Sotto il velame/L'altro viaggio/III: differenze tra le versioni

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Versione delle 08:59, 15 feb 2010

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III.


Il vero purgatorio ha sette peccati in sette cornici. C’è poi un antipurgatorio, che come, per un verso, corrisponde al “veleno„ della grande divisione dell’aquila, così, per un altro, corrisponde all’inferno del peccato originale, cioè al vestibolo e al limbo. Si riesce invero all’antipurgatorio per un foro nel sasso che equivale misticamente alla porta senza serrame. Nella tomba del peccato si entra dalla porta cui aprì la misericordia di Dio; se ne esce per un foro che la misericordia di Dio scavò nel duro sasso. Chi poi dall’antipurgatorio salga nel purgatorio trova una porta, serrata questa. Chi dall’antinferno scenda nell’inferno trova una rovina. Nell’inferno una porta aperta e una rovina; nel purgatorio un foro nel sasso e una porta chiusa. Nè manca la riviera nè manca il navicellaio. La porta dell’inferno, dopo la discesa del Cristo, è a tutti concessa: lo suo sogliare a nessuno è negato. La porta del purgatorio non si apre se non a chi voglia, a chi lo chieda, a chi si dia tre fiate nel petto.1 Ma la stessa misericordia che abbattè quella, apre questa. Chi entra deve lavare sette piaghe. Chi scende dalla rovina, che corrisponde a questa porta, dalla rovina che è un entrare, dove è un Minos demonio, come qui è un giudice angelo; quanti peccati trova? Sette. I cerchi sono più delle cornici; ma i peccati sono sette. Virgilio dice che nei tre cerchietti ultimi dell’inferno sono punite la violenza o malizia con forza; [p. 349 modifica]la malizia con frode in chi non si fida; la malizia con frode in chi si fida o tradimento: tre specie di peccatori in tre cerchi. Dante chiede degli altri pecatori, ed enumera, quei della palude pingue, che porta il vento, che batte la pioggia, e che si sgridano a vicenda: quattro specie di peccatori, in quattro cerchi: tre più quattro fanno sette. In queste sette specie si risolve la duplice divisione di incontinenza e malizia, che diventa trina, se consideriamo l’incontinenza d’irascibile distinta da quella di concupiscibile. Ciò nell’inferno. Nel purgatorio, in sette specie d’anime pentite si risolve la divisione di amore che erra per malo obbietto, per poco e per troppo di vigore. Poichè le due divisioni sono tra loro proporzionali, sì che, come non c’è dubbio alcuno, l’incontinenza di concupiscibile corrisponde all’amor che erra per troppo di vigore, e l’incontinenza d’irascibile, come dovrebbe già parer certo, al lento amore, e la malizia, come deve parer probabile, al triforme amor del male; poichè queste due divisioni si spicciolano ognuna in sette peccati; come non si deve concludere che questi peccati, tenuto conto che in quelli d’inferno è il “reato„ e che in quelli di purgatorio è la “macchia„; e in quelli d’inferno è, oltre la conversione a un bene mutevole, anche l’aversione dal bene immutabile, e in quelli del purgatorio l’aversione o non fu mai o non è più, e non c’è se non conversione; come non concludere che questi peccati sono gli stessi e si chiamano con lo stesso nome?

Invero coloro cui porta il vento, sono detti rei di lussuria o perduti da amore; coloro cui batte la pioggia, sono puniti per la dannosa colpa della gola; coloro che s’incontran con sì aspre lingue furono [p. 350 modifica]tali che in loro l’avarizia mostrò il suo soperchio, sono e avari e prodighi rei di spendio “senza misura„, come appunto quelli del purgatorio, in cui fu ora avarizia e ora troppo poco d’avarizia, la “dismisura„ insomma.2 E come questi ultimi, così quei primi espiano nell’inferno e sanano nel purgatorio la stessa colpa, che là è piaga mortale e qua piaga che si ricuce. Dei tre peccati di concupiscenza la somiglianza è perfetta: sono lussuria, gola, avarizia con prodigalità nell’inferno e nel purgatorio. E gli altri quattro?

