Mantova e Urbino/II. 1490-1501: differenze tra le versioni

Da Wikisource.
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Nessun oggetto della modifica
Riga 53: Riga 53:
Venne finalmente l’aspettata e desiderata Elisabetta nel marzo del 1493, quantunque i soliti dolori di stomaco la avessero di nuovo molestata proprio in quella che stava per partire.<ref>Lett. al Marc. 7 marzo ’93. <small>FERRATO</small>, pp.81-82.</ref> Già vedemmo come la Gonzaga le inviasse incontro, per rallegrarla, ''il poeta''. Per desiderio della Marchesa mossero pure ad incontrarla i più cospicui cittadini, e lei stessa, Isabella, si recò fino a Rovere. Il 19 marzo a Mantova fu accolta "cum universale dimostratione de alegreza".<ref>Copialett. d’Isabella, L. III; 16 e 20 marzo ’93.</ref> Poco appresso, il 23 marzo, la Marchesa partecipava alla madre di stare deliziosamente insieme con la cognata, "quale spero cum la conformità de quest’aere a la natura sua et copia de boni medici debba revalersi, et già me pare che la cominci a sentire la virtù de l’aere et le careze ch’io gli facio".<ref>Copialett., L. III.</ref>
Venne finalmente l’aspettata e desiderata Elisabetta nel marzo del 1493, quantunque i soliti dolori di stomaco la avessero di nuovo molestata proprio in quella che stava per partire.<ref>Lett. al Marc. 7 marzo ’93. <small>FERRATO</small>, pp.81-82.</ref> Già vedemmo come la Gonzaga le inviasse incontro, per rallegrarla, ''il poeta''. Per desiderio della Marchesa mossero pure ad incontrarla i più cospicui cittadini, e lei stessa, Isabella, si recò fino a Rovere. Il 19 marzo a Mantova fu accolta "cum universale dimostratione de alegreza".<ref>Copialett. d’Isabella, L. III; 16 e 20 marzo ’93.</ref> Poco appresso, il 23 marzo, la Marchesa partecipava alla madre di stare deliziosamente insieme con la cognata, "quale spero cum la conformità de quest’aere a la natura sua et copia de boni medici debba revalersi, et già me pare che la cominci a sentire la virtù de l’aere et le careze ch’io gli facio".<ref>Copialett., L. III.</ref>


