Pagina:Ricerche sopra l'aritmetica degli antichi.djvu/3: differenze tra le versioni

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È per questo che alcuni fra' pagani l'attestarono insegnata da Minerva, cioè dalla sapienza celeste (''Liv.'' 7, 3. ''Conf. Meurs. denar. Pythag. c.'' 1). Di vero, essa nacque da tempi antichissimi, allorchè nuovi bisogni sorsero allo stabilirsi della vita sociale. Mal vorremmo però attribuirne l'invenzione ad Edris, cioè ad ''Enoch'', siccome anche in oggi pensano i maomettani (''Herbeloth bibl. orient. art. Edris''), o approvare l'amor proprio di chi diede un tanto merito agl'individui di sua nazione. Così Flavio Giuseppe asserì con troppo coraggio, che Abramo area dato agli Egiziani la prima idea dell'aritmetica e dell' astronomia, e che da essi poi le impararono i Greci (''antiq. Judaic. l.'' 9); i quali con pari vanità stimavano inventato il numero da Palamede (V. ''Meurs. 1. c''.). Più verisimilmente parve ad alcuni che i Fenicj, applicati al commercio lin dall'età più rimota, dovessero prima ch' altri occuparsene. Tal è in fatti la sentenza di Strabone, che asserisce coltivata l'aritmetica da' filosofi di Sidone (''lib.'' 16 ''et'' 17). Anzi, se crediamo a Cedreno (''hist. compend.'' 19), Fenice figliuol d'Agenore scrisse intorno alla filosofia de' numeri un trattato in lingua fenicia. Tra gli autori moderni l'Ab. Andres ha soscritto al parer di Strabone (Orig. ''d'ogni Lett. t''. 4. ''c''. 2). Ma non ci si dia taccia di soverchio ardire, se dissentiamo da queste autorità, fondati ad un'altra più antica, e senza fallo validissima, quella cioè di Platone. Vuol egli che lo studio del calcolo si praticasse prima ''in'' Egitto, ed assicura che gli Egiziani lo riputavano introdotto da Theuth (''in Phaedr''.). Ma qualunque ne fosse l'inventore, non è malagevole il persuadersi ch' essi quasi costretti dalla geografica loro posizione a creare la geometria, se ne facilitassero l'esercizio coll' occuparsi dell'aritmetica, indivisibile compagna della prima.
È per questo che alcuni fra' pagani l'attestarono insegnata da Minerva, cioè dalla sapienza celeste (''Liv.'' 7, 3. ''Conf. Meurs. denar. Pythag. c.'' 1). Di vero, essa nacque da tempi antichissimi, allorchè nuovi bisogni sorsero allo stabilirsi della vita sociale. Mal vorremmo però attribuirne l'invenzione ad Edris, cioè ad ''Enoch'', siccome anche in oggi pensano i maomettani (''Herbeloth bibl. orient. art. Edris''), o approvare l'amor proprio di chi diede un tanto merito agl'individui di sua nazione. Così Flavio Giuseppe asserì con troppo coraggio, che Abramo avea dato agli Egiziani la prima idea dell'aritmetica e dell' astronomía, e che da essi poi le impararono i Greci (''antiq. Judaic. l.'' 9); i quali con pari vanità stimavano inventato il numero da Palamede (V. ''Meurs. l. c.''). Più verisimilmente parve ad alcuni che i Fenicj, applicati al commercio fin dall'età più rimota, dovessero prima ch' altri occuparsene. Tal è in fatti la sentenza di Strabone, che asserisce coltivata l' aritmetica da' filosofi di Sidone (''lib.'' 16 ''et'' 17). Anzi, se crediamo a Cedreno (''hist. compend.'' 19), Fenice figliuol d'Agenore scrisse intorno alla filosofia de' numeri un trattato in lingua fenicia. Tra gli autori moderni l'Ab. Andres ha soscritto al parer di Strabone (''Orig. d'ogni Lett. t''. 4. ''c''. 2). Ma non ci si dia taccia di soverchio ardire, se dissentiamo da queste autorità, fondati ad un'altra più antica, e senza fallo validissima, quella cioè di Platone. Vuol egli che lo studio del calcolo si praticasse prima in Egitto, ed assicura che gli Egiziani lo riputavano introdotto da Theuth (''in Phaedr''.). Ma qualunque ne fosse l'inventore, non è malagevole il persuadersi ch' essi quasi costretti dalla geografica loro posizione a creare la geometria, se ne facilitassero l'esercizio coll' occuparsi dell'aritmetica, indivisibile compagna della prima.


Usavano eglino a conteggiare di non so quali pietruzze e cubi (''Plat. l. c''.); ed i loro sacerdoti, come narra Diodoro (''lib''. I), esercitavano a lungo i fanciulli nell'una e nell'altra disciplina.
Usavano eglino a conteggiare di non so quali pietruzze e cubi (''Plat. l. c''.); ed i loro sacerdoti, come narra Diodoro (''lib''. 1), esercitavano a lungo i fanciulli nell'una e nell'altra disciplina.

Versione delle 09:53, 30 mag 2009

È per questo che alcuni fra' pagani l'attestarono insegnata da Minerva, cioè dalla sapienza celeste (Liv. 7, 3. Conf. Meurs. denar. Pythag. c. 1). Di vero, essa nacque da tempi antichissimi, allorchè nuovi bisogni sorsero allo stabilirsi della vita sociale. Mal vorremmo però attribuirne l'invenzione ad Edris, cioè ad Enoch, siccome anche in oggi pensano i maomettani (Herbeloth bibl. orient. art. Edris), o approvare l'amor proprio di chi diede un tanto merito agl'individui di sua nazione. Così Flavio Giuseppe asserì con troppo coraggio, che Abramo avea dato agli Egiziani la prima idea dell'aritmetica e dell' astronomía, e che da essi poi le impararono i Greci (antiq. Judaic. l. 9); i quali con pari vanità stimavano inventato il numero da Palamede (V. Meurs. l. c.). Più verisimilmente parve ad alcuni che i Fenicj, applicati al commercio fin dall'età più rimota, dovessero prima ch' altri occuparsene. Tal è in fatti la sentenza di Strabone, che asserisce coltivata l' aritmetica da' filosofi di Sidone (lib. 16 et 17). Anzi, se crediamo a Cedreno (hist. compend. 19), Fenice figliuol d'Agenore scrisse intorno alla filosofia de' numeri un trattato in lingua fenicia. Tra gli autori moderni l'Ab. Andres ha soscritto al parer di Strabone (Orig. d'ogni Lett. t. 4. c. 2). Ma non ci si dia taccia di soverchio ardire, se dissentiamo da queste autorità, fondati ad un'altra più antica, e senza fallo validissima, quella cioè di Platone. Vuol egli che lo studio del calcolo si praticasse prima in Egitto, ed assicura che gli Egiziani lo riputavano introdotto da Theuth (in Phaedr.). Ma qualunque ne fosse l'inventore, non è malagevole il persuadersi ch' essi quasi costretti dalla geografica loro posizione a creare la geometria, se ne facilitassero l'esercizio coll' occuparsi dell'aritmetica, indivisibile compagna della prima.

Usavano eglino a conteggiare di non so quali pietruzze e cubi (Plat. l. c.); ed i loro sacerdoti, come narra Diodoro (lib. 1), esercitavano a lungo i fanciulli nell'una e nell'altra disciplina.