Compendio del trattato teorico e pratico sopra la coltivazione della vite/Parte II/III: differenze tra le versioni

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Parte II - Capitolo III

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Parte II - II Parte II - IV

[p. 35 modifica] [p. 36 modifica]frutto, i di qui varj prodotti offrono sì grandi vantaggi, che non dobbiamo fare per cercare ogni mezzo di migliorarne la qualità?

Dietro la loro grandezza e disposizione, le altre ( che si distinguevano altre volte col nome di viti arbuste ) si dividono in alte della prima, della seconda, e terza specie.

La prima specie è quella, in cui la vite trovandosi unita ad alberi più o meno elevati, forma allora quello, che il celebre Rozier chiamava vite di alto fusto, il vino della quale non eguaglia mai in bontà quelli di usa vigna bassa.

Le alte della seconda specie differiscono nou solamente per la natura degli appoggi, ma ancora per la loro altezza. Queste sono pertiche, che si uniscono, e alle quali si lega la vite. Questo metodo, sebbene possa essere preferibile al primo, è troppo dispendioso, perchè debbasi rigettarlo.

Nelle alte della terza specie, il ceppo à da tre a quattro piedi e mezzo, e si attacca a una pertica di sei piedi di altezza.

Nelle costiere esposte a gran venti si riuniscono dei pali in forma di treppiedi, si legano fortemente alla sommità, e gli si attaccano i sarmenti. Questo è il genere di coltivazione impiegata nelle celebri vigne di Côte-rôtie, e di Condrieu.

Le viti si distinguono ancora in viti medie, e basse. Si trovano comunemente le prime in Dauphiné, Guascogne, Poitou, e nel dipartimento della Charente. Per sottrarle all’impetuosità de’ venti, sulle rive dell’Oceano, nell’Aunis, si tagliano tanto basse, che non le si lascia che qualche pollice di altezza. [p. 37 modifica]Le viti basse sono quelle, che si trovano più comunemente dopo le frontiere della Bourgogne, in mezzo della Touraine, sino ai dipartimenti più settentrionali. Gli steli ànno in tutte quelle contrade da sei a sette pollici, sino a tre piedi di altezza; sono attaccate a pali piantati verticalmente, od appoggiate e legate sopra pertiche disposte in modo con piccoli paletti da formare una spezie di griglia poco elevata.

Si rimonterebbe difficilmente alle cause, che ànno determinato questi differenti metodi, che si devono attribuire piuttosto agli usi ricevuti in quelle contrade, che a una pratica ragionata sulla coltivazione della vite. Nei terreni troppo fecondi, si avrà creduto, può essere, rimediare alla troppo grande quantità de’ succhi nutritivi, che poteva somministrare alla vite, attaccandola ad alberi; volendo evitare questo eccesso, si è caduto in un altro. La grandissima superficie, che allora occupa la vite, le permette assorbire colle sue trachee molto più umido, che riunendosi al succo, non può più essere cacciato colla traspirazione. Da là proviene il vino troppo acquoso, di cattiva qualità, e poca durata. Bisogna ben persuadersi, che mai dalle vigne alte non si otterranno vini così buoni come dalle vigne basse, dove i raggi del sole, riflessi dal suolo, agiscono sull’uva elaborandone il mucoso, ed operando una perfetta maturità. Si potrà obbiettare, può essere, che con questo metodo di tenere le vigne basse, la vite è esposta a maggiori accidenti; ed è presa più presto dal gelo, i cui effetti sono tanto cattivi: ma che fare contro questo flagello, che non si può evitare? E’ molto meglio incontrate dei [p. 38 modifica]rischj, che negligere (volendo diminuirne pochi) di procurarsi un vino di eccellente qualità.

Dietro la temperatura, che abbiamo in Francia, tre sorte di viti possono convenire al nostro clima. La vite media, i, per i dipartimenti meridionali, non lasciandole che quattro piedi e mezzo, o cinque al più.

La vite bassa conviene ai dipartimenti del centro, dove non à, in molte vigne, e non deve avere in tutta questa plaga, che tre piedi.

La vite nana è riservata per i dipartimenti settentrionali.

Se dal primo anno della vostra piantagione, i talli vi ànno dato, dai due occhi che avete lasciati sortire da terra, buoni e forti getti, aspettate a tagliarli allorché il legno sia maturo: che se non lo fosse aspettate un secondo anno.

