Le rime della Selva/Parte seconda/Il mio romitaggio: differenze tra le versioni

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[[Le rime della Selva/Parte seconda

|Parte seconda]] - Il mio romitaggio ../Arpa eolia ../Consiglio IncludiIntestazione 19 giugno 2009 75% raccolte di poesie

Parte seconda - Arpa eolia Parte seconda - Consiglio


 
Su questo monte selvaggio,
 Vicino a questa sorgente,
 Vorrei, da buon penitente,
 Avere il mio romitaggio.

Oh, poca cosa! una coppia
 Di camerette piccine,
 Un uscio e due finestrine,
 Sotto un tettuccio di stoppia.

Accanto, un po’ d’orticello,
 Pien di legumi e di fiori,
 Fiori di tutti i colori,
 Con qualche verde arboscello.

Ancora, su un davanzale,
 All’aria, al sole, un modesto
 Vaso, o vogliam dire un testo,
 Di maggiorana nostrale.

Ancora, in luogo di musa,
 Un micio peso e poltrone,
 Da carezzargli il groppone
 E fargli fare le fusa.

E basta. Che c’è bisogno
 D’altro? Io, quando mi vedo
 In mezzo a troppo corredo,
 Io, che ho da dir? mi vergogno.

Mi sembra d’essere allora,
 Non il padrone, ma il servo,
 E m’avvilisco e mi snervo
 Dove più d’un si ristora.

Starei quassù tutto l’anno,
 Come un asceta giocondo
 Ch’abbia detto addio al mondo
 E a quei che dentro vi stanno.

Come un Padre del Deserto,
 Che appaja sereno in volto,
 Dopo aver vissuto molto,
 Dopo aver molto sofferto.

Questi uccelletti folletti
 Mi sveglierebber col canto,
 E io, da povero santo,
 Benedirei gli uccelletti.

L’acqua berrei della fonte;
 Piluccherei con piacere
 Le bacche rosse, le nere,
 E andrei a spasso pel monte.

Andrei moltissimo a spasso,
 Lavorerei poco o nulla,
 Essendochè dalla culla
 Alla tomba è un breve passo.

E se un ricordo importuno
 Mi succhiellasse il cervello,
 Ne lo trarrei via bel bello,
 Come si fa con un pruno.

E se un malvagio appetito
 Venisse a pungermi in letto,
 Lo schiaccerei con un dito,
 Come si schiaccia un insetto.

Non aprirei mai un libro;
 E metterei da una banda
 Ogni pensiero e dimanda
 Di troppo grosso calibro;

Sapendo il male che fece,
 Ab antico, alle brigate
 La troppa scïenza. Invece,
 Starei le mezze giornate

Ad ascoltare il susurro
 Del vecchio bosco, a guardare
 L’erbe, i fiori, l’acque chiare,
 Le nuvole, il cielo azzurro. —

Bipede di polpe e d’ossa
 (Assai più ossa che polpe),
 Commisi anch’io le mie colpe,
 E alcuna forse un po’ grossa.

Ma non perciò mi sgomento:
 A tutto ci si rimedia:
 E se un rimorso t’assedia,
 Basta tu dica: Mi pento!

Eh sì, mi pento e prometto
 Di non cascarci mai più,
 E d’esser anzi perfetto
 (O quasi) in ogni virtù.

Ogni mia mala azïone
 Confesserei a me stesso;
 Poi, col mio bravo permesso,
 Mi darei l’assoluzione.

Chè uomo ben confessato,
 E debitamente assolto,
 Gli è come, per non dir molto,
 Se non avesse peccato.

Sarebbe la mia preghiera,
 Non latina, ma toscana,
 Senz’arzigogoli, piana,
 E soprattutto sincera,

Uscendo da un core sazio,
 Non chiederebbe nïente;
 Anzi direbbe umilmente:
 Signore Iddio, vi ringrazio.

Sì, vi ringrazio, e vi prego
 D’usarmi un po’ d’indulgenza,
 Quando alla vostra presenza
 Verrò, finito l’impiego.

L’impiego (povere spalle!
 Con quel peso andare attorno!)
 L’impiego di perdigiorno
 In hac lachrimarum valle.

Verrebbe al mio uscio un cane,
 Oppure il buon poverello,
 E io gli direi: Fratello,
 Eccoti un pezzo di pane.

Verrebbe un corvo alla mia
 Finestrina, avido e torvo;
 E io gli direi: Tu, corvo,
 Sei nero e brutto: va via!

Capiterebbe il demonio
 In forma di bella donna,
 Con rialzata la gonna,
 A offrirmisi in matrimonio.

E io gli direi: Mio caro,
 Trova chi n’abbia ancor voglia:
 Io.... ho mangiato la foglia: —
 E sai che il tempo è denaro.