Stettero insieme tutto l’aprile, in una beata comunanza di aspirazioni e di occupazioni, ma ai primi di maggio Isabella doveva portarsi, per desiderio del marito, a Venezia passando per Ferrara<ref>Il Marchese era a Venezia in marzo e poi di nuovo in aprile, e là si occupava anche degli affari del Duca d’Urbino. Vedi in proposito la lettera d’Elisabetta, 26 aprile, da Mantova, che non è già diretta a lui, come sbadatamente pone il <small>FERRATO</small> nel pubblicarla (''Op. cit.'', pp. 82-83), ma al comun fratello Giovanni.</ref>, ed era suo interesse che il viaggio si compisse presto per prevenire l’andata del Moro e non sfigurare al confronto dello sfarzo della sorella Beatrice.<ref>Di ciò distesamente nelle nostre ''Relazioni con gli Sforza'', pagina 70 e segg.</ref> Il 4 maggio giungeva a Ferrara, noiata questa volta assai pel tempo poco favorevole, e per l’abbandono della dolce compagna. "Appena - le scriveva - me ritrovai in barca senza la sua dulcissima compagnia venni tanto bizarra, che non sapeva che volesse. Havendo per mio conforto aqua et vento sempre contrario... molte volte me agurai in camera de V.S. a giochare a ''scartino''"<ref>Copialett., L.III. Questo documento producemmo già nelle citate ''Relazioni'', p. 73m ''n''. 1. Che cosa veramente fosse lo ''scartino'', per cui le due dame avevano singolare predilezione, non sapremmo dire con sicurezza, benchè ci sorrida il pensiero che potesse essere qualcosa di simile all’attuale ''ècartè''. Certo era un giuoco favorito a Mantova in quel tempo. Da Padova, il 20 maggio ’93, la Marchesa ordina a Francesco Bagnacavallo "duo para de carte ''da scartino''" accusa al medesimo ricevuta il 1° dicembre di quell'anno (Copialett., L.<small>IV</small>). Il 7 settembre 1495 il Marchese, dal campo, chiede alla moglie di fargli avere "fino a due para de ''scartini'', a ciò possiamo passare el tempo cum mancho pensero". Il 9 luglio 1509 Tolomeo Spagnoli comunica da Mantova che la Marchesa "sta molto bene e si spassa il caldo dil dì "giocando a ''scartino''". Tali esempi si potrebbero moltiplicare. L'anonimo autore del ''Diario Ferrarese'', parlando di giuochi che costumavano in Ferrara nel dicembre 1499, scrive: "Si usa et costuma di giocare a carte molto, come a falsinelli, a rompha, a risuscitare li morti, ''a scartare'' et a mille diavolamenti". (<small>{{AutoreCitato|Ludovico Antonio Muratori|MURATORI}}</small>, ''Rerum Ital. Script.'', <small>XXV</small>, 376). Borso da Correggio, riferendo il 28 agosto '93 i giuochi cui prendeva parte Beatrice Sforza, dice: "L'esercitio nostro è questo. La matina si cavalca un poco, al dopo disinare, ''a scartino'', a resuscitar morti e imperiale fin a l'hora de dormire". (''Relazioni con gli Sforza'', p.84). Nel 1495 Ludovico il Moro pregava Ercole d'Este d'inviargli a volta di corriere 12 paia di ''scartini'' e due anni dopo si doleva col cardinale Ippolito, che don Alfonso non "li havesse mandato certe carte da ''scartino'' ch'el ge haveva promesso". (<small>VENTURI</small>, in ''Arch. stor. lombardo'', XII, 254). A Ferrara infatti ed a Mantova, l'industria delle carte da giuoco dipinte a mano era assai progredita nel secolo XV, e verso la fine di quel secolo e nel successivo a Ferrara facevansi anche molte carte impresse. Cfr. <small>CAMPORI</small>, ''Le carte da giuoco dipinte per gli Estensi'', pp. 11-12. Che lo ''scartino'' si giocasse con le ''carticelle'' e non coi ''naibi'' o ''trionfi'' (<small>CAMPORI</small>, ''op. cit.'', p.13 e <small>RENIER</small>, ''Tarocchi di M.M.Boiardo'', Modena, 1889, pp.7-8 e 9, ''n.'' 1) ci sembra quasi indubitabile. Isabella, del resto, si dilettava anche di giuochi meno innocenti dello ''scartino'', come il ''flusso''. Battista Guarino in certa sua lettera del 2 febbraio 1493 le dice: "Ma la V.S. farà pensiero di avere perso qualche posta a ''fluxo'', over a ''scartino''" (<small>LUZIO</small>, ''Precettori d'Isabella'', Ancona, 1887, p.22). Il 16 novembre 1502, Tolomeo Spagnoli scrive al Marchese: "La ill.<sup>ma</sup> M<sup>a</sup> ha convertito il tempo che ''la giocava a fluxo'' in vedere giocare a scacchi, ma lei non giocha mai, il che procede perchè la ne scià molto pocho". In seguito divenne valente anche in quel difficile giuoco, e meritò che il Vida le dedicasse il suo noto poema. Il ''flusso'' era giuoco assai rischioso; Stazio Gadio il 31 ottobre 1515 comunicava alla Marchesa che a Milano Lorenzo de' Medici (poscia duca d'Urbino) giuocando a ''flusso'' col re di Francia e con altri "in pochi giorni tirò circha 600 scudi". Il ''flusso'' è frequentissime volte nominato nei documenti e nelle opere a stampa del Rinascimento (Vedi ''Crusca'' sotto ''flusso'' e ''frussi''). ''Giuoco maladetto'' lo chiamano i ''Canti carnascialeschi''. Il confonderlo con la ''primiera'', che la Marchesa preferiva nell'età avanzata (ne abbiamo documenti del 1527 e 1538), non è giusto, quantunque vi fosse realmente una figura della ''primiera'' chiamata ''flusso''. Vedi su ciò specialmente il Commento al ''{{TestoCitato|Rime (Berni)/XIV. Capitolo della primiera|Capitolo sul giuoco della primiera}}'' del {{AutoreCitato|Francesco Berni|Berni}}, in <small>BERNI</small>, ''Rime, poesie latine lettere'', ediz. Virgili, Firenze, 1885, pp. 365 e 393. Ma in quello stesso tanto fortunato Commento il ''flusso'' è nominato, col ''trentuno'', come giuoco da donne, diverso dalla ''primiera'' (p. 377), sicchè crediamo poterne concludere che oltre alla menzionata figura della ''primiera'', il nome ''flusso'' significasse un altro giuoco, affatto distinto. Come appunto distinti indica i due giuochi l'<small>{{AutoreCitato|Pietro Aretino|ARETINO}}</small> nel ''Ragionamento del gioco'' (''Terza parte dei Ragionamenti'', Venezia, 1589, c.91''r'', 148''v'' e 149''r'', 161''r''); come distinti li nomina il <small>RABELAIS</small>, in ''Gargantua'', L.<small>I</small>, cap.22 (''flux'' e ''prime'') ed anche il <small>GARZONI</small>, ''Piazza universale'', Venezia, 1617, c. 244''r''. A Isabella piaceva anche di giuocare a ''nichino''. Giangiacomo Calandra informava Federico il 16 nov. 1516: "Gli exercitii de S. Ex. (''vostra madre'') sono le littere a le hore consuete, </ref>