Per ben riuscire a tagliarli, sappiate prima qual è lo scopo, che vi proponete in questa operazione. Il vostro oggetto è di economizzare il succo per impiegarlo interamente a nutrire il principale ramo, ch’è la vostra sola speranza, d’impedire lo sviluppo di una gran quantità di sarmenti, e di foglie, che aumentando l’estensione del ceppo, moltiplicherebbero facoltà assorbente, ed impedirebbero la concentrazione del succo nello stelo, che deve dare belli e buoni frutti.

« Nel primo taglio, levate interamente il getto più alto dei due occhi, e tagliate il secondo sopra del primo occhio. Al secondo anno, se la vite è destinata a fare una vigna média, tagliate sopra tre sarmenti, levate tutto affatto gli altri ceppi del tronco. Per la vite bassa non [p. 39 modifica]lasciate che due tronchi o ritagli: basta uno solo per la vite nana, il quale devesi formare sul sarmento più basso. In ogni caso, non si lasci su ciaschedun tronco che l’occhio più vicino alla terra.

Al terzo taglio date una gemma di più ad ogni testa; la vigna media deve averne almeno tre, raramente più di quattro, anche giunta al più alto punto di elevazione. Due rami bastano alla vite bassa; dal solo tronco devono partire immediatamente i sarmenti da frutto, o i tronchi della vite nana, preferendo sempre i più bassi, in maniera però, che l’uva non tocchi la terra.

A quattro anni la vite ben piantata à già acquistato forza, comincia a dar frutti, si possono tagliare sopra due occhi i due o tre sarmenti più vigorosi.

Il quinto taglio richiede ancora qualche attenzione particolare. Tagliate sopra due occhi soltanto il legno più forte. Limitate a una sola gemma il prodotto del sarmento inferiore, e non lasciate in tutto niente più di cinque tronchi: la giovine pianta è alla fine divenuta vite fatta.»

Avvi però delle considerazioni, che possono nascere dalle circostanze locali, e particolari, e che devono guidare il vignajuolo coltivatore nell’applicazione di questi principj: ma ciò che deve considerare soprattutto, è l’età della vite, la distanza dai ceppi, la natura, e la specie dell’uva. La vite troppo carica infiacchisce presto: troppo spoglia non produce che legno.

«Una vecchia vite esige le stesse cure, le stesse [p. 40 modifica]attenzioni, come se fosse nella sua infanzia. Vuol essere tagliata corta, e spesso abbassata. Il bisogno di ringiovinirla dà un gran prezzo ai getti, sebbene sterili, che nascono verso il basso del tronco; non si può vegliare di troppo alla loro conservazione, poiché, come si è obbligati ad abbassarla, su quel solo prodotto riposa tutta la speranza di quel vignajuolo. Se una vite sia stata interamente maltrattata dal gelo, non potendo più contare sugli altri getti, tagliate sino sul tronco il vecchio, e nuovo legno.

Se dei vermi ànno attaccata, e rosa la radice, la vite avrà ingiallito, e sarà perita: non si può essere allora troppo attenti a tagliar corto.

Se nello stesso anno i geli di maggio e giugno ànno stancata, e distrutta la gemma, bisogna abbassare su quelli che sono rimasti sani, e l'anno seguente bisogna abbassare sul solo buon legno che à gettato dei sottocchi, o che à pullulato dal ceppo. Se all’incontro l’anno precedente la vite à colato, e che il succo non essendo stato impiegato a produrre frutti, abbia dei getti smisurati, non si rischia niente allungandola, e caricandola ampiamente, salvo il governarla al seguente taglio, se si trova un poco stanca.

Negli anni secchi la vite fa poco legno; allora tagliate corto, caricatela poco, se l’inverno è stato rigoroso. Se il legno e i getti in cima ànno in parte gelato, non vi affrettate a tagliare il legno gelato. Si può sperare ancora una raccolta dagli ultimi germogli.

La temperatura sendosi fatta più dolce, esaminate i legni; che ànno sofferto, e gli occhi [p. 41 modifica]morti. Ordinate i buoni, se doveste allungare anche più del solito, salvo ad abbassare l’anno seguente, ed a tagliare il legno che avrà gettato immediatamente dal ceppo.»

Quanto alla stagione favorevole al taglio, bisogna scegliere l’autunno, o la primavera. I partigiani di questi metodi portano ambidue troppo buone ragioni per non essere forzati conchiudere, che spetta al coltivatore vignajuolo modificarsi a seconda del suolo, della plaga, e della natura della pianta.

E’ osservazione estremamente importante, confermata da lunga esperienza, che se si taglia la vite prima che sia maturo il legno, è certo che perisce fra tre, quattro anni. Tagliandola troppo tardi, il succo già formato cola a pura perdita, ed impoverisce il ceppo maggiormente.

Devesi evitare di tagliare principalmente nei gran freddi.

Dev’essere attenzione del padrone, che le roncone de’ suoi operaj siano taglienti, affine d’impedire che il legno non si fenda.

Il taglio deve presentare la forma del becco di un flauto, ed essere alla distanza di un pollice dall’occhio più vicino, e dalla parte opposta.

Troppi esempj ànno provato i pericoli, che s’incontrano affilando le vigne, donde insorge la necessità al proprietario di richiamarsele. Il vignajuolo, il quale considera poco la qualità del suolo, cercherà averne una maggior quantità; taglierà a lungo, e snerverà, affaticherà talmente la vostra vite, che allo spirare dell’affittanza, sarete obbligato a farla cavare. [p. 42 modifica]Bernard de Palissy nel suo Trattato sull’agricoltura parla di una vite, da lui visitata, ch’era carica a morire.

«Fui qualche volta alle isole di Xaintonge, dove vidi una vite carica di frutti più delle altre, e ricercando la ragione, mi risposero ch’era carica a morire: allora, chiestane l’interpretazione, dissero che aveva più rami del solito, perchè si voleva cavarla dopo il raccolto, e che altrimenti non si sarebbe permesso, che si caricasse cotanto. Il che vale a dire lo stesso, che queste viti se si lasciassero fare ciò che vogliono, si amazzerebbero a forza dell’abbondanza de’ frutti, che produrrebbero.»

La natura dando alla vite dei pampinarj, pare indicarci il bisogno, che à questa pianta di essere sostenuta, e la necessità di levare i suoi rami carichi di grappoli, che altrimenti ramperebbero sulla terra. Questi diversi sostegni portano il nome di pali, di carniers, o di bronconi: questi sono ordinariamente pezzi di quercia di un pollice quadrato, lunghi tre piedi. Quindi si vogliono buoni, si fanno del cuore della quercia, o del castagno. Per conservarli lungamente, dovrebbesi aggiungere la precauzione d’incarbonire la parte inferiore ch’è tagliata in punta, e coprire di due mani di color comune con olio la parte superiore di questi pali, i quali così preparati durerebbero più di venti anni.

Tutte le operazioni praticate sulla vite ànno tra esse rapporti tanto marcati, che gli ultimi, secondo la maniera che sono fatti, ajutano, o nuocono essenzialmente al successo de’ primi.

Il vignajuolo, secondo la natura del suo terreno, [p. 43 modifica]e della sua pianta, può aver tagliato con molta attenzione, per procurarsi un succo abbondante; ma il suo dovere non è ancora adempiuto. Bisogna che sappia dirigere il succo in modo favorevole alle nuove mutazioni, che deve subire. Non segua mai l’esempio troppo sfortunatamente diffuso, di riunire gli stipiti in fasci perpendicolari, la cui cattiva direzione facilitando troppo il trasporto del succo, non permette che subisca nella parte inferiore l’elaborazione necessaria, e le cui sommità riunite in fascio ànno l’inconveniente di privare i grappoli della luce del sole, e portare quella funesta ombra, che origina sovente l’umido, e il gelo; ma che siano posti e legati sui pali orizzontalmente. I sarmenti con questa posizione difficolteranno la circolazione del succo, che simile alla rugiada, penetrando allora con lentore in tutte le parti della pianta, le farà sentire per tutto gli effetti della sua felice influenza. Malgrado i vantaggi che procura la palizzata nei paesi, ov’è generalmente adottata, come nella Provence, Languedoc, Guienne, Auxerrois, sarebbe nocivo palizzare in tutte le direzioni, particolarmente nelle plaghe all’Est, o al Sud-est. Quelle viti, che si presentano di faccia ai primi raggi del sole avrebbero sempre da temere gli effetti distruttori sopra i giovani getti. La plaga del mezzogiorno non offre gli stessi pericoli, e si può presentare le pergole direttamente senza timore: tutte disposte parallele fra esse, riceveranno insieme l’emanazioni di quell’astro benefattore. I coltivatori, che ànno l’abitudine di palizzare, obbietteranno, può darsi, che questo metodo, sebbene buonissimo, è troppo costoso per essere [p. 44 modifica]impiegato per tutto: ma se prestano attenzione al mezzogiorno, dove il legno è carissimo, troveranno che i vignajuoli ànno riconosciuto il vantaggio delle palizzate in modo, che le fanno veramente in maniera dispendiosa, dando troppa altezza ai loro pali, i quali ridotti alla metà ne farebbero due per ciascheduno, e quegli stessi coltivatori si decideranno senza pena a seguire un così buon esempio. In oltre, in cambio di mettere dei pali ad ogni stipite, si può collocarne uno soltanto fra due, alla distanza di tre, quattro piedi, e riunirli in alto e in basso con piccole pertiche di buon legno di quercia di sei, otto piedi di lunghezza; e per impedire che si marciscano, o siano rotti nella parte più bassa (operazione essenzialissima per premunire la vite contro il gelo) si carbonizza la parte inferiore del palo, e si ricopre la superiore, egualmente che l’estremità delle pertiche di due buoni strati di pittura comune con olio. Così resisteranno più di venti anni ad ogni intemperie.

