Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano/40

Da Wikisource.
CAPITOLO XL

../39 ../41 IncludiIntestazione 8 febbraio 2024 75% Da definire

39 41


[p. 255 modifica]

CAPITOLO XL.

Innalzamento di Giustino il Vecchio. Regno di Giustiniano. I. L'Imperatrice Teodora. II. Fazioni del Circo e sedizioni di Costantinopoli. III. Commercio e Manifatture di seta. IV. Finanze e Tributi. V. Edifizi di Giustiniano. Chiesa di S. Sofia. Fortificazione e Frontiere dell'Impero d'Oriente. Abolizione delle scuole d'Atene e del Consolato di Roma.

[A. 482-483] L’Imperator Giustiniano era nato1 presso le rovine di Sardica (ch’è la moderna Sofia) d’una oscura stirpe2 di Barbari3, che abitavano un inculto e [p. 256 modifica]desolato Paese, a cui si son dati successivamente i nomi di Dardania, di Dacia e di Bulgaria. Ne fu preparato l’innalzamento dal fortunato coraggio di Giustino suo zio, che insieme con due altri contadini del medesimo villaggio abbandonò, per seguire la professione delle armi, la più vantaggiosa occupazione degli agricoltori o de’ pastori4. A piedi, e con una scarsa provvision di biscotto nelle loro sacche, i tre giovani preser la strada di Costantinopoli, e furon tosto arruolati, per la loro forza e statura, fra le guardie dell’Imperator Leone. Sotto i seguenti due Regni acquistò il fortunato villano ricchezze ed onori; e l’aver esso evitato alcuni pericoli, che minacciaron la vita, venne in seguito attribuito all’Angelo Custode, che veglia sul destino de’ Re. Il lungo e lodevole suo servizio nelle guerre Isaurica e Persiana non avrebbe tolto all’oblivione il nome di Giustino; ma può giustificar gli avanzamenti militari, che a grado a grado nel corso di cinquant’anni egli ottenne, vale a dire i posti di Tribuno, di Console e di Generale, la dignità di Senatore, ed il comando delle guardie, che ad esso come a loro capo ubbidivano, allorchè seguì l’importante crisi della remozione [p. 257 modifica]imperatore Anastasio dal Mondo. Furono esclusi dal trono i potenti di lui congiunti, ch’egli aveva innalzato ed arricchito; e l’Eunuco Amanzio, che regnava nel Palazzo, aveva segretamente risoluto di porre il diadema sul capo del più ossequioso fra le sue creature.  [A. 518-527] Ma Giustino perfidamente adoprò questi gravi argomenti a favor di se stesso; e siccome non ardì presentarsi alcun competitore, fu vestito della porpora il contadino della Dacia, per l’unanime consenso dei soldati, che lo riconobbero valoroso e moderato; del Clero e del Popolo, che lo credeva ortodosso; e dei Provinciali, che cederono con una cieca ed implicita sommissione al volere della Capitale. Giustino il Vecchio, così nominato per distinguerlo da un altro Imperatore della medesima Famiglia e dell’istesso nome, salì sul trono di Bisanzio all’età di sessant’otto anni; e se si fosse lasciato operare a suo talento, ad ogni istante d’un Regno di nove anni, avrebbe dovuto manifestare a’ suoi sudditi l’improprietà della loro elezione. La sua ignoranza era simile a quella di Teodorico, ed è osservabile, che in un secolo non affatto privo di cognizioni, due Monarchi contemporanei non avevano mai appreso neppur l’alfabeto. Ma il genio di Giustino era molto inferiore a quello del Re Goto: l’esperienza di soldato non l’aveva renduto capace del governo d’un Impero; e quantunque fosse personalmente valoroso, la coscienza della propria debolezza veniva naturalmente accompagnata da dubbi, diffidenze e timori politici. Gli affari però ministeriali dello Stato erano diligentemente e fedelmente [p. 258 modifica]trattati dal Questore Proclo5; ed il vecchio Imperatore adottò i talenti e l’ambizione di Giustiniano suo nipote, giovane intraprendente, che lo Zio avea tratto dalla rustica solitudine della Dacia, ed allevato in Costantinopoli, com’erede de’ privati suoi beni, e finalmente anche dell’Impero Orientale.

[A. 520-527] Defraudato che fu l’Eunuco Amanzio del suo danaro, fu necessario privarlo anche della vita. Facilmente ciò si eseguì mediante l’accusa d’una vera o finta cospirazione, e, come per un’aggiunta di delitto, i Giudici furono informati, ch’egli era segretamente addetto all’eresia Manichea6. Amanzio fu decapitato, tre de’ suoi compagni, ch’erano i primi domestici del Palazzo, furon puniti con la morte, o coll’esilio; e l’infelice lor candidato per la porpora, fu cacciato in una profonda carcere, oppresso di pietre, ed ignominiosamente gettato senza sepoltura nel mare. Di maggior difficoltà e pericolo fu la rovina di Vitaliano. Questo Capitano Goto erasi fatto popolare mediante la guerra civile, ch’esso arditamente sostenne contro Anastasio per la difesa della Fede Ortodossa, e dopo aver concluso un vantaggioso trattato, ei tuttavia si trovava nelle vicinanze di Costantino[p. 259 modifica]poli alla testa d’una vittoriosa e formidabile armata di Barbari. Sulla fragile sicurezza de’ giuramenti, si lasciò indurre ad abbandonar quella vantaggiosa situazione, ed a fidare la sua persona alle mura d’una Città, di cui gli abitanti, specialmente quelli della fazione Azzurra, erano stati ad arte irritati contro di lui con la rimembranza fino delle sue pie ostilità. L’Imperatore ed il suo nipote l’abbracciarono come un fedele e degno campione della Chiesa e dello Stato; e graziosamente decorarono il loro favorito co’ titoli di Console e di Generale; ma nel settimo mese del suo Consolato, Vitaliano fu trucidato con diciassette ferite alla mensa reale7; e Giustiniano, che n’ereditò le spoglie, fu accusato come l’assassino di un fratello spirituale, a cui aveva di fresco impegnato la sua fede nella partecipazione de’ Misteri Cristiani8. Dopo la caduta del suo rivale fu questi promosso, senz’alcun merito di servizio militare, alla carica di Comandante Generale degli eserciti orientali, ch’ei doveva condurre in campo contro il pubblico nemico. Ma, cercando la fama, Giustiniano avrebbe potuto perdere il dominio che aveva sopra [p. 260 modifica]l’età e debolezza dello Zio; ed invece di procurarsi per mezzo de’ trofei, Sciti o Persiani, l’applauso dei suoi Nazionali9, il prudente guerriero ne sollecitava il favore nelle Chiese, nel Circo, e nel Senato di Costantinopoli. I Cattolici erano attaccati al nipote di Giustino, che in mezzo, all’eresie Nestoriana ed Eutichiana calcava l’angusto sentiero dell’inflessibile ed intollerante ortodossia10. Ne’ primi giorni del nuovo Regno ei preparò e rimunerò l’entusiasmo popolare contro la memoria del defunto Imperatore. Dopo uno scisma di 34 anni, riconciliò l’altiero ed irritato spirito del Pontefice romano, e fece spargere fra’ Latini una favorevole voce del pio suo rispetto per la Sede apostolica. Le Sedi Orientali riempite furono di Vescovi cattolici, addetti al suo partito; guadagnò con la sua liberalità il Clero ed i Monachi, e fu ammaestrato il Popolo a pregare pel futuro loro Sovrano, speranza e colonna della vera Religione. La magnificenza di Giustiniano si vide nella più splendida pompa de’ pubblici spettacoli, oggetto agli occhi della moltitudine non meno sacro ed importante, che il Simbolo di Nicea o di Calcedonia: la spesa del suo Consolato fu valutata dugento ottant’ottomila monete d’oro; comparirono sull’anfiteatro nell’istesso tempo [p. 261 modifica]venti Leoni e trenta Leopardi; e fu rilasciata come un dono straordinario ai Cocchieri vittoriosi del Circo una serie numerosa di Cavalli co’ ricchi lor fornimenti. Mentre cercava di piacere al Popolo di Costantinopoli, e riceveva i dispacci degli stranieri Monarchi, il nipote di Giustino con gran premura coltivava l’amicizia del Senato. Pareva, che questo venerabile nome desse diritto a’ suoi Membri di dichiarare il sentimento della Nazione, e di regolare la successione al trono Imperiale: il debole Anastasio aveva lasciato degenerare il vigore del Governo nella forma o sostanza d’un Aristocrazia; e gli Ufiziali della Milizia, che avevano ottenuto il posto di Senatori, erano seguitati dalle domestiche loro guardie; truppa di Veterani, le armi o le acclamazioni de’ quali potevano in un momento di tumulto disporre del diadema di Oriente. Si profusero i tesori dello Stato per comprare i voti de’ Senatori, e fu comunicato all’Imperatore l’unanime lor desiderio, che si compiacesse d’adottar Giustiniano per suo Collega. Ma questa domanda, che troppo chiaramente gli rammentava il suo prossimo fine, non piacque al sospettoso carattere di un vecchio Monarca, desideroso di ritener la potenza, ch’era incapace d’esercitare; e Giustino tenendo con ambe le mani la porpora, avvisò di preferire, giacchè stimavasi un’elezione sì vantaggiosa, qualche Candidato più vecchio. Nonostante questo rimprovero, il Senato volle decorar Giustiniano col reale epiteto di Nobilissimo; e ne fu ratificato il decreto dall’affetto, o dal timore dello Zio. Dopo qualche tempo il languore sì di mente che di corpo, a cui si ridusse per una incurabil ferita nella coscia, gli rendè indispensabile l’aiuto d’un Custode. Chiamò dunque il Pa[p. 262 modifica]triarca ed i Senatori; ed alla loro presenza pose il diadema solennemente sul capo del suo nipote, che fu condotto dal Palazzo al Circo, e salutato con alti e lieti applausi dal Popolo. La vita di Giustino si prolungò per circa quattro mesi, ma dal momento di questa ceremonia, ei fu considerato come morto quanto all’Impero, che riconobbe Giustiniano nel quarantesimo quinto anno della sua età per legittimo Sovrano d’Oriente11.

[A. 527-565] Giustiniano, dal suo innalzamento al trono fino alla morte, governò l’Impero romano per trent’otto anni, sette mesi, e tredici giorni. Gli avvenimenti del suo Regno, che eccitano la curiosa nostr’attenzione pel numero, e per la varietà ed importanza loro, sono diligentemente riferiti dal Segretario di Belisario, Retore che l’eloquenza promosse al grado di Senatore e di Prefetto di Costantinopoli. Procopio12, seguitando le vicende del coraggio o della servitù, del fa[p. 263 modifica]vere o della disgrazia, successivamente compose l’istoria, il panegirico, e la satira de’ suoi tempi. Gli otto libri delle guerre Persiana, Vandalica e Gotica13, che son continuati ne’ cinque libri d’Agatia, meritano d’essere da noi stimati, come una laboriosa e felice imitazione degli scrittori Attici, o almeno Asiatici dell’antica Grecia. I fatti, ch’ei narra, son tratti dalla propria personale esperienza, e dalla libera conversazione d’un soldato, d’un ministro, e d’un viaggiatore; il suo stile continuamente aspira, e spesse volte giunge al merito d’esser forte ed elegante; le sue riflessioni, specialmente ne’ discorsi, che troppo frequentemente v’inserisce, contengono un ricco fondo di cognizioni politiche; ed eccitato l’Istorico dalla generosa ambizione d’istruire e dilettar la posterità, sembra che sdegni i pregiudizi popolari e l’adulazione delle Corti. Gli scritti di Procopio14 erano [p. 264 modifica]letti ed applauditi da’ suoi contemporanei15; ma sebbene ei gli ponesse rispettosamente a’ piedi del trono, l’orgoglio di Giustiniano doveva esser punto dalle lodi d’un Eroe, che sempre ecclissa la gloria del suo inattivo Sovrano. L’intima sublime cognizione dell’indipendenza fu vinta dalle speranze e da’ timori della schiavitù; ed il Segretario di Belisario si procurò il perdono ed il premio ne’ sei libri degl’Imperiali Edifizi. Aveva egli scelto con accortezza un soggetto di apparente splendore, in cui potesse altamente celebrare il genio, la magnificenza e la pietà d’un Principe, che riguardato e come Conquistatore e come Legislatore, avea sorpassato le puerili virtù di Temistocle e di Ciro16. La mancanza d’incontro potè indurre l’adulatore ad una segreta vendetta; ed il [p. 265 modifica]primo barlume di favore potè di nuovo tentarlo a sospendere ed a sopprimere un libello17, nel quale il Ciro romano si trasforma in un odioso e dispregevol tiranno, e tanto l’Imperatore quanto la sua consorte Teodora vengono seriamente rappresentati come due demonj, che avevan presa la figura umana per la distruzione dell’uman genere18. Tal vile incostanza dee senza dubbio macchiar la riputazione di Procopio, e diminuirne il credito: pure dopo aver lasciato svaporare il veleno della sua malignità, il rimanente degli Aneddoti, ed anche i fatti più vergognosi, alcuni de’ quali sono leggiermente accennati nella sua pubblica Storia, si confermano dall’intrinseca loro evidenza, o dagli autentici documenti di quel tempo19. Con questi diversi materiali m’accingo adesso [p. 266 modifica]a descrivere il Regno di Giustiniano, che merita ben d’occupare un vasto spazio. Il presente Capitolo esporrà l’innalzamento ed il carattere di Teodora, le fazioni del Circo, e la pacifica amministrazione del Sovrano d’Oriente. Ne’ tre Capitoli seguenti riferirò le guerre di Giustiniano, che terminarono la conquista dell’Affrica e dell’Italia; e verrò seguitando le vittorie di Belisario e di Narsete, senza dissimulare la vanità de’ loro trionfi, o l’ostil valore degli Eroi Persiani e Gotici. Ed il seguito di questo volume (fino al cap. 47) conterrà la Giurisprudenza e Teologia dell’Imperatore; le controversie e le Sette, che tuttora dividono la Chiesa Orientale; e la riforma delle Leggi romane, che tuttavia son obbedite o rispettate dalle Nazioni della moderna Europa.

I. Il primo atto di Giustiniano, nell’esercizio della suprema Potestà, fu quello di dividerla con la donna ch’egli amava, con la famosa Teodora20, di cui non si può applaudire lo straordinario innalzamento come un trionfo di femminile virtù. Nel tempo che regnava Anastasio fu affidata la cura delle fiere, mantenute dalla fazion Verde in Costantinopoli, ad Acacio, nativo dell’isola di Cipro, che dal suo impiego ebbe il soprannome di Maestro degli Orsi. Quest’onorevole ufizio dopo la sua morte fu conferito ad un altro candidato, nonostante la diligenza della sua Vedova, [p. 267 modifica]che si era già provvista d’un marito, e d’un successore all’impiego del primo. Acacio aveva lasciato tre figlie, Comitone21, Teodora ed Anastasia, la maggiore delle quali non aveva allora più di sette anni. In occasione d’una solenne festa, queste abbandonate orfane furon mandate dall’afflitta e sdegnata lor madre in aria di supplichevoli in mezzo al teatro: la fazion Verde le ricevè con disprezzo, l’Azzurra con compassione; e questa differenza, che restò profondamente impressa nella mente di Teodora, influì lungo tempo dopo nell’amministrazion dell’Impero. Le tre sorelle, a misura che crebbero in età ed in bellezza, furono l’una dopo l’altra abbandonate a’ pubblici e privati piaceri del Popolo bizantino; e Teodora, dopo aver seguitato Comitone sul teatro in abito di schiava con uno sgabello in capo, fu lasciata finalmente far uso senz’alcuna dipendenza de’ propri talenti. Essa nè ballava, nè cantava, nè suonava il flauto; la sua perizia ristringevasi all’arte pantomimica; era eccellente nei caratteri buffi, ed ogni volta che la Comica gonfiava le guance, e con un tuono e gesto ridicolo si doleva degli schiaffi che l’erano dati, risuonava tutto il teatro di Costantinopoli di risa e di applausi. La beltà di Teodora22 fu l’oggetto de’ più lusinghevoli encomi, [p. 268 modifica]e la sorgente del più squisito diletto. Le fattezze di essa erano delicate e regolari; la carnagione, quantunque un poco pallida, era d’un color naturale; la vivacità de’ suoi occhi esprimeva in un istante ogni sensazione; i facili suoi movimenti mostravano le grazie d’una piccola ma elegante figura; e potè o l’amore, o l’adulazione vantare, che la pittura e la poesia non eran capaci di rappresentare l’impareggiabil’eccellenza della sua forma. Ma questa fu degradata dalla facilità, con cui s’espose all’occhio del pubblico, e si prostituì ai licenziosi desiderj. Le venali sue grazie furono abbandonate ad una promiscua folla di cittadini e di stranieri d’ogni ceto e d’ogni professione: il fortunato amante, a cui era stata promessa una notte di godimenti, fu spesse volte cacciato fuori del suo letto da un più forte o più ricco favorito; e quando essa passava per le strade, se n’evitava l’incontro da tutti quelli, che bramavano di fuggir lo scandalo, o la tentazione. Il satirico Istorico non arrossì23 di descrivere le nude scene, che Teodora non si vergognò di rappresentare nel teatro24. Dopo aver esau[p. 269 modifica]le arti del piacer sensuale25, con la massima ingratitudine si doleva della parsimonia della Natura26; ma bisogna velare nell’oscurità d’una lingua dotta i lamenti, i piaceri e gli artifizi di essa. Dopo d’essere stata per qualche tempo il principale oggetto del piacere e del disprezzo della Capitale, condiscese ad andar via con Ecebolo, nativo di Tiro che aveva ottenuto il Governo della Pentapoli affricana. Ma quest’unione fu fragile e passeggiera; Ecebolo scacciò ben presto una dispendiosa ed infedel concubina; si ridusse essa in Alessandria ad un’estrema miseria; e nel laborioso di lei ritorno a Costantinopoli, ogni Città dell’Oriente ammirò e godè la bella Cipriotta, il cui merito pareva che provasse la sua discendenza dall’Isola particolare di Venere. Il moltiplice commercio di Teodora e le sue detestabili precauzioni la preservarono dal pericolo, ch’essa temeva; ciò non ostante una volta, ed una volta sola, divenne madre. Il fanciullo fu trasportato ed educato in Arabia da suo padre, che, giunto a morte, gli fece sapere, che egli era figlio di un’Imperatrice. Pieno di ambiziose speranze, il Giovine subito corse senz’alcun sospetto al Palazzo di Costantinopoli, e fu ammesso alla pre[p. 270 modifica]senza di sua madre. Siccome però ei non fu mai più veduto, neppure dopo la morte di Teodora, le viene meritamente imputato d’aver estinto con la vita di lui un segreto così offensivo per l’imperial sua virtù.