Stettero insieme tutto l’aprile, in una beata comunanza di aspirazioni e di occupazioni, ma ai primi di maggio Isabella doveva portarsi, per desiderio del marito, a Venezia passando per Ferrara<ref>Il Marchese era a Venezia in marzo e poi di nuovo in aprile, e là si occupava anche degli affari del Duca d’Urbino. Vedi in proposito la lettera d’Elisabetta, 26 aprile, da Mantova, che non è già diretta a lui, come sbadatamente pone il <small>FERRATO</small> nel pubblicarla (''Op. cit.'', pp. 82-83), ma al comun fratello Giovanni.</ref>, ed era suo interesse che il viaggio si compisse presto per prevenire l’andata del Moro e non sfigurare al confronto dello sfarzo della sorella Beatrice.<ref>Di ciò distesamente nelle nostre ''Relazioni con gli Sforza'', pagina 70 e segg.</ref> Il 4 maggio giungeva a Ferrara, noiata questa volta assai pel tempo poco favorevole, e per l’abbandono della dolce compagna. "Appena - le scriveva - me ritrovai in barca senza la sua dulcissima compagnia venni tanto bizarra, che non sapeva che volesse. Havendo per mio conforto aqua et vento sempre contrario... molte volte me agurai in camera de V.S. a giochare a ''scartino''"<ref>Copialett., L.III. Questo documento producemmo già nelle citate ''Relazioni'', p. 73m ''n''. 1. Che cosa veramente fosse lo ''scartino'', per cui le due dame avevano singolare predilezione, non sapremmo dire con sicurezza, benchè ci sorrida il pensiero che potesse essere qualcosa di simile all’attuale ''ècartè''. Certo era un giuoco favorito a Mantova in quel tempo. Da Padova, il 20 maggio ’93, la Marchesa ordina a Francesco Bagnacavallo "duo para de carte ''da scartino''" accusa al medesimo ricevuta il 1° dicembre di quell'anno (Copialett., L.<small>IV</small>). Il 7 settembre 1495 il Marchese, dal campo, chiede alla moglie di fargli avere "fino a due para de ''scartini'', a ciò possiamo passare el tempo cum mancho pensero". Il 9 luglio 1509 Tolomeo Spagnoli comunica da Mantova che la Marchesa "sta molto bene e si spassa il caldo dil dì "giocando a ''scartino''". Tali esempi si potrebbero moltiplicare. L'anonimo autore del ''Diario Ferrarese'', parlando di giuochi che costumavano in Ferrara nel dicembre 1499, scrive: "Si usa et costuma di giocare a carte molto, come a falsinelli, a rompha, a risuscitare li morti, ''a scartare'' et a mille diavolamenti". (<small>{{AutoreCitato|Ludovico Antonio Muratori|MURATORI}}</small>, ''Rerum Ital. Script.'', <small>XXV</small>, 376). Borso da Correggio, riferendo il 28 agosto '93 i giuochi cui prendeva parte Beatrice Sforza, dice: "L'esercitio nostro è questo. La matina si cavalca un poco, al dopo disinare, ''a scartino'', a resuscitar morti e imperiale fin a l'hora de dormire". (''Relazioni con gli Sforza'', p.84). Nel 1495 Ludovico il Moro pregava Ercole d'Este d'inviargli a volta di corriere 12 paia di ''scartini'' e due anni dopo si doleva col cardinale Ippolito, che don Alfonso non "li havesse mandato certe carte da ''scartino'' ch'el ge haveva promesso". (<small>VENTURI</small>, in ''Arch. stor. lombardo'', XII, 254). A Ferrara infatti ed a Mantova, l'industria delle carte da giuoco dipinte a mano era assai progredita nel secolo XV, e verso la fine di quel secolo e nel successivo a Ferrara facevansi anche molte carte impresse. Cfr. <small>CAMPORI</small>, ''Le carte da giuoco dipinte per gli Estensi'', pp. 11-12. Che lo ''scartino'' si giocasse con le ''carticelle'' e non coi ''naibi'' o ''trionfi'' (<small>CAMPORI</small>, ''op. cit.'', p.13 e <small>RENIER</small>, ''Tarocchi di M.M.Boiardo'', Modena, 1889, pp.7-8 e 9, ''n.'' 1) ci sembra quasi indubitabile. Isabella, del resto, si dilettava anche di giuochi meno innocenti dello ''scartino'', come il ''flusso''. Battista Guarino in certa sua lettera del 2 febbraio 1493 le dice: "Ma la V.S. farà pensiero di avere perso qualche posta a ''fluxo'', over a ''scartino''" (<small>LUZIO</small>, ''Precettori d'Isabella'', Ancona, 1887, p.22). Il 16 novembre 1502, Tolomeo Spagnoli scrive al Marchese: "La ill.<sup>ma</sup> M<sup>a</sup> ha convertito il tempo che ''la giocava a fluxo'' in vedere giocare a scacchi, ma lei non giocha mai, il che procede perchè la ne scià molto pocho". In seguito divenne valente anche in quel difficile giuoco, e meritò che il Vida le dedicasse il suo noto poema. Il ''flusso'' era giuoco assai rischioso; Stazio Gadio il 31 ottobre 1515 comunicava alla Marchesa che a Milano Lorenzo de' Medici (poscia duca d'Urbino) giuocando a ''flusso'' col re di Francia e con altri "in pochi giorni tirò circha 600 scudi". Il ''flusso'' è frequentissime volte nominato nei documenti e nelle opere a stampa del Rinascimento (Vedi ''Crusca'' sotto ''flusso'' e ''frussi''). ''Giuoco maladetto'' lo chiamano i ''Canti carnascialeschi''. Il confonderlo con la ''primiera'', che la Marchesa preferiva nell'età avanzata (ne abbiamo documenti del 1527 e 1538), non è giusto, quantunque vi fosse realmente una figura della ''primiera'' chiamata ''flusso''. Vedi su ciò specialmente il Commento al ''{{TestoCitato|Rime (Berni)/XIV. Capitolo della primiera|Capitolo sul giuoco della primiera}}'' del {{AutoreCitato|Francesco Berni|Berni}}, in <small>BERNI</small>, ''Rime, poesie latine lettere'', ediz. Virgili, Firenze, 1885, pp. 365 e 393. Ma in quello stesso tanto fortunato Commento il ''flusso'' è nominato, col ''trentuno'', come giuoco da donne, diverso dalla ''primiera'' (p. 377), sicchè crediamo poterne concludere che oltre alla menzionata figura della ''primiera'', il nome ''flusso'' significasse un altro giuoco, affatto distinto. Come appunto distinti indica i due giuochi l'<small>{{AutoreCitato|Pietro Aretino|ARETINO}}</small> nel ''Ragionamento del gioco'' (''Terza parte dei Ragionamenti'', Venezia, 1589, c.91''r'', 148''v'' e 149''r'', 161''r''); come distinti li nomina il <small>RABELAIS</small>, in ''Gargantua'', L.<small>I</small>, cap.22 (''flux'' e ''prime'') ed anche il <small>GARZONI</small>, ''Piazza universale'', Venezia, 1617, c. 244''r''. A Isabella piaceva anche di giuocare a ''nichino''. Giangiacomo Calandra informava Federico il 16 nov. 1516: "Gli exercitii de S. Ex. (''vostra madre'') sono le littere a le hore consuete, le solite orationi ed hore, et qualche volta spassa il tempo con gioco con questi S. et gentilhomini, et alle volte ''a nichino'' per spasso con questi gentilhomini, ecc."</ref>


