Le rime della Selva/Parte seconda/A una statua di San Giovanni Nepomuceno: differenze tra le versioni

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Versione delle 20:05, 18 apr 2011

[[Le rime della Selva/Parte seconda

|Parte seconda]] - A una statua di San Giovanni Nepomuceno ../Lo gnomo ../Domanda e risposta IncludiIntestazione 19 giugno 2009 75% raccolte di poesie

Parte seconda - Lo gnomo Parte seconda - Domanda e risposta


 
Santo patrono e massajo,
  Sempre al medesimo posto?
  Sia che ne agghiacci il gennajo,
  Sia che ne avvampi l’agosto?

Sempre tra l’erta e la china?
  Sempre di costa alla strada,
  Ove più d’uno cammina
  Senza saper dove vada?

In rivederti mi sento
  Allargar l’anima. — Tu,
  Ah, tu non pieghi a ogni vento,
  Giusta l’usanza dei più.

Nè muti volto secondo
  Chi ti si para davanti:
  (Per un brav’uomo un po’ tondo,
  Almeno dieci furfanti);

Ma sovra un piccolo sasso,
  Come un estatico ammodo,
  Senza mai andare a spasso
  Te ne stai diritto e sodo.

Te ne stai lì con un’aria
  Di povertà soddisfatta,
  Di santità catafratta,
  E d’indulgenza plenaria.

Quanto t’ammiro e t’invidio,
  O caro santo dabbene,
  Mentre m’affoga il fastidio,
  E chi lo ha se lo tiene!

Quanto t’invidio e t’ammiro,
  Mentre il destin m’apparecchia
  Forse un novissimo tiro,
  Forse una trappola vecchia!

Tra le amorevoli braccia
  Tu ti stringi il crocifisso,
  E puoi ben ridere in faccia
  Ai diavoli dell’abisso;

Ma noi, mal seme d’Adamo,
  Se un diavolo ci molesta,
  Noi oramai non sappiamo
  Come più tenergli testa.

E ciò perchè con la fede
  È morta la carità;
  E chi non ama non crede:
  Ecco la gran verità.

Ah, perchè non fui un santo,
  Un bravo santo ancor io?
  O che ci vuole poi tanto
  Ad esser umile e pio?

A voler bene al fratello,
  A far con gioja il dovere,
  A non cercar nel bordello
  Il così detto piacere?

Non ci vuol quasi nïente
  Solo un po’ di pazïenza,
  E saper dire al serpente:
  "Non mi bisogna; fo senza.

Non mi bisogna il tuo pomo,
  Raggirator maledetto:
  Vogl’essere un galantomo,
  Un sant’omo, a tuo dispetto....

Ed anche di più d’un’Eva,
  Là, nei giardini d’Ausonia....
  Ah, credi forse ch’io beva
  Ogni lor dolce fandonia?

Ah, credi forse che basti
  Una gentil paroletta
  Contro i propositi casti
  D’un’anima benedetta?

Io del tuo pomo fo senza,
  Perchè ne conosco il germe,
  La radice, la semenza,
  E so che dentro c’è il verme.

Lucido e sano di fuori
  Putrido e scuro di dentro!...
  Il mondo che tu rinfiori
  Ha un grosso verme nel centro."

Far senza! Aver bene in testa
  Che tutto va alla rovina!
  È questa, bindoli, è questa
 La sola buona dottrina;

La verità sempre nuova
 Che dalle cose si spreme;
 La sapïenza che giova
 Al corpo e all’anima insieme.

Ogni altro salmo e vangelo
 È cantafavola amara,
 Che promettendovi il cielo,
 L’inferno sol vi prepara.

Se fossi un santo, a quest’ora
 Forse l’imagine mia
 Sarebbe venuta fuora
 In cromolitografia.

Avrei di mistico lume
 Suffusa la fronte e il ciglio,
 Nell’una mano un volume,
 Nell’altra mano un bel giglio;

E rassomiglierei molto,
 Nella serafica e vaga
 Espressïone del volto,
 A San Luigi Gonzaga.

La tenera penitente,
 Con amoroso rispetto,
 Per ben avermi presente
 M’appenderebbe sul letto;

E in gonnellino, la sera,
 Mi direbbe sospirando:
 "O caro santo, che fiera
 Lotta! a voi mi raccomando!"

Ed io lascerei dall’alto
 Cader sovr’essa un’occhiata
 Così benigna e beata
 Da intenerire uno smalto.

Mah!... Ora è tardi. La cima
 Non si conquista d’un tratto.
 Dovevo pensarci prima.
 Ora quel ch’è fatto è fatto.

E quel ch’è fatto è tal groppo
 Che nemmen Dio può disfarlo,
 Mentre il ricordo è, pur troppo,
 L’indistruttibile tarlo;

Il tarlo che sempre rode,
  Il tarlo che non dà pace,
  Sin tanto che fra due prode
  Un pover uomo non giace.

Posso pentirmi, se voglio;
  Ma quanto a diventar santo,
  Sarebbe peccar d’orgoglio
  Il mai presumere tanto.

Del resto.... Non sono, è vero,
  Un santo; ma, soprattutto,
  Non sono adesso, e non ero
  Nemmen prima, un farabutto.

Le mie le ho fatte, sicuro;
  E non le ho punto scordate;
  Ma se le ho fatte, vi giuro
  Che le ho anche pagate.

E pagate a caro prezzo,
  Con poche e piccole more;
  Pagate pezzo per pezzo,
  E troppo più del valore.

Sicchè di dir non mi périto
  Che tale qual pajo e sono,
  Al chiuder dei conti merito,
  Se non iscusa, perdono.

O caro santo, mi strazia
  Questo rancor chiuso e muto:
  O non potresti, di grazia,
  Venirmi un poco in ajuto?

Son così stanco ed affranto,
  E pur da me mi divoro!
  O non potresti, buon santo,
  Darmi un pochin di ristoro?

Tu sei di pietra, lo so;
  Ma forse intendi ed ascolti
  Chi più del giusto pagò,
  Chi a te pregando si volti.

Forse è più molle e clemente
  La pietra che non il core
  Dell’animale che mente
  L’imagine del Signore.

Ah, lasciam ire quel forse:
  So che tu fai tante grazie!...
  Per poco che sian soccorse,
  Le voglie mie saran sazie.

Io non ti chiedo già nulla
  Di quanto appare e dispare:
  Oro, incenso.... erba trastulla!
  Che ne dovrei dunque fare?

Io non ti chiedo le glorie,
  Nè le delizie del mondo:
  Per le vesciche e le scorie
  Nutro un disprezzo profondo.

Io, se nel dir non eccedo,
  Se d’ascoltarmi ti piace,
  Io solamente ti chiedo
  Di farmi finire in pace.

In pace! È questa la cosa
  Migliore! poi, senza chiasso,
  Scombiccherare in un sasso:
  Tizio alla fine riposa.