Nel più abbietto stato di fortuna e di riputazione, in cui si trovava Teodora, una certa visione, mentre essa o dormiva o farneticava, le aveva annunziata la piacevole sicurezza di esser destinata a divenire sposa di un potente Monarca. Consapevole della sua vicina grandezza, dalla Paflagonia tornò a Costantinopoli: assunse, da brava attrice, un carattere più decente; supplì alla sua povertà mediante la lodevole industria di filar la lana; ed affettò una vita casta e solitaria in una piccola casa, ch’essa convertì in magnifico Tempio27. La sua bellezza, assistita dall’arte o dal caso, tosto attrasse, vinse e fissò il Patrizio Giustiniano, che già regnava con assoluto dominio sotto il nome del suo Zio. Essa procurò forse d’innalzare il valore d’un dono, che aveva tante volte prodigalizzato a’ più vili dell’uman genere; forse infiammò a principio con modeste dilazioni, e finalmente con sensuali attrattive, i desiderj d’un amante, che per natura o per devozione s’era assuefatto a lunghe vigilie, e ad una parca dieta. Passati i suoi primi trasporti, essa conservò l’istesso ascendente sopra il suo spirito, mediante il merito più solido del giudizio e dell’intelligenza. Giustiniano si compiacque di [p. 271 modifica]nobilitare ed arricchire l’oggetto del suo amore: si profondevano al piè di lei i tesori dell’Oriente; ed il nipote di Giustino si determinò, forse per scrupolo di coscienza, a dare alla sua concubina il sacro e legittimo carattere di moglie. Ma le Leggi di Roma espressamente proibivano il matrimonio di un Senatore con qualunque donna, che fosse disonorata da servile origine o da professione teatrale. L’Imperatrice Lupicina o Eufemia, donna barbara e di rozzi costumi, ma d’irreprensibil virtù, ricusò d’accettar per nipote una prostituta: ed anche Vigilanza, superstiziosa madre di Giustiniano, quantunque conoscesse il talento e la beltà di Teodora, era nella più seria apprensione, che la leggierezza e l’arroganza di quell’artificiosa druda corrompesse la pietà e la felicità dei suo figlio. L’inflessibil costanza di Giustiniano però tolse di mezzo tutti questi ostacoli. Egli aspettò pazientemente la morte dell’Imperatrice; non curò le lacrime di sua madre, che presto cadde sotto il peso della sua afflizione; e fu promulgata in nome dell’Imperator Giustino una legge, che aboliva la rigida Giurisprudenza dell’antichità. Si aprì (secondo quest’Editto) la strada ad un glorioso pentimento per quelle infelici che avevan prostituito le loro persone sul teatro, e venne loro permesso di contrarre una legittima unione co’ più illustri de’ Romani28. A questa indulgenza tosto succe[p. 272 modifica]derono le nozze solenni di Giustiniano e di Teodora; crebbe a grado a grado la dignità di questa insieme con quella del suo amante; ed appena Giustino ebbe investito il nipote della porpora, il Patriarca di Costantinopoli pose il diadema sul capo dell’Imperatore e dell’Imperatrice d’Oriente. Ma i soliti onori, che la severità de’ costumi romani aveva accordato alle mogli de’ Principi, non potevano soddisfare nè l’ambizione di Teodora, nè la tenerezza di Giustiniano. Ei la collocò sul trono, come un’eguale ed indipendente Collega nella sovranità dell’Impero, e s’impose a’ Governatori delle Province un giuramento di fedeltà in nome di Giustiniano insieme e di Teodora29. Cadeva il Mondo Orientale prostrato avanti al genio ed alla fortuna della figlia d’Acacio. Quella prostituta, che in presenza d’innumerabili spettatori aveva macchiato il teatro di Costantinopoli, adoravasi come Regina nella stessa Città da’ gravi Magistrati, da’ Vescovi Ortodossi, da’ Generali vittoriosi, e da’ soggiogati Monarchi30. [p. 273 modifica]

Quelli che credono, che la mancanza di castità faccia totalmente depravare lo spirito delle donne, prestarono volentieri orecchio a tutte le invettive della privata invidia, o del risentimento popolare, che ha dissimulato le virtù di Teodora, ne ha esagerato i vizi, ed ha rigorosamente condannato le venali o volontarie colpe della giovine meretrice. Per causa o di vergogna o di disprezzo, ella spesso evitava il servile omaggio della moltitudine, fuggiva l’odiosa luce della Capitale, e passava la maggior parte dell’anno ne’ Palazzi e Giardini, piacevolmente situati sulle coste marittime della Propontide e del Bosforo. Il privato suo tempo era consacrato alla prudente non meno che grata cura della sua bellezza; al lusso del bagno e della tavola, ed al lungo sonno della sera e della mattina. I segreti suoi appartamenti erano occupati dalle donne e dagli eunuchi, che essa favoriva e secondava nelle loro passioni e interessi, a spese della giustizia; i più illustri personaggi poi dello Stato restavano in folla in un’oscura e soffocante anticamera, e quando alla fine, dopo un tedioso indugio, venivano ammessi a baciare i piedi a Teodora, trovavano in quella, secondo che le suggeriva l’umore, o la tacita arroganza d’un’Imperatrice o la capricciosa leggierezza d’una commediante. La sua rapace avarizia nell’accumulare immensi tesori, potrebbe scusarsi dall’apprensione della morte di suo marito, che poteva non lasciare alternativa fra la rovina ed il trono; ed il timore ugualmente che l’ambizione poterono esacerbare Teodora contro due Generali, che nel tempo d’una malattia dell’Imperatore avevano imprudentemente dichiarato, ch’essi non eran disposti ad acquietarsi alla scelta della Capitale. Ma la taccia di crudeltà, così ripugnante [p. 274 modifica]anche ai suoi vizi più molli, ha impresso un’indelebile macchia sulla memoria di Teodora. Le numerose, di lei spie osservavano e riferivan con diligenza qualunque azione, parola o sguardo ingiurioso alla reale loro poltrona. Chiunque veniva da esse accusato, era posto nelle particolari di lei prigioni31 inaccessibili alle ricerche della giustizia, e correva la fama, che vi si usassero i tormenti della fustigazione o delle verghe in presenza d’una tiranna insensibile alle voci delle preghiere o della compassione32. Alcune di queste infelici vittime perirono in profonde malsane prigioni, mentre ad altro si permetteva, dopo la perdita delle membra, della ragione, o delle facoltà loro, di comparire nel Mondo, come vivi monumenti della sua vendetta, che per ordinario estendevasi a’ figli di coloro, ch’essa aveva preso in sospetto o ingiuriato. Quel Senatore o Vescovo, di cui Teodora pronunziato aveva la morte o l’esilio, era consegnato ad un fedel suo messaggio, di cui ravvivavasi la diligenza con la minaccia pronunciata dalla sua bocca, che „se avesse mancato nell’esecuzione de’ suoi ordini, giurava per quello che vive in eterno, di farlo scorticare33.„

Se la fede di Teodora non fosse stata infetta d’eresia, l’esemplare sua devozione l’avrebbe potuta pur[p. 275 modifica]gare, nell’opinione dei suoi contemporanei, dai vizi d’orgoglio, di avarizia e di crudeltà. Se però essa influì a calmare l’intollerante furore dell’Imperatore, il presente secolo accorderà qualche merito, alla sua religione, e molta indulgenza agli speculativi suoi errori34. Fu inserito il nome di Teodora con uguale onore in tutte le pie e caritatevoli fondazioni di Giustiniano, e può attribuirsi la più benefica istituzione del suo Regno alla simpatia dell’Imperatrice verso le sue meno fortunate sorelle, ch’erano state sedotte o costrette ad abbracciar la prostituzione. Un Palazzo, che era sulla parte Asiatica del Bosforo, fu convertito in un comodo e spazioso Monastero, e fu assegnato un generoso mantenimento a cinquecento donne che si erano raccolte dalle strade e da’ postriboli di Costantinopoli. In questo sicuro e santo ritiro, venivano esse condannate ad una perpetua clausura, e la disperazione di alcune, che si gettarono in mare, si perdeva nella gratitudine delle penitenti, ch’erano state salvate dalla colpa e dalla miseria mediante la generosa loro benefattrice35. Giustiniano medesimo celebra la prudenza di Teodora; e le sue Leggi si attribuiscono ai savi consigli della sua rispettabilissima moglie, ch’egli dice d’aver ricevuto come un dono [p. 276 modifica]della divinità36. Si manifestò il suo coraggio in mezzo al tumulto del Popolo, ed a terrori della Corte. Una prova della sua castità, dopo che unissi a Giustiniano è il silenzio degl’implacabili di lei nemici; e quantunque la figlia di Acacio potesse esser sazia d’amore si dee non ostante far qualche applauso alla fermezza del suo spirito, che potè sacrificare il piacere e l’abitudine, al più forte sentimento del dovere o dell’interesse. I desiderj e le preghiere di Teodora non poterono mai ottenere la grazia di un figlio legittimo, e seppellì una bambina, unica prole del suo matrimonio37. Ciò non ostante il suo dominio fu durevole ed assoluto; si conservò essa, o coll’arte o col merito, l’affetto di Giustiniano; e le apparenti lor dissensioni riusciron sempre fatali a’ Cortigiani, che le credetter sincere. Se n’era forse indebolita la salute per la dissolutezza della gioventù; ma essa fu sempre delicata, e fu consigliata da’ Medici a far uso de’ Bagni caldi Pitj. Fu accompagnata l’Imperatrice in questo viaggio dal Prefetto del Pretorio, dal gran Tesoriere, da più Conti e Patrizi, e da uno splendido seguito di quattromila serventi: risarcite furono le pubbliche strade; si eresse un palazzo per riceverla; e nel passar che fece per la Bitinia distribuì generose limosine alle Chiese, a’ Monasteri ed agli Spedali, affinchè implorassero dal Cielo il ristabilimento della [p. 277 modifica]sua salute38. Finalmente l’anno ventesimo quarto del suo matrimonio e ventesimo secondo del suo Regno fu consumata da un cancro39; e ne fu pianta l’irreparabile perdita dal marito, che in luogo d’una teatral prostituta avrebbe potuto scegliere la più pura e la più nobil donzella d’Oriente40.

[A. 548] II. Possiamo osservare una differenza essenziale fra i giuochi dell’antichità: i più nobili presso i Greci erano attori, e presso i Romani semplici spettatori. Era lo stadio Olimpico aperto all’opulenza, al merito, ed all’ambizione; e se i Candidati erano in grado di contare sulla loro personal perizia ed attività, seguir potevano le traccie di Diomede e di Menelao, guidando i propri loro cavalli nella rapida corsa41. [p. 278 modifica]Si lasciavan partire nel medesimo istante dieci, venti, quaranta cocchi; una corona di foglie era il premio del vincitore, e se ne celebrava la fama, insieme con quella della sua famiglia, e della sua Patria in canzoni liriche, più durevoli de’ monumenti di bronzo e di marmo. Ma un Senatore, o anche un puro Cittadino consapevole della sua dignità, si sarebbe vergognato d’esporre la sua persona o i suoi cavalli nel Circo di Roma. Si rappresentavano i giuochi a spese della Repubblica, de’ Magistrati, o degl’Imperatori, e se ne abbandonavan le redini a mani servili; e se i profitti d’un favorito cocchiere talvolta superavano quelli d’un Avvocato, ciò dee riguardarsi come l’effetto di una popolare stravaganza, e come il più alto sforzo d’una ignobile professione. Il corso, nella sua prima origine, consisteva nella semplice contesa di due cocchi, i direttori de’ quali si distinguevano con livree bianche e rosse; in seguito vi furono aggiunti due altri colori, cioè il verde e l’azzurro: e siccome si replicavano le corse venticinque volte, così cento cocchi contribuivano in un giorno alla pompa del Circo. Ben presto le quattro fazioni furono stabilite legittimamente, e si trasse una misteriosa origine dei capricciosi loro colori dalle varie apparenze della Natura nelle quattro stagioni dell’anno, vale a dire dall’infuocato sirio dell’estate, dalle nevi dell’inverno, dalle cupe ombre dell’autunno, e dalla piacevol verzura della primavera42. Un altra interpretazione pre[p. 279 modifica]feriva gli elementi alle stagioni, e supponevasi, che la contesa del Verde e dell’Azzurro rappresentasse il conflitto della terra e del mare. Le respettive loro vittorie annunziavano o un’abbondante raccolta o una prospera navigazione, e la gara che quindi nasceva fra gli agricoltori ed i marinari, era un poco meno assurda che quel cieco ardore del Popolo Romano, che sacrificava le proprie vite e sostanze al colore, che ciascun avea scelto. I più savi Principi sdegnarono e tollerarono tal follìa; ma si videro scritti i nomi di Caligola, di Nerone, di Vitellio, di Vero, di Commodo, di Caracalla, e d’Elagabalo nelle fazioni Verde o Azzurra del Circo; essi ne frequentavano le stalle, applaudivano a quelli, che le favorivano, ne punivano gli antagonisti, e meritavano la stima della plebaglia, mediante la naturale o affettata imitazione de’ loro costumi. Continuarono le sanguinose e tumultuarie contese a disturbar le pubbliche feste fino all’ultima età degli spettatori di Roma; e Teodorico, per un motivo di giustizia o d’affezione, interpose la sua autorità per proteggere i Verdi contro la violenza d’un Console e Patrizio, ch’era fortemente appassionato per la fazione Azzurra del Circo43.

Costantinopoli adottò le follìe, non già le virtù [p. 280 modifica]dell’antica Roma, e le stesse fazioni, che avevano agitato il Circo, infierirono con maggior furore nell’Ippodromo. Sotto il Regno d’Anastasio fu infiammata questa popolar frenesia dallo zelo religioso, ed i Verdi, che avevano proditoriamente nascosto delle pietre e de’ coltelli in alcune paniere di frutti, uccisero in occasione d’una solenne festa tremila degli Azzurri loro avversari44. Dalla Capitale si sparse questa peste nelle Province e Città dell’Oriente, e la giocosa distinzione de’ due colori produsse due forti ed irreconciliabili partiti, che scossero i fondamenti d’un debol governo45. Le dissensioni popolari fondate sopra gl’interessi più serj ed i più santi pretesti, hanno appena potuto uguagliare l’ostinazione di una ludicra discordia, che attaccò la pace delle famiglie, divise fra loro gli amici e i fratelli, e tentò fino le donne, quantunque di rado si vedessero nel Circo, ad abbracciare le inclinazioni de’ loro amanti, o a contraddire i desiderj de’ loro mariti. Si calpestava ogni legge divina ed umana, e purchè prevalesse il partito, pareva, che i delusi di lui seguaci non curassero nè la privata nè la pubblica calamità. Si ravvivò in An[p. 281 modifica]tiochia ed a Costantinopoli la licenza senza la libertà della Democrazia, ed ogni candidato per conseguir gli onori civili o ecclesiastici avea bisogno d’esser sostenuto da una fazione. Ai Verdi imputossi un segreto affetto alla famiglia, o alla setta d’Anastasio; ma gli Azzurri erano fervidamente attaccati alla causa della Ortodossia e di Giustiniano46, ed il grato loro protettore sostenne per più di cinque anni i disordini di una fazione, i periodici tumulti della quale inondarono il Palazzo, il Senato, e le Capitali d’Oriente. Gli Azzurri, divenuti insolenti per il Real favore, affettavano d’incuter terrore mediante un abito particolare ed all’uso de’ Barbari, con i capelli lunghi, con le maniche strette, e con le ampie vesti degli Unni, con un passo orgoglioso, ed una voce sonora. Il giorno celavano essi i loro pugnali a due tagli, ma la notte arditamente si adunavano armati, e intraprendevano in numerose truppe, qualunque atto di violenza e di rapina. I loro avversari della fazion Verde, o anche i cittadini innocenti venivano spogliati, e spesso uccisi da questi notturni ladroni, ed era pericoloso il portar de’ bottoni o delle fibbie d’oro, o l’andare ad un’ora tarda per le strade di una pacifica Capitale. Eccitato quel fiero spirito dall’impunità giunse fino a violare la sicurezza delle case private; e s’adoperava il fuoco per facilitare l’attacco, o nascondere i delitti di questi faziosi. Non v’era luogo immune o salvo dalle loro depredazioni; per soddisfar la propria avarizia o [p. 282 modifica]vendetta profondevano il sangue degl’innocenti, erano contaminate le Chiese e gli altari da atroci omicidj, e solevan vantarsi quegli assassini, che avevano la destrezza di far sempre una ferita mortale ad ogni colpo delle loro armi. La dissoluta gioventù di Costantinopoli adottò l’azzura insegna del disordine; tacevan le leggi, ed erano rilassati i legami della Società: i creditori venivan costretti a consegnar le loro obbligazioni; i giudici a rivocare le loro sentenze; i padroni a manomettere i loro schiavi; i padri a supplire alle stravaganze de’ figli; le nobili matrone eran prostituite alla libidine dei loro servi; i bei garzoni erano strappati dalle braccia dei lor genitori, e le mogli, a meno che non preferissero una morte volontaria, venivano stuprate alla presenza de’ loro mariti47. La disperazione de’ Verdi, ch’erano perseguitati dai loro nemici, ed abbandonati da’ Magistrati, s’arrogò il diritto della difesa, e forse della rappresaglia; ma quelli, che sopravvivevano al combattimento, eran tratti al supplizio, e gl’infelici fuggitivi, rifuggendosi ne’ boschi e nelle caverne, infierivano senza misericordia contro la società, da cui erano stati cacciati. Que’ Ministri dei Tribunali, che avevano il coraggio di punire i delitti, e di non curar lo sdegno degli Azzurri, divenivano le vittime dell’indiscreto loro zelo: un Prefetto di Costantinopoli fuggì per asilo al santo Sepolcro, un Conte dell’Oriente fu ignominiosamente frustato, ed un Go[p. 283 modifica]vernatore di Cilicia fu per ordine di Teodora impiccato sulla tomba di due assassini, ch’esso avea condannati per l’omicidio del suo palafreniere, e per un temerario attacco della propria sua vita48.

