Galateo ovvero de' costumi/XXVI: differenze tra le versioni

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Ma tu dèi oltre a ciò sapere che gli uomini sono molto vaghi della bellezza e della misura e della convenevolezza, e, per lo contrario, delle sozze cose e contrafatte e difformi sono schifi: e questo è spetial nostro privilegio, ché gli altri animali non sanno conoscere che sia né bellezza né misura alcuna; e perciò, come cose non comuni con le bestie, ma proprie nostre, debbiam noi apprezzarle per sé medesime et averle care assai, e coloro viepiù che maggior sentimento hanno d’uomo, sì come quelli che più acconci sono a conoscerle. E come che malagevolmente isprimere appunto si possa che cosa bellezza sia, non di meno, acciò che tu pure abbi qualche contrasegno dell’esser di lei, voglio che sappi che, dove ha convenevole misura fra le parti verso di sé e fra le parti e ’l tutto, quivi è la bellezza: e quella cosa veramente «bella» si può chiamare, in cui la detta misura si truova. E per quello che io altre volte ne intesi da un dotto e scientiato uomo, vuole essere la bellezza uno quanto si può il più e la bruttezza per lo contrario è molti, sì come tu vedi che sono i visi delle belle e delle leggiadre giovani, perciò che le fattezze di ciascuna di loro paion create pure per uno stesso viso; il che nelle brutte non adiviene, perciò che, avendo elle gli occhi per aventura molto grossi e rilevati, e ’l naso picciolo e le guance paffute, e la bocca piatta e ’l mento in fuori, e la pelle bruna, pare che quel viso non sia di una sola donna, ma sia composto d’i visi di molte e fatto di pezzi. E trovasene di quelle, i membri delle quali sono bellissimi a riguardare ciascuno per sé, ma tutti insieme sono spiacevoli e sozzi, non per altro, se non che sono fattezze di più belle donne e non di questa una, sì che pare che ella le abbia prese in prestanza da questa e da quell’altra: e per aventura che quel dipintore che ebbe ignude dinanzi a sé le fanciulle calabresi, niuna altra cosa fece che riconoscere in molte i membri che elle aveano quasi accattato chi uno e chi un altro da una sola; alla quale fatto restituire da ciascuna il suo, lei si pose a ritrarre, imaginando che tale e così unita dovesse essere la bellezza di Venere. Né voglio io che tu ti pensi che ciò avenga de’ visi e delle membra o de’ corpi solamente, anzi interviene e nel favellare e nell’operare né più né meno, ché, se tu vedessi una nobile donna et ornata posta a lavar suoi stovigli nel rignagnolo della via publica, come che per altro non ti calesse di lei, sì ti dispiacerebbe ella in ciò, che ella non si mostrerebbe pure «una», ma «più», perciò che lo esser suo sarebbe di monda e di nobile donna e l’operare sarebbe di vile e di lorda femina; né perciò ti verrebbe di lei né odore né sapore aspero, né suono né colore alcuno spiacevole, né altramente farebbe noia al tuo appetito, ma dispiacerebbeti per sé quello sconcio e sconvenevol modo e diviso atto.
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Ma tu dèi oltre a ciò sapere che gli uomini sono molto vaghi della bellezza e della misura e della convenevolezza, e, per lo contrario, delle sozze cose e contrafatte e difformi sono schifi: e questo è spetial nostro privilegio, ché gli altri animali non sanno conoscere che sia né bellezza né misura alcuna; e perciò, come cose non comuni con le bestie, ma proprie nostre, debbiam noi apprezzarle per sé medesime et averle care assai, e coloro viepiù che maggior sentimento hanno d'uomo, sì come quelli che più acconci sono a conoscerle. E come che malagevolmente isprimere appunto si possa che cosa bellezza sia, non di meno, acciò che tu pure abbi qualche contrasegno dell'esser di lei, voglio che sappi che, dove ha convenevole misura fra le parti verso di sé e fra le parti e 'l tutto, quivi è la bellezza: e quella cosa veramente «bella» si può chiamare, in cui la detta misura si truova. E per quello che io altre volte ne intesi da un dotto e scientiato uomo, vuole essere la bellezza uno quanto si può il più e la bruttezza per lo contrario è molti, sì come tu vedi che sono i visi delle belle e delle leggiadre giovani, perciò che le fattezze di ciascuna di loro paion create pure per uno stesso viso; il che nelle brutte non adiviene, perciò che, avendo elle gli occhi per aventura molto grossi e rilevati, e 'l naso picciolo e le guance paffute, e la bocca piatta e 'l mento in fuori, e la pelle bruna, pare che quel viso non sia di una sola donna, ma sia composto d'i visi di molte e fatto di pezzi. E trovasene di quelle, i membri delle quali sono bellissimi a riguardare ciascuno per sé, ma tutti insieme sono spiacevoli e sozzi, non per altro, se non che sono fattezze di più belle donne e non di questa una, sì che pare che ella le abbia prese in prestanza da questa e da quell'altra: e per aventura che quel dipintore che ebbe ignude dinanzi a sé le fanciulle calabresi, niuna altra cosa fece che riconoscere in molte i membri che elle aveano quasi accattato chi uno e chi un altro da una sola; alla quale fatto restituire da ciascuna il suo, lei si pose a ritrarre, imaginando che tale e così unita dovesse essere la bellezza di Venere. Né voglio io che tu ti pensi che ciò avenga de' visi e delle membra o de' corpi solamente, anzi interviene e nel favellare e nell'operare né più né meno, ché, se tu vedessi una nobile donna et ornata posta a lavar suoi stovigli nel rignagnolo della via publica, come che per altro non ti calesse di lei, sì ti dispiacerebbe ella in ciò, che ella non si mostrerebbe pure «una», ma «più», perciò che lo esser suo sarebbe di monda e di nobile donna e l'operare sarebbe di vile e di lorda femina; né perciò ti verrebbe di lei né odore né sapore aspero, né suono né colore alcuno spiacevole, né altramente farebbe noia al tuo appetito, ma dispiacerebbeti per sé quello sconcio e sconvenevol modo e diviso atto.
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Versione delle 20:07, 5 ott 2010