{{Sezione note}}
{{Sezione note}}

Versione delle 16:27, 26 mag 2010

◄   I. 1471-1489 III. 1502-1503   ►

II.

(1490-1501)


Le nozze di Francesco Gonzaga con Isabella d’Este furono celebrate a Ferrara il 12 febbraio 14901. Dopo la cerimonia, la sposa fu condotta per la città secondo il costume, accompagnata da tutta la Corte. Essa aveva alla sua destra il Duca d’Urbino ed alla sinistra l’ambasciatore di Napoli2. fu accompagnata a Mantova dai parenti più prossimi e v’entrò per porta Pradella il 15 febbraio. Grandiose furono le accoglienze e le feste: rappresentazioni, concerti, pranzi e danze, che durarono fino all’ultima notte di carnevale. Si calcolò che circa diciassette mila forestieri concorressero a Mantova in quell’occasione3. Tra i più cospicui figuravano il Duca e la Duchessa d’Urbino, dai quali, seguendo un uso comune a quel tempo, il Marchese s’era fatto prestare tappezzerie ed argenti, per meglio apparare il palazzo ed ornare le mense4.

Elisabetta rimase a Mantova presso la cognata, che prima aveva solo veduta fuggevolmente. Fu allora appunto che cominciò tra loro quell’amicizia, che doveva poi durare viva e tenace per tanti anni, a traverso vicende così fortunose. Quelle due donne erano fatte per intendersi. La Duchessa compiva allora 19 anni: la Marchesa s’avvicinava ai 16. Avevano entrambe l’animo buono, l’intelletto pronto, il gusto fine per tutte le cose dell’arte, un’educazione squisita resa migliore dalle attitudini personali. Alla Duchessa, più matura e più grave di spirito, piaceva il veder sviluppare sotto a’ suoi occhi quel fiore di gentilezza, quell’ideale muliebre del Rinascimento, fresco, vivo, affascinante, che era Isabella. Ed Isabella trovava nella Duchessa una compagna ed una sorella maggiore; qualcosa che le rammentava ad un tempo la gioventù della sorella sua carnale Beatrice e la saggezza blanda della madre Leonora di Aragona. Ciò tanto più doveva esserle caro, inquantochè in casa Gonzaga non v’erano allora più donne, ed ella, sedicenne, trovavasi sola con quel brutto marito dalla faccia di negro5, ch’ella amava sinceramente, ma che, occupato di continuo nelle faccende politiche e guerresche, non poteva essere quel compagno della giovinezza di cui essa, naturalmente, sentiva il bisogno.

Appena la stagione accennò a farsi un po’ meno rigida, recaronsi le due donne per alcuni giorni sul lago di Garda. Troviamo difatti che il 15 marzo 1490 Isabella scriveva al marito: "Hozi doppo disnare, cum bona licentia de la S.V., andarmene la illma Ma Duchessa de Urbino et io a cena a Goito. Domane a Capriana, dove venirà la moglie del S. Fracasso (Gaspare Sanseverino) et zobia andaremo sul laco de Garda, secundo l’ordine de la S.V., et de questo ne ho datto aviso a li magci Rectori de Verona per trovar le ganzare a Sermione". E il 21 marzo da Cavriana: "La illma Mna Duchessa de Urbino et io, insieme cum la moglie del S. Fracasso, andassimo a zobia a disnar a Desenzano et a cena a Tuscullano, dove stessimo la notte, et havessimo veramente gran piacere a veder quella rivera. El veneri venessimo ne le ganzare fin a Sermione et de lì quà a cavallo. In ogni loco fussimo ben vedute et acarezate, max.me dal Capitano del laco, qual ce donoe pesce et alcune altre cose, et simelmente la communità de Sallò ce mandoe a fare uno bello presente ... Domane andaremo a Goito, et marte mattina a Mantua"6. Così Isabella principiava le sue gite sul Garda, che furono poi così frequenti, e nessuna compagnia certamente avrebbe potuto esserle più gradita di quella di Elisabetta, dotate entrambe, com’erano, d’una insaziabile quanto elevata curiosità per i viaggi.

Per quanto non molti siano i documenti che abbiamo di quel primo sodalizio delle due giovani, è facile scorgervi l’affetto che cominciava a legarle. Nella letterina autografa d’Isabella al marito assente, letterina profumata e passionata, di cui abbiamo già dato saggio altrove7, non erano mai dimenticati i saluti della Duchessa8. In aprile, quando Isabella tornò la prima volta a Ferrara, le spiacque molto di non aver seco la cognata9. A Mantova potè godere ancora della sua conversazione in maggio e forse nel giugno, chè poi Elisabetta, alquanto migliorata in salute, fece ritorno a Urbino. E là attendevala un gravissimo lutto. La sorella Maddalena Sforza, dopo appena dieci mesi di matrimonio, moriva di parto l’8 agosto del 149010 Elisabetta sentì sin nel profondo dell’anima questa perdita inattesa, onde scriveva il 13 agosto che dal gran piangere era "tutta sbatuta et lassa". Alla Marchesa, che era indisposta per una febbriciattola gastrica, ma che forse supponevasi incinta, tennero dapprima celata quella sciagura11.

In settembre Isabella tornò sul Garda, e nonostante la gioventù e la naturale gaiezza dell’indole, dovette talora pesarle di non aver seco la compagna di pochi mesi prima. Il 18 settembre 1490 ella scrive di ciò alla Duchessa, dolendosi che non possa venire anco lei a "restaurarse in quel bel paese", e poi prosegue festosamente: "Tutti inseme gli auguraremo V.S. et chiameremola sotto la tavola quando havaremo inanti de quel bon pesce et seremo nel zardino de lo arciprete de Tuscullano".12 Con le quali parole si tocca forse scherzosamente quel po’ di vizietto di gola, da cui la severa Elisabetta sembra non andasse immune.13

In autunno la Duchessa si recò a fare dei bagni e ne ebbe un grande ristoro.14L’anno successivo (1491) passò senza alcuna relazione notevole, tranne il viaggio del Marchese ad Urbino, nel luglio. Isabella in quell’anno aveva avuto grandi svaghi, prima pel fastoso matrimonio di Beatrice col Moro, cui assistette a Milano, poi per quello di Alfonso d’Este con Anna Sforza15.