Un candidato, che aspira a pervenire a’ posti più alti, può esser tentato a fabbricare sulla pubblica confusione la sua grandezza; ma è interesse non meno che dovere d’un Sovrano il mantenere l’autorità delle Leggi. Il primo Editto di Giustiniano, che fu spesso ripetuto, e qualche volta solo eseguito, annunziava la ferma sua risoluzione di sostener l’innocente, e di gastigare il colpevole di qualunque denominazione e colore si fossero. Pure la bilancia della giustizia era sempre inclinata in favore della fazione azzurra dalla segreta affezione, dall’abitudine, e da’ timori dell’Imperatore; la sua equità, dopo un apparente contrasto, sottomettevasi senza ripugnanza alle implacabili passioni di Teodora, e l’Imperatrice non dimenticò mai, nè perdonò le ingiurie della commediante. La proclamazione d’uguale e rigorosa giustizia fatta nell’avvenimento al trono di Giustino il Giovane indirettamente condannò la parzialità del precedente Governo: „O Azzurri, non v’è più Giustiniano! Verdi, egli è sempre vivo49„. [p. 284 modifica]

[A. 532] L’odio, che avevan fra loro le due fazioni, e la loro momentanea riconciliazione suscitò un tumulto, che ridusse quasi Costantinopoli in cenere. Giustiniano celebrò nel quinto anno del suo Regno la solennità degl’Idi di Gennaio: furono i giuochi continuamente disturbati dal clamoroso malcontento de’ Verdi; fino alla ventesima seconda corsa l’Imperatore mantenne la tacita sua gravità; ma cedendo finalmente all’impazienza condiscese a tenere in brusca maniera, e mediante la voce d’un banditore il dialogo più singolare50 che mai si facesse fra un Principe ed i suoi sudditi. Le prime querele furono rispettose e modeste; accusarono essi i subordinati Ministri d’oppressione, ed espressero i lor desiderj per la lunga vita, e la vittoria dell’Imperatore. „Abbiate pazienza, e state attenti, o insolenti maledici, esclamò Giustiniano;, tacete Giudei, Samaritani e Manichei„. I Verdi tuttavia cercavano di risvegliar la sua compassione con queste voci: „Noi siamo poveri, siamo innocenti, siamo ingiuriati, non osiamo di andar per le strade: si usa una general persecuzione contro il nostro nome e colore. Moriamo, o Imperatore, ma moriamo per ordine vostro, ed in vostro servizio„. La rinnovazione però di parziali ed appassionate invettive degradò a’ loro occhi la maestà della porpora; negarono essi l’omaggio ad un Principe, che ricusava di render giustizia al suo Popolo; si dolsero che fosse nato [p. 285 modifica]il Padre di Giustiniano, e ne infamarono il figlio coi nomi obbrobriosi di omicida, d’asino, e di spergiuro tiranno. „Non curate le vostre vite?„ gridò lo sdegnato Monarca: gli Azzurri s’alzarono con furore dai loro posti; risuonarono gli ostili loro clamori nell’Ippodromo: ed i loro avversari, abbandonando l’ineguale contesa, sparsero il terrore e la disperazione per le strade di Costantinopoli. In questo pericoloso momento eran condotti per la Città sette notorj assassini di ambedue le fazioni, ch’erano stati condannati dal Prefetto, e quindi trasportati al luogo dell’esecuzione nel subborgo di Pera. Quattro di questi furono immediatamente decapitati, e fu impiccato il quinto: ma nel tempo che gli altri due soggiacevano alla medesima pena, si ruppe la fune, essi caddero vivi sul suolo, il popolaccio applaudì alla loro liberazione, ed usciti dal vicino loro convento i Monachi di S. Conone gli portarono in una barchetta al santuario della loro Chiesa51. Siccome uno di questi rei era del partito degli Azzurri, e l’altro de’ Verdi, le due fazioni furono eccitate ugualmente dalla crudeltà del loro oppressore, o dall’ingratitudine del loro avvocato, e fu conclusa una breve tregua ad oggetto di liberare i prigionieri, e di soddisfare la propria vendetta. Fu ad un tratto bruciato il Palazzo del Prefetto, che si opponeva al sedizioso torrente, ne furono trucidati gli ufiziali e le guardie, si aprirono a forza le prigioni, e si restituì la libertà a quelli che non potevan farne uso, che per la pubblica distruzione. Un distaccamento militare, ch’era stato mandato [p. 286 modifica]in aiuto del Magistrato Civile, fu fieramente rispinto da una moltitudine armata, di cui continuamente cresceva il numero e l’arditezza; e gli Eruli, i più selvaggi tra’ Barbari al servizio dell’Impero, rovesciarono i sacerdoti e le loro reliquie, che per un motivo di religione imprudentemente s’erano interposti per separare il sanguinoso conflitto. S’accrebbe il tumulto per tal sacrilegio: il Popolo combatteva con entusiasmo nella causa di Dio; le donne facevan piovere da’ tetti e dalle finestre le pietre sopra i soldati, che scagliavano de’ tizzoni accesi contro le case; e le varie fiamme, che si erano accese per le mani dei Cittadini e degli stranieri, si diffusero senza contrasto su tutta la Città. L’incendio comprese la cattedrale di S. Sofia, i Bagni di Zeusippo, una parte del Palazzo, dal primo ingresso fino all’altare di Marte, ed il lungo Portico, dal Palazzo fino al Foro di Costantino; restò consumato un vasto Spedale insieme con gli ammalati, che v’erano; si distrussero molte Chiese, e sontuosi Edifizi, e si perdè o si fuse un’immensa quantità d’oro e d’argento. I savi e ricchi Cittadini fuggirono da tali spettacoli d’orrore e di miserie sul Bosforo dalla parte dell’Asia, e per cinque giorni Costantinopoli rimase in preda delle fazioni, e la parola Nika, cioè vinci, che usavan per distintivo, ha dato il nome a questa memorabile sedizione52. [p. 287 modifica]

Finattantochè furon divise le due fazioni, sembrava che tanto i trionfanti Azzurri, quanto i Verdi abbattuti riguardassero con la medesima indifferenza i disordini dello Stato. Ma in quest’occasione s’unirono a censurare la mal amministrazione della Giustizia e delle Finanze; i due Ministri, che n’erano responsabili, cioè l’artificioso Triboniano, ed il rapace Giovanni di Cappadocia, furono altamente accusati come gli autori della pubblica miseria. In tempo di pace non si sarebber curati i bisbigli del Popolo; ma quando la Città era in mezzo alle fiamme, si ascoltarono con rispetto, furono immediatamente deposti, sì il Questore, che il Prefetto, e furono a quelli sostituiti due Senatori d’irreprensibile integrità. Dopo questa popolar concessione, Giustiniano si portò all’Ippodromo a confessare i propri errori, e ad accettare il pentimento dei buoni suoi sudditi; ma questi non si fidarono delle sue proteste, sebbene pronunziate solennemente sopra i santi Vangeli; e l’Imperatore, sbigottito dalla lor diffidenza, precipitosamente si ritirò nella Fortezza del Palazzo. Allora imputossi l’ostinazione del tumulto ad una segreta ed ambiziosa cospirazione; e s’ebbe sospetto, che gl’insorgenti, specialmente i Verdi, fossero sostenuti con armi e danaro da due Patrizi Ipazio e Pompeo, i quali non potevano dimenticarsi con onore, nè ricordarsi con sicurezza di esser nipoti dell’Imperatore Anastasio. Capricciosamente ammessi alla confidenza del Monarca, quindi caduti in disgrazia, e dalla gelosa sua leggierezza ottenuto il perdono, si erano essi presentati come servi fedeli avanti al Trono; e per i cinque giorni del tumulto, ritenuti furono come ostaggi di grande importanza; ma finalmente prevalendo i timori di Giusti[p. 288 modifica]niano alla sua prudenza, egli risguardò i due fratelli come spie, e forse come assassini, e bruscamente comandò loro di partir dal Palazzo. Dopo una inutile rappresentanza, che l’ubbidire avrebbe potuto cagionare un involontario tradimento, si ritirarono alle loro case, e la mattina del sesto giorno Ipazio fu circondato e preso dal Popolo, che senza riguardo alla virtuosa di lui resistenza, ed alle lacrime della sua moglie, lo trasportò al Foro di Costantino, ed invece di diadema gli pose un ricco collare sul capo. Se l’usurpatore, che di poi allegò a suo favore il merito della sua resistenza, avesse seguitato il consiglio del Senato, ed eccitato il furor della moltitudine, il primo irresistibile sforzo di essa avrebbe oppresso o scacciato il suo tremante competitore. Il Palazzo di Costantinopoli aveva una libera comunicazione col mare; stavan pronti i vascelli agli scali de’ giardini; e si era già presa la segreta risoluzione di condurre l’Imperatore con la sua famiglia e tesori in un luogo sicuro a qualche distanza dalla Capitale. Giustiniano era perduto, se quella prostituta, che egli aveva tolto dal Teatro, non avesse rinunziato alla timidità, non meno che alle virtù del suo sesso. In mezzo ad un consiglio, dove trovavasi Belisario, la sola Teodora dimostrò il coraggio di un Eroe; ed ella sola senza paventare la futura sua odiosità, potè salvare l’Imperatore dall’imminente pericolo, e dagl’indegni di lui timori. „Quand’anche la fuga, disse la moglie di Giustiniano, fosse l’unico mezzo di salvarsi, pure io sdegnerei di fuggire. La morte è la condizione apposta alla nostra nascita; ma chi ha regnato non dovrebbe mai sopravvivere alla perdita della dignità, e del dominio. Io prego il Cielo, [p. 289 modifica]di non potere essere mai veduta, neppure un giorno, senza il diadema e la porpora; che io non possa più vedere la luce, quando cesserò d’essere salutata col nome di Regina. Se voi risolvete, o Cesare, di fuggire, avete de’ tesori; ecco qua il mare, avete delle navi; ma tremate, che il desiderio della vita non v’esponga ad un miserabile esilio, e ad una ignominiosa morte. Quanto a me, approvo quell’antica massima, che il trono è un glorioso sepolcro„. La fermezza d’una donna fece risorgere il coraggio di deliberare e d’agire, ed il coraggio ben presto scuopre i rimedi nella situazione anche più disperata. Quello di ravvivar l’animosità delle due fazioni fu un mezzo facile e decisivo; gli Azzurri restaron sorpresi della propria colpa e follìa nell’essersi lasciati indurre per un’ingiuria da nulla a cospirare con gl’implacabili loro nemici contro un grazioso e liberale benefattore; proclamarono essi di nuovo la maestà di Giustiniano, ed i Verdi restarono soli col loro novello Imperatore nell’Ippodromo. Era dubbiosa la fedeltà delle guardie; ma la militar forza di Giustiniano sostenevasi da tremila Veterani, che s’erano formati al valore, ed alla disciplina nelle guerre Persiane ed Illiriche. Sotto il comando di Belisario e di Mondo, marciarono questi con silenzio in due divisioni dal Palazzo; si fecero strada per oscuri e stretti sentieri a traverso di fiamme spiranti, e di cadenti edifizi, e spalancarono in un istesso tempo le due opposte porte dell’Ippodromo. In uno spazio sì angusto la moltitudine disordinata e sorpresa non fu capace di resistere ad un fermo e regolare attacco da due parti; gli Azzurri segnalarono il furore del loro pentimento; e si conta, che restassero uccise trentamila [p. 290 modifica]persone nella promiscua e crudele strage di quella giornata. Ipazio fu tratto giù dal suo trono, e condotto insieme col fratello Pompeo a’ piedi dell’Imperatore: implorarono essi la sua clemenza; ma la lor colpa ora manifesta, l’innocenza incerta; e Giustiniano s’era troppo spaventato per dare il perdono. La mattina seguente i due Nipoti d’Anastasio con diciotto illustri complici, di condizione Patrizia o Consolare, furono privatamente posti a morte da’ soldati; e ne furon gettati i corpi nel mare, distrutti i Palazzi, e confiscate le facoltà. L’Ippodromo stesso fu condannato per più anni ad un tristo silenzio: ma colla restaurazione de’ giuochi, risorsero gli stessi disordini; e le fazioni degli Azzurri e de’ Verdi continuarono ad affliggere il regno di Giustiniano, ed a turbar la tranquillità dell’Impero d Oriente53.

III. Quest’Impero, dopo che Roma fu divenuta barbara, conteneva tuttavia le Nazioni ch’essa avea conquistate di là dall’Adriatico fino alle frontiere dell’Etiopia e della Persia. Giustiniano regnava sopra sessantaquattro Province, e novecento trentacinque Città54; i suoi dominj erano favoriti dalla natura coi vantaggi del suolo, della situazione e del clima; e si erano continuamente sparsi lungo le coste del Medi[p. 291 modifica]terraneo, e le rive del Nilo i raffinamenti dell’arte umana dall’antica Troia fino a Tebe d’Egitto. Abramo55 aveva tratto sollievo dall’abbondanza ben nota dell’Egitto; il medesimo piccolo e popolato tratto di paese era tuttavia capace di somministrare ogni anno dugento sessantamila sacca di grano per uso di Costantinopoli56, e la Capitale di Giustiniano riceveva le manifatture di Sidone, quindici secoli dopo ch’eransi le medesime rese celebri per i Poemi d’Omero57. Le annue forze della vegetazione in vece di restar esauste da duemila raccolte, si rinnovavano ed invigorivano per mezzo della buona cultura, del ricco ingrasso e dell’opportuno riposo. Le razze degli animali domestici s’erano infinitamente moltiplicate. Le piantagioni, le fabbriche e gl’istrumenti di lavoro e di lusso, che son più durevoli che la vita umana, s’erano accumulate per le cure di più successive generazioni. La tradizione conservava, e l’esperienza [p. 292 modifica]semplicizzava l’umile pratica delle arti; la società si arricchiva mediante la divisione de’ lavori e la facilità del commercio; ed ogni Romano s’alloggiava, si vestiva, e sussisteva per l’industria di mille mani. Si è religiosamente attribuita agli Dei l’invenzione del filare e del tessere: in ogni tempo si sono abilmente lavorati molti prodotti animali e vegetabili, come crini, pelli, lana, lino, cotone ed alfine seta, per coprire o adornare il corpo umano; questi si tingevano con infusioni di durevoli colori, ed impiegavasi con successo il pennello a migliorare i lavori del tessitore. Nella scelta di que’ colori58, che imitano le bellezze della natura, li favoriva la libertà del gusto e della moda; ma la porpora carica59 che i Fenicj estraevano da una conchiglia marina, era riservata alla sacra Persona ed al Palazzo dell’Imperatore; ed erano stabilite le pene di ribellione contro quegli ambiziosi sudditi, che ardivano usurpare la prerogativa del trono60. [p. 293 modifica]

Non v’è bisogno di spiegare, che la seta61 in origine proviene dalle viscere di un baco, e che forma l’aurea tomba, da cui sorge fuori un verme in figura di farfalla. Fino al regno di Giustiniano i bachi da seta, che si nutriscono delle foglie del gelso bianco, erano confinati alla China; quelli del pino, della quercia e del frassino eran comuni nelle foreste sì dell’Asia che dell’Europa; ma siccome la loro educazione è più difficile, ed il prodotto più incerto, erano generalmente trascurati, fuori che nella piccola Isola di Ceos presso le coste dell’Attica. Si fece del loro tessuto un tenue velo e questa manifattura di Ceos, che fu inventata da una donna per proprio uso, fu ammirata per lungo tempo tanto in Oriente, quanto a Roma. Per quanto possano trarsi delle induzioni dagli ornamenti de’ Medi e degli Assiri, Virgilio è lo scrittore più antico che faccia espressamente menzione della soffice lana, che si traeva dagli alberi de’ Seri o Chinesi62; e quest’errore di Storia Naturale, meno [p. 294 modifica]maraviglioso anche del vero, si venne appoco appoco a correggere dalla cognizione di quel prezioso Insetto, ch’è il primo artefice del lusso delle Nazioni. Questo raro ed elegante lusso fu criticato al tempo di Tiberio da’ più gravi fra Romani, e Plinio con caricate, quantunque forti espressioni, ha condannato la sete del guadagno, che faceva esplorar gli ultimi confini della Terra per il pernicioso oggetto di esporre agli occhi di tutti le trasparenti matrone, e le vesti che denudavan le donne63. Un abito, che mostrava il contorno delle membra, ed il color della cute, potea soddisfare la vanità, o eccitare i desiderj; i drappi di seta che si tessevano fitti nella China, furono assai diradati dalle donne Fenicie, e si moltiplicarono i preziosi materiali mediante una tessitura più rara, e la mescolanza di fili di lino64. Dugento anni dopo il tempo di Plinio l’uso delle vesti di seta pura o anche mescolata era limitato al sesso femminile, [p. 295 modifica]finattantochè gli opulenti Cittadini di Roma e delle Province non si furono insensibilmente famigliarizzati coll’esempio d’Elagabalo, il primo che con quest’abito effemminato contaminasse la dignità d’un Imperatore e d’un uomo. Aureliano si doleva che si vendesse a Roma una libbra di seta per dodici oncie d’oro: ma ne crebbe l’abbondanza per causa delle richieste, e coll’abbondanza scemossene il prezzo. Se qualche volta l’accidente o il monopolio ne alzò il valore anche sopra quello indicato da Aureliano, in virtù delle medesime cause le manifatture di Tiro e di Berito furono altre volte costrette a contentarsi d’un nono di quell’eccessivo prezzo65. Fu creduta necessaria una Legge per distinguer l’abito de’ commedianti da quello de’ Senatori, e la massima parte della seta, che veniva dal natio suo Paese, si consumava da’ sudditi di Giustiniano. Meglio però conoscevano essi una conchiglia del Mediterraneo chiamata il baco da seta di mare: quella fina lana, o pelame, con cui la madre della perla s’attacca agli scogli, presentemente si lavora più per curiosità che per uso; ed una veste formata di questa singolare materia era il dono che l’Imperator Romano faceva a’ Satrapi dell’Armenia66.

Una mercanzia di valore e di piccol volume è ca[p. 296 modifica]pace di soffrir le spese del trasporto per terra; e le Caravane traversavano tutta la larghezza dell’Asia, dall’Oceano Chinese fino alle coste marittime della Siria, in dugento quaranta tre giorni. La seta si consegnava immediatamente a’ Romani dai Mercanti di Persia67, che frequentavan le fiere d’Armenia e di Nisibi; ma questo commercio, che negl’intervalli delle tregue veniva oppresso dalla gelosia e dall’avarizia, era totalmente interrotto dalle lunghe guerre di quelle rivali Monarchie. Il gran Re poteva orgogliosamente annoverar la Sogdiana, ed anche la Serica fra le Province del suo Impero, ma il suo vero dominio era limitato dall’Osso, e l’utile suo commercio con i Sogdoiti di là dal fiume dipendea dall’arbitrio de’ loro Conquistatori, cioè degli Unni bianchi, e de’ Turchi, che successivamente regnarono su quell’industriosa Nazione. Pure il più barbaro dominio non estirpò i semi dell’agricoltura e del commercio in un Paese, che si celebra come uno de’ quattro giardini dell’Asia; le Città di Samarcanda e di Bochara son situate vantaggiosamente per il cambiamento delle varie lor produzioni; ed i loro mercanti compravano da’ Chinesi68 la seta greggia o lavorata, che poi trasporta[p. 297 modifica]vano in Persia per uso dell’Impero Romano. Le Caravane Sogdiane venivano trattenute nella vana Capitale della China come supplichevoli Ambascerie di Regni tributari; e se tornavano salve, l’audace lor rischio aveva in premio un esorbitante guadagno. Ma il disastroso e pericoloso viaggio da Samarcanda fino alla prima Città di Shensi non si potea fare in meno di sessanta, ottanta, o cento giorni: tosto che avevan passato l’Iassarte, entravano nel deserto, e le Orde vaganti, lungi dall’esser tenute in freno dalle milizie e dalle guarnigioni, sempre consideravano i cittadini ed i viaggiatori come oggetti di legittima rapina. Per evitare i rapaci Tartari, ed i Tiranni Persiani, le Caravane della seta tentarono una strada più meridionale, traversaron le montagne del Tibet, scesero lungo la corrente del Gange o dell’Indo, e pazientemente aspettarono ne’ porti di Guzerat e di Malabar le annue flotte dell’Occidente69. Ma si trovarono meno intollerabili i pericoli del deserto che la fatica, la fame, e la perdita di tempo; raramente fu rinnovato quel tentativo, e l’unico Europeo, che sia passato per quella strada non frequentata, applaudisce alla sua [p. 298 modifica]diligenza per essere arrivato in nove mesi dopo la sua partenza da Pekino all’imboccatura dell’Indo. Era però aperto l’Oceano alla libera comunicazione del Genere Umano. Le Province della China, dal Gran Fiume fino al Tropico di Cancro, furono soggiogate e incivilite dagl’Imperatori settentrionali; furono riempite verso il principio dell’Era Cristiana di città e di uomini, di gelsi e de’ loro preziosi abitatori; e se i Chinesi, con la cognizione della bussola, avessero avuto il genio de’ Greci o de’ Fenicj, avrebbero potuto estendere le loro scoperte all’Emisfero meridionale. Io non sono in grado d’esaminare, e non son disposto a credere i distanti lor viaggi al Golfo Persico o al Capo di Buona Speranza: ma i loro casuali, ed Antichi poterono bene uguagliare i lavori, ed il successo della presente Generazione, ed estender la sfera della loro navigazione dalle Isole del Giappone fino allo Stretto di Malacca, le colonne, se ci è permesso d’usar questo nome, di un Ercole orientale70: senza perder di vista la terra, essi potevano navigare lungo le coste fino all’ultimo promontorio d’Achin, a cui vanno ogni anno dieci o dodici navi cariche di produzioni, di manifatture ed anche di artefici Chinesi; l’Isola di Sumatra e la Penisola opposta vengono leggiermente descritte71 come [p. 299 modifica]i paesi dell’oro e dell’argento; e le Città commercianti, nominate nella Geografia di Tolomeo, possono indicare che questa ricchezza non provenisse solo dalle miniere. La distanza in linea retta fra Sumatra e Ceylan è di circa trecento leghe; i navigatori Chinesi ed Indiani eran guidati dal volo degli uccelli, e da’ venti periodici, e si poteva traversare con sicurezza l’Oceano in navi quadrate, che in luogo di esser connesse col ferro, eran cucite insieme col forte filo dell’albero del cocco. Ceylan, Serendib, o Taprobana era divisa fra due Principi nemici uno de’ quali possedea le montagne, gli elefanti ed il luminoso carbonchio; e l’altro godeva le ricchezze più solide dell’industria domestica, del commercio estero, e dall’ampio porto Trinquemale, riceveva e rimandava le flotte dell’Oriente e dell’Occidente. In questa ospitale Isola, che era situata ad un egual distanza (come credevasi) dai rispettivi loro Paesi, i Mercanti di seta della China, che ne’ loro viaggi avevan caricato aloe, garofani, noci moscate e sandalo, mantenevano un libero e vantaggioso commercio con gli abitanti del Golfo Persico. I sudditi del gran Re esaltavano senz’alcun rivale il suo potere e la sua magnificenza; e quel Romano, che confuse la lor vanità, paragonando il miserabil suo conio con una medaglia d’oro dell’Imperatore [p. 300 modifica]Anastasio, era passato a Ceylan in una nave d’Etiopia, come semplice passeggiero72.

