Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/95: differenze tra le versioni

Da Wikisource.
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
ThomasBot (discussione | contributi)
m Alex_brollo: match
ThomasBot (discussione | contributi)
m Alex_brollo: split
Riga 2: Riga 2:
{{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}
{{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}


==[[Pagina:Annali d'Italia, Vol. 1.djvu/211]]==
{{Anno di|{{Sc|Cristo}} XCV. Indizione VIII.|{{Sc|Anacleto}} papa 13.|{{Sc|Domiziano}} imperadore 15.}}Consoli


<pages index="Annali d'Italia, Vol. 1.djvu" from=211 to=212 fromsection=s2 />
FLAVIO DOMIZIANO AUGUSTO per la diecisettesima volta,
e TITO FLAVIO CLEMENTE.

Non zio paterno, ma cugino di Domiziano fu questo Clemente console, perchè figliuolo di Sabino fratello di Vespasiano. Mostravagli Domiziano molto affetto, e per testimonianza di Svetonio710, meditava di voler suoi successori due piccioli figliuoli di lui, a' quali avea anche fatto cangiare il nome, chiamando l'uno Vespasiano, e l'altro Domiziano. Ma appena ebbe Clemente compiuto il tempo dell'ordinario suo consolato, il quale in questi tempi solea durare solamente i primi sei mesi, che Domiziano per leggerissimi sospetti gli fece levar la vita. Il cardinal Baronio711, il Tillemont712 ed altri dottissimi uomini, pretendono ch'egli morisse cristiano e martire; e le lor ragioni mi paiono convincenti. Imperciocchè Eusebio, Orosio ed altri scrittori cristiani mettono sotto quest'anno la persecuzione mossa da Domiziano contro i professori della legge di Cristo; e insin lo stesso Dione713, scrittore pagano, scrive aver Domiziano nell'anno presente fatto morir Flavio Clemente Console per delitto d'empietà, cioè per non credere nè venerare i falsi dii del Paganesimo; e che furono molti altri condannati a morte, per avere abbracciata la religion de' Giudei: che tali erano creduti e chiamati allora i Cristiani. Svetonio714, tacciando questo Clemente di una vilissima dappocaggine (contemtissimae inertiae), indica lo stesso; perchè, per attestato di Tertulliano715, i Cristiani, siccome gente ritirata, che non compariva agli spettacoli, non cercava dignità e gloria nel secolo, e attendeva alla mortificazion delle sue passioni, pareano persone di poco spirito, e gente buona da nulla. Moglie di questo Clemente console era Flavia Domitilla, nipote di Domiziano, cristiana anch'essa, che fu relegata nell'Isola Pandataria. Ebbe inoltre esso Clemente una nipote, appellata parimente Flavia Domitilla. Credesi che amendue queste Domitille, morendo martiri, illustrassero la fede di Gesù Cristo, e la lor memoria è onorata ne' sacri martirologi. Ne parla anche Eusebio716, citando in prova di ciò la storia di Brutio Pagano. O sia perchè il Cristianesimo era considerato come una setta di filosofia, o pure perchè Senecione e Rustico, amendue filosofi, uccisi, come dicemmo, nell'anno precedente (se pur non fu nel presente), irritassero non poco l'animo bestiale e timido di Domiziano: certo è, ch'egli cacciò di Roma tutti i professori della filosofia circa questi tempi, non potendo egli probabilmente sofferir coloro, da' quali ben s'immaginava che erano condannate le sue malvagie azioni. E che ciò succedesse nell'anno presente, lo scrive il mentovato Eusebio717. Però Filostrato notò718, che molti d'essi filosofi se ne fuggirono nelle Gallie,
==[[Pagina:Annali d'Italia, Vol. 1.djvu/212]]==
ed altri nei deserti della Scizia e della Libia. Dione Crisostomo, uomo insigne, se ne andò nel paese de' Goti. Epitetto celebre Stoico, fu anch'egli obbligato a ritirarsi fuori di Roma. Amaramente si duol Tacito719 di questo crudele editto di Domiziano, perchè fu un bandire da Roma la sapienza ed ogni buono studio, acciocchè non vi rimanesse studio delle virtù, e vi trionfasse solamente la disonestà con gli altri vizii. Pare che a quest'anno appartenga, secondo Dione720, la morte di Acilio Glabrione, che fu console l'anno 91, fatto uccidere da Domiziano. Epafrodito, già potente liberto di Nerone, lungamente avea goduto gran fortuna anche nella corte di Domiziano, servendolo per segretario de' memoriali721. Fu mandato in esilio, e condannato ora solamente a morte, perchè avea aiutato Nerone a darsi la morte, in vece d'impedirlo; il che fu fatto da Domiziano per atterrire i suoi domestici liberti, acciocchè non ardissero mai di far lo stesso con lui. Forse ancora è da riferire all'anno presente, o piuttosto al seguente, quanto avvenne, per attestato di Dione722, a Giuvenio Gelso, creduto da alcuni Publio Giuvenzio Celso, che fu poi pretore sotto Trajano, console sotto Adriano, e celebre giurisconsulto di que' tempi. Fu egli accusato di aver cospirato contra di Domiziano. Prima che si venisse nel senato alle prove, fece istanza di parlare all'imperadore, perchè avea cose rilevanti da dirgli. Ottenuta la permissione, questo accorto uomo se gli gittò ginocchioni davanti come per adorarlo; gli diede cento volte il titolo di Signore e di Dio; protestò di essere innocente; ma che se gli volea dare un po' di tempo, saprebbe ben pescare, ed indicargli chiunque avea mal animo contra di lui. Fu licenziato, ed egli dipoi andò tanto tirando innanzi con vari sutterfugi senza rivelar alcuno, che arrivò la morte di Domiziano, per cui sicuro poi se ne visse. Abbiamo dal medesimo Dione, che in questi tempi Domiziano fece lastricar la via che va da Sinuessa a Pozzuolo. Anche Stazio723 parla d'una simil via acconciata; ma questa forse andava da Roma a Baja.



