I misteri della jungla nera/Parte II - Capitolo VII - I fiori che addormentano: differenze tra le versioni

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Andò a prendere le armi, legò solidamente i due addormentati e slanciossi verso la scala.
Andò a prendere le armi, legò solidamente i due addormentati e slanciossi verso la scala.


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Versione delle 16:22, 17 apr 2011

I fiori che addormentano

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Parte II - Capitolo VI - La limonata che scioglie la lingua Parte II - Capitolo VIII - Le rivelazioni del sergente


Quando Tremal-Naik tornò in sé, si trovò rinchiuso in uno stretto sotterraneo illuminato da un piccolo spiraglio difeso da una doppia fila di grosse sbarre e solidamente legato a due anelli di ferro, infissi in una specie di colonna.

Dapprima si credette in preda ad un brutto sogno ma ben presto si convinse che era realmente prigioniero.

Una vaga paura s’impossessò allora di quell’uomo, che pur aveva dato tante prove di un coraggio sovrumano.

Cercò di riordinare le idee, ma nel suo cervello regnava una confusione che non riusciva a diradare. Si rammentava vagamente di Negapatnan, della fuga di lui, della limonata, ma nulla di più.

- Chi può avermi tradito? - si chiese, rabbrividendo. - Cosa accadrà ora di me? Cos’è questa nebbia che mi offusca il cervello?... Che mi abbiano ubbriacato con qualche bevanda a me sconosciuta?

Fece uno sforzo per alzarsi, ma subito ricadde; aveva udito aprirsi una porta.

- Chi scende qui? - chiese.

- Io, Bhârata, - rispose il sergente avanzandosi.

- Finalmente - esclamò Tremal-Naik. - Mi spiegherai ora per quale motivo lo mi trovo qui prigioniero.

- Perché ormai sappiamo che tu sei un thug.

- Io!... Un thug!...

- Sì, Saranguy.

- Tu menti!...

- No, hai parlato, hai tutto confessato.

- Quando?

- Poco fa.

- Tu sei pazzo, Bhârata.

- No, Saranguy, ti abbiamo dato da bere la youma e tu hai confessato ogni cosa.

Tremal-Naik lo guardò con ispavento. Si ricordava della limonata che il capitano gli aveva fatto bere.

- Miserabili! - esclamò con disperazione.

- Vuoi salvarti? - disse Bhârata, dopo un breve silenzio.

- Parla, - disse Tremal-Naik con voce rotta.

- Confessa tutto e forse il capitano ti farà grazia della vita.

- Non lo posso: ucciderebbero la donna che io amo.

- Chi?

- I thugs.

- Quale storia narri tu? Parla.

- È impossibile! - esclamò Tremal-Naik con accento selvaggio. - Sian tutti maledetti!

- Ascoltami, Saranguy. Ormai noi sappiamo che i thugs hanno la loro sede a Raimangal, ma ignoriamo e quanti siano e dove vivano. Se tu lo dici, chissà, forse non morrai.

- E cosa farete di tutti quei thugs? - chiese Tremal-Naik con voce strozzata.

- Li fucileremo tutti.

- Anche se fra essi vi fossero delle donne?

- Esse prima di tutti.

- Perché?... Quale colpa hanno?

- Sono più terribili degli uomini. Rappresentano la dea Kâlì.

- T’inganni, Bhârata! T’inganni!

- Tanto peggio. -

Tremal-Naik si prese la fronte fra le mani, conficcandosi le unghie nella pelle.

I suoi occhi erravano smarriti, il suo volto era pallidissimo, quasi cinereo, ed il petto gli si sollevava impetuosamente.

- Se si concedesse la vita ad una di quelle donne... forse parlerei.

- È impossibile, poiché prenderli vivi costerebbero torrenti di sangue. Li soffocheremo tutti, come bestie feroci, nei loro sotterranei.

- Ma ho una donna, una fidanzata! - esclamò Tremal-Naik con un accento disperato. - Vuoi tu, tigre, farla morire!... No, no, non parlerò. Uccidetemi, tormentatemi consegnatemi alle autorità inglesi, fate di me quello che volete, non parlerò.. I thugs sono numerosi e potenti, si difenderanno e forse salveranno colei che io tanto ho amato e che amo ancora.

- Una domanda ancora. Chi è questa donna?

- Non posso dirlo.

- Saranguy, - disse con voce alterata, - vuoi dirmi chi è quella donna?