Quando la seta divenne d’un uso indispensabile, l’Imperator Giustiniano vide con rammarico, che i Persiani avevan occupato per terra e per mare il monopolio di quest’importante prodotto, e che la ricchezza dei propri sudditi esaurivasi di continuo da una Nazione di nemici e d’idolatri. Un Governo attivo avrebbe ristabilito il commercio di Egitto, e la navigazione del Mar Rosso, ch’era decaduta con la prosperità dell’Impero; ed avrebber potuto le navi Romane, ad oggetto di provvedersi di seta, approdare a’ porti di Ceylan, di Malacca, o anche della China. Giustiniano però s’apprese ad un espediente più basso, e sollecitò l’aiuto degli Etiopi d’Abissinia, Cristiani suoi alleati, che avevano di fresco acquistato l’arte della navigazione, lo spirito di commercio, ed il Porto d’Aduli73, tuttavia decorato dei trofei d’un conquistator Greco. Lungo le coste dell’Affrica essi penetravano fino all’Equatore in cerca dell’oro, degli smeraldi e degli aromati; ma questi saviamente evitarono una disugual competenza, in cui dovevano sempre esser prevenuti [p. 301 modifica]per la vicinanza de’ Persiani a’ mercati dell’Indie; e l’Imperatore soffrì quell’incomodo, finattantochè non furono soddisfatti i suoi desiderj da un avvenimento non aspettato. S’era predicato il Vangelo agl’Indiani; già un Vescovo governava i Cristiani di S. Tommaso sulla costa del pepe di Malabar; erasi piantata una Chiesa in Ceylan; ed i Missionari seguitavano le tracce del Commercio fino all’estremità dell’Asia74. Due Monaci Persiani avevan dimorato per lungo tempo nella China, probabilmente nella Real Città di Nankino, residenza d’un Monarca addetto alle superstizioni straniere, e che in quel tempo ricevè un’ambasceria dall’Isola di Ceylan. In mezzo alle pie loro occupazioni osservarono con occhio curioso l’abito commune de’ Chinesi, le manifatture di seta, ed i milioni di bachi, l’educazione de’ quali (o all’aria aperta sugli alberi o nelle case) una volta si considerava come opera propria delle Regine75. Tosto essi conobbero che non era possibile trasportare un insetto di sì corta vita, ma che nel seme poteva conservarsene una numerosa generazione e propagarsi in lontani Paesi. La religione o l’interesse potè più sopra i Monaci Persiani, che l’amore della loro patria: dopo un lungo [p. 302 modifica]viaggio arrivarono a Costantinopoli, comunicarono il loro progetto all’Imperatore, e furono generosamente incoraggiati da’ doni, e dalle promesse di Giustiniano. Gl’Istorici di questo Principe han creduto che una campagna al piè del monte Caucaso meritasse una più minuta relazione, che il lavoro di questi Missionari di commercio, i quali tornarono alla China, ingannarono quel Popolo geloso nascondendo il seme de’ bachi da seta in una canna vuota, e vennero di nuovo trionfanti con le spoglie dell’Oriente. Sotto la lor direzione, alla stagione opportuna, si fecero dal seme coll’artificial calore del letame nascere i bachi; furon questi nutriti con foglie di gelso; essi vissero e fecero il loro lavoro in un clima straniero; si conservò un sufficiente numero di farfalle per propagarne la specie; e si piantaron degli alberi, atti a somministrare il cibo alle future generazioni. L’esperienza, e la riflessione corressero gli errori d’una nuova intrapresa, e gli Ambasciatori Sogdoiti, nel Regno seguente, confessarono, che i Romani nell’educazion degl’insetti, e ne’ lavori di seta76 non erano inferiori a’ nativi Chinesi; nel che sì la China che Costantinopoli furono vinte dall’industria dell’Europa moderna. Io non nego i vantaggi del lusso elegante; ma rifletto con qualche pena, che se i trasportatori della seta avessero introdotto l’arte della stampa già in uso presso [p. 303 modifica]i Chinesi, si sarebbero, nelle edizioni del sesto secolo perpetuate le Commedie di Menandro e tutte le Deche di Livio. Una più estesa veduta del Globo avrebbe almeno aumentato i progressi della scienza speculativa; ma la Geografia Cristiana forzatamente si traeva dai testi della Scrittura, e lo studio della natura era il più sicuro sintomo d’uno spirito miscredente. La fede degli Ortodossi limitava il Mondo abitabile ad una zona temperata, e rappresentava la Terra come una superficie bislunga di quattrocento giorni di cammino in lunghezza e di dugento in larghezza, circondata dall’Oceano, e coperta dal solido cristallo del Firmamento77.

IV. I sudditi di Giustiniano erano malcontenti delle circostanze de’ tempi e del Governo. L’Europa era inondata da’ Barbari, e l’Asia da Monaci; la povertà dell’Occidente scoraggiava il commercio e le manifatture d’Oriente; si consumava il prodotto della fatica dagl’inutili Ministri della Chiese, dello Stato e [p. 304 modifica]dell’armata; e si ravvisava una rapida diminuzione in que’ fissi e circolanti capitali, che costituiscono la ricchezza delle Nazioni. Si era sollevata la pubblica miseria dall’economia d’Anastasio, e questo prudente Imperatore accumulò un tesoro immenso nel tempo che sgravò il suo Popolo dalle più odiose ed oppressive tasse. Si applaudì dall’universal gratitudine all’abolizione dell’oro d’afflizione, tributo personale posto sull’industria del povero78, ma più intollerabile, per quanto sembra, in apparenza che nella sostanza, giacchè la florida Città d’Edessa non pagava che cento quaranta libbre d’oro, che s’esigeva in quattro anni da diecimila artefici79. Tal era però la parsimonia che sosteneva questa liberale disposizione che in un regno di ventisette anni Anastasio risparmiò dall’annua sua rendita l’enorme somma di tredici milioni di lire sterline ossia di trecento ventimila libbre di oro80. Il nipote di Giustino trascurò il suo esempio [p. 305 modifica]e mal si servì del suo tesoro. In breve tempo s’esaurirono le ricchezze di Giustiniano dalle limosine e dalle fabbriche, dalle ambiziose guerre e dagl’ignominiosi Trattati. Le sue rendite non eran sufficienti a supplire alle spese. Adoperossi ogni arte per estorcer dal Popolo l’oro e l’argento, ch’egli con prodiga mano spargeva dalla Persia fino alla Francia81. Il suo Regno fu celebre per le vicende, o piuttosto per il contrasto della rapacità e dell’avarizia, della povertà e dello splendore; fu creduto mentre viveva, che avesse de’ tesori nascosti82, e ordinò al suo successore di pagare i suoi debiti83. Un carattere di questa sorta si è giustamente condannato dalla voce del Popolo e della posterità: ma il Pubblico malcontento è facilmente credulo; la malizia privata è audace; e chi ama la verità osserverà con occhio sempre sospettoso gli istruttivi aneddoti di Procopio. L’Istorico segreto non rappresenta che i vizi di Giustiniano, e questi sono anche resi più neri dal malevolo suo pennello; si at[p. 306 modifica]tribuiscono a motivi pessimi le azioni dubbiose; l’errore si confonde col delitto, l’accidente col disegno premeditato, e le Leggi con gli abusi; la parziale ingiustizia d’un momento si fa destramente passare per massima generale d’un regno di trentadue anni; si rende responsabile il solo Imperatore delle mancanze de’ suoi Ministri, de' disordini de’ tempi e della corruzion de’ suoi sudditi, e fino le calamità della natura, le pestilenze, i terremoti e le inondazioni, sono imputate al principe de’ demonj, che aveva fraudolentemente assunto la forma di Giustiniano84.

Premesso quest’avvertimento, riferirò in breve gli Aneddoti di avarizia e di rapina, riducendoli a’ seguenti capi: I. Giustiniano era così prodigo, che non poteva essere liberale. Gli Ufiziali civili e militari quando s’ammettevano al servizio del Palazzo, avevano un basso grado ed un moderato stipendio; s’avanzavano per via d’anzianità fino ad un grado d’abbondanza e di riposo; le annue loro pensioni, la più onorevole classe delle quali fu abolita da Giustiniano, ascendevano a quattrocentomila lire sterline; e questa domestica economia da’ venali o indigenti Cortigiani si deplorò come il maggiore oltraggio che potesse farsi alla maestà dell’Impero. I posti ed i salarj de’ Medici e le notturne illuminazioni eran oggetti di più generale importanza; e le Città potevano giustamente lagnarsi, ch’ei si usurpava l’entrate Municipali destinate a queste utili istituzioni. Si faceva torto perfino a’ soldati; e tal era la decadenza dello spirito militare, che questi torti si commettevano impunemente. L’Imperatore [p. 307 modifica]negò ad ogni quinquennio il consueto donativo di cinque monete d’oro, ridusse i suoi veterani a mendicare il pane, e soffrì che le milizie, da lui non pagate, andassero ad arruolarsi altrove nelle guerre d’Italia e di Persia. II. L’umanità de’ suoi Predecessori aveva sempre in qualche fausta circostanza del loro regno condonato i pubblici Tribuni arretrati; e si erano fatti destramente un merito di rilasciar que’ diritti, ch’era impossibile d’esigere. „Giustiniano nello spazio di trentadue anni, non usò mai simile indulgenza, e molti de’ suoi sudditi rinunziarono il possesso di quelle terre, il valor delle quali non era sufficiente a soddisfar le domande dell’Erario. Alle Città, che avevan sofferto per le scorrerie de’ nemici, Anastasio promise una general esenzione di sette anni: le Province di Giustiniano furon devastate da’ Persiani e dagli Arabi, dagli Unni e dagli Schiavoni; ma la sua vana e ridicola remissione d’un solo anno si ristrinse a’ que’ luoghi, ch’erano attualmente in mano de’ nemici„. Questo è il linguaggio dell’Istorico segreto, che nega espressamente che fosse accordata indulgenza alcuna alla Palestina dopo la rivolta de’ Samaritani: accusa falsa ed odiosa confutata da memorie autentiche, le quali attestano aver ottenuto quella desolata Provincia, per intercessione di S. Saba, un sollievo di tredici centinaia di libbre d’oro (o sia di cinquantaduemila lire sterline)85. III. Procopio non ha voluto spiegare quel [p. 308 modifica]sistema di contribuzioni, che cadde come una tempestosa grandine sulle terre, come una divorante peste sugli abitanti di quelle: ma noi saremmo complici della sua malizia, se imputassimo al solo Giustiniano l’antica, sebben rigida massima, che tutto un distretto dovesse condannarsi a supplire alle particolari mancanze delle persone o de’ Beni degl’individui. L’Annona, o la somministrazione del grano per l’uso dell’armata e della Capitale, era una gravosa ed arbitraria esazione ch’eccedeva, forse del decuplo, la capacità del Possessore, e se ne aggravava la miseria dalla particolare ingiustizia de’ pesi e delle misure, e dalle spese e fatiche d’un lontano trasporto. In tempo di carestia si fece una richiesta straordinaria alle contigue Province di Tracia, di Bitinia e di Frigia: ma i proprietari, dopo un laborioso viaggio ed una pericolosa navigazione, furono sì malamente ricompensati, che avrebbero piuttosto voluto rilasciare il grano insieme col prezzo alle porte de loro granai. Tali precauzioni potrebbero forse indicare una tenera sollecitudine per il bene della Capitale; eppure Costantinopoli non era esente dal rapace despotismo di Giustiniano. Fino al suo Regno gli Stretti del Bosforo e dell’Ellesponto furono aperti alla libertà del commercio, e non era proibito altro che l’estrazione delle armi per uso de’ Barbari. A ciascheduna di queste porte della Città fu posto un Pretore, ministro dell’avarizia Imperiale; si imposero de’ gravi dazi sulle navi e sulle lor mercanzie; e l’oppressione andò a cadere sul misero consumatore: il povero era afflitto dall’artificial carestia e [p. 309 modifica]dall’esorbitante prezzo del mercato; ed un Popolo solito a godere della generosità del suo Principe, fu talvolta ridotto a dolersi della mancanza del pane e dell’acqua86. Il tributo aereo senza un nome, una legge o un oggetto determinato, era un annuo donativo di centoventimila libbre, che l’Imperatore riceveva dal suo Prefetto del Pretorio; e si rilasciavano alla discrezione di quel potente Magistrato i mezzi del pagamento di esso. IV. Pure anche tal gravezza era meno intollerabile del privilegio de’ monopolj, che impediva la libera emulazione dell’industria, e per causa d’un piccolo e vergognoso guadagno imponeva un peso arbitrario su’ bisogni ed il lusso de’ sudditi. „Appena (io trascrivo gli Aneddoti) fu usurpata dal Tesoro Imperiale la vendita esclusiva della seta, si ridusse all’estrema miseria un intero Popolo di manifattori di Tiro e di Berito, i quali o perirono per la fame o fuggirono nelle nemiche Regioni della Persia„. Poteva una Provincia soffrire per la decadenza delle sue manifatture; ma in quest’esempio della seta Procopio ha parzialmente trascurato l’inestimabile e durevole benefizio, che ricavò l’Impero dalla curiosità di Giustiniano. L’aggiunta ch’ei fece d’un settimo al prezzo ordinario della moneta di rame, si può interpretare col medesimo candore; e quell’alterazione, che potrebbe anche essere stata saggia, sembra che fosse innocente, giacchè egli non alterò la purità, nè accrebbe il valore della moneta d’oro87, [p. 310 modifica]ch’è la legittima misura de’ pubblici e privati pagamenti. V. La vasta giurisdizione che richiedevano i Finanzieri per eseguire i loro impegni, si poteva porre in un aspetto odioso, come se avessero questi comprato dall’Imperatore le vite ed i beni de’ loro concittadini; e si contrattava nel Palazzo una vendita più diretta degli onori, e degli ufizi con la permissione, o almeno con la connivenza di Giustiniano, e di Teodora. Si trascuravano i diritti del merito, ed anche quelli del favore; ed era quasi ragionevole il credere che l’audace avventuriere, che aveva intrapreso la negoziazione d’una Magistratura, sapesse trovare una ricca compensazione per l’infamia, la fatica, il pericolo, i debiti che avea contratto, ed il gravoso interesse che ne pagava. Un sentimento della vergogna e del danno che proveniva da una condotta così venale, finalmente svegliò la sonnolenta virtù di Giustiniano; e tentò, per mezzo della sanzione de’ giuramenti88 e delle pene, di salvare l’integrità del suo Governo; ma in capo ad un anno di spergiuro fu sospeso il rigoroso suo Editto, e la corruzione [p. 311 modifica]licenziosamente abusò del suo trionfo sull’impotenza delle Leggi. VI. Il testamento d’Eulalio, Conte de’ domestici, dichiarò l’Imperatore unico suo erede, con la condizione però ch’ei ne pagasse i debiti ed i legati, assegnasse alle tre sue figlie un decente mantenimento, e maritasse ciascheduna di caso con una dote di dieci libbre d’oro. Ma lo splendido Patrimonio d’Eulalio si consumò dal fuoco, e la somma dei suoi Beni non eccedè la tenue quantità di cinquecento sessantaquattro monete d’oro. Un esempio simile nella Storia Greca ammonì l’Imperatore dell’onorevole impegno, in cui era d’imitarlo: ei represse gl’interessati bisbigli dell’Erario, applaudì alla fiducia del suo amico, pagò i legati ed i debiti, educò le tre fanciulle sotto l’occhio dell’Imperatrice Teodora, e raddoppiò la dote di cui si era contentata la tenerezza del loro Padre89. L’umanità d’un Principe (giacchè i Principi non possono esser generosi) merita qualche lode; pure anche in quest’atto virtuoso possiamo scuoprire l’inveterato costume di escludere gli eredi legittimi o naturali che Procopio attribuisce al Regno di Giustiniano. Egli sostiene la sua accusa con eminenti nomi e con esempi scandalosi; e dice, che non si risparmiavan le vedove, nè gli orfani, e che gli agenti del Palazzo esercitavano con profitto l’arte di sollecitare, di estorcere e di supporre i testamenti. Questa bussa e dannosa tirannia attacca la sicurezza della vita privata; ed il Monarca che ha secondato un desiderio di guadagno [p. 312 modifica]sarà ben presto tentato ad accelerare il momento della successione, ad interpretar la ricchezza come una prova della colpa, ed a procedere, dalla pretensione di ereditare, alla potestà di confiscare i beni de’ Cittadini. VII. Fra le altre specie di rapina si può permettere ad un Filosofo di contare anche il convenir le ricchezze de’ Pagani o degli Eretici ad uso de’ Fedeli; ma al tempo di Giustiniano questo Santo saccheggio, veniva condannato da’ soli settarj, che divenivan le vittime della sua ortodossa avarizia90.