<!--fine
=== no match ===
anno-->

Versione delle 13:21, 23 dic 2010

94 96


[p. 361 modifica]

Anno di Cristo XCV. Indizione VIII.
Anacleto papa 13.
Domiziano imperadore 15.


Consoli


Flavio Domiziano Augusto per la diecisettesima volta e Tito Flavio Clemente.


Non zio paterno, ma cugino di Domiziano fu questo Clemente console, perchè figliuolo di Sabino fratello di Vespasiano. Mostravagli Domiziano molto affetto, e per testimonianza di Svetonio1, meditava di voler suoi successori due piccioli figliuoli di lui, a’ quali avea anche fatto cangiare il nome, chiamando l’uno Vespasiano, e l’altro Domiziano. Ma appena ebbe Clemente compiuto il tempo dell’ordinario suo consolato, il quale in questi tempi solea durare solamente i primi sei mesi, che Domiziano per leggerissimi sospetti gli fece levar la vita. Il cardinal Baronio2, il Tillemont3 ed altri dottissimi uomini, pretendono ch’egli morisse cristiano e martire; e le lor ragioni mi paiono convincenti. Imperciocchè Eusebio, Orosio ed altri scrittori cristiani mettono sotto quest’anno la persecuzione mossa da Domiziano contro i professori della legge di Cristo; e insin lo stesso Dione4, scrittore[p. 362] pagano, scrive aver Domiziano nell’anno presente fatto morir Flavio Clemente Console per delitto d’empietà, cioè per non credere nè venerare i falsi dii del Paganesimo; e che furono molti altri condannati a morte, per avere abbracciata la religion de’ Giudei: che tali erano creduti e chiamati allora i Cristiani. Svetonio5, tacciando questo Clemente di una vilissima dappocaggine (contemtissimae inertiae), indica lo stesso; perchè, per attestato di Tertulliano6, i Cristiani, siccome gente ritirata, che non compariva agli spettacoli, non cercava dignità e gloria nel secolo, e attendeva alla mortificazion delle sue passioni, pareano persone di poco spirito, e gente buona da nulla. Moglie di questo Clemente console era Flavia Domitilla, nipote di Domiziano, cristiana anch’essa, che fu relegata nell’Isola Pandataria. Ebbe inoltre esso Clemente una nipote, appellata parimente Flavia Domitilla. Credesi che amendue queste Domitille, morendo martiri, illustrassero la fede di Gesù Cristo, e la lor memoria è onorata ne’ sacri martirologi. Ne parla anche Eusebio7, citando in prova di ciò la storia di Brutio Pagano. O sia perchè il Cristianesimo era considerato come una setta di filosofia, o pure perchè Senecione e Rustico, amendue filosofi, uccisi, come dicemmo, nell’anno precedente (se pur non fu nel presente), irritassero non poco l’animo bestiale e timido di Domiziano: certo è, ch’egli cacciò di Roma tutti i professori della filosofia circa questi tempi, non potendo egli probabilmente sofferir coloro, da’ quali ben s’immaginava che erano condannate le sue malvagie azioni. E che ciò succedesse nell’anno presente, lo scrive il mentovato Eusebio8. Però Filostrato notò9, che molti d’essi filosofi se ne fuggirono nelle [p. 363 modifica]Gallie ed altri nei deserti della Scizia e della Libia. Dione Crisostomo, uomo insigne, se ne andò nel paese de’ Goti. Epitetto celebre Stoico, fu anch’egli obbligato a ritirarsi fuori di Roma. Amaramente si duol Tacito10 di questo crudele editto di Domiziano, perchè fu un bandire da Roma la sapienza ed ogni buono studio, acciocchè non vi rimanesse studio delle virtù, e vi trionfasse solamente la disonestà con gli altri vizii. Pare che a quest’anno appartenga, secondo Dione11, la morte di Acilio Glabrione, che fu console l’anno 91, fatto uccidere da Domiziano. Epafrodito, già potente liberto di Nerone, lungamente avea goduto gran fortuna anche nella corte di Domiziano, servendolo per segretario de’ memoriali12. Fu mandato in esilio, e condannato ora solamente a morte, perchè avea aiutato Nerone a darsi la morte, in vece d’impedirlo; il che fu fatto da Domiziano per atterrire i suoi domestici liberti, acciocchè non ardissero mai di far lo stesso con lui. Forse ancora è da riferire all’anno presente, o piuttosto al seguente, quanto avvenne, per attestato di Dione13, a Giuvenio Gelso, creduto da alcuni Publio Giuvenzio Celso, che fu poi pretore sotto Trajano, console sotto Adriano, e celebre giurisconsulto di que’ tempi. Fu egli accusato di aver cospirato contra di Domiziano. Prima che si venisse nel senato alle prove, fece istanza di parlare all’imperadore, perchè avea cose rilevanti da dirgli. Ottenuta la permissione, questo accorto uomo se gli gittò ginocchioni davanti come per adorarlo; gli diede cento volte il titolo di Signore e di Dio; protestò di essere innocente; ma che se gli volea dare un po’ di tempo, saprebbe ben pescare, ed indicargli chiunque avea mal animo contra di lui. Fu licenziato, ed egli dipoi andò tanto tirando innanzi[p. 364] con vari sutterfugi senza rivelar alcuno, che arrivò la morte di Domiziano, per cui sicuro poi se ne visse. Abbiamo dal medesimo Dione, che in questi tempi Domiziano fece lastricar la via che va da Sinuessa a Pozzuolo. Anche Stazio14 parla d’una simil via acconciata; ma questa forse andava da Roma a Baja.


