Pagina:Sotto il velame.djvu/362: differenze tra le versioni

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"Non è ira codesta; è bestialita (''feritas'')<ref>{{AutoreCitato|Lucio Anneo Seneca|Sen.}} ''de ira'' II 5, 2.</ref> leggeva, par certo, Dante in {{AutoreCitato|Lucio Anneo Seneca|Seneca}}. E leggeva che Seneca confutava quest' asserzione dei peripatetici, dicendo: "E che, dunque?L'origine di questo male è l'ira la quale pose in oblio la clemenza e ripudiò ogni umano patto e finì col mutarsi in crudeltà"<ref>id. ib. 3</ref>. Ira, dunque, la bestialità; e non quel semplice moto che ubbidisce alla ragione, come quando "uno si crede leso, vuol vendicarsi, ma, dissuadendolo una causa, sbollisce"<ref>id. ib. 5</ref>. Ira per Seneca e non il moto solo, ma l'impeto e l'abbrivo; è quella che "varca d'un salto la ragione, e porta via seco l'uomo"; è
"Non è ira codesta; è bestialita (''feritas'')<ref>{{AutoreCitato|Lucio Anneo Seneca|Sen.}} ''de ira'' II 5, 2.</ref> leggeva, par certo, Dante in {{AutoreCitato|Lucio Anneo Seneca|Seneca}}. E leggeva che Seneca confutava quest' asserzione dei peripatetici, dicendo: "E che, dunque?L'origine di questo male è l'ira la quale pose in oblio la clemenza e ripudiò ogni umano patto e finì col mutarsi in crudeltà"<ref>id. ib. 3</ref>. Ira, dunque, la bestialità; e non quel semplice moto che ubbidisce alla ragione, come quando "uno si crede leso, vuol vendicarsi, ma, dissuadendolo una causa, sbollisce"<ref>id. ib. 5</ref>. Ira per Seneca e non il moto solo, ma l'impeto e l'abbrivo; è quella che "varca d'un salto la ragione, e porta via seco l'uomo"; è quella "concitazione dell'animo che va alla vendetta ''con la volontà e il giudicio''"<ref>Id. ib. 3,4, e 5.</ref>. Per altro, non è nei medesimi libri, ira la sola ferita: ira è anche quella che Dante punisce nello Stige. Invero "dell'iracondia è compagna la tristizia e in essa ogni ira si muta o dopo la penitenza o dopo la ripulsa"<ref>id. ib. 6, 2.</ref>. Ebbene, Dante chiamava ira peccato codesta iracondia? No: egli quivi ricordava il maestro e pensava come lui che si battagliasse di parole. L'iracondia di cui è compagna la tristizia non è in sè e
per peccato, poichè egli non mette soltanto nel
quella "concitazione dell'animo che va alla vendetta ''con la volontà e il giudicio''". (4) Per altro, non e
nei medesimi libri, ira la sola ferita: ira e anche
fango dello Stige la tristizia vicina all'ira, ma anche
quella che Dante punisce nello Stige. Invero " del-
1'iracondia e compagna la tristizia e in essa ogni ira
si muta o dopo la penitenza o dopo la ripulsa . (5)
Ebbene, Dante chiamava ira peccato codesta ira-
condia? No: egli quivi ricordava il maestro e pen-
sava come lui che si battagliasse di parole. L'ira-
condia di cui e compagna la tristizia non e in se e
per se peccato, poiche egli non mette soltanto nel
fango dello Stige la tristizia vicina all' ira, ma anche
in Virgilio; che lo fa tornare indietro dalla porta
in Virgilio; che lo fa tornare indietro dalla porta
di Dite con le ciglia rase di ogni baldanza e parlante
di Dite con le ciglia rase di ogni baldanza e parlante
tra i sospiri. Or in Virgilio come ne la tristizia cosi
tra i sospiri. Or in Virgilio come ne la tristizia così
(i) Sen. de ira II 5, 2. - (2) id. ib. 3. - (3) id. ib. 5. -
(4) id. ib. 3, 4 e 5. - (5) id. ib, 6, 2.

Versione delle 16:59, 15 feb 2010

V.


"Non è ira codesta; è bestialita (feritas)1 leggeva, par certo, Dante in Seneca. E leggeva che Seneca confutava quest' asserzione dei peripatetici, dicendo: "E che, dunque?L'origine di questo male è l'ira la quale pose in oblio la clemenza e ripudiò ogni umano patto e finì col mutarsi in crudeltà"2. Ira, dunque, la bestialità; e non quel semplice moto che ubbidisce alla ragione, come quando "uno si crede leso, vuol vendicarsi, ma, dissuadendolo una causa, sbollisce"3. Ira per Seneca e non il moto solo, ma l'impeto e l'abbrivo; è quella che "varca d'un salto la ragione, e porta via seco l'uomo"; è quella "concitazione dell'animo che va alla vendetta con la volontà e il giudicio"4. Per altro, non è nei medesimi libri, ira la sola ferita: ira è anche quella che Dante punisce nello Stige. Invero "dell'iracondia è compagna la tristizia e in essa ogni ira si muta o dopo la penitenza o dopo la ripulsa"5. Ebbene, Dante chiamava ira peccato codesta iracondia? No: egli quivi ricordava il maestro e pensava come lui che si battagliasse di parole. L'iracondia di cui è compagna la tristizia non è in sè e per sè peccato, poichè egli non mette soltanto nel fango dello Stige la tristizia vicina all'ira, ma anche in Virgilio; che lo fa tornare indietro dalla porta di Dite con le ciglia rase di ogni baldanza e parlante tra i sospiri. Or in Virgilio come ne la tristizia così

  1. Sen. de ira II 5, 2.
  2. id. ib. 3
  3. id. ib. 5
  4. Id. ib. 3,4, e 5.
  5. id. ib. 6, 2.