Potè in vero l’infamia di tali atti in ultimo luogo riflettersi nel carattere di Giustiniano; ma una gran parte della colpa, e molto più il profitto ne apparteneva ai Ministri, che raramente venivan promossi per le loro virtù, e non sempre scelti per i loro talenti91. I meriti del Questor Triboniano si esamineranno in seguito quando parleremo della riforma della Legge Romana, ma l’economia dell’Oriente era subordinata al Prefetto del Pretorio, e Procopio ha giustificato i suoi Aneddoti col ritratto, che fa nella sua pubblica Storia de’ notori vizi di Giovanni di Cappadocia92. [p. 313 modifica]Ei non avea tratto le sue cognizioni dalle scuole93, ed il suo stile appena era leggibile, ma era eccellente per la forza d’un genio naturale a suggerire i consiglj più saggi, ed a trovare degli espedienti nelle più disperate situazioni. La corruzione del cuore uguagliava in esso il vigor della mente. Quantunque fosse sospetto di superstizione magica e pagana, sembra però che fosse affatto insensibile al timore di Dio o a’ rimproveri degli Uomini; ed innalzò la sua ambiziosa fortuna sulla morte di migliaia di persone, sulla povertà di milioni, e sulla rovina e desolazione d’intiere Città e Province. Dallo spuntar del giorno fino al tempo del pranzo egli assiduamente occupavasi nell’arricchire il suo Signore e se stesso, a spese del Mondo romano; consumava il resto del giorno in sensuali ed osceni piaceri; e le tacite ore della notte venivano interrotte dal perpetuo timore della giustizia d’un assassino. La sua abilità e forse i suoi vizi gli conciliarono la durevole amicizia di Giustiniano: l’Imperatore cedè con ripugnanza al furore de’ sudditi; ma fece pompa della sua vittoria con rimettere immediatamente nel primiero posto il nemico di essi; ed il Popolo provò per più di dieci anni sotto l’oppressiva di lui amministrazione, ch’egli era più stimolato dalla vendetta, che istruito dalla disgrazia. I popolari bisbigli non servirono che a fortificare la fermezza di Giustiniano: ma il Prefetto, divenuto insolente per il favore, provocò l’ira di Teodora, sdegnò una potenza, [p. 314 modifica]avanti la quale piegavasi ogni ginocchio, e tentò di spargere de’ semi di discordia fra l’Imperatore e l’amata di lui consorte. Anche Teodora però fu costretta a dissimulare, ad aspettare il momento favorevole, ed a render, mediante un’artificiosa cospirazione, Giovanni di Cappadocia cooperatore della propria sua distruzione. In un tempo, in cui Belisario, se non fosse stato un eroe, avrebbe dovuto comparire come ribelle, la sua moglie Antonina, che godeva la segreta confidenza dell’Imperatrice, partecipò il finto suo malcontento ad Eufemia, figlia del Prefetto; la credula fanciulla comunicò al Padre il pericoloso progetto, e Giovanni che avrebbe dovuto conoscere il valore dei giuramenti e delle promesse, si mosse ad accettare un notturno e quasi proditorio congresso con la moglie di Belisario. Gli era stata fatta un’imboscata di guardie e di eunuchi per ordine di Teodora; essi corsero fuori con le spade sfoderate per prendere o punire il colpevol Ministro, che fu salvato in vero dalla fedeltà de’ suoi servi; ma in vece di ricorrere ad un grazioso Sovrano, che l’avea segretamente avvertito del suo pericolo, fuggì da pusillanime al Santuario della Chiesa. Fu sacrificato il favorito di Giustiniano alla coniugal tenerezza, o alla domestica tranquillità; la mutazione del Prefetto in Prete estinse le sue ambiziose speranze; ma l’amicizia dell’Imperatore ne alleggerì la disgrazia, ed ei ritenne nel mite esilio di Cizico una gran parte delle sue ricchezze. Tale imperfetta vendetta non potea soddisfare l’ostinato odio di Teodora; l’uccisione del Vescovo di Cizico, suo antico nemico, le ne somministrò un decente pretesto; e Giovanni di Cappadocia, di cui le azioni avevan meritato mille morti, finalmente fu condannato per un delitto, del [p. 315 modifica]quale era innocente. Un gran Ministro, che avea ricevuto gli onori del Consolato e del Patriziato, fu ignominiosamente frustato come il più vil malfattore; una lacera veste fu ciò che gli rimase delle sue sostanze; fu trasportato in una barca ad Antinopoli nell’Egitto superiore, luogo del suo esilio; ed il Prefetto d’Oriente mendicava il pane per le Città, che avevan tremato al solo suo nome. Per lo spazio di sette anni ne fu prolungata e sempre minacciata la vita dall’ingegnosa crudeltà di Teodora; e quando la morte di essa permise all’Imperatore di richiamare un servo, ch’egli avev’abbandonato con rammarico, l’ambizione di Giovanni di Cappadocia si ristrinse agli umili ufizi della professione sacerdotale. I successori di esso convinsero i sudditi di Giustiniano che potevano sempre più raffinarsi dall’esperienza e dall’industria le arti dell’oppressione; s’introdussero nell’amministrazione delle Finanze le frodi d’un banchiere della Siria; e l’esempio del Prefetto fu con esattezza imitato dal Questore, dal Tesoriere pubblico e privato, da’ Governatori delle Province e da’ principali Magistrati dell’Impero Orientale94.

V. Gli edifizi di Giustiniano si costruirono in vero col sangue e col denaro del suo Popolo; ma sembrava, che quelle magnifiche fabbriche annunziassero la [p. 316 modifica]prosperità dell’Impero, e realmente dimostravano l’abilità de’ loro Architetti. Tanto la teoria quanto la pratica delle Arti, che dipendono dalla Matematica, e dalla forza meccanica, si coltivarono sotto la protezione degl’Imperatori; Proculo ed Antemio emularono la fama d’Archimede; e se quegli spettatori, che hanno riferito i loro miracoli, fossero stati intelligenti, potrebbero adesso servire ad estendere le speculazioni, invece d’eccitare la diffidenza de’ Filosofi. Si è conservata una tradizione, che nel porto di Siracusa la flotta Romana fosse ridotta in cenere dagli specchi ustorj d’Archimede95; e si asserisce, che Proculo usò un somigliante espediente per distrugger le navi Gotiche nel Porto di Costantinopoli, e per difendere il suo benefattore Anastasio contro l’ardita intrapresa di Vitaliano96. Fu fissata sulle mura della Città una macchina, composta d’uno specchio esagono di rame ben pulito, con molti poligoni più piccoli e mobili per ricevere e riflettere i raggi del sole sul Mezzogiorno; e fu lanciata una fiamma consumatrice alla distanza forse di dugento piedi97. Si rende incerta [p. 317 modifica]la verità di questi fatti straordinari dal silenzio degli Istorici più autentici, e non fu mai adottato l’uso degli specchi ustorj nell’attacco o nella difesa delle Piazze98. Pure gli ammirabili sperimenti d’un Filosofo Francese99 han dimostrato la possibilità di tali specchi; e subito ch’è possibile, io son più disposto ad attribuirne l’arte a’ più gran Matematici dell’antichità, che a dare il merito della finzione di essi all’oziosa fantasia d’un Monaco o d’un Sofista. Secondo un’altra Storia, Proclo adoperò lo zolfo per distruggere la Flotta Gotica100; ora in una immaginazione moderna il nome di zolfo subito si unisce al sospetto della polvere da schioppo, e tal sospetto s’accresce dai segreti artifizi del suo discepolo Antemio101. Un [p. 318 modifica]Cittadino di Trallia nell’Asia ebbe cinque figli, che nelle respettive lor Professioni furon tutti distinti per il merito e pel successo. Olimpio fu eccellente nella cognizione e nella pratica della Giurisprudenza romana. Dioscoro ed Alessandro divennero dotti medici; ma il primo esercitò la sua perizia in vantaggio dei propri concittadini, mentre il suo più ambizioso fratello acquistò ricchezza e riputazione in Roma. La fama di Metrodoro Gramatico, e d’Antemio Matematico ed Architetto giunse agli orecchi dell’Imperator Giustiniano, che gl’invitò a Costantinopoli, e mentre l’uno istruì la nascente generazione nelle scuole d’eloquenza, l’altro empì la Capitale e le Province di più durevoli monumenti dell’arte sua. In una disputa di poca importanza, relativa alle muraglie o finestre delle contigue loro case, fu egli vinto dall’eloquenza di Zenone suo vicino; ma l’Oratore a vicenda fu disfatto dal Maestro di Meccanica, i maliziosi quantunque innocenti strattagemmi del quale oscuramente si rappresentano dall’ignoranza d’Agatia. Antemio dispose in una stanza da basso più vasi o caldaie di acqua, ciascheduna delle quali fu da esso coperta col largo fondo d’un cuoio, che andava a finire in una stretta cima, che fu artificiosamente introdotta fra le travi e tavole del solaio della fabbrica vicina. Quindi acceso il fuoco sotto le caldaie, il vapore dell’acqua bollente salì per mezzo de’ tubi; la casa fu scossa dallo sforzo dell’aria ivi racchiusa, ed i tremanti di lei abitatori dovettero udire con maraviglia, che la [p. 319 modifica]Città non ebbe notizia veruna del terremoto, ch’essi avevan sentito. Un’altra volta gli amici di Zenone, mentre stavano a mensa, restarono abbagliati dall’intollerabile luce, che gettarono loro negli occhi gli specchi di riflessione d’Antemio; furon sorpresi dallo strepito, ch’ei produsse, mediante la collisione di certi minuti e sonori corpuscoli; e l’oratore in tragico stile dichiarò avanti al Senato, che un semplice mortale doveva cedere alla potenza d’un avversario, che scuoteva col tridente di Nettuno la terra, ed imitava il tuono ed il lampo di Giove medesimo. Il genio d’Antemio e d’Isidoro di Mileto suo Collega fu eccitato e posto in uso da un Principe, il gusto del quale per l’Architettura era degenerato in una dannosa e dispendiosa passione. I favoriti Architetti di Giustiniano sottomettevano ad esso i loro disegni, e le loro difficoltà, e discretamente confessavano, quanto le laboriose loro meditazioni fossero al di sotto dell’intuitiva cognizione, o dell’inspirazione celeste d’un Imperatore, di cui le vedute eran sempre dirette all’utilità del Popolo, alla gloria del suo Regno, ed alla salvazione dell’anima sua102. La Chiesa principale di Costantinopoli, che dal suo Fondatore fu dedicata a S. Sofia, o all’eterna Sapienza, era stata due volte distrutta dal fuoco; dopo [p. 320 modifica]l’esilio di S. Giovanni Grisostomo, e in occasione della Nika delle fazioni Azzurra e Verde. Appena fu cessato il tumulto, la plebe Cristiana deplorò quella sacrilega temerità; ma si sarebbe rallegrata di tal disgrazia, se avesse preveduto la gloria del nuovo Tempio, che in capo a quaranta giorni fu vigorosamente intrapreso dalla pietà di Giustiniano103. Furono tolte di mezzo le rovine, se ne fece una pianta più spaziosa, e siccome questa esigeva il consenso di alcuni proprietari del terreno, che voleva occuparsi, i medesimi ottennero le più esorbitanti condizioni dall'ardente desiderio, e dalla timorosa coscienza del Monarca. Antemio ne fece il disegno, ed il suo genio diresse le operazioni di diecimila artefici, a' quali non [p. 321 modifica]fu mai differito oltre la sera il pagamento in monete di puro argento. L’Imperatore medesimo, vestito di una tunica di lino, osservava ogni giorno il rapido loro progresso, e ne animava la diligenza con la sua famigliarità, col suo zelo, e co’ premj. Fu consacrata dal Patriarca la nuova Cattedrale di S. Sofia, cinque anni, undici mesi, e dieci giorni dopo che si principiò a fabbricare; e nel tempo della solenne festa, Giustiniano con devota vanità esclamò: „Sia gloria a Dio, che mi ha creduto degno di condurre a termine sì grande opera; io ti ho superato, o Salomone104„. Ma prima che passasser venti anni, restò umiliato l’orgoglio del Salomone Romano da un terremoto, che rovesciò la parte orientale della cupola. Ne fu restaurato di nuovo lo splendore dalla perseveranza del medesimo Principe; e Giustiniano celebrò nel trentesimo sesto anno del suo Regno la seconda Dedicazione di un Tempio che dopo dodici secoli è ancora un grandioso monumento della sua fama. I Sultani Turchi hanno imitato l’architettura di S. Sofia, che ora è convertita nella loro Moschea principale, e tuttavia continua quella venerabile mole ad eccitare la tenera ammirazione de’ Greci, e la più ragionevole curiosità de’ viaggiatori Europei. L’occhio dello Spettatore è mal soddisfatto da un irregolar prospetto di mezze cupole, e di tetti declivi; la facciata occidentale, dove [p. 322 modifica]si trova l’ingresso principale, manca di semplicità e di magnificenza; e se ne son molto sorpassate le misure da più Cattedrali Latine: ma l’Architetto, che fu il primo ad innalzare una cupola aerea, ha diritto alla lode d’un ardito disegno, e d’un abile esecuzione. La cupola di S. Sofia, illuminata da ventiquattro finestre, ha una curvatura sì piccola, che la sua profondità non è che un sesto del suo diametro, il qual’è di cento quindici piedi, ed il sublime centro di esso, dove una mezza luna si è sostituita alla Croce, s’innalza all’altezza perpendicolare di cento ottanta piedi sopra del suolo. La circonferenza della cupola posa con sveltezza su quattro forti archi, ed il loro peso viene stabilmente sostenuto da quattro solidi pilastri, la forza de’ quali dalle parti settentrionale e meridionale viene aiutata da quattro colonne di granito d’Egitto. L’edifizio forma una croce greca inscritta in un quadrangolo; l’esatta sua larghezza è di dugento quarantatre piedi, e possono assegnarsene dugento sessantanove per la massima lunghezza di esso, dalla tribuna verso Oriente fino alle nove porte occidentali, che introducono nel vestibolo, e di là nel Nartece o Portico esteriore. Questo era il luogo dove umilmente stavano i Penitenti; la nave poi o il corpo della Chiesa era occupato dalla moltitudine de’ Fedeli; ma prudentemente ne stavan separati i due sessi, e le gallerie superiori ed inferiori eran destinate alla più segreta devozion delle donne. Al di là de’ pilastri settentrionali e meridionali una Balaustrata, che da ciaschedun lato finiva ne’ Troni dell’Imperatore e del Patriarca, divideva la nave dal coro; e lo spazio di mezzo, fino agli scalini dell’Altare, occupavasi dal Clero e da’ Cantori. L’Altare medesimo, nome che appoco [p. 323 modifica]appoco divenne famigliare alle orecchie cristiane, fu posto nel recinto orientale, essendo stato elegantemente fatto in forma di mezzo cilindro; e questa Tribuna comunicava per mezzo di varie porte con la sagrestia, col vestiario, col battistero, e con le altre contigue fabbriche, le quali servivano o alla pompa del culto, o all’uso privato de’ Ministri ecclesiastici. La memoria delle passate calamità fece prendere a Giustiniano la saggia risoluzione di non ammettere nel nuovo Edifizio alcuna sorte di legno, a riserva delle porte; e nella scelta de materiali s’ebbe riguardo alla stabilità, alla sveltezza, ed allo splendore delle respettive lor parti. Que’ solidi pilastri, che sostenevan la cupola, furon composti di grossi pezzi di pietra viva, tagliata in quadrati e triangoli, fortificati con cerchi di ferro, e fortemente uniti insieme per mezzo del piombo e della viva calce. Ma si procurò di scemare il peso della cupola medesima mediante la leggierezza della materia, che fu o di pomice che galleggia sull’acqua, o di mattoni dell’Isola di Rodi, cinque volte meno gravi degli ordinari. Tutta la sostanza dell’Edifizio fu costruita di terra cotta, ma quelle basi materiali eran coperte da una crosta di marmo; e l’interno di S. Sofia, la cupola, le due maggiori e le sei minori semicupole, le muraglie, le cento colonne, ed il pavimento dilettano anche gli occhi de’ Barbari con una ricca e variata pittura. Un Poeta105, che vide il primitivo lustro di [p. 324 modifica]S. Sofia, enumera i colori, le ombreggiature, e le macchie di dieci o dodici marmi, diaspri e porfidi, che la natura aveva profusamente variati, e che furon mescolati e posti fra loro in contrasto, come da un abil Pittore. Si adornò il trionfo di Cristo con le ultime spoglie del Paganesimo; ma la maggior parte di queste costose pietre fu estratta dalle cave dell’Asia minore, delle Isole, e del Continente della Grecia, dell’Egitto, dell’Affrica e della Gallia. La pietà di una Matrona romana offerì otto colonne di porfido, che Aureliano aveva collocate nel Tempio del Sole; otto altre di marmo verde presentate furono dall’ambizioso zelo dei Magistrati d’Efeso: e tanto le une che le altre sono ammirabili per la lor mole e bellezza, ma ogni ordine d’architettura rigetta i loro fantastici capitelli. Erasi curiosamente espressa in mosaico una quantità di vari ornamenti e figure; e le immagini di Cristo, della Vergine, dei Santi e degli Angeli, che sono state cancellate dal fanatismo Turco, erano pericolosamente esposte alla superstizione de’ Greci. Secondo la santità d’ogni oggetto eran distribuiti i preziosi metalli in tenui lamine, o in solide masse. La balaustrata del Coro, i capitelli delle colonne, e gli ornamenti delle porte e delle gallerie eran di bronzo dorato; s’abbagliavano gli occhi dello spettatore dal brillante aspetto della Cupola; la Tribuna conteneva [p. 325 modifica]quarantamila libbre d’argento, ed i vasi ed arredi sacri dell’Altare erano d’oro purissimo, arricchito d’inestimabili gemme. Prima che si fosse alzata la fabbrica della Chiesa due cubiti sopra terra, si erano già consumate quarantacinquemila dugento libbre, e tutta la spesa montò a trecentoventimila. Ogni lettore, secondo la misura della sua credulità, può valutare il loro valore in oro o in argento, ma il resultato del computo più basso è la somma di un milione di lire sterline. Un magnifico Tempio è un monumento lodevole del gusto e della Religion Nazionale, e l’entusiasta, ch’entrava nella Chiesa di S. Sofia, poteva esser tentato a supporre, che quella fosse la residenza, o anche la fattura della Divinità. Pure quanto goffo n’è l’artifizio, quanto insignificante il travaglio, se si confronti con la formazione del più vile insetto, che serpe sulla superficie di quel Tempio! La descrizione sì minuta d’un Edifizio che il tempo ha rispettato, può servire a confermare la verità ed a giustificar la relazione delle innumerabili Opere che Giustiniano costruì sì nella Capitale che nelle Province in una minor proporzione, e sopra fondamenti meno durevoli106. Nella sola Costantinopoli e ne’ suoi addiacenti sobborghi ei dedicò venticinque Chiese in onore di Cristo, della Vergine e de’ Santi; queste per [p. 326 modifica]la maggior parte furono decorate di marmo e d’oro; e la varia loro situazione giudiziosamente si scelse o in una popolata piazza, o in un piacevol boschetto, o sul lido del mare o su qualche alta eminenza che dominava i Continenti dell’Europa e dell’Asia. La Chiesa de’ Santi Apostoli a Costantinopoli e quella di S. Giovanni in Efeso pare che fossero formate sull’istesso modello: le loro cupole aspiravano ad imitar quella di S. Sofia; ma l’Altare con più giudizio era collocato sotto il centro della cupola, nella riunione de’ quattro magnifici portici, che più esattamente rappresentavano la figura della croce Greca. La Vergine di Gerusalemme potè esultar per il Tempio innalzatole dall’Imperial suo devoto in un luogo il più infelice, che non somministrava all’Architetto nè suolo, nè materiali. Si formò un piano, alzando porzione d’una profonda valle all’altezza d’una montagna. Furon tagliate in forme regolari le pietre d’una vicina cava; ogni pezzo fu fissato sopra una particolare specie di carro tirato da quaranta de’ più forti bovi, e furono allargate le strade per il passaggio di sì enormi carichi. Il Libano diede i cedri più alti per le travi della Chiesa; e l’opportuna scoperta d’un filone di marmo rosso ne somministrò le belle colonne, due delle quali, che sostenevano il Portico esteriore, passavano per le più grandi del Mondo. Si sparse la pia munificenza dell’Imperatore sopra la Terra Santa; e se la ragione condannerebbe i Monasteri di ambedue i sessi che furono fabbricati o restaurati da Giustiniano, pure la carità deve approvare i pozzi, ch’egli scavò e gli spedali, ch’eresse per sollievo degli stanchi pellegrini. L’indole scismatica dell’Egitto non meritava le Reali beneficenze; ma nella Siria e nell’Affrica si applica[p. 327 modifica]rono diversi rimedi a’ disastri cagionati dalle acque o da’ terremoti; e tanto Cartagine quanto Antiochia, risorgendo dalle proprie rovine, dovevan venerare il nome del grazioso loro Benefattore107. Quasi ogni Santo del Calendario ebbe l’onore d’un tempio; quasi ogni Città dell’Impero ottenne gli stabili vantaggi di ponti, di spedali e di acquedotti; ma la rigida liberalità del Monarca sdegnò di compiacere i suoi sudditi nelle popolari superfluità de’ Bagni e de’ Teatri. Mentre Giustiniano s’affaticava pel pubblico servizio non si dimenticò della propria dignità e del suo comodo. Il Palazzo di Costantinopoli, ch’era stato danneggiato dall’incendio, fu risarcito con nuova magnificenza; e può formarsi qualche idea di tutto l’Edifizio dal vestibulo della sala che, forse per le porte o pel tetto, chiamavasi Chalche, o di bronzo. La cupola d’uno spazioso quadrangolo era sostenuta da colonne massicce; il pavimento e le mura erano incrostate di marmi di più colori, come del Verde smeraldo di Laconia, dell’infiammato rosso, e del bianco Frigio frammischiato di vene d’un color verde mare; e le pitture a mosaico della cupola e delle pareti rappresentavano le glorie de’ trionfi d’Affrica e d’Italia. Sul lido Asiatico poi della Propontide, in una piccola distanza all’Oriente di Calcedonia, stavan preparati il sontuoso Palazzo ed i Giardini d’Erco108 per la dimora estiva [p. 328 modifica]di Giustiniano e specialmente di Teodora. I Poeti di quel tempo hanno celebrato in essi la rara unione della natura e dell’arte, non meno che l’armonia delle Ninfe dei boschi, delle fontane e dei flutti marini; pure la folla de’ Ministri, che seguitavan la Corte, si doleva dell’incomoda loro abitazione109, ed erano le Ninfe troppo spesso impaurite dal famoso Porfirio, Balena di dieci cubiti in larghezza e di trenta in lunghezza che fu tratta a riva alla bocca del fiume Sangari, dopo avere infestato per più di mezzo secolo i mari di Costantinopoli110.

