Novella dello sternuto: differenze tra le versioni

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<section begin="Edizione" />''"L’asino d’oro"'' di Lucio Apuleio<br/>Volgarizzato da Agnolo Firenzuola<br/>con l’aggiunta della novella dello sternuto<br/>tradotta da Matteo Boiardo<br/>Nuova edizione adorna di antiche incisioni<br/>Milano, G. Daelli e Comp. Editori<br/>1863<section end="Edizione" />
<section begin="Fonte" />Sito internet [http://books.google.com/books?id=u1BBAAAAMAAJ&printsec=frontcover&lr=&hl=it#PPA265,M1 Google Books]<section end="Fonte" />
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| Eventuale secondo anno di pubblicazione =
| Lingua originale del testo =latino
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| Nome e cognome del traduttore =Matteo Maria Boiardo
| Nome e cognome del traduttore =Matteo Maria Boiardo

Versione delle 21:30, 18 apr 2011

latino

Apuleio II secolo N XV secolo Matteo Maria Boiardo letteratura letteratura Novella dello sternuto Intestazione


....Andava tutta via dietro cianciando la vecchierella, quando quella nostra buona femmina interrompe dicendo: Oh beata lei che di tale amante avventurosa si ritrova, ma questo mio sciagurato, che quasi teme di esser veduto da quello asino rognoso! rispose la vecchia, noi potremo molto ben goderci quel bel giovinetto ancor noi, ed io mi ti proferisco condurlo questa sera, e già mi voglio ponere all’opera. Così dicendo di casa si parte quella buona femmina apparecchia la cena per onorare il nuovo forestiero, che per ventura il suo marito quella sera cenava di fuori. Il sole si nasconde e toglie la luce alla terra, e quando a tutti gli altri è tolto il vedere, a me viene levata la fascia dagli occhi, nè per altra cosa tanto di ciò mi allegrava, quanto per ispiare le scelleratezze di colei. Ed eccoti la vecchierella torna e seco l’aspettato adultero, pur ora di fanciullezza uscito, ed atto così ad essere egli dagli amanti sollecitato, come a sollecitare esso la moglie d’altrui. Con molti baci, ed infinite carezze fu ricevuto, e cominciando a cenare, nel primo, o nel secondo boccone il marito ritorna non aspettato in tal tempo. La moglie crudelmente bestemmiatolo fa prestamente nascondere l’apparecchiata cena, e con maravigliosa dissimulazione del male che fatto avea, li si fa incontro dicendo: O come avete ben da lupi inghiottita quella cena; anzi no l’abbiamo noi gustata, dice il marito, che il mal fuoco tutte le arda queste gaglioffe meretrici, che quasi son stato in pericolo di perdere quanto ho al mondo senza mia colpa. La moglie disiosa, come tutte sono le femmine, di sapere ogni cosa, lo stimola a narrare tutta la novella, e esso che i fatti della sua casa non sapeva biasimando gli altrui così comincia. La moglie del mio compagno, la quale, come tu sai, ha sempre portata buona fama, ed è riputata di somma onestade, questa sera si avea raccolto uno adultero in casa, ed a punto quando andavamo a eena essi insieme giunti si sollazzavano. Ma sentendoci lei venire pose quel giovane in una grande gabbia da polli tessuta di vimini, e sopra quella per ricoprirlo, distende pannilini col zolfo imbianchiti, mostrando averli in tal luogo posti per asciugarli. Così avendolo al suo parere cautamente nascosto, si pone con noi a cena, con fronte sicura. Fra questo mezzo il giovane dal grave odore del zolfo assalito, non potendo fiatare, stava in molta pena. E la natura di quello vivace metallo lo mosse a sternutare. Era costui vicino alle spalle della donna collocato, e però nel primo sternuto essa sotto la mensa appiattandosi mostrò che da lei ciò procede. Il marito con le usate parole le augurò salute, ma seguendo il secondo e il terzo subitamente, non potè lei ben simulare. Onde gittata per terra la mensa, il marito scopre quella gabbia, e tranne fuora un uomo, che a gran fatica potea più fiatare. Egli infiammato dall’ira, e dallo sdegno torna per un coltello, e certamente lo avrebbe ucciso se io, che per me temea esser giudicato da magistrati consapevole di quella morte, non l’avessi vietato. Anzi lo confortai a portarselo di casa, perchè ad ogni modo senza altro male per sè stesso morrebbe. E così io, e lui lo ponemmo nella strada, la moglie fuggì ancor lei in questo romore, e io mi tornai a casa per non stare in quello incendio. Dicendo il pistore queste parole la sua moglie, a cui le cose mal fatte biasimava, incominciando al marito, che geloso era , e però delle ben fatte si provedea, cominciò allora la moglie presuntuosa, e maldicente appellare colei perfida, disonesta, e universale vergogna di tutto il sesso femminile: la quale gittatosi dopo le spalle l’onor suo, la casa del marito avea fatto un bordello, e che perduto il nome della maritale dignità, quello d’una meretrice acquisto si avea. E certamente dicea si vorrebbono queste tali ardere vive. Ha tuttavia punta dalla sua maculata coscienza per potere il suo amante trarre più presto di pena, al marito suadeva, che se ne andasse a dormire. Esso che cenato non avea, negava poter dormire mai senza cena, e dicendo lei non essere assueta a cuocere alcuna cosa non vi essendo lui, li pone innanzi noci, e pome, non recando niente della cena destinata ad altrui. Ma io che la precedente ribalderia, e la presente constanza di questa maledetta femmina vedea, mi dolea infino al cuore, ch’io non potessi a qualche modo questa fraude scoprire, e mostrare colui che come testuggine era nascosto sotto uno alveo di legno, nel quale si soleano i fermenti purgare. Ora la celeste previdenza mi dette aiuto, imperocché un vecchio zoppo a cui la guardia nostra era commessa, tutti noi giumenti in quell’ora conducea ad un prossimo lago a beverarsi. La qual cosa mi dette aiuto alla desiderata vendetta. Imperò ch’io avea scorto colui con una delle mani tenere l’alveo da un lato sospeso, o per fiatare, o per altra cagione, e per questo tenea di fuora le dite della sinistra mano. Onde io passando lì appresso gli messi sopra il piede, e calcandolo fortemente il costrinsi a gridare. Così per dolore gittando via l’alveo molto manifestamente si scoperse. Non si commosse il pistore per la vergogna che la moglie fatto li avea, anzi con buon volto raccolse quel fanciullo pallido e pauroso. Ed accarezzandolo il prende per mano e dice; non avere tema ch’io non sono barbaro, nè villano, ch’io voglia uccidere un giovinetto tanto bello, nè per la legge degli adulteri ti voglio accusare, e poner in pericolo della vita. Ma io ti avviso che per ragione, e per giustizia ho parte in tutte le cose di mia moglie, e da ora voglio partire, ed in tal forma che ciascun di noi tre rimanga contento. Io sempre con mia moglie son stato in buona concordia, e m’avvedo per questo anco, che quelle cose, che a lei piacciono, a me piacciono ancora. E chiamata la moglie benchè brontolando pure fece venire da cena, e postosi nel letto fecero l’uno dell’altro grandissima vendetta. La dimane fe’ trarre di casa lo adultero battuto, come si battono i fanciulli, e dicendogli: tu di tenera età ancora, e di tal bellezza privi gli amanti tuoi di queste notti, consumandoti con queste sporche meretrici. Partito costui di casa, caccia ancor il pistore fuora la moglie.

FINE