Prima di tutto, ciò che mondano, poniamo, i peccatori delle tre prime cornici è sì lussuria gola e avarizia, ma non oltre il desiderio; eppure il loro peccato ha lo stesso nome di quello che espiano con pena eterna i peccatori del secondo, terzo e quarto cerchio dell’inferno. Nulla impedisce quindi che anche ciò che purgano i peccatori delle ultime tre cornici abbia lo stesso nome del peccato che espiano i violenti, fraudolenti e traditori: o a dir meglio, che questo abbia il nome di quello, sebbene di quello non rimanga che il desiderio e la speranza, il desiderio e la tristizia, il desiderio e l’adontamento. Come il “desire„ è dei peccati di lussuria, gola e avarizia il primo motivo, così dei peccati spirituali il primo motivo è quel desiderio unito a quella speranza o a quella tristizia o a quell’adontamento; desiderio che si chiama cupidità. Or sono questi primi motivi che dànno il nome ai [p. 351 modifica]peccati. Ciò tanto è vero che le teste del “dificio santo„,3 le teste che sono certo i peccati capitali, e sono non solo sette com’essi, ma distinte in quattro e tre, come i peccati capitali, cioè quattro carnali e tre spirituali, quattro d’incontinenza e tre di malizia; quelle teste hanno un corno e due corni, uno le quattro e due le tre; e i corni, unici e duplici, indicano, senza dubbio, la composizione elementare dei peccati che elle significano; e i peccati sono certo mortali, eppure sono indicati, come i veniali del purgatorio, per quell’unico “desire„ che è il primo movente dei primi quattro, e per quel “desire„ con speranza o tristizia o adontamento dei secondi tre. E la spiegazione è, ripeto, senza alcun dubbio. Nel purgatorio il poeta distingue i sette peccati in due gruppi di quattro e tre, secondo che sono contro il proprio corpo o anche contro gli altri; secondo che hanno troppo o troppo poco amor del bene ovvero hanno un malo obbietto; sicchè in più i tre hanno questo torcimento al male, che è appunto quella speranza d’eccellenza, quel timore di perdere il proprio podere e onore, quell’adontamento per l’ingiuria ricevuta. E quindi dividendoli, secondo che sono contro sè o contro il prossimo, noi dobbiamo vedere perchè quelli hanno un corno e questi due. Or chi direbbe che questo medesimo simboleggiare non dovesse valere anche per peccati da inferno? Tutta la malizia e l’ingiustizia è fatta dal Poeta, che segue S. Agostino, uguale a cupidità; ma cupidità non è che una tendenza dell’anima sensitiva: è il seme, non la pianta; pure col nome del seme si può indicare la pianta. [p. 352 modifica]Or Dante, più per la sua finzione di essere un discepolo che via via si scaltrisce, di quel che per vana pompa, con questi suoi modi di chiamar la pianta per il seme, ci ha tratti lungamente in inganno: come con quella parola “ira„, che è passione, e buona e mala, ed è peccato. Lo stesso è di quest’altra parola “avarizia„ che è passione, significando “desire„ di ricchezza o di bene materiale, e valendo anche peccato speciale. Così quando dice al papa che springa con le piote:4

               chè la vostra avarizia il mondo attrista,
               calcando i buoni e sollevando i pravi;

usa codesta parola nel senso di passione dell’anima sensitiva; della passione speciale che genera lo speciale peccato di avarizia; della passione speciale che combinandosi poi con la speranza d’eccellenza o con la tristizia causata dal timore di perdere il proprio, o con l’adontamento per ingiuria, diventerebbe l’altra speciale passione detta cupidità. La qual cupidità sarebbe seme di speciali peccati. E così gli altri nomi di peccati, sono ora presi nel senso di peccato, ora di passione. Così la superbia. C’è superbia peccato e superbia principio di peccato. Superbia principio di peccato è speranza di eccellenza e desire di soppressione del vicino. Superbia peccato è questa passione in atto. Orbene quando Virgilio a Capaneo dice:5

                      in ciò che non s’ammorza
               la tua superbia tu se’ più punito;