Giustiniano moltiplicò le Fortezze dell’Europa e dell’Asia; ma la frequenza di tali timide ed infruttuose precauzioni espone ad un occhio filosofico la debolezza dell’Impero111. Da Belgrado fino all’Eussino, e dalla congiunzion della Sava col Danubio fino [p. 329 modifica]all’imboccatura di esso, estendevasi lungo le rive di questo gran fiume una catena di più di quaranta piazze fortificate. Le pure torri di guardia si mutarono in spaziose Cittadelle, le mura delle quali, che gl’Ingegneri estendevano o ristringevano secondo la natura del suolo, si riempivano di Colonie o di guarnigioni; una stabil Fortezza difendeva le rovine del Ponte di Traiano112; e più stazioni militari affettavano di spargere di là dal Danubio l’orgoglio del nome Romano. Ma questo nome aveva perduto il suo terrore; i Barbari nelle annue loro scorrerie, con disprezzo passavano e ripassavano avanti a quegl’inutili baloardi; e gli abitanti della frontiera, invece di riposare tranquilli sotto l’ombra della comune difesa eran costretti a guardar di continuo le separate loro abitazioni. Furono ripopolate le antiche Città; le nuove fondazioni di Giustiniano acquistarono, forse troppo presto, gli epiteti d’invincibili e di piene di gente; ed il bene augurato luogo della sua nascita tirò a se la grata reverenza del più vano fra’ Principi. Sotto il nome di Giustiniana prima l’oscuro villaggio di Tauresio divenne la sede d’un Arcivescovo e d’un Prefetto, la giurisdizione del quale, s’estendeva sopra sette guerriere Province dell’Illiri[p. 330 modifica]co113; e la corrotta denominazione di Giustendil tuttavia indica circa venti miglia al mezzodì di Sofia la residenza d’un Sangiacco Turco114. Si fabbricò speditamente una Cattedrale, un Palazzo, ed un Acquedotto per uso de’ paesani dell’Imperatore; s’adattarono i pubblici e privati edifizi alla grandezza d’una Città Reale; e la fortezza delle sue mura, durante la vita di Giustiniano, resistè a mal diretti assalti degli Unni e degli Schiavoni. Ne furon talvolta ritardati i progressi, e sconcertate le rapaci speranze anche dagl’innumerabili castelli che nelle Province della Dacia, dell’Epiro, della Tessaglia, della Macedonia e della Tracia pareva, che cuoprissero tutta la superficie del Paese. E dall’Imperatore in vero fabbricati furono o riparati seicento di questi Forti; ma sembra ragionevole il credere che ognuno di essi per lo più consistesse solo in una torre di pietra o di mattoni, posta nel mezzo d’una piazza quadrata o circolare, ch’era circondata da una muraglia e da un fosso, ed in un momento di pericolo somministrava qualche difesa ai contadini, ed al bestiame de’ vicini villaggi115. Ciò [p. 331 modifica]non ostante queste opere militari, ch’esaurivano il pubblico erario, non servivano a dissipare le giuste apprensioni di Giustiniano e dei suoi sudditi Europei. I Bagni caldi d’Anchialo nella Tracia si resero altrettanto sicuri, quanto erano salutari; ma la cavalleria scitica foraggiava nelle ricche pasture di Tessalonica; la deliziosa valle di Tempe, trecento miglia distante dal Danubio, era di continuo agitata dal suono di guerra116; e nessun luogo non fortificato, per quanto fosse remoto o solitario, poteva con sicurezza godere i vantaggi della pace. Lo Stretto delle Termopile che sembrava difendere la sicurezza della Grecia, ma che l’aveva tante volte tradita, fu diligentemente fortificato da’ lavori di Giustiniano. Ei fece continuare dall’estremità del lido del mare, per mezzo di valli e di foreste, fino alla cima delle montagne di Tessaglia un forte muro, che impediva qualunque praticabile ingresso. Invece d’una tumultuosa folla di contadini pose una guarnigione di duemila soldati lungo di esso; provvide per loro uso de’ granai e delle conserve di acqua; e per una precauzione che ispirava la poltroneria, ch’ei previde, fabbricò delle Fortezze adattate alla loro ritirata. Le mura di Corinto, rovesciate da un terremoto, ed i cadenti baloardi d’Atene e di Platea, furono con attenzione restaurati; si sconfortarono i Barbari dal prospetto di successivi e penosi assedj; e le aperte Città del Peloponneso furon coperte dalle [p. 332 modifica]fortificazioni dell’Istmo di Corinto. Il Chersoneso di Tracia, ch’è un’altra Penisola all’estremità dell’Europa, sporge per tre giornate di cammino nel mare, e forma co’ lidi addiacenti dell’Asia lo Stretto dell’Ellesponto. Gl’intervalli, frammezzo ad undici ben popolate Città, eran pieni di alti boschi, di be’ pascoli, e di arabili campi; e l’Istmo di trentasette stadi era stato fortificato da un Generale Spartano, novecento anni prima del Regno di Giustiniano117. In un tempo di libertà e di valore, il più leggiero riparo può impedire una sorpresa; e sembra che Procopio non conosca la superiorità degli antichi tempi, allorchè loda la solida costruzione ed il doppio parapetto d’un muro, le lunghe braccia del quale s’estendevano da ambe le parti nel mare, ma di cui la forza fu creduta insufficiente a guardare il Chersoneso, se ogni Città e specialmente Gallipoli e Sesto, non si fossero assicurate con le particolari loro fortificazioni. La lunga muraglia, com’enfaticamente dicevasi, era un’opera tanto vergognosa per l’oggetto di essa, quanto rispettabile per l’esecuzione. Le ricchezze di una Capitale si spargono nella vicina Campagna: ed il territorio di Costantinopoli, ch’è un paradiso della Natura, era ornato con i lussuriosi giardini, e con le ville de’ Senatori e degli opulenti Cittadini. Ma la lor opulenza non servì, che ad attirare gli arditi e rapaci Barbari; i più nobili dei Romani, che vivevano in seno ad una pacifica indolenza, furon condotti via schiavi dagli [p. 333 modifica]Sciti; ed il loro Sovrano potè dal suo Palazzo vedere le fiamme ostili, che insolentemente s’estesero fino alle porte della Città Imperiale. Anastasio fu costretto a stabilire un’ultima frontiera alla distanza di sole quaranta miglia da Costantinopoli; il lungo suo muro di sessanta miglia, dalla Propontide all’Eussino, manifestò l’impotenza delle sue armi; e siccome il pericolo divenne anche più imminente, dall’instancabil prudenza di Giustiniano, vi s’aggiunsero nuove fortificazioni118. L’Asia minore, dopo che si furon sottomessi gl’Isauri119, restò senza nemici e senza fortificazioni. Questi audaci selvaggi, che avevano sdegnato di esser sudditi di Gallieno, continuarono per dugento trenta anni in una vita indipendente e rapace. I più intraprendenti Principi rispettarono la fortezza di quelle montagne, e la disperazione dei loro abitanti; il feroce loro animo veniva ora mitigato co’ doni, ora tenuto in freno col terrore, ed un Conte militare con tre legioni fissò la sua permanente ed ignominiosa stazione nel cuore delle Province romane120. Ma appena si [p. 334 modifica]rilassava, o si distraeva la vigilanza della forza, scendevano gli squadroni leggiermente armati da’ colli, ed invadevano la pacifica opulenza dell’Asia. Quantunque gl’Isauri non fosser notabili per la loro statura o valore, il bisogno gli rese arditi, e l’esperienza gli abilitò nell’esercizio della guerra predatoria. Con silenzio e velocità s’avanzavano ad attaccare i villaggi e castelli senza difesa; le volanti lor truppe talvolta sono arrivate fino all’Ellesponto, all’Eussino, ed alle porte di Tarso, d’Antiochia, o di Damasco121; e se ne mettevano in sicuro le spoglie nelle inaccessibili loro montagne, prima che le Truppe romane avesser ricevuto i lor ordini, o la distante Provincia saccheggiata, calcolato avesse il suo danno. Il delitto di ribellione e di latrocinio gli facea distinguere da’ nemici nazionali: ed erasi ordinato a’ Magistrati, per mezzo d’un Editto, che il processo o la punizione d’un Isauro anche nella solennità di Pasqua fosse un atto meritorio di giustizia e di pietà122. Se i prigionieri di quella Nazione si condannavano alla domestica schiavitù, con la loro spada o pugnale sostenevano le private contese de’ loro padroni; e si trovò espediente, per la pubblica tranquillità, di proibire il servizio di tali pericolosi domestici. Quando per altro montò sul trono Tarcalisseo [p. 335 modifica]o Zenone loro compatriotto, invitò una fedele e formidabil truppa d’Isauri, che insultaron la Corte e la Città, e furon premiati con un annuo tributo di cinquemila libbre d’oro. Ma le speranze di fortuna spopolarono le montagne, il lusso snervò la durezza degli animi e de’ corpi loro, ed a misura che si frammischiaron con gli uomini, divennero meno capaci di godere la povera e solitaria lor libertà. Morto Zenone, Anastasio suo successore soppresse le loro pensioni, gli espose alla vendetta del Popolo, gli bandì da Costantinopoli, e si apparecchiò a fare una guerra che lasciava loro solamente l’alternativa di vincere o di servire. Un fratello del defunto Imperatore usurpò il titolo d’Augusto; ne fu sostenuta efficacemente la causa dalle armi, da’ tesori e da’ magazzini raccolti da Zenone; ed i nativi dell’Isauria dovevan formare la più piccola parte de’ cento cinquantamila Barbari, che militavano sotto le sue bandiere, le quali furono per la prima volta santificate dalla presenza d’un Vescovo combattente. Le disordinate loro milizie furono vinte nelle pianure della Frigia dal valore e dalla disciplina de’ Goti; ma una guerra di sei anni quasi esaurì tutto il coraggio dell’Imperatore123.  [A. 492-498] Gl’Isauri si ritirarono alle loro montagne; le loro Fortezze una dopo l’altra furono assediate e distrutte; fu tagliata la comunicazione, ch’essi avevan col mare; i più bravi de’ loro Capitani morirono in battaglia; quelli che sopravvissero, avanti la loro esecuzione furon tratti in catene [p. 336 modifica]per l’Ippodromo; si trapiantò nella Tracia una colonia de’ loro giovani, ed il restante del Popolo si sottopose al Governo Romano. Passarono però alcune generazioni prima che i loro animi si adattassero alla schiavitù. I popolati villaggi del monte Tauro eran pieni di soldati a cavallo e di arcieri; essi resistevano in vero all’imposizion de’ tributi, ma somministravano reclute agli eserciti di Giustiniano, ed i suoi Magistrati Civili, come il Proconsole di Cappadocia, il Conte d’Isauria, ed i Pretori di Licaonia e di Pisidia, eran forniti di forza militare per frenare la licenziosa pratica delle rapine e degli assassini124. Se diamo un’occhiata dal Tropico fino alla bocca del Tanai, potremo da una parte osservare le precauzioni di Giustiniano per reprimere i selvaggi dell’Etiopia125, e dall’altra le lunghe muraglie, ch’ei costruì nella Crimea per difesa de’ Goti suoi amici, che formavano una colonia di tremila pastori e guerrieri126. [p. 337 modifica]Da quella Penisola fino a Trebisonda, erasi assicurata la curva orientale dell’Eussino per mezzo di Fortezze, di alleanze, o della Religione, ed il possesso di Lazica, ch’è il Colco dell’antica Geografia e la Mingrelia della moderna, divenne tosto l’oggetto d’una importante guerra. Trebisonda, in seguito sede d’un Impero romanzesco, dovè alla liberalità di Giustiniano una chiesa, un acquedotto, ed una Fortezza, di cui le fosse tagliate furono nella viva pietra. Da questa Città marittima può tirarsi fino alla Fortezza di Circesio, ultima stazione Romana sull’Eufrate127, una linea di confine di cinquecento miglia. Immediatamente sopra Trebisonda, per cinque giorni di cammino verso il mezzodì, è occupato il Paese da folti boschi e da monti scoscesi, tanto ispidi, quantunque non tanto alti, quanto le Alpi ed i Pirenei. In questo rigido clima128, dove [p. 338 modifica]rade volte si fondon le nevi, i frutti vengono tardi e senza sapore, fino il mele è velenoso, la più industriosa cultura si dovea limitare ad alcune piacevoli valli; e le tribù pastorali ricavavano uno scarso sostentamento dalla carne, e dal latte de’ loro armenti. I Calibi129 traevano il nome e l’indole della ferrea qualità del suolo; e fino dal tempo di Ciro potevan allegare, sotto le varie denominazioni di Caldei e di Zanj, una prescrizione non interrotta di guerra e di rapina. Al tempo di Giustiniano essi riconobbero il Dio e l’Imperatore de’ Romani, e furono fabbricate sette Fortezze ne’ luoghi più accessibili per rispingere l’ambizione del Monarca Persiano130. La principal sorgente dell’Eufrate viene dalle Montagne de’ Calibi, e sembra che scorra verso l’Occidente e l’Eussino; piegando poi questo fiume al sud-ovest passa sotto le mura di Satala o Melitene (che furono restaurate da Giustiniano come baloardi dell’Armenia Minore), ed [p. 339 modifica]appoco appoco s’accosta al mare Mediterraneo; finattantochè impedito dal Monte Tauro131, alla fine dirige il lungo e tortuoso suo corso al sud-est, ed al Golfo Persico. Fra le Città Romane di là dall’Eufrate ne distinguiamo due fondate recentemente, ch’ebbero il nome da Teodosio e dalle reliquie de’ Martiri; e due Capitali, Amida ed Edessa, che sono celebri nell’Istoria di tutti i tempi. Alla pericolosa lor situazione Giustiniano proporzionar ne volle la forza. Un fosso ed una palizzata potea servire alla forza indisciplinata della cavalleria Scitica; ma richiedevansi opere più elaborate per sostenere un regolare assedio contro le armi ed i tesori del gran Re. Gli abili suoi Ingegneri sapevano le maniere di fare profonde mine e d’innalzar piattaforme al livello delle mura; egli scuoteva i più forti edifizi con le sue macchine militari; ed alle volte avanzavasi all’assalto con una linea di mobili torri sul dorso degli Elefanti. Nelle gran Città dell’Oriente, lo svantaggio della distanza e forse anche della situazione, veniva compensato dallo zelo del Popolo, che secondava la guarnigione in difesa della patria e della Religione, e la favolosa promessa del Figlio di Dio, ch’Edessa non sarebbe mai stata presa, empieva i Cittadini di valorosa fiducia, e scoraggiava e rendeva dubbiosi gli assediatori132. Furono [p. 340 modifica]diligentemente fortificate le minori Città dell’Armenia e della Mesopotamia, ed i posti che sembravano dominare sulla terra o sull’acqua, contenevano molti Forti fabbricati regolarmente di pietra o più in fretta con i più comuni materiali di terra e di mattoni. L’occhio di Giustiniano investigava ogni luogo, e le sue crudeli precauzioni tiravan la guerra anche in quelle remote valli; i pacifici abitanti delle quali, collegati fra loro per mezzo del commercio e del matrimonio, ignoravano le discordie delle Nazioni, e le querele de’ Principi. All’occidente dell’Eufrate un arenoso deserto s’estende più di sei cento miglia fino al Mar Rosso. La Natura aveva frapposto una vuota solitudine fra l’ambizione di due Imperi emuli fra di loro; gli Arabi, fino al tempo di Maometto, non furon formidabili, che come ladroni, e nell’alta sicurezza della pace si trascurarono le fortificazioni della Siria nel lato più esposto.

