Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/20: differenze tra le versioni

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<poem>Lassa che mi dicia,
Lassa che mi dicia,
quando m'avìa in celato:
quando m'avìa in celato:
- Di te, o vita mia,
- Di te, o vita mia,

Versione delle 05:30, 1 mag 2010

Lassa che mi dicia,
quando m'avìa in celato:
 - Di te, o vita mia,
mi tegno più pagato,
che s'io avessi in balìa
lo mondo a signorato.

Sono sentimenti elementari e irriflessi, che sbuccian fuori nella loro natia integrità senza immagini e senza concetti. Non ci è poeta di quel tempo, anche tra i meno naturali, dove non trovi qualche esempio di questa forma primitiva, elementare, a suon di natura, come dice un poeta popolare, e com'è una prima e subita impressione colta nella sua sincerità. Ed è allora che la lingua esce così viva e propria e musicale che serba una immortale freschezza, e la diresti «pur mo' nata», e fa contrasto con altre parti ispide dello stesso canto. Rozza assai è una canzone di Enzo re; ma chi ha pazienza di leggerla, vi trova questa gemma:

Giorno non ho di posa,
come nel mare l'onda:
core, chè non ti smembri?
Esci di pene e dal corpo ti parte:
ch'assai val meglio un'ora
morir, che ognor penare.

Rozzissima è una canzone di Folco di Calabria, poeta assai antico; ma nella fine trovi lo stesso sentimento in una forma certo lontana da questa perfezione, pur semplice e sincera:

Perzò meglio varria
morir in tutto in tutto,
ch'usar la vita mia
in pena ed in corrutto,
come uomo languente.

Nella canzone a stampa di Autore:Folcacchiero da Siena, fredda e stentata, è pure qua e colà una certa grazia nella nuda ingenuità di sentimenti che vengon fuori nella loro crudità elementare. Udite questi versi:

E par ch'eo viva in noia della gente:
ogni uono m' è selvaggio:
non paiono li fiori
per me, com' già soleano,
e gli augei per amori
dolci versi faceano - agli albori.

Questi fenomeni amorosi sono a lui cosa nuova, che lo empiono di maraviglia e lo commuovono e lo interessano, senza ch'ei senta bisogno di svilupparli o di abbellirli. Narra, non rappresenta, e non descrive. Non è ancora la storia, è la cronaca del suo cuore.
Però niente è in questi che per ingenuità e spontaneità di forma e di sentimento uguagli il canto di Rinaldo di Aquino o di Autore:Odo delle Colonne. Sono due esempli notevoli di schietta e naturale poesia popolare.
Ma la coltura siciliana avea un peccato originale. Venuta dal di fuori, quella vita cavalleresca, mescolata di colori e rimembranze orientali, non avea riscontro nella vita nazionale. La gaia scienza, il codice d'amore, i romanzi della Tavola rotonda, i Reali di Francia, le novelle arabe, Tristano, Isotta, Carlomagno e Saladino, il soldano, tutto questo era penetrato in Italia, e se colpiva l'immaginazione, rimaneva estraneo all'anima e alla vita reale. Nelle corti ce ne fu l'imitazione. Avemmo anche noi i trovatori, i giullari e i novellatori. Vennero in voga traduzioni, imitazioni, contraffazioni di poemi, romanzi, rime cavalleresche. L'Intelligenzia, poema in nona rima ultimamente scoperto, è una imitazione di simil genere. L'amore divenne un'arte, col suo codice di leggi e costumi. Non ci fu più questa o quella donna, ma