Il marchese Francesco era aspettato un’altra volta in Urbino nel gennaio 1492, come si ricava da una lettera di Elisabetta del 9 di quel mese, che è a stampa16. Ma sembra che quel viaggio non si effettuasse allora, perchè nelle lettere del 4 febbraio e del 3 di marzo, quest’ultima molto affettuosa, la Duchessa si mostra sempre impazientissima di rivedere il fratello.17. La corrispondenza mantenevasi viva anche con la Marchesa e consisteva per lo più in iscambi di favori e di gentilezze, in raccomandazioni di persone, in doni reciproci che quei nostri signori facevansi ben volentieri, applicando sin d’allora l’adagio francese: les petits cadeaux entretiennent l’amitié.18. Da Mantova veniva mandato, di solito, del pesce, specie i celebri carpioni del Garda19; da Urbino frutta20. Ma la salute della Duchessa s’era di bel nuovo guastata: essa accusava sin dal marzo disturbi gastrici (opilazione), per cui voleva recarsi ai bagni di Viterbo. Avendole il fratello spedito di nuovo il Calandra, essa lo ringraziava il 10 maggio 1492 da Gubbio, e si proponeva di menar seco l’amato castellano ai bagni.21 La Marchesa di Mantova allora, in una lettera piena di buon senso, di affetto e di gaiezza, scrivevale (17 maggio): Una cosa me pare ricordarli per lo amore gli porto, ch’el primo bagno la cominzia a tuore sia el proponimento de guardarse da le cose triste et vivere de quelle che rendeno sanità et substantia, et sforciarsi fare exercicio movendose cum la persona a cavallo et a pede, stando in rasonamenti piacevoli, per scaciare le melenconie et affanni che per indispositione del corpo o animo gli occurressino, nè attendere ad altro che a la salute de l’anima prima et puoi ad honore et comodo de la persona, perchè altro da questo fragile mondo se può cavare, et chi non scià compartire el tempo de la vita sua passa cum molta passione et poca laude. Questo non ho dicto perchè non sapia V.S. como prudentissima intenderlo meglio di me, ma solum a ciò che sentendo ch’io anchora sia de la dispositione sua, tanto più voluntieri si adapti a volere vivere et pigliare qualche recreatione come facio io et secundo la poterà informare el Castellano; quale lo ill. S. mio consorte è rimasto contento stia apresso la S.V. finchè la serà retornata da li bagni et quanto più a lei piacerà, intendendo perhò quando la sia in deliberatione de venire a Mantua, perchè altramente, non solum se revocaria el Castellano, ma se possibile fusse renuntiaressimo la benevolentia et affinità. Et in casu che ’l Castellano cognoschi che la S.V. se alieni de volerne compiacere de la venuta sua, intendemo che per vigore de questa se habi per revocato et se ne retorni subito quà, dove non rendendo sufficiente rasone che l’habia facto dal canto suo quanto gli è stato imposto, serrà tractato como per la littera ch’el portò de mia mano, haverà inteso".22 In quest’adorabile lettera vi è tutto il carattere d’Isabella, così impetuosa e tenace ne’ suoi desiderii, così espansiva verso gli amici del cuore.

Elisabetta in quel mentre era a Gubbio, sulle mosse per andare a Viterbo, quando ricevette colà la visita del Duca di Ferrara, che si trattenne alcuni giorni nello stato di Urbino.23 A Viterbo Elisabetta intraprese la sua cura verso la metà di giugno: "io me ritrovo - essa dice in una lettera del 17 - a li bagni et per infino adesso non mi hanno facto troppo utile".24 Tre settimane dopo, circa, le cose erano a miglior partito, come la Duchessa comunicava direttamente ad Isabella, da Urbino (11 luglio): "la adviso come, gratia de Dio, io son tornata da li bagni cum bono miglioramento, quantunque me sia remasta alquanto de debilità; la quale me sforzarò cum omne possibile diligentia mandare via per potermene venire in brevi giorni a stare in consolatione cum la Ex.V. et de lo illmo suo consorte et mio fratello, come è mio grandissimo desiderio".25. Erano peraltro sempre promesse illusorie, perchè sorgevano di continuo nuovi impedimenti. Prima la malattia del marito26, poi le brighe col papa27, ed altro ed altro; quantunque la Duchessa dicesse al fratello (e della sua sincerità non vi è a dubitare) "numerarò non solamente i dì, ma l’ore, che ho a stare a vedere la S.V.", e similmente alla Marchesa: "se lei numera li giorni, io numero le ore".28. Chiedendo dilazioni, come la vedemmo fare altra volta, la Duchessa era giunta a trattenere il castellano sino a settembre, finchè la notizia, forse sparsa ad arte, ch’egli era stato "casso dell’ufficio", non lo fece tornare a Mantova.29. Ma in dicembre la buona signora lo richiedeva di nuovo30; quantunque non le mancassero visite, anche gradite, di personaggi venuti da Mantova, quali il poeta31 ed Alessandro Pincaro. Passò natale, passò capo d’anno, passò il carnevale del 1493 ed Elisabetta non venne. La Marchesa si disperava: "nè sciò - scriveva essa - qual cosa mi possa più indurre a recreatione in questo carnevale, parendome esser certa che tutti li concepti che per la venuta sua havea facto seranno stati exposti al vento. El tempo che io pensava spendere in letitia e consolatione inseme cum la S.V., convertirò in solitudine, standomene nel mio studiolo a dolermi de questa adversa sua valitudine, et pregharò Dio che presto la reduchi prospera, a ciò che, se pur non potremo satisfare al nostro desiderio questo carnevale, almanco ce sia concesso la proxima quatragesima".32 Infatti una lettera del 24 gennaio annunciava ad Isabella che le acque della Porretta conferivano molto alla Duchessa, e che se, il miglioramento fosse continuato, in quaresima si sarebbe messa in viaggio.33

Venne finalmente l’aspettata e desiderata Elisabetta nel marzo del 1493, quantunque i soliti dolori di stomaco la avessero di nuovo molestata proprio in quella che stava per partire.34 Già vedemmo come la Gonzaga le inviasse incontro, per rallegrarla, il poeta. Per desiderio della Marchesa mossero pure ad incontrarla i più cospicui cittadini, e lei stessa, Isabella, si recò fino a Rovere. Il 19 marzo a Mantova fu accolta "cum universale dimostratione de alegreza".35 Poco appresso, il 23 marzo, la Marchesa partecipava alla madre di stare deliziosamente insieme con la cognata, "quale spero cum la conformità de quest’aere a la natura sua et copia de boni medici debba revalersi, et già me pare che la cominci a sentire la virtù de l’aere et le careze ch’io gli facio".36

Stettero insieme tutto l’aprile, in una beata comunanza di aspirazioni e di occupazioni, ma ai primi di maggio Isabella doveva portarsi, per desiderio del marito, a Venezia passando per Ferrara37, ed era suo interesse che il viaggio si compisse presto per prevenire l’andata del Moro e non sfigurare al confronto dello sfarzo della sorella Beatrice.38 Il 4 maggio giungeva a Ferrara, noiata questa volta assai pel tempo poco favorevole, e per l’abbandono della dolce compagna. "Appena - le scriveva - me ritrovai in barca senza la sua dulcissima compagnia venni tanto bizarra, che non sapeva che volesse. Havendo per mio conforto aqua et vento sempre contrario... molte volte me agurai in camera de V.S. a giochare a scartino"39

Note

  1. MURATORI, Rerum Ital. Script., XXIV, 281; FRIZZI, Storia di Ferrara, Ferrara, 1848, IV, 161-62.
  2. Da relazione inedita di Girolamo Stanga, in data Figarolo, 13 febbraio ’90.
  3. Cfr. VOLTA, Storia di Mantova, II, 230-31 e D’ARCO, Notizie d’Isabella Estense, Firenze, 1845, p. 31.
  4. Nel copialettere del Marchese, L. 134, v’è la seguente notevole lettera:
    Ill.mo ecc.

    Ho ricevuta la lettera de la S.V. et visto quanto per essa la me significa de la descriptione facta de li arzenti suoi et tapezarie, de che la può accomodarmi per el bisogno de queste mie noze secundo la lista data a Benedicto Codelupo la quale s’è havuta: ringratio quanto posso la Ex.V. de la comodità che la me ne fa, che mi redunda ad grandissimo acunzo per essere bona summa et belle cose; et se ultra le annotate ne la lista la V.S. potesse etiam compiacermi de la tapezaria sua de la historia troiana per poter apparare la sala dove se farà la festa come serìa il pensier mio, et così de li antiporti suoi belli et de qualche tapeti da terra et anche de più vasi d’arzento grandi che la potesse per ornare la credenza restaria da lei molto satisfacto et contento et fariame cosa grata. Prego ben la S.V. voglia haverme excusato se li paresse in richiederla tropo copioso, chè lo facio a segurtà et cum fiducia per la fede grande che ho in quella: a la quale de continuo me offero et recc.o et ipsa bene valeat.

    Mant. 19 jan. 1490.

    Gli arazzi ov’era rappresentata la storia trojana furono tra i più famosi del palazzo Urbinate e noi abbiamo già avuto occasione di nominarli, parlando poc’anzi di quel magnifico edificio. Li vanta specialmente Antonio Mercatelli nel suo poema ed il COLUCCI (Antichità picene, XXI, 76) dice che costarono ben diecimila ducati. Di quel prestito delle tappezzerie s’era già trattato nel dicembre ’89, come può vedersi da una lettera d’Elisabetta ormai più volte citata (FERRATO, p. 61). Nè i Montefeltro erano i soli cui in quella congiuntura ricorresse Francesco per tappezzerie ed argenti. Si rivolse eziandio a Sigismondo d’Este, a Marco Pio di Carpi, a Giovanni Bentivoglio.

  5. Vedasi la magnifica terracotta del Museo di Mantova, che lo rappresenta riprodotta, tra altri, dal MÜNTZ, Histoire de l’art pendant la Renaissance, II, 277.
  6. Ambedue le lettere sono tra le originali della Marchesa.
  7. Vedi il nostro lavoro Delle relazioni di Isabella d’Este Gonzaga con Ludovico e Beatrice Sforza, Milano, 1890, p. 12; estr. dall’ Archivio storico lombardo.
  8. Vedi specialmente la lettera del 6 aprile, firmata Quella che è desiderosa de continuo veder la S.V. Isabella da Este da Gonzaga de man propria.
  9. Cfr. la lettera 23 aprile nel L. 136 del copialettere del Marchese. Elisabetta rispose di esserne dispiacente essa pure, ma "tuttavia è forse stato el meglio perchè me sento migliorata assai".
  10. Cantò quella morte Antonio Agnelli in un poemetto latino, che si conserva in un codice Capilupi. Cfr. ANDRES, Catal. mss. Capilupi, Mantova, 1797, pp. 179-183. Di Maddalena fece un ritratto il Mantegna, dacchè nell’inventario di libri e quadri di Giovanni Sforza, compilato nel 1500 figura: "La testa dell’illma M. Magdalena de man del Mantegna in profilo". Vedi VERNARECCI, La libreria di Giovanni Sforza, signore di Pesaro, in Archivio storico per le Marche e per l’Umbria, III, 522. Di questo ritratto, per quanto ci consta, gli storici dell’arte non hanno notizia. Conoscono invece le medaglie, registrate anche dall’Armand.
  11. Beatrice de’ Contrari al Marchese, 11 agosto ’90: "Ho inteso lo mesto et doloroso caso de la ill.ma Ma Maddalena... Perfino a questa hora ho facto stare la cosa secreta che la ill.ma Ma Marchesana non la ha intesa, et etiam farò stare fino a tanto che V.S. scriva quanto se habia da fare circha ciò, perchè conoscendo la ill.ma Marchesana ne li termini che è mo’, et sapiendo quella de cordial.mo core amare la ill.ma Ma Maddalena dubito non agiungerà male a male".
  12. Copialettere del Marchese, L. 136. Quella riviera era considerata un vero paradiso. Stefano Sicco scriveva da Cavriana il 20 marzo ’90, a proposito della prima gita da noi menzionata: "le pte Madonne se mantennero galiarde a l’acqua et a cavallo... vedendo sempre zardini cum grandissimo piacere, che ogniuno de li habitanti se sforzava farli più careze, tra’ quali fu uno de Caravazo chiamato Fermo che voleva pur ch’el zardino suo fusse posto a sachomanno da Ma Marchesana et tutta la compagnia, et donoli de li cedri et pomi ranzi ecc."
  13. L’8 dicembre ’90 Isabella raccomanda alla cognata di non mangiare più quelle cattive cose, di che la vedeva ghiotta. Essa pure, la Marchesa, s’è corretta, con beneficio della salute. In fatti il 18 agosto la madre rimproverava Isabella di procurarsi del male col soverchio appetito per le frutta "et altre cose triste".
  14. In una lettera del 13 dicembre ’90 dice che i bagni le hanno fatto così bene, che le pare "veramente esser resusitata da morte a vita".
  15. Vedi le succitate nostre Relazioni con gli Sforza, pp. 13 e segg.
  16. FERRATO, op. cit., pp. 62-63.
  17. FERRATO, op. cit., pp. 65 e 67.
  18. Possono vedersi riguardo a ciò specialmente le lettere d’Elisabetta pubblicate dal Ferrato, che sono numerose pel 1492. Si badi peraltro ch’egli commise nella pubblicazione di quei documenti molti errori di lettura, alcuni dei quali fanno oltraggio al senso. Ne additiamo parecchi, per saggio: - Nella lettera 57, a p. 65, in luogo di Gian Maria et Mainoldo deve leggersi G. Maria Riminaldo; nella lettera 62, a p. 70, non Or la opilatione, che non dà senso, ma De la opilatione; quivi pure il testo dice lunidì proximo che verà existimo mettermi ad camino, ed il Ferrato stampa un comicissimo che verà Augustino!! Nella lettera 67, p. 74, non me rescrisse, ma me respuse; nella lettera autografa 68, a p. 75, va letto quando intendo del suo e dal poeta la Ex. V. intenderà, e nella pagina seguente v’è tal confusione rispetto al castellano, che è una pietà, essendo stato omesso di pianta il nome di Joan. P. Arrivabene, il vescovo d’Urbino. Così nella lett. 72, p. 81, non avendo letto a dovere, il F. fa tal pasticcio di carpioni e di pistacchi, che lo digerirebbe appena uno struzzo. Insomma di quelle lettere non si può valersi senza una accurata collazione.
  19. FERRATO, pp. 64 e 81. Cfr. la nostra nota 2 a pag. 47 delle Relazioni con gli Sforza.
  20. Il 28 marzo ’92 Elisabetta accompagna ad Isabella una spedizione di fichi (FERRATO, p. 67). Erano fichi secchi. La Marchesa risponde il 13 aprile: "Ho receputo insieme cum la lettera de la S.V. li fichi che la me ha mandato, quali me sono stati gratissimi et per suo amore ho principiato a goderli; in cambio de li quali mando a lei due forme de formazo da pesi cinque l’una, che sono le più belle si sono ritrovate in questa terra, a ciò che la S.V. habia memoria de me quando se manzarà grasso, como ho io de essa adesso che se manza de macro, benchè desideraria che la venese in qua per godere inseme di queste et altre cose per qualche tempo, et aciò che ne l’aere suo nativo potesse purgarse et liberarse in tutto da quella poca opilatione che intendo ha". Copialettere d’Isabella, L. II.
  21. FERRATO, p. 69.
  22. Copialett. d’Isabella, L.II. Ivi segue una lettera (18 maggio) al Castellano, ove è detto, dalla forma in fuori, lo stesso. Isabella gli dà licenza di rimanere presso la cognata, "purchè, come gli scrivemo, ne observi la promessa de venire; chè quando senza urgentissima causa mutasse sententia, non solamente vui havereti a retornare subito a casa, ma certificarla che nè vui nè altro per opera nostra gli serrà più mandato et lo cordiale amore che li portiamo se debilitaria multo".
  23. FERRATO, p. 70; risposta nel Copialettere d’Isabella, L.II, 26 maggio ’92.
  24. La lettera è datata ex Balneis Viterbij e non già ex Balneo Eugubii, come ha letto, spropositando al suo solito, il FERRATO, p. 71.
  25. FERRATO, p. 72. Nello stesso senso e quasi con identiche parole al fratello nella lettera successiva là pubblicata. Come appare da quanto scrive la Marchesa (Copialett., L II, 26 maggio), Elisabetta aveva promesso di venire a Mantova "al tempo de’ fasanazi", vale a dire in autunno, o ad estate inoltrata.
  26. Lett. 5 agosto ’92. FERRATO, pp. 73 e 74.
  27. Lett. del sett. ’92. FERRATO, pp. 75 e 76.
  28. FERRATO, pp. 76 e 80.
  29. Vedi FERRATO, pp. 72, 73, 76.
  30. FERRATO, p. 78.