[A. 488] Ma l’inimicizia nazionale, o almeno gli effetti di tale inimicizia si eran sospesi mediante una tregua, che continuò più di quarant’anni. Un Ambasciatore dell’Imperator Zenone accompagnò il temerario ed infelice Peroze nella sua spedizione contro i Neptaliti, ovvero Unni Bianchi, le conquiste de’ quali si erano estese dal Mar Caspio nel cuore dell’India, della quale il trono rilucea di smeraldi133, e la [p. 341 modifica]cavalleria sostenevasi da una linea di duemila elefanti134. I Persiani furono due volte circondati in una situazione che rendeva inutile il valore, ed impossibil la fuga; e fu compita la doppia vittoria degli Unni per mezzo d’uno stratagemma militare. Essi rilasciarono il regio lor prigioniero, dopo ch’egli si fu sottomesso ad adorare la maestà d’un Barbaro; nè servì ad evitare tal umiliazione la casuistica sottigliezza dei Magi, che istruiron Peroze a diriger la sua intenzione al Sole nascente. Lo sdegnato successore di Ciro dimenticò il suo pericolo e la gratitudine, rinnovò con ostinato furore l’attacco, e vi perdè l’esercito non men che la vita135. La morte di Peroze abbandonò [p. 342 modifica]la Persia a’ suoi esterni e domestici nemici; e passarono dodici anni di confusione, prima che il suo figlio Cabade, o Kobad potesse formare alcun disegno d’ambizione o di vendetta.  [A. 502-505] La disobbligante parsimonia di Anastasio fu il motivo o il pretesto d’una guerra coi Romani136; marciarono sotto le bandiere de’ Persiani gli Unni e gli Arabi; e le fortificazioni dell’Armenia e della Mesopotamia erano allora in una condizione imperfetta o rovinosa. L’Imperatore ringraziò il Governatore ed il Popolo di Martiropoli per aver subito reso una Città, che non poteva difendersi con buon successo, e l’incendio di Teodosiopoli potea giustificar la condotta dei prudenti di lei vicini. Amida sostenne un lungo e rovinoso assedio: al termine di tre mesi la perdita di cinquantamila soldati di Cabade non era bilanciata da verun prospetto di buon successo; ed in vano i Magi deducevano una lusinghiera predizione dall’indecenza delle donne, che dalle mura avevano esposte le più segrete lor parti agli occhi degli assedianti. Una notte alla fine tacitamente salirono sulla torre più accessibile, che non era guardata che da alcuni Monaci oppressi, dopo le funzioni d’una solennità, dal sonno e dal vino. Allo spuntar del giorno, furono applicate le scale alle mure, la presenza di Cabade, il terribile suo comando, e la sua spada sguainata costrinsero i Persiani a vincere, e prima che quella fosse rimessa nel fodero, ottantamila abitanti avevano [p. 343 modifica]espiato il sangue de’ loro compagni. Dopo l’assedio d’Amida, la guerra continuò per tre anni, e l’infelice frontiera provò tutto il peso delle calamità, che essa apporta. Troppo tardi fu offerto l’oro d’Anastasio; il numero delle sue truppe era distrutto dal numero de’ loro Generali; la Campagna restò spogliata de’ suoi abitatori; e tanto i vivi, quanto i morti abbandonati furono alle fiere del deserto. La resistenza d’Edessa, e la mancanza di preda fece piegar l’animo di Cabade alla pace: ei vendè le sue conquiste a un prezzo esorbitante; e la medesima linea di confine, quantunque segnata di stragi e di devastazioni, continuò a separare i due Imperi. Per evitare simili danni, Anastasio risolvè di fondare una nuova Colonia sì forte, che sfidar potesse la potenza Persiana, e sì avanzata verso l’Assiria, che le stazionarie sue truppe fosser capaci di difendere la Provincia, mediante la minaccia o l’esecuzione d’una guerra offensiva. A tale oggetto fu popolata ed ornata la Città di Dara137 distante quattordici miglia da Nisibi, e quattro giornate di cammino dal Tigri; le precipitose opere d’Anastasio furono migliorate dalla perseveranza di Giustiniano; e senza fermarci su piazze meno importanti, le fortificazioni di Dara possono rappresentarci l’Architettura militare di quel secolo. Fu circondata la Città da due muri, e lo spazio ch’era fra questi di cinquanta passi, serviva di ritirata al bestiame degli assediati. La [p. 344 modifica]muraglia di dentro era un monumento di forza e di bellezza: s’alzava questa sessanta piedi sopra il suolo, e l’altezza delle torri era di cento piedi; i fori, dai quali poteva offendersi il nemico con armi da lanciare, erano piccoli, ma numerosi; i soldati stavano lungo il ramparo difesi da una doppia galleria, ed alzavasi una terza piattaforma, spaziosa e sicura, sopra la sommità delle torri. Il muro esteriore par che fosse meno alto, ma più solido; ed ogni torre era difesa da un baloardo quadrangolare. Un terreno duro e sassoso impediva i lavori delle mine, ed al sud-est, dove il suolo era più trattabile, venivano ritardati da una overa nuova, che s’avanzava in forma di mezza luna. I fossi duplicati, e triplicati eran pieni d’acqua corrente; e si profittò con la massima industria della comodità del fiume per supplire ai bisogni degli abitanti, per inquietar gli assalitori, e per impedire i danni d’una naturale o artificiale inondazione. Dara continuò più di sessant’anni a secondar le mire dei suoi fondatori, ed a provocar la gelosia dei Persiani, che non lasciavano di lagnarsi, che si era costruita quell’inespugnabil Fortezza con una manifesta violazione del Trattato di pace fatto fra’ due Imperi.

Le Province di Colco, d’Iberia, e d’Albania fra l’Eussino ed il Caspio sono intersecate per ogni verso dalle diramazioni del monte Caucaso; e nella geografia, tanto degli antichi quanto de’ moderni, si sono spesse volte confuse fra loro le due principali Porte, o passi, che vanno dal settentrione al mezzodì. Si è dato il nome di Porte Caspie o d’Albania propriamente a Derbend138, che occupa un breve declive fra [p. 345 modifica]le montagne ed il mare: questa Città, se prestiam fede alla tradizione del luogo, fu fondata da’ Greci; e questo pericoloso ingresso venne fortificato da’ Re di Persia con un molo, con doppie mura, e con porte di ferro. Le porte Iberie139 si formano da uno stretto passo di sei miglia nel monte Caucaso, che dal lato settentrionale dell’Iberia o della Georgia, s’apre nella pianura, che s’estende fino al Tanai ed al Volga. Una Fortezza, destinata forse da Alessandro, o da alcuno de suoi successori a dominare quell’importante posto, era pervenuta per diritto di conquista o d’eredità in un Principe Unno, che l’offerì per un moderato prezzo all’Imperatore; ma mentre Anastasio indugiava, mentre ne calcolava timidamente il prezzo e la distanza, vi si frappose un più vigilante rivale, e Cabade occupò per forza quel passaggio del Caucaso. Le porte Albanesi, ed Iberie escludevano la cavalleria degli Sciti dalle strade più brevi e più praticabili, e tutta la fronte de’ monti era coperta dal riparo di Gog e Magog, o sia dalla lunga muraglia, ch’eccitò la curiosità d’un Califfo Arabo140 e d’un Conquistatore [p. 346 modifica]Russo141. Secondo una descrizione recente sono artificialmente unite insieme senza ferro o cemento alcuno molte gran pietre, grosse sette piedi, e lunghe o alte ventuno, per formare un muro, che dura più di trecento miglia dai lidi di Derbend sopra i monti, e per le valli del Daghestan e della Giorgia. Un’opera tale potea intraprendersi senz’alcuna visione dalla Politica di Cabade; e senz’alcun prodigio potè compirsi dal suo figlio, sì formidabile, a’ Romani sotto il nome di Cosroe, e così caro agli Orientali sotto quello di Nushirwan. Il Monarca Persiano aveva in mano le chiavi sì della pace che della guerra; ma in ogni Trattato egli stipulava che Giustiniano contribuisse alla spesa della comune Barriera, che difendeva ugualmente i due Imperi dalle scorrerie degli Sciti142.

VII. Giustiniano soppresse le scuole d’Atene, ed il Consolato di Roma, che avevano dato al Mondo tanti Saggi ed eroi. Ambedue queste Istituzioni erano [p. 347 modifica]da gran tempo degenerate dalla primitiva lor gloria; pure si può con ragione dar qualche taccia d’avarizia e di gelosia ad un Principe, per mano del quale furon distrutti que’ venerabili avanzi.

Atene, dopo i trionfi Persiani, adottò la Filosofia della Jonia, e la Rettorica della Sicilia; e tali studj divennero il patrimonio di una Città, gli abitanti della quale, ascendenti a circa trentamila maschi, condensarono nel periodo d’una sola generazione il genio di molti secoli, e di molti milioni di uomini. Il sentimento, che abbiamo della dignità della natura umana s’esalta alla semplice riflessione, che Isocrate143 fu compagno di Platone e di Senofonte; ch’ei si trovò presente, forse insieme coll’Istorico Tucidide, alle prime rappresentazioni dell’Edipo di Sofocle, e della Ifigenia d’Euripide; ed i suoi allievi, Eschine e Demostene, contesero per la corona del patriottismo alla presenza d’Aristotele, Maestro di Teofrasto, che insegnò in Atene al tempo de’ Fondatori della Setta Stoica e dell’Epicurea144. L’ingenua gioventù dell’Attica godeva i vantaggi della domestica educazio[p. 348 modifica]ne, che fu comunicata senza invidia alle Città sue rivali. Duemila scolari udirono le lezioni di Teofrasto145; le scuole di Rettorica dovevano essere anche più numerose di quelle di Filosofia; ed una rapida successione di studenti sparse la fama dei loro Maestri fino agli ultimi confini dell’idioma e del nome Greco. Questi confini furono estesi dalle vittorie di Alessandro; le arti d’Atene sopravvissero alla libertà, e al dominio di essa; e le Colonie Greche, da’ Macedoni piantate nell’Egitto, e sparse per l’Asia, intrapresero de’ lunghi e frequenti pellegrinaggi per venerare le Muse del favorito lor tempio sulle rive dell’Elisso. I conquistatori Latini rispettosamente ascoltavano le istruzioni de’ loro sudditi e prigionieri; furono registrati nelle scuole d’Atene i nomi di Cicerone e d’Orazio; e dopo il perfetto stabilimento del Romano Impero, gl’Italiani, gli Affricani e i Britanni conversarono ne’ boschetti dell’Accademia coi loro condiscepoli Orientali. Gli studj della Filosofia e dell’Eloquenza s’accordano col genio d’uno Stato popolare, che incoraggisce la libertà delle ricerche, e non si sottomette che alla forza della persuasione. Nelle Repubbliche di Grecia e di Roma l’arte di parlare era la potente macchina del patriottismo o della ambizione, e le scuole di Rettorica somministrarono una colonia di Politici e di Legislatori. Quando fu soppressa la libertà delle pubbliche discussioni, l’Oratore potè nell’onorevole impiego d’Avvocato difendere la causa dell’innocenza e della giustizia; potè abusare de’ suoi talenti nella più lucrosa negoziazione [p. 349 modifica]de’ panegirici; e gli stessi precetti continuarono a dettare le fantastiche declamazioni del Sofista, e le più pure bellezze della composizione Istorica. I sistemi, che si proponevano di scuoprir la natura di Dio, dell’Uomo e dell’Universo, occupavano la curiosità dello studente filosofico; e secondo l’indole della sua mente poteva o dubitar con gli Scettici, o decidere con gli Stoici, o levarsi con Platone alle sublimi speculazioni, o rigorosamente argomentare con Aristotele. L’orgoglio delle contrarie Sette avea stabilito un termine inaccessibile della morale felicità e perfezione: ma la strada per giungervi era gloriosa e salutare; gli scolari di Zenone, e quelli anche d’Epicuro venivano istruiti tanto ad agire quanto a soffrire; e la morte di Petronio fu efficace non meno che quella di Seneca ad umiliare un tiranno, manifestando la sua impotenza. Infatti la luce della scienza non potè limitarsi alle mura d’Atene. Gl’incomparabili suoi Scrittori s’indirizzarono all’uman Genere; si trasferirono de’ Maestri ancor viventi nell’Italia, e nell’Asia; Berito ne’ tempi posteriori fu consacrato allo studio della Legge; l’Astronomia e la Fisica si coltivarono nel Museo d’Alessandria; ma le scuole Attiche di Rettorica e di Filosofia mantennero la superiore lor fama, dalla guerra del Peloponeso fino al Regno di Giustiniano. Atene, quantunque situata in un suolo sterile, aveva però un’aria pura, una libera navigazione ed i monumenti delle arti antiche; quel sacro ritiro veniva raramente disturbato dagli affari del commercio o del Governo: e l’infimo degli Ateniesi distinguevasi per i vivaci suoi sali, per la purità del suo gusto e linguaggio, per le socievoli maniere, e per alcuni vestigi, almeno nel discorso, della magnanimità de’ suoi [p. 350 modifica]Padri. Ne’ sobborghi della Città l’Accademia de’ Platonici; il Liceo de’ Peripatetici, il Portico degli Stoici, ed il Giardino degli Epicurei erano sparsi di alberi, e decorati di statue; ed i Filosofi, invece di star rinchiusi in un Chiostro, davano le loro lezioni in piacevoli e spaziosi viali, che in diverse ore si destinavano agli esercizi dell’animo e del corpo. In quelle venerabili sedi vivea tuttavia il genio de’ Fondatori; l’ambizione di succedere ai Maestri della ragione umana eccitava una generosa emulazione: e ad ogni vacanza si determinava il merito de’ candidati da’ liberi voti di un Popolo illuminato. I Professori Ateniesi eran pagati da’ loro discepoli: secondo i vicendevoli bisogni e l’abilità loro, sembra, che il prezzo variasse da una mina fino ad un talento; e lo stesso Isocrate, che deridea l’avarizia de’ Sofisti, esigeva nella sua scuola di Rettorica circa trenta lire sterline da ciascheduno dei cento suoi allievi. Le rimunerazioni dell’industria son giuste ed onorevoli; pure il medesimo Isocrate sparse lacrime al primo ricever che fece d’uno stipendio; lo Stoico doveva arrossire, quando si vedeva pagato per predicare il disprezzo del danaro; e mi dispiacerebbe di scuoprire, che Aristotile o Platone fossero talmente deviati dall’esempio di Socrate, che cambiato avesser le cognizioni per l’oro. Ma con la permissione delle Leggi, e per i legati di vari amici defunti, furono assegnate delle possessioni di terre e di case alle Cattedre filosofiche d’Atene. Epicuro lasciò a’ suoi scolari i Giardini che egli aveva comprato per ottanta mine, o per dugento cinquanta lire sterline con un fondo sufficiente per la frugale lor sussistenza e per le solennità mensuali146; ed il patrimonio di Platone [p. 351 modifica]somministrò un’annua rendita, che in otto secoli appoco appoco s’accrebbe da tre fino a mille monete d’oro147. Le scuole d’Atene furon protette dal più saggio e virtuoso fra’ Principi Romani; la libreria che fondò Adriano, fu collocata in un Portico adorno di pitture, di statue, e d’un tetto d’alabastro, e sostenuto da cento colonne di marmo Frigio. L’animo generoso degli Antonini assegnò de’ pubblici stipendi; ed ogni Professore di Politica, di Rettorica e di Filosofia Platonica, Peripatetica, Stoica ed Epicurea ne aveva uno di diecimila dramme, o di più di trecento lire sterline148. Dopo la morte di Marco, questi liberali doni, ed i privilegi annessi alle Cattedre delle scienze, furono aboliti e restaurati, diminuiti ed estesi; e sotto i successori di Costantino possono anche trovarsi dei vestigi di Real bontà; ma l’arbitraria loro scelta di qualche indegno soggetto potè indurre i Filosofi di Atene a desiderare i tempi d’indipendenza e di libertà149. Egli è da osservarsi che l’imparzial favore [p. 352 modifica]degli Antonini fu accordato ugualmente alle quattro fra loro contrarie Sette di Filosofi, ch’essi risguardarono come ugualmente utili, o almeno come ugualmente innocenti. Socrate negli antichi tempi era stato la gloria e la vergogna del suo Paese; e le prime lezioni di Epicuro scandalizzaron talmente le pie orecchie degli Ateniesi, che mediante l’esilio di esso e de’ suoi Antagonisti poser silenzio a tutte le vane dispute intorno alla natura degli Dei. Ma nel seguente anno rivocarono quel precipitoso decreto, restituirono la libertà delle scuole, e si convinsero con l’esperienza de’ secoli, che nel moral carattere dei Filosofi non influisce la diversità delle Teologiche loro speculazioni150. Alle scuole d’Atene furon meno fatali le armi dei Goti, che lo stabilimento d’una nuova Religione, i Ministri della quale impedivano l’esercizio della ragione, risolvevano ogni questione con un articolo di fede, e condannavano l’infedele o lo scettico ad eterne fiamme. In molti volumi di laboriose controversie i medesimi esposero la debolezza dell’intelletto, e la corruzione del cuore, insultarono la natura umana nei Savi dell’antichità, e condannarono lo spirito di ricerca [p. 353 modifica]Filosofica tanto ripugnante alla dottrina, o almeno al carattere d’un umil credente. La setta che restava dei Platonici, e che Platone si sarebbe vergognato di riconoscer per sua, fece uno stravagante miscuglio di una sublime teoria con la pratica della superstizione e della magia; e siccome questi rimasero soli in mezzo ad un Mondo cristiano, fomentarono un segreto rancore contro il governo della Chiesa e dello Stato, che tenevano sempre sospesi i rigori sulle lor teste. Circa un secolo dopo il Regno di Giuliano151, fu permesso a Proclo152 d’insegnare nella Cattedra filosofica dell’Accademia, e tale fu la sua industria, che spesso pronunziò nel medesimo giorno cinque lezioni, e compose settecento versi. La sagace sua mente esplorò le più profonde questioni della morale e della metafisica, e s’avventurò a proporre diciotto argomenti contro la dottrina Cristiana della creazione del Mondo. Ma negli intervalli di tempo che gli lasciava lo studio, ei diceva di conversare personalmente con Pane, con Esculapio e con Minerva, ne’ misteri de’ quali era segretamente iniziato, e de’ quali adorava le abbattute statue nella devota persuasione che il Filosofo, ch’è un cittadino dell’Universo, dovesse essere il sacerdote [p. 354 modifica]delle sue varie divinità. A. 485-529 Un ecclisse del Sole annunciò la prossima di lui morte; e la sua vita con quella di Isidoro suo scolare153, compilate da due de’ loro più dotti discepoli, presentano una deplorabil pittura della seconda puerizia della ragione umana. Pure l’aurea catena, com’era enfaticamente chiamata, della successione Platonica continuò per altri quarantaquattro anni, dalla morte di Proclo fino all’Editto di Giustiniano154, che impose un perpetuo silenzio alle scuole d’Atene, ed eccitò il dispiacere e lo sdegno de’ pochi che vi rimanevano devoti della scienza e della superstizione greca. Sette amici e filosofi, Diogene, Ermia, Eulalio, Prisciano, Damascio, Isidoro e Simplicio, che dissentivano dalla Religione del loro Sovrano presero la risoluzione di cercare in un Paese straniero quella libertà, che loro negavasi nella propria Patria. Essi avevano udito dire, ed avevan bonariamente creduto, che si fosse realizzata la Repubblica di Platone nel dispotico Governo di Persia, che ivi regnasse un Re patriottico sulla più felice e virtuosa delle Nazioni. Ma restaron ben presto sorpresi quando in fatti trovarono, che la Persia era simile agli altri paesi del globo; che Cosroe, il quale affettava il nome di Filosofo, era vano, crudele ed ambizioso: che frai Magi dominava la bacchettoneria e lo spirito d’intolleranza; che i Nobili eran superbi, i Cortigiani servili, ed i Magistrati ingiusti; che il reo talvolta fug[p. 355 modifica]giva la pena, e che l’innocente soventi fiate era oppresso. Defraudati i Filosofi nella loro espettativa, trascurarono le reali virtù de’ Persiani, e furono scandalizzati più di quel che forse conveniva alla lor professione, della plurità delle mogli e concubine, de’ matrimoni incestuosi, e dell’uso di lasciar esposti i cadaveri a’ cani ed agli avvoltoi, invece di seppellirli sotto terra o di consumarli col fuoco. Un precipitoso ritorno dimostrò il lor pentimento, e dichiararono altamente che sarebber piuttosto morti su’ confini dell’Impero, che goder la ricchezza ed il favore del Barbaro. Da questo viaggio nonostante essi trassero un vantaggio, che riflette il lustro più puro sul carattere di Cosroe. Ei domandò, che i sette Savi che avevan visitato la Corte di Persia, fossero liberi dalle leggi penali, che Giustiniano avea fatte contro i Pagani suoi sudditi; e tal privilegio, espressamente stipulato in un trattato di pace, fu mantenuto, attesa la vigilanza d’un potente mediatore155. Simplicio ed i suoi compagni terminaron la vita in pace e nell’oscurità; e non avendo lasciato discepoli, finisce in essi la lunga lista de’ Filosofi Greci, che nonostanti i loro difetti possono giustamente lodarsi come i più saggi e virtuosi fra’ loro contemporanei. Gli scritti di Simplicio tuttavia esistono: i suoi Commentari fisici e metafisici sopr’Aristotele col tempo sono andati in disuso, ma la sua interpretazione morale d’Epitteto si conserva [p. 356 modifica]nelle Biblioteche delle Nazioni come un libro classico il più acconcio a diriger la volontà, a purificare il cuore ed a consolidar l’intelletto, mediante una giusta fidanza nella natura tanto di Dio quanto dell’uomo.