Quanto alle viti nane, come quelle delle campagne, e de’ paesi settentrionali, non possono essere palizzate. Ma mettendo un palo tra due stipiti, si possono attaccare ad esso, dandogli una forma mezzo-circolare, favorevolissima all’azione del succo.

Avvi di quelle costiere un poco aride, dove si potrà dispensarsi anche dal mettere pali, in vista alla forza dello stipite, e alla di lui poca altezza. L’uva non sarà giammai esposta a giacere sulla superficie della terra.

Cominciano a venire i buoni giorni? Sono già per il vignajuolo l’aurora di sua speranza, e della dolce ricompensa a tante pene, e tanti travagli. [p. 45 modifica]Ma quali pericoli non vi sono ancora a temere per quel germoglio si delicato, che la più piccola imprudenza può alterare, che tante cause meteoriche possono distruggere!

Allora corre alla vite premurosamente, e la visita con premurosa attenzione: leva con un falcetto tagliente l’estremità di quei getti, di quei filacci, e falsi germogli, ai quali à dato origine il riflusso del succo.

Se lo sviluppo del succo è ben fatto, secondo i suoi desiderj, e le sue cure, la bellezza del frutto aumentando le sue speranze, sembra impegnarlo a raddoppiare il suo zelo. Ma essendo per finire l’estate, non deve scordarsi di tagliare colle forbici i larghi pampini ben nutriti, che privano l’uva di quei raggi ardenti, ch’elaborandone il succo, affrettano la formazione del mucoso zuccherino, e provocano l’epoca della maturità. Lo sfogliare è una delicatissima operazione, che non deve cominciare se non che allora quando l’uva à acquistato buona parte della grossezza, che deve avere. Se sfogliate troppo, l’uva secca ed imputridisce prima della maturità per la sovrabbondanza di acqua assorbita dalla pianta nell’autunno piovoso; e se il tempo è buono, ed asciutto, il grappolo si secca, e dovete anche temere l’intristire per l’anno avvenire.

Ricordatevi sopra tutto di tagliare i vostri germogli netti, in mezzo di un nodo, di non arrestare la vite prima del compito fiorire per il pericolo che essa intristisca.

Ecco sulla spampanazione, lo spampinamento, e il taglio della vite, nozioni che sebbene generali, non sono niente meno vere, e confermata dalla [p. 46 modifica]sperienza: possono paragonarsi a un buon istrumento, il quale posto tra le mani di un abile uomo, o tra quelle di un altro poco esercitato, produce differenti effetti. Tocca al coltivatore istrutto saperle modificare a proposito, secondo la natura della sua piantagione, la disposizione del suo terreno, dietro una quantità di circostanze locali, che può egli solo apprezzare, e non impiegarle che nei momenti favorevoli, che promettono sempre felici successi.


CAPITOLO IV.


Dei lavori; de gl'ingrassi, e della qualità del terreno.


L’utile dei lavori è sempre stato riconosciuto in tutte le vigne. Si è sentita da per tutto la necessità di distruggere quella folla di cattive erbe, le quali crescendo rapidamente affogano gli stipiti, e si arricchiscono a loro spese di una grandissima quantità di succhi nutritivi, che si appropriano, e che accrescono la loro vegetazione in maniera pericolosa, moltiplicando maggiormente i modi di nuocere. Come disporre la terra ad assorbire quell’umidità che l’è tanto preziosa? Qual altro modo di far arrivare sino alle radici i raggi pieni di calore, che penetrano la terra, e la riscaldano sì favorevolmente alle diverse operazioni delle vite? Ma se in ogni tempo fu apprezzata l’importanza dei lavori, bisogna credere, che siasi molto studiato a determinare il numero, a farli a proposito, e nella più conveniente stagione. L’ignoranza per ciò è stata sempre tale,