Commemorazione del commendatore Domenico Promis/III: differenze tra le versioni

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III

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Alle sin qui menzionate voglionsi aggiungere le tre dissertazioni, che il Promis, aggregato nel 1838 all’Accademia delle scienze di Torino, lesse nelle tornate ed inserì nelle memorie della medesima: sulle monete ossidionali del Piemonte; sulla zecca di Scio durante il dominio de’ Genovesi; sulle monete della Repubblica di Siena. Nella prima, toccate di volo le cause e le vicende degli assedi, fa conoscere le monete, che si coniavano nella città di Nizza l’anno 1543; di Vercelli nel 1617 e 1638; di Casale nel 1628 e 1630; di Cuneo nel 1641; d’Alessandria nel 1746; quando strette d’assedio ricorsero allo spediente di batter moneta per pagare e vettovagliare le truppe, e così sopperire al difetto del numerario legale.

Nella seconda, premesso, che i lavori dei dotti, tra i quali quello specialmente del Saulcy, la numismatigue des Croisades non estendonsi, che alle monete de’ crociati francesi, e rimangono ancora intatte quelle coniate in Oriente dai Latini in seguito alla prima crociata, egli avvisò d’illustrare la zecca in Scio1, che reputa italiana perchè esercitata prima dalle famiglie genovesi dei Zaccaria e dei Giustiniani, e poi da una Società di signori mercatanti liguri sotto il titolo di Maona. Oltre la storica descrizione di cinquantacinque monete effigiate in quattro tavole coll’impronta e colla leggenda, col ragguaglio del peso e valore, che avevano, narra le vicende dell’isola già posseduta dai Veneziani, dai Paleologi, infine dai Genovesi, sotto i quali crebbe sino a centomila abitanti, e poi decadde come le altre dell’Arcipelago dominate dai Turchi. Come la Storia della Colonia dei Genovesi in Galata del Sauli, così questa elucubrazione numismatica del Promis, non può non ispirare ad anime italiane vivissimi affetti per lo spettacolo, che porgono genti italiane, le quali trovano angusti i confini posti dai mari e dai monti e occupano delle arti, dei commerci, delle prodezze e potenza loro tanta parte di mondo2.

Nella terza, sulle monete di Siena, esplora ed esamina le specie di esse, i grossi e gli spiccioli, i giuli d’argento, i ducati d’oro; le parpagliuole e baielle; la circolazione delle medesime; la diversità dei pezzi originata dalla poca attitudine dei loro intagliatori; l’oscillazione del loro valore, le alterazioni, le variazioni delle zecche, il riscontro del tempo delle loro battiture, il genere dei conii, la forma delle [p. 8 modifica]lettere, gli errori e le inesattezze de’ nummografi italiani. Conchiude con mostrare il rapporto, che hanno colle moderne, le monete battute in Siena dal principio del secolo XVI sino a’ giorni nostri. In fine del volume pone otto tavole, dove sono figurate 102 monete ed una contenente i segni de’ zecchieri.

Ma non meno della numismatica riesce importante la parte storica. Gli assedi e le alleanze, le dissensioni e i tumulti interni, ond’era la città agitata; l’uscita e il ritorno degli Spagnuoli; gli aiuti invano mandati di Francia col Montluc e Pietro Strozzi; la resa, la perdita della libertà, tutto rapidamente accenna. E noi, al leggere, che di quella simpatica città 252 famiglie nobili, 435 popolane guidate da Mario Bandini, capitano del popolo, lasciano il luogo natio e sono costrette a riparare in Montalcino, e là continuare alla meglio la zecca, rammentammo la sorte infelice dei Parganiotti, caduti preda di nefando mercato. Oh quanto le donne Senesi, che consunte di viveri, ma non di costanza, lasciano dolorando la terra natale per trasferire nelle aure della libertà, i figliuoli, somigliano alle vedove di Parga, che scoperchiati gli avelli accolgono nel grembo le ossa dei perduti lor cari, e seco le portano per sottrarle allo scherno degli oppressori!

Non di minor momento si hanno a tenere le dissertazioncelle inserte nel Bullettino dell’Accademia. Tra esse una si riferisce alla medaglia, che rappresenta Beatrice Langosco, donna tra le belle bellissima, e per vivacità d’ingegno non inferiore al Gran Cancelliere suo padre. Un’altra versa sopra alcune monete scoperte nell’agro vercellese, e con queste conferma l’opinione di coloro, che appoggiati all’autorità di Plutarco sostengono, che i Cimbri furono sconfitti περι Βερκελλας, non presso Verona, come altri pretende.

Resta per ultimo la dissertazione intitolata: Monete dei romani Pontefici, uscita nel 1858 dai tipi della Stamperia reale.

Malgrado le molte raccolte, che delle monete pontificie fecero in vari tempi l’Acami, il Vettori, il Fontanini, il Cinagli, rimaneva ancora molto a scriversi sopra di esse. Giulio di S. Quintino, monetografo dottissimo, colla solita critica ed esattezza ne aveva già fatte disegnare un gran numero, e incidere sopra tavole di rame con intendimento di corredarle di un’illustrazione. Ma tolto, l’anno 1857, dalla morte agli amici ed alla scienza, lasciò interrotto il desiderato lavoro, e in mano degli eredi le tavole incise. Confortato dal S. Quintino a proseguire cosiffatta pubblicazione, il Promis vi si accinse e ne diede questa memoria.

Pochi monumenti numismatici offrono più grande interesse, che le monete dei Papi. Fece dunque il pregio dell’opera il Promis, e perchè manda viva luce sulla storia di cinquanta Pontefici, e perchè contribuisce a conferma l’opinione di Alessandro Manzoni, del che questi con gentilissima lettera lo ringraziò, di Carlo Troia e d’altri, che lodano i Romani d’avere si lungamente e con isforzi inauditi resistito ai Longobardi, contro il parere di chi crede, che proseguendo essi la loro dominazione, e connaturatisi col tempo agl’italiani, avrebbero più presto procacciato l’unità ed indipendenza della Nazione.


Note

  1. Bell’isola dell’Arcipelago a S. di Metellino, a N.O. di Samos, bellamente dipinta da Brofferio nelle Scene Elleniche, tom. I, pag. 123.
  2. Ciò avverte Tommasèo in uno stupendo articolo sull’opera del Sauli, inserto nel secondo volume degli studi filosofici. Venezia 1840.