Anno di Cristo XCVI. Indizione IX.
Evaristo papa 1.
Nerva imperadore 1.


Consoli


Caio Antistio Vetere e Caio Manlio Valente.


Erasi ben ridotta Roma ad un compassionevole stato sotto il crudele e tirannico governo di Domiziano. Non si sarebbe trovata persona nobile e benestante, che continuamente non tremasse al vedere tanti senatori, cavalieri ed altre persone, o private di vita o spinte in esilio o spogliate di beni15. Si univa bensì il senato, ma solamente per fulminar quelle sentenze che voleva il tiranno, o per autorizzar le maggiori iniquità. Ad ognuno mancava la voce per dire il suo sentimento; parlava quel solo che portava gli ordini dell’imperadore, e gli altri colla testa bassa, col cuor pieno di affanno, approvavano tacendo ciò che non osavano disapprovare parlando16. Esente non era da un pari timore il resto del popolo, perchè dappertutto si trovavano spioni, che raccoglievano, amplificavano, e bene spesso fingevano parole dette in discredito del principe; e bastava essere accusato, per essere condannato. Ma se Domiziano facea tremar tutto il mondo, anche tutto il mondo facea tremar Domiziano, chè questa è una pensione inevitabile dei tiranni, i quali col nuocere a tanti, e massimamente ai migliori e agli innocenti, sanno di essere in odio a tutti,

  1. Sueton. in Domitiano, c. 15.
  2. Baron. Annal. Ecclesiast.
  3. Tillemont, Mém. Hist. Ecclés.
  4. Dio., lib. 67.
  5. Sueton. in Domitiano, c. 15.
  6. Tertull. in Apologetico, cap. 42.
  7. Eusebius in Chron., et Hist. Ecclesiast., lib. 3.
  8. Eusebius in Chron.
  9. Philostratus in Apollon. lib. 8.
  10. Tacitus in Vita Agricolae, cap. 2.
  11. Dio., lib. 67.
  12. Sueton. in Domitiano, cap. 14.
  13. Dio., lib. 67.
  14. Statius Sylvar. lib. 4, cap. 3.
  15. Plinius in Panegyrico, et lib. 7, Epist. 14.
  16. Tacitus in Vita Agricolae, cap. 2.