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lo dice forse reo di superbia peccato? Per lo meno, non si deve affermar subito. Il Poeta dice che c’è in lui desiderio di sopprimere e speranza d’eccellenza: c’è il principio del peccato di superbia. E come non il peccato? Non il peccato: chè, se ci fosse, egli non sarebbe stato in nulla dissimile da quei giganti “alla pugna di Flegra„ che sono puniti altrove per essere stati sperti di lor “potenza contra il sommo Giove„,6 contro quel Giove appunto ch’egli invita a stancare il suo fabbro e che fulminò lui come i giganti. E questo medesimo desiderio di male questa medesima speranza di eccellenza si mostra in quel ladro, che di trista vergogna si dipinse; onde per tale somiglianza di ladro ad eroe, a Dante viene in mente Capaneo e la sua superbia:7

               per tutti i cerchi dell’inferno oscuri
               spirto non vidi in Dio tanto superbo,
               non quel che cadde a Tebe giù dai muri.

Ma la somiglianza è apparente. Ahimè, che speranza d’eccellenza è questa del ladro! di essere creduto “bestia„! È una favilluzza questa sua superbia, che subito si spenge, sì che egli fugge via subito:8 non è il suo peccato. E non sarebbe il suo peccato, nemmeno se assomigliasse veramente a quello dell’eroe che assise Tebe. Una favilla: come Ciacco dice, oltre la superbia, anche l’invidia e l’avarizia:9

               Superbia, invidia ed avarizia sono
               le tre faville ch’hanno i cuori accesi.

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E qual fiamma ne è sorta? Violenza, frode e tradimento: la malizia o l’ingiustizia, per dirla in una parola; chè questa parola echeggia in quel contrapposto:10

               giusti son due, ma non vi sono intesi.

E con ciò non si dice che Ciacco abbia fatto tradimento uguale a superbia, frode a invidia. Dove sarebbe la violenza, che pure è detta dominare in Firenze?11

                                Dopo lunga tenzone
               verranno al sangue, e la parte selvaggia
               caccerà l’altra con molta offensione:

E dominare con la frode:12

               Poi appresso convien che questa caggia
               infra tre soli; e che l’altra sormonti
               con la forza di tal che testè piaggia:

come dicesse, con la violenza d’un fraudolento. Dove sarebbe la violenza? E c’è, se noi prendiamo quei tre nomi quali non di peccati, ma di faville o semi di peccati. Avarizia è desiderio di beni temporali; invidia ha in più il timore di perdere il proprio e perciò quel semplice desiderio del proprio si muta in desiderio che altri non abbia; superbia ha in più la speranza d’eccellenza, cioè di vincere ognuno al paragone; e perciò ha ancora il desiderio di sopprimere gli altri. E chi non vede che quest’ultima favilla può dare l’incendio della violenza? E di più: come non può essere originata la frode da questa [p. 355 modifica]medesima favilla? Come quegli che “piaggia„ non può avere avuto il desiderio di soprastare a tutti? Come, anzi, non ognuno che tema di perdere il proprio in confronto d’un altro, ha questo desiderio? Soprastare a ognuno via via, come non è il desiderio di soprastare, in fin fine, a tutti?

Ma questo è appunto il pensiero di Dante, quando chiama superbia la violenza di Capaneo, quando chiama superbo il fraudolento: il pensiero che ci sia nella violenza e nella frode quella favilla, quella passione. E di più, mostra che ci sia anche nei peccatori dello Stige, quando dice orgogliosa la persona di Filippo Argenti; con questo che orgoglio non è proprio superbia; ma un che di tronfio e di vano: il tubare dispettoso del colombo a confronto del ruggito del leone. Ma, insomma, anche il cavalier Adimari con quella sua grande vita e grande burbanza e molta spesa voleva sopraffar gli altri, sebbene avesse “poca virtude e valore„.13 Invero nel brago c’è, come lo scolaticcio della concupiscenza, così il seme dell’ingiustizia. C’è, senza dubbio, chi spera eccellenza, e c’è chi s’attrista per il timore di perdere il suo, e c’è chi s’attrista per l’onta della ingiuria che non osa vendicare. Non avere fortezza, sì vana audacia e inerte timidità, significa avere quella speranza e quel timore e quella tristizia. Non avere la fortezza, che ausilia la giustizia, vuol dire stare ai piedi della ingiustizia, sia che l’ingiuria si mediti e non si faccia, sia che l’ingiuria non si respinga. E ciò significa essere incontinenti d’ira e nel tempo stesso non rei di malizia. Il lento glutine

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