- Mai.

- È bianca o abbronzata?

- Non te lo dirò.

- Sarà una fanatica come le altre.

Tremal-Naik non rispose.

- Sta bene, - ripeté il sergente. - Fra tre o quattro giorni ti condurremo a Calcutta.

Una viva commozione alterò i lineamenti del prigioniero, il quale guardò il sergente che usciva e la feritoia.

- Questa notte bisogna fuggire, - mormorò, - o tutto è perduto.

La giornata trascorse senza che qualche cosa di nuovo accadesse. A mezzodì e al tramonto fu portata al prigioniero un’ampia scodella di curry e una coppa di tody.

Appena il sole tramontò dietro le foreste e l’oscurità nella cantina divenne fitta, Tremal-Naik respirò. Stette cheto per tre lunghe ore, temendo che qualcuno improvvisamente entrasse, poi si mise alacremente all’opera per tentare l’evasione.

Gli indiani sono famosi nel legare le persone ed occorre una lunga pratica per sciogliere i loro nodi complicatissimi. Tremal-Naik per fortuna possedeva una forza prodigiosa e buoni denti.

Con una scossa allentò una corda che gl’impediva di curvare la testa poi, pazientemente, non badando al dolore, avvicinò uno dei polsi alla bocca e si mise a lavorare coi denti, tagliando, segando, sfilacciando.

Riuscito a tagliare la corda, sbarazzarsi degli altri legami fu per lui l’affare d’un sol momento.

S’alzò stiracchiandosi le membra indolenzite, s’avvicinò poscia alla feritoia e guardò fuori.

La luna non era ancora sorta, ma il cielo era splendidamente stellato.

Buffi d’aria fresca e imbalsamata dal profumo di mille diversi fiori, entravano per la feritoia.

Nessun rumore veniva dal di fuori, né persona umana scorgevasi sulla fosca linea dell’orizzonte.

Il prigioniero afferrò una delle sbarre e la scosse furiosamente; la curvò ma non la spezzò.

- La fuga per di qui è impossibile, - mormorò.

Si guardò attorno cercando un oggetto qualsiasi che potesse aiutarlo a svellere le spranghe, ma non ne trovò alcuno.

- Sono perduto, - mormorò, con ispavento. - Eppure non voglio morire, non voglio scendere nella tomba ora che la felicità è vicina.

S’avvicinò alla porta, ma s’arrestò di botto. Un sordo mugolìo, che veniva dal di fuori, era giunto improvvisamente fino a lui.

Volse la testa verso la feritoia e la vide occupata da una massa oscura in mezzo alla quale brillavano due punti luminosi, verdognoli.

Una speranza gli attraversò il cervello.

- Darma!... Darma!... - mormorò con voce tremante per l’emozione.

La tigre emise un secondo brontolìo, scuotendo le spranghe di ferro. Il prigioniero s’avventò verso la feritoia, afferrando le zampe della fedele bestia.

- Sono salvo! - esclamò egli. - Brava Darma, lo sapevo che tu saresti venuta a trovare il tuo padrone. Ora non temo più il capitano né il suo sergente.

Lasciò la feritoia e corse in un angolo dove aveva visto un brano di carta. Lo pulì accuratamente, si morse un dito facendo uscire alcune goccie di sangue e con una scheggia strappata al palo scrisse rapidamente e come lo permettevano le tenebre, le seguenti righe:


Sono stato tradito e rinchiuso nella prigione di Negapatnan.

Soccorretemi prontamente o tutto è perduto.

Tremal-Naik


Arrotolò la cartolina, tornò alla feritoia, la legò con una cordicella al collo della tigre.

- Corri, Darma, ritorna dai thugs, - le disse: - Il tuo padrone corre un gran pericolo.

La fiera scosse la testa e partì colla rapidità di una freccia.

- Va’, - diceva l’indiano, seguendola cogli occhi.- Essi comprenderanno quale pericolo io corro e verranno a salvarmi o mi daranno almeno un mezzo qualsiasi per evadere.

Passò una lunga ora. Tremal-Naik aggrappato convulsivarnente alle sbarre, attendeva ansiosamente il ritorno, in preda a mille timori.

D’un tratto nel fondo della pianura scorse la tigre che s’avvicinava con balzi giganteschi.

- Se la scoprissero? mormorò, tremando.