XXV XXVII

Ma tu dèi oltre a ciò sapere che gli uomini sono molto vaghi della bellezza e della misura e della convenevolezza, e, per lo contrario, delle sozze cose e contrafatte e difformi sono schifi: e questo è spetial nostro privilegio, ché gli altri animali non sanno conoscere che sia né bellezza né misura alcuna; e perciò, come cose non comuni con le bestie, ma proprie nostre, debbiam noi apprezzarle per sé medesime et averle care assai, e coloro viepiù che maggior sentimento hanno d’uomo, sì come quelli che più acconci sono a conoscerle. E come che malagevolmente isprimere appunto si possa che cosa bellezza sia, non di meno, acciò che tu pure abbi qualche contrasegno dell’esser di lei, voglio che sappi che, dove ha convenevole misura fra le parti verso di sé e fra le parti e ’l tutto, quivi è la bellezza: e quella cosa veramente «bella» si può chiamare, in cui la detta misura si truova. E per quello che io altre volte ne intesi da un dotto e scientiato uomo, vuole essere la bellezza uno quanto si può il più e la bruttezza per lo contrario è molti, sì come tu vedi che sono i visi delle belle e delle leggiadre giovani, perciò che le fattezze di ciascuna di loro paion create pure per uno stesso viso; il che nelle brutte non adiviene, perciò che, avendo elle gli occhi per aventura molto grossi e rilevati, e ’l naso picciolo e le guance paffute, e la bocca piatta e ’l mento in fuori, e la pelle bruna, pare che quel viso non sia di una sola donna, ma sia composto d’i visi di molte e fatto di pezzi. E trovasene di quelle, i membri delle quali sono bellissimi a riguardare ciascuno per sé, ma tutti insieme sono spiacevoli e sozzi, non per altro, se non che sono fattezze di più belle donne e non di questa una, sì che pare che ella le abbia prese in prestanza da questa e da quell’altra: e per aventura che quel dipintore che ebbe ignude dinanzi a sé le fanciulle calabresi, niuna altra cosa fece che riconoscere in molte i membri che elle aveano quasi accattato chi uno e chi un altro da una sola; alla quale fatto restituire da ciascuna il suo, lei si pose a ritrarre, imaginando che tale e così unita dovesse essere la bellezza di Venere. Né voglio io che tu ti pensi che ciò avenga de’ visi e delle membra o de’ corpi solamente, anzi interviene e nel favellare e nell’operare né più né meno, ché, se tu vedessi una nobile donna et ornata posta a lavar suoi stovigli nel rignagnolo della via publica, come che per altro non ti calesse di lei, sì ti dispiacerebbe ella in ciò, che ella non si mostrerebbe pure «una», ma «più», perciò che lo esser suo sarebbe di monda e di nobile donna e l’operare sarebbe di vile e di lorda femina; né perciò ti verrebbe di lei né odore né sapore aspero, né suono né colore alcuno spiacevole, né altramente farebbe noia al tuo appetito, ma dispiacerebbeti per sé quello sconcio e sconvenevol modo e diviso atto.