora,
là nella stretta casa
di Settimo
regnava la pace.
Ora, io sono diventato
ciò che quella casa
mi seminò
di serenità
e di pazienza.
Forse per tutti questi motivi,
inconsciamente,
sono venuto
a vivere qui,
una vita simile,
in questo luogo deserto
del lago.
Spoglia di tutto,
lontana dal paese.
Per ricondurre tutto all’essenziale,
allo stretto necessario
di un tempo.
Per riportare in superfice
le ricchezze di allora,
i buoni valori
che il passar degli anni
non hanno distrutto.
Non esistono, infatti,
difficoltà così grandi
che non generino
abbondante grazia.


Inverno

E’ l’imbrunire.
I miei passi
si muovono lenti
verso occidente.
Il viottolo
è due solchi di fango
che l’ultimo raggio di sole
illumina.
Mi sembra
che non scenda la notte,
ma che il freddo
avvolga il giorno
in una morsa oscura.
Il cra cra dei corvi
sul mio capo
mi ricorda che è inverno.


Dico: basta!

Rifiuto il pantano.
Se un posto odora di muffa
lo rifiuto.
Dico: basta!
Una strada bianca
è meglio
d’un’oscura cantina.
L’incertezza
meglio dell’inerzia:
è inumana.
L’aria libera,
no il chiuso recinto.
Voglio vivere il grande,
non il piccolo.
Con le mie povere ali
remare
i vasti cieli.


Vorrei la notte…

Com’è arida la mia notte.
Senza un fruscio d’ali,
un alitar di fate,
un prato in fiore.
E’ una notte
senza sogni:
è la mia notte di adulto.
Vorrei la notte
dei bambini.
Che il quadrato
diventasse cerchio.
Che io danzassi sui prati del cielo.
E tante altre cose belle.
Chissà…
forse un giorno succederà.


E’ primavera?

Mi sentivo vecchio, frusto.
Cosa da buttare
che a nulla più serve,
su cui il passante
sputa
con sprezzante noncuranza.
Ma un fatto nuovo
ha riaperto le porte
della speranza.
L’arido corpo
sente nell’aria
il ritorno
del tempo degli amori.
E’ forse primavera?


Due mani strette insieme

Un uomo
assieme alla sua donna.
Come due barche
nel mare aperto,
ancorate alla stessa speranza.
La tempesta si placa,
 le ondate
si attenuano.
Un filo di luce
traccia il cammino.
Due mani
strette insieme
sono una forza.


Regalo inatteso

I tuoi occhi,
i tuoi grandi occhi castani
ricordo
mentre ti guardavo.
Occhi stupiti,
meravigliati
come per regalo inatteso.
Lo splendore del tuo volto
aumentava la mia gioia.
Tu avvolgevi
di dolce tepore
il mio stanco corpo.
Mi chiudevi nel tuo cuore.
Le tue parole
mi erano balsamo.


Polcenigo (Pn) 25 aprile 1989

La pioggia

Guardo la pioggia
che scende:
silenziosa e lenta
innonda il paesaggio,
le tenere foglie e i grossi fusti,
schiaccia le case
laggiù sul fondo,
dove scorre il torrente
rumoroso
e senza pace.


In treno, 21 maggio 1989


Mi sono vestito a festa

Stamattina
ho provato
la pura gioia dei sentimenti,
mentre preparavo
ogni cosa per incontrare te.
Gioia di vederti,
gioia per l’affiorare di sentimenti
nuovi, belli,
un tempo repressi.
Mi sono vestito a festa
come bimbo
per la prima comunione.
Mi sono profumato.
Odoravo di primavera.


Sei troppo semplice

Spero di non averti
mai
fatto del male.
Non lo meriti.
Hai il cuore tenero
di bambina,
sei come pura acqua
che scende canterellando
a valle.
Mi piaci
per questo tuo cuore fanciullo.
Ti sfioro come corolla
al sole.
Non saprei pensare male di te.
Sei troppo semplice
e buona.


Il mio futuro passa da te

Sai che penso?
Guarirò a causa tua,
perché mi vuoi bene.
Man mano che ti vengo incontro
sento il mio corpo
rilassarsi,
liberarsi dalle paure.
Forse tu sei una strada
per me.
Forse il mio futuro passa da te.
Tu inghiotti il mio torbido;
volendomi bene,
tu ricuci le mie ferite.


La voglia di vivere

E’ bello sentire
che tu mi vuoi bene.
La mia vita distrutta
riprende il cammino.
Per vie segrete,
il tuo amore
distrugge il desiderio
di morte e distruzione,
mio compagno da anni.
Il tuo corpo
ebbro di gioia,
le tue risate che salgono
da fonte a me nascosta,
mi attaccano adosso
la voglia di vivere.


Valsugana, maggio 1989

Corri trenino

Il cielo è azzurro,
nuvoloni vi giocano sopra.
Corri, corri
trenino,
lascia alle spalle
gli incubi, le paure,
il nonsenso, il vuoto.
Percorri veloce
le verdi vallate
cucite di allegri colori.
Porta i miei occhi con te,
avvolti di sole.
Ora vedono cose belle
e grandi.