[A. 541] Verso quel tempo, in cui Pitagora inventò il nome di Filosofo, ebbe origine in Roma da Bruto il vecchio la libertà ed il Consolato. Nella presente Storia si sono a’ suoi luoghi esposte le rivoluzioni dell’ufizio Consolare che può risguardarsi ne’ successivi aspetti d’un corpo reale, d’un’ombra e d’un nome. I primi Magistrati della Repubblica erano stati eletti dal Popolo per esercitare nel Senato e nel Campo i diritti della pace e della guerra, che poi si trasferirono negl’Imperatori; ma la tradizione dell’antica dignità fu per lungo tempo rispettata da’ Romani e da’ Barbari. Un Istorico Goto applaudisce il Consolato di Teodorico quasi l’apice d’ogni temporal gloria e grandezza156; l’istesso Re d’Italia si congratula con quegli annui favoriti della fortuna, che godevano lo splendore senza le cure del Trono; ed in capo a mille anni si creavano tuttavia da’ Sovrani di Roma e di Costantinopoli due Consoli al sol oggetto di dare una data all’anno ed una festa al Popolo. Ma le spese di questa festa, nelle quali l’opulento e vano titolare aspirava a sorpassare i suoi predecessori, appoco appoco s’accrebbero sino all’enorme somma di ottantamila lire sterline; i Senatori più saggi evitavano un inutile onore che portava seco la certa rovina delle loro Famiglie; ed a questa ripugnanza attribuirei le frequenti lacune [p. 357 modifica]che si trovano negli ultimi tempi de’ Fasti consolari. I Predecessori di Giustiniano avevano sostenuto col pubblico tesoro la dignità de’ candidati meno ricchi; ma l’avarizia di questo Principe antepose il meno dispendioso e più conveniente metodo dell’ammonizione e della regola157. Al numero di sette Processioni o spettacoli il suo Editto limitava le corse di cavalli e di cocchi, i divertimenti atletici, la musica ed i pantomimi del teatro, la caccia delle fiere; e piccole monete d’argento furono prudentemente sostituite alle medaglie d’oro che avevano sempr’eccitato il tumulto e l’ebrietà, quando venivano sparse a larga mano fra la plebe. Nonostanti queste precauzioni ed il suo proprio esempio, cessò finalmente la successione de’ Consoli nell’anno decimo terzo di Giustiniano, il carattere dispotico del quale probabilmente gradì la tacita estinzione di un titolo, che rammentava a’ Romani la antica lor libertà158. Pure tuttavia sussisteva il Consolato annuo nelle menti del Popolo; esso ansiosamente aspettava la pronta di lui restaurazione; applaudì alla graziosa condiscendenza de’ successivi Principi, da’ quali fu assunto nel primo anno del loro Regno; e passarono dopo la morte di Giustiniano tre secoli, prima che quell’antiquata dignità, ch’era stata [p. 358 modifica]già soppressa dall’uso, potesse abolirsi per Legge159. All’imperfetta maniera di distinguere ogni anno col nome d’un Magistrato, fu vantaggiosamente supplito con la data d’un’Era permanente: i Greci adottarono la creazione del Mondo, secondo la version de’ Settanta160, ed i Latini, dal Secolo di Carlo Magno in poi, hanno computato il lor tempo dalla nascita di Cristo161. [p. 359 modifica]

Note

  1. S’incontra qualche difficoltà nella data della sua nascita (Ludewig. in vita Justiniani p. 125), ma non ve n’è alcuna rispetto al luogo, che fu nel Distretto di Bederiana il villaggio Tauresio, ch’egli di poi decorò col suo nome e splendore (Danville Hist. de l’Acad. sc. Tom. XXXI p. 287, 292).
  2. I nomi di questi contadini Dardani son Gotici, e quasi Inglesi: Giustiniano è una traduzione d’Uprauda (upright, giusto); suo padre Sabazio (che nel linguaggio Greco barbaro significa stipes) nel suo villaggio si chiamava Istock (Stock, Stipite); sua madre Bigleniza fu convertita in Vigilantia.
  3. Il Ludewig (p. 127, 135) tenta di giustificare il nomeAnicio di Giustiniano e di Teodora, e d’unirli a quella Famiglia, da cui si è fatta discendere anche la Casa d’Austria.
  4. Vedi gli Aneddoti di Procopio (c. 5) con le note di N.-Alemanno. Il Satirico non avrebbe dovuto confondere nella generica e decente denominazione di γεοργος (agricoltore) il Βουκολος e συφαρβος (condottiere di bovi e di porci) di Zonara. Sebbene perchè mai questi nomi sono disonoranti? Qual Barone Tedesco non si glorierebbe di discendere dall’Eumeo dell’Odissea? A tale oggetto affidossi un liberal donativo per comprare il suffragio delle guardie, in mano del loro Comandante.
  5. Son lodate le sue virtù da Procopio (Persic. L. 1, c. 11). Il Questor Proclo era amico di Giustiniano, e nemico di qualunque altra adozione.
  6. Manichea significa Eutichiana. Si odano le furiose acclamazioni di Costantinopoli e di Tiro: le prime, non più di sei giorni dopo la morte d’Anastasio, cagionarono la morte dell’Eunuco, le seconde vi fecero applauso (Baron. An. 518 P. II n. 15. Fleury Hist. Eccl. Tom. VII pag. 200, 205 dietro la Collezione de’ Concilj Tom. V pag. 182, 207).
  7. Il Conte di Buat (Tom. IX p. 54, 81) spiega a maraviglia la potenza, il carattere e le intenzioni di esso. Egli era pronipote d’Aspar, Principe ereditario nella Scizia minore, e Conte de’ Confederati Gotici di Tracia. I Bessi, sopra quali esso poteva influire, sono i Goti minori di Giornandes (c. 51).
  8. Justiniani Patricii factione dicitur interfectus fuisse (Victor. Tununens. Chron. in Thesaur. Temp. Scalig. P. II p. 7). Procopio (Anecdot. c. 7) lo chiama tiranno, ma riconosce l’ αδελφοπιστια (Fede fraterna), che bene si spiega dall’Alemanno.
  9. Nella sua prima Gioventù (plane adolescens) era stato qualche tempo come in ostaggio presso Teodorico. Intorno a questo curioso fatto, l’Alemanno (ad Procop. Anecdot. c. 9 p. 34 della prima Ed.) cita un’Istoria MS. di Giustiniano, fatta da Teofilo suo precettore. Il Ludewig (p. 143) brama di farne un soldato.
  10. Si vedrà in seguito l’Istoria Ecclesiastica di Giustiniano. Vedi Baronio An. 518, 521 ed il copioso articolo Justinianus nell’indice del Tomo VII de’ suoi Annali.
  11. Si può trovare descritto il Regno di Giustino il Vecchio nelle tre Croniche di Marcellino, di Vittore, e di Gio. Malala (Tom. II p. 130, 150) l’ultimo de’ quali (malgrado l’Hody, Prolegom. n. 14, 39 Edit. Oxon.) visse subito dopo Giustiniano (Osservazioni di Jortin Tom. IV p. 383), nella Storia Ecclesiastica d’Evagrio (l. IV c. 1, 2, 3, 9), nell’Excerpta di Teodoro Lettore (n. 37), presso Cedreno (p. 362, 366) e Zonara (l. XVI p. 58, 61), che può passare per originale.
  12. Si vedano i caratteri di Procopio e d’Agatia presso la Mothe le Vayer (Tom. VIII p. 144, 174), Vossio (De Historicis Graecis l. II c. 22) e Fabricio (Biblioth. Graecis l. V c. 5 Tom. VI p. 248, 278). La religione di essi, ch’è un onorevol problema, alle occasioni dimostra della conformità, con un segreto attacco al Paganesimo ed alla Filosofia.
  13. Ne’ primi sette libri, destinati due alla guerra Persiana, due alla Vandalica, e tre alla Gotica, Procopio ha preso la divisione delle Province e delle guerre da Appiano. L’ottavo libro, quantunque porti il nome di Gotico, non è che un miscellaneo e general supplemento fino alla Primavera dell’anno 553, dal qual tempo fino al 559 vien continuato da Agatia (Pagi Critic. an. 579 n. 5).
  14. Il destino letterario di Procopio è stato alquanto infelice. Primieramente i suoi libri de Bello Gothico furono involati da Leonardo Aretino, e pubblicati (in Foligno 1470 ed a Venezia 1471 presso Janson. Mattaire Annal. Typogr. Tom. I ediz. 2 p. 240, 304, 279, 299) in suo proprio nome (Vedi Voss. De Histor. latinis l. III c. 5 e la debole difesa del Giornale de’ Letterati di Venezia Tom. XIX p. 207); 2. ne furon mutilate le opere da’ primi suoi traduttori Latini, Cristofano Persona (Giornale Tom. XIX p. 340, 348), e Raffaello Volterrano (Huet de Clar. Interpr. p. 166), i quali non consultaron neppure i manoscritti della Libreria Vaticana, di cui essi eran Prefetti (Alemann. in Praefat. Anecdot); 3. Il testo Greco non fu stampato che nel 1607 dall’Hoeschelio d’Augusta (Diction. de Bayle Tom. II p. 782); 4. L’edizione di Parigi fu eseguita imperfettamente da Claudio Maltret, Gesuita di Tolosa (nel 1663), molto lontano dalla stamperia del Louvre, e da’ manoscritti Vaticani, dai quali però egli ottenne alcuni supplementi. I Commentari ec. ch’esso promise, non son mai comparsi alla luce. L’Agatia di Leida (1594) fu saviamente ristampato dall’Editore Parigino con la versione latina di Bonaventura Vulcanio, dotto interprete (Huet. p. 176).
  15. Agat. in Praef. p. 7, 8 l. IV p. 137, Evagrio (l. IV c. 12). Vedasi anche Fozio Cod. LXIII p. 65.
  16. Κυρου παιδεια l’Istituzion di Ciro (dice nella Pref. ad libr. de Aedificiis περι κτισματων) non è altro che Κυρου παιδια (una puerizia di Ciro) giuoco di parole! In questi cinque libri Procopio affetta uno stile cristiano, ugualmente che cortigiano.
  17. Procopio si scuopre nella Prefaz. ad Anecdot. c. 1, 2, 5, e gli Aneddoti stessi da Suida (Tom. III p. 186 Edit. Kuster) si contano per il IX libro. Il silenzio d’Evagrio è una meschina obbiezione. Il Baronio (An. 548 n. 24) compiange la perdita di questa storia segreta; eppure trovavasi allora nella libreria Vaticana, sotto la custodia di lui medesimo, e fu per la prima volta pubblicata, sedici anni dopo la sua morte, con le dotte, ma parziali note di Niccolò Alemanno (Lione 1623).
  18. Giustiniano si rappresenta come un asino.... come una perfetta imagine di Domiziano (Anecd. c. 8).... gli amanti di Teodora cacciati fuori del suo letto da’ demonj loro rivali... il matrimonio di lui predetto da un gran demonio... un monaco vide il principe de’ demonj sul trono in luogo di Giustiniano... i servi, che facevan la guardia, videro una faccia senza fattezze umane, un corpo che camminava senza testa ec. ec. Procopio manifesta la fede ch’egli ed i suoi amici prestavano a queste diaboliche storie (c. 12).
  19. Montesquieu (Considerat. sur la Grand. et la decad. des Romains c. 20) dà fede a questi Aneddoti come coerenti, 1. alla debolezza dell’Impero, 2. all’incostanza delle Leggi di Giustiniano.
  20. Quanto alla vita ed a’ costumi dell’Imperatrice Teodora, vedi gli Aneddoti, specialmente cap. 1, 5, 9, 10, 15, 16, 17 con le dotte note dell’Alemanno: citazione, che sempre si dee sottintendere.
  21. Comitone fu dipoi maritata a Sitta Duca d’Armenia, che fu probabilmente il padre dell’Imperatrice Sofia, o almeno essa potè esserne la madre. I due nipoti di Teodora possono esser figli d’Anastasia (Aleman. p. 30, 31).
  22. Ne fu innalzata la statua in Costantinopoli sopra una colonna di porfido. Vedi (Procop. de aedif. l. I c. 11, che ne fa pure il ritratto negli Aneddoti (c. 10). L’Alemanno (p. 57) ne produce uno, tratto da un Mosaico di Ravenna, carico di perle e di gioie, e nonostante bello.
  23. Un frammento degli Aneddoti (c. 19) un poco troppo nudo fu soppresso dall’Alemanno sebben esistesse nel manoscritto Vaticano: nè tal difetto è stato supplito nell’edizione di Parigi e di Venezia. La Mothe le Vayer (Tom. VIII. p. 155) diede il primo cenno di questo curioso e genuino passo (Iortin Osservaz. Tom. IV. p. 366) ch’egli aveva ricevuto da Roma, e dopo è stato pubblicato nelle Menagiane (Tom. III p. 254-259) con una traduzione Latina.
  24. Dopo di aver ricordato ch’essa portava un picciolo cinto, poichè nessuno potea comparire affatto nudo in teatro, Procopio soggiugne αναπεπεσυια.
     Ho udito a dire che un dotto prelato, che or più non vive, era vago di citar questo passo nelle brigate.
  25. Teodora sorpassò la Crispa di Ausonio (Ep. 4, XXI) dalla quale imitava il capitalis luxus delle donne di Nola. Vedi Quintil. Institut. VIII, 6 e Torrenzio ad Hor. Germ. l. 1 Sat. 2 v. 10l. 1n una memorabil cena, trenta di poi schiavi servivano a tavola: dieci giovinetti banchettavano con Teodora.La sua carità fu universale. Et lassata viris, necdum satiata, recessit.
  26. Ηος κεκ’ τοιων
     Ella desiderava un quarto altare su cui potesse offrire libazione al Dio d’amore.
  27. Anonym. De Antiquit. CP. L. III, 132 ap. Banduri Imper. Orient. Tom. I p. 48. Il Ludveigio (p. 754) arguisce con ragione, che Teodora non avrebbe voluto rendere immortale un bordello: ma io applico questo fatto alla seconda sua più casta dimora in Costantinopoli.
  28. Vedi l’antica legge nel Codice di Giustiniano (Lib. V Tit. 5 leg. 7 Tit. XXVII leg. 1) sotto gli anni 336 e 454. Il nuovo Editto (circa l’anno 521 o 522 Aleman, pag. 38, 96) molto sconciatamente non rammenta che la clausola di Mulieres Scenicae, libertinae, tabernaciae. Vedi le Novelle 89 e 117 ed un rescritto Greco, da Giustiniano diretto ai Vescovi (Aleman. p. 41).
  29. Io giuro per il Padre ec. per la Vergine Maria, per i quattro Evangeli quae in manibus teneo, o per i santi Arcangeli Michele e Gabriele, puram conscientiam, germanumque servitium me servaturum Sacratissimis DD. NN. Justiniano, et Theodorae conjugi ejus (Novell. VIII Tit. 3). Avrebb’egli obbligato questo giuramento in favor della vedova? Communes tituli et triumphi ec. (Alemann. pag. 27 ec.).
  30. „La riconosca la grandezza, ed essa non è più vile„ ec.
     Senza il critico telescopio di Warburton, io non avrei mai ravvisato in questa general pittura del vizio trionfante, alcuna personale allusione a Teodora.
  31. Le sue prigioni, caratterizzate per un laberinto, ed un Tartaro (Anecdot. c. 4), erano sotto il Palazzo. L’oscurità favorisce la crudeltà, ma è favorevole ugualmente alla calunnia ed alla finzione.
  32. A Saturnino fu data una pena più giocosa, per avere ardito dire, che la sua moglie, favorita dell’Imperatrice, non era stata trovata ατρητος (Anecdot. c. 17).
  33. Per viventem in saecula excoriari te faciam. Anastas. de Vitis Pont. Roman. in Vigilio p. 40.
  34. Ludevig p. 161, 166. Io gli do fede per il caritatevole tentativo, sebbene egli non abbia molta carità nel suo carattere.
  35. Si paragonino gli Aneddoti (c. 17) con gli Edifizi (l. 1 c. 9). Quanto diversamente si può esporre il medesimo fatto! Gio. Malala (Tom. II p. 174, 175) osserva, che in questa o in altra simile occasione essa liberò e rivestì le ragazze, che aveva comprato da’ lupanari a cinque aurei l’una.
  36. Novell. VIII. 1. S’allude al nome di Teodora. I suoi nemici però leggevano Daemonodora (Aleman. p. 66).
  37. S. Saba ricusò di pregare affinchè Teodora avesse un figlio, per timore che questo non divenisse un eretico peggiore d’Anastasio medesimo (Cyrill. in Vita. S. Sabae ap. Aleman. p. 70, 109).
  38. Vedi Gio. Malala Tom. II p. 174. Teofane p. 158. Procopio de Aedific. l. V c. 3.
  39. Theodora Calcedonensis Synodi inimica canceris plaga toto corpore perfusa vitam prodigiose finivit (Victor Tununensis in Chronic.). In tali occasioni una mente ortodossa s’indura contro la compassione. L’Alemanno (p. 12, 13) prende quelle parole di Teofane ὲυσεβως ὲκοιμηβη (piamente morì) per un linguaggio civile, che non indica nè pietà nè sentimento: pure due anni dopo la sua morte Paolo Silenziario (in Prooem. v. 58, 62) celebra S. Teodora.
  40. Poichè essa perseguitò i Papi, e rigettò un Concilio, il Baronio esaurisce i nomi di Eva, di Dalila, d’Erodiade ec. dopo di che ricorre al suo dizionario infernale civis inferni, alumna daemonum, satanico agitata spirita, aestro percita diabolico ec. (An. 548 n. 24).
  41. Si legga, e si gusti il libro XXIII dell’Iliade, viva pittura de’ costumi, delle passioni, di tutte le formalità, e dell’oggetto della corsa de’ cocchi. La dissertazione di West su’ Giuochi Olimpici (Sez. XII, XVII) somministra notizie molto curiose ed autentiche.
  42. I quattro colori Albati, Russati, Prasini, e Veneti secondo Cassiodoro (Var. III, 51) che sparge molto spirito ed eloquenza su questo teatral mistero, rappresentano le quattro stagioni. Di questi possono i primi tre ben tradursi Bianco, Rosso, e Verde. Il Veneto poi si spiega con ceruleo, parola di vario ed equivoco significato, che propriamente significa il cielo riflesso nel mare: ma l’uso ed il comodo può permettere di prender l’azzurro come un equivalente (Roberto Stefano a questo vocabolo, Spence Polymetis p. 228).
  43. Vedi Onofrio Panvinio de Ludis circensibus L. I c. 10, 11, l’annotaz. 17 all’Istoria de’ Germani di Mascovio, e l’Alemanno al c. 7.
  44. Marcellino in Chron. p. 47. Invece della comun voce Veneta usa i termini più ricercati di caerulea e caerealis. Il Baronio (an. 501 n. 4, 5, 6) è persuaso, che gli Azzurri fosser ortodossi, ma il Tillemont si sdegna contro tale supposizione, e nega che vi fosse alcun martire per causa di spettacoli (Hist. des Emper. Tom. VI p. 554).
  45. Vedi Procop. (Persic. l. 1 c. 24). Nel descrivere i vizi delle fazioni, e del Governo il pubblico Istorico non è loro più favorevole di quel che lo sia il privato. L’Alemanno (p. 26) ha citato un bel passo di Gregorio Nazianzeno, che prova, che il male era inveterato.
  46. Attestano la parzialità di Giustiniano per gli Azzurri (Anecdot. c. 7), Evagrio (Hist. Eccl. l. IV c. 32), Giovanni Malala (T'om. II p. 138, 139) specialmente per Antiochia, e Teofane (p. 142).
  47. Una donna (dice Procopio) ch’era stata afferrata, e quasi violata da una truppa di Azzurri, si gettò nel Bