Sotto il velame/Le rovine e il gran veglio/II: differenze tra le versioni

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Versione delle 14:40, 26 gen 2010

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II.


Il camminare, dunque, per lo scarco delle pietre, significa quel che entrar dalla porta aperta, per un [p. 213 modifica]vivente: avere come salvarsi; salvarsi da ciò appunto che è punito, senza più redenzione possibile, in quelli che vedono quel pendìo per cui non è possibile più riascendere, come non è più permesso uscire dalla porta aperta, una volta che si è morti. Ora, prima di tutto, è chiaro che più la salvazione, per il vivente, è facile, più la disperazione, per il morto, è grave. E così vediamo che gli sciaurati piangono più dei peccatori carnali; o almeno che il poeta significa il pianto di quelli con maggior menzione e più forti parole che il pianto di questi; mentre poi non parla affatto di pianti in faccia alle altre due rovine, sebbene per l’ultima egli noti che non è via per i morti.1 In secondo luogo Dante fa vedere che, per il vivente, la salvazione è a mano a mano più difficile. In vero dalla porta aperta si entra senz’altro; per la prima rovina si scende così agevolmente, che Minos grida: Non t’inganni codesta ampiezza: come a dire codesta agevolezza; per la seconda rovina i sassi movevansi per lo nuovo carco; per la terza, oltre che Dante fatica sì che quasi è vinto, per la terza, Dante non scende, ma sale. Ora la porta aperta significa la liberazione della volontà, significa la redenzione in generale dal peccato in generale. E la prima rovina è a capo dell’incontinenza e più particolarmente della concupiscenza; e la seconda a capo della malizia con forza e senza intelletto; e la terza nella bolgia degl’ipocriti, cioè [p. 214 modifica]a capo della malizia con frode ossia con intelletto. E così la salvazione dalla servitù del volere è tanto facile, or che la porta è aperta, che non si capisce come in tanti non avvenga; al modo che non si intende come alcuno desideroso di uscire non esca pur essendo aperto l’uscio. E così la salvazione dalla concupiscenza è più facile che quella dalla malizia con forza, e questa più che quella dalla malizia con frode: salvazione, quest’ultima, difficilissima. In verità, essendo il salire opposto allo scendere, se lo scendere significa una maggiore o minore agevolezza, il salire significherà una maggiore o minore difficoltà, nel salvarsi.

E qui Dante è mirabile. Come ha posto due discese, una più comoda, una meno; così pone due salite, meno e più disagiate. Questa, per la rovina della bolgia di Caifas e del regno di Gerione, è la meno disagiata; la più, è per i peli di Lucifero, del maciullatore di Giuda, del primo superbo.2

               Quando noi fummo là dove la coscia
               si volge appunto in sul grosso dell’anche,
               lo duca con fatica e con angoscia,
               
               volse la testa ov’egli avea le zanche
               ed aggrappossi al pel come uom che sale,
               sì che in inferno io credea tornar anche.
               
               Attienti ben, che per sì fatte scale,
               disse il maestro ansando com’uom lasso,
               conviensi dipartir da tanto male.

Da tanto male, con tanto ansimare; con meno, da minore. E così per i ronchioni della sesta bolgia

Note

  1. Inf. XXIII 55. Il divieto o l’impossibilità è implicito in queste parole, che riguardano i diavoli e a più forte ragione i dannati:

                   Chè l’alta providenza che lor volle
                   porre ministri della fossa quinta,
                   poder di partirs’indi a tutti tolle.

  2. Inf. XXXIV 76 segg.
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