  31. FERRATO, p. 75. Il poeta tornava allora (sett. ’92) da Urbino a Mantova. Chi era codesto misterioso personaggio più d’una volta menzionato nei documenti mantovani? Che dovesse essere un musicista lo si dedurrebbe, non foss’altro, da un brano di lettera del segretario Antimaco al Marchese (3 febbr. ’92): "Questa nocte io feci dire al poeta che per tempo questa matina il dovesse venire a la Ex. V. insieme col fiorentino che canta in lira". Ma ne abbiamo documento anche più esplicito. Allorchè nel marzo ’93 Elisabetta venne a Mantova, essa desiderò di "havere in bucintoro el poeta per sua recreatione", onde la Marchesa glielo inviò "aciò cum una lyra sua possi condurre alegramente V.S." (Copialettere d’Isabella, L.III). Quanto Elisabetta lo prediligesse, lo si può ricavare dal fatto, che anche nel 1495 Isabella glielo inviò (Copialett., L. V, 16 ag.) e fors’anco nel 1499, se è lui quel poetino cui il 16 ott. la Duchessa affidava una lettera. Ma dovremo rassegnarci a non conoscerne il nome? Il 1° agosto 1530 da Pesaro dà notizia a Jacopo Calandra di maioliche vedute in Urbino Gio. Francesco alias el Poeta (V. CAMPORI, Notizie della maiolica e della porcellana di Ferrara, ecc., Pesaro, 1879, p. 111). Il 24 settembre 1514, da Urbino Alessandro Picenardi detto del Cardinale, scrive al Marchese: "Et questo lo dissi al poeta mio fratello et bon servitore a V. Ex. et non potendo venir io, lui subito si dispone a venire a Mantua, a visitar quella". Quindi, se una improbabile omonimia non turba la nostra congettura, il poeta suonatore di lira, caro ad Elisabetta, si sarebbe chiamato Gio. Francesco Picenardi.
  32. 15 gennaio ’93. Copialett. d’Isabella, L. III.
  33. FERRATO, . p. 80-81.
  34. Lett. al Marc. 7 marzo ’93. FERRATO, pp.81-82.
  35. Copialett. d’Isabella, L. III; 16 e 20 marzo ’93.
  36. Copialett., L. III.
  37. Il Marchese era a Venezia in marzo e poi di nuovo in aprile, e là si occupava anche degli affari del Duca d’Urbino. Vedi in proposito la lettera d’Elisabetta, 26 aprile, da Mantova, che non è già diretta a lui, come sbadatamente pone il FERRATO nel pubblicarla (Op. cit., pp. 82-83), ma al comun fratello Giovanni.
  38. Di ciò distesamente nelle nostre Relazioni con gli Sforza, pagina 70 e segg.
  39. Copialett., L.III. Questo documento producemmo già nelle citate Relazioni, p. 73m n. 1. Che cosa veramente fosse lo scartino, per cui le due dame avevano singolare predilezione, non sapremmo dire con sicurezza, benchè ci sorrida il pensiero che potesse essere qualcosa di simile all’attuale ècartè. Certo era un giuoco favorito a Mantova in quel tempo. Da Padova, il 20 maggio ’93, la Marchesa ordina a Francesco Bagnacavallo "duo para de carte da scartino" accusa al medesimo ricevuta il 1° dicembre di quell'anno (Copialett., L.IV). Il 7 settembre 1495 il Marchese, dal campo, chiede alla moglie di fargli avere "fino a due para de scartini, a ciò possiamo passare el tempo cum mancho pensero". Il 9 luglio 1509 Tolomeo Spagnoli comunica da Mantova che la Marchesa "sta molto bene e si spassa il caldo dil dì "giocando a scartino". Tali esempi si potrebbero moltiplicare. L'anonimo autore del Diario Ferrarese, parlando di giuochi che costumavano in Ferrara nel dicembre 1499, scrive: "Si usa et costuma di giocare a carte molto, come a falsinelli, a rompha, a risuscitare li morti, a scartare et a mille diavolamenti". (MURATORI, Rerum Ital. Script., XXV, 376). Borso da Correggio, riferendo il 28 agosto '93 i giuochi cui prendeva parte Beatrice Sforza, dice: "L'esercitio nostro è questo. La matina si cavalca un poco, al dopo disinare, a scartino, a resuscitar morti e imperiale fin a l'hora de dormire". (Relazioni con gli Sforza, p.84). Nel 1495 Ludovico il Moro pregava Ercole d'Este d'inviargli a volta di corriere 12 paia di scartini e due anni dopo si doleva col cardinale Ippolito, che don Alfonso non "li havesse mandato certe carte da scartino ch'el ge haveva promesso". (VENTURI, in Arch. stor. lombardo, XII, 254). A Ferrara infatti ed a Mantova, l'industria delle carte da giuoco dipinte a mano era assai progredita nel secolo XV, e verso la fine di quel secolo e nel successivo a Ferrara facevansi anche molte carte impresse. Cfr. CAMPORI, Le carte da giuoco dipinte per gli Estensi, pp. 11-12. Che lo scartino si giocasse con le carticelle e non coi naibi o trionfi (CAMPORI, op. cit., p.13 e RENIER, Tarocchi di M.M.Boiardo, Modena, 1889, pp.7-8 e 9, n. 1) ci sembra quasi indubitabile. Isabella, del resto, si dilettava anche di giuochi meno innocenti dello scartino, come il flusso. Battista Guarino in certa sua lettera del 2 febbraio 1493 le dice: "Ma la V.S. farà pensiero di avere perso qualche posta a fluxo, over a scartino" (LUZIO, Precettori d'Isabella, Ancona, 1887, p.22). Il 16 novembre 1502, Tolomeo Spagnoli scrive al Marchese: "La ill.ma Ma ha convertito il tempo che la giocava a fluxo in vedere giocare a scacchi, ma lei non giocha mai, il che procede perchè la ne scià molto pocho". In seguito divenne valente anche in quel difficile giuoco, e meritò che il Vida le dedicasse il suo noto poema. Il flusso era giuoco assai rischioso; Stazio Gadio il 31 ottobre 1515 comunicava alla Marchesa che a Milano Lorenzo de' Medici (poscia duca d'Urbino) giuocando a flusso col re di Francia e con altri "in pochi giorni tirò circha 600 scudi". Il flusso è frequentissime volte nominato nei documenti e nelle opere a stampa del Rinascimento (Vedi Crusca sotto flusso e frussi). Giuoco maladetto lo chiamano i Canti carnascialeschi. Il confonderlo con la primiera, che la Marchesa preferiva nell'età avanzata (ne abbiamo documenti del 1527 e 1538), non è giusto, quantunque vi fosse realmente una figura della primiera chiamata flusso. Vedi su ciò specialmente il Commento al Capitolo sul giuoco della primiera del Berni, in BERNI, Rime, poesie latine lettere, ediz. Virgili, Firenze, 1885, pp. 365 e 393. Ma in quello stesso tanto fortunato Commento il flusso è nominato, col trentuno, come giuoco da donne, diverso dalla primiera (p. 377), sicchè crediamo poterne concludere che oltre alla menzionata figura della primiera, il nome flusso significasse un altro giuoco, affatto distinto. Come appunto distinti indica i due giuochi l'ARETINO nel Ragionamento del gioco (Terza parte dei Ragionamenti, Venezia, 1589, c.91r, 148v e 149r, 161r); come distinti li nomina il RABELAIS, in Gargantua, L.I, cap.22 (flux e prime) ed anche il GARZONI, Piazza universale, Venezia, 1617, c. 244r. A Isabella piaceva anche di giuocare a nichino. Giangiacomo Calandra informava Federico il 16 nov. 1516: "Gli exercitii de S. Ex. (vostra madre) sono le littere a le hore consuete, le solite orationi ed hore, et qualche volta spassa il tempo con gioco con questi S. et gentilhomini, et alle volte a nichino per spasso con questi gentilhomini, ecc."
◄   I. 1471-1489 III. 1502-1503   ►