Fortunatamente Darma poté giungere fino alla feritoia senza essere stata scoperta dalle sentinelle. Al collo portava un grosso involto che Tremal-Naik, con gran pena, riuscì a far passare tra le sbarre.

L’aperse. Conteneva una lettera, una rivoltella, un pugnale, delle munizioni, un laccio e due mazzolini di fiori accuratamente rinchiusi in due vasi di cristallo.

- Cosa significano questi fiori? - si domandò, sorpreso.

Aprì la lettera, la espose ad un raggio di luna che penetrava per la feritoia e lesse:


Siamo circondati da alcune compagnie di sipai, ma uno dei nostri segue Darma.

Grandi pericoli ci minacciano e la tua evasione è necessaria.

Unisco alle armi due mazzi di fiori. I bianchi addormentano, i rossi combattono l’efficacia dei bianchi.

Addormenta le sentinelle e tieni ben appresso i rossi. Una volta libero, espugna l’abitazione e tronca la testa del capitano. Nagor segnalerà la sua presenza col noto fischio e ti presterà man forte. Affrettati.

Kougli


Forse qualche altro si sarebbe spaventato nel leggere quella lettera, ma non così Tremal-Naik. In quel momento supremo si sentiva tanto forte da espugnare la casa anche senza l’aiuto di Nagor.

- L’amore mi darà la forza e il coraggio per operare il miracolo, - aveva detto egli.

Nascose le armi e le munizioni sotto un mucchio di terra e tornò alla feritoia.

- Vattene, Darma, - le disse. - Tu corri un gran pericolo.

La tigre s’allontanò, ma non aveva fatto venti passi che s’udì una delle sentinelle gridare:

- La tigre!... La tigre!...

Vi tenne dietro un colpo di fucile.

Un’altra detonazione rimbombò, ma la brava bestia aveva raddoppiata corsa e in breve tempo fu fuori di vista.

S’udì un rumore di passi precipitati ed alcuni uomini s’arrestarono dinanzi alla feritoia.

- Ehi! - esclamò una voce che Tremal-Naik riconobbe per quella di Bhârata. - Dov’è la tigre?

- È scappata, - rispose la sentinella che stava nella veranda.

- Dov’era?

- Presso la feritoia.

- Scommetterei cento rupie contro una, che è un’amica di Saranguy.

Presto, due uomini nella cantina o il briccone ci sfugge.

Tremal-Naik aveva udito tutto. Prese i due vasi, li spezzò, gettò i fiori bianchi nell’angolo più oscuro, nascose i rossi in seno e si sdraiò addosso al palo, accomodandosi attorno al corpo le corde e stringendole meglio che poté.

Era tempo! Due sipai armati e muniti d’una torcia resinosa entrarono.

- Ah! - esclamò uno. - Ci sei ancora, Saranguy?

- Chiudi il becco che io voglio dormire, - disse Tremal-Naik fingendosi di cattivo umore.

- Puoi dormire, mio caro, e con tutta tranquillità poiché noi veglieremo.

Tremal-Naik alzò le spalle, s’appoggiò al palo e chiuse gli occhi. I due sipai, piantata la fiaccola in una spaccatura della parete, si sedettero per terra colle carabine fra le ginocchia.

Erano trascorsi appena pochi minuti quando Tremal-Naik avvertì un acuto profumo che davagli alla testa, malgrado i fiori rossi che tramandavano un profumo non meno acuto e affatto speciale.

Guardò i due sipai: sbadigliavano in modo tale da temere che si slogassero le mascelle.

- Provi nulla tu? - chiese il soldato più giovane, dopo qualche tempo.

- Sì, - rispose il compagno. - Mi pare d’essere...

- Ubbriaco, vuoi dire.

- Proprio così, e mi sento prendere da una voglia irresistibile di chiudere gli occhi.

- Da cosa provenga ciò?

- Non lo saprei.

- Che ci sia qualche manzanillo presso di noi?

- Non ne ho veduto nel parco.

La conversazione cadde lì. Tremal-Naik, che stava attento, li vide chiudere a poco a poco gli occhi, riaprirli tre o quattro volte, poi richiuderli. Lottarono ancora per qualche minuto, poi caddero pesantemente a terra, russando sonoramente.

Era il momento d’agire. Tremal-Naik si strappò di dosso i legami e silenziosamente s’alzò.

- La libertà...! esclamò.

Andò a prendere le armi, legò solidamente i due addormentati e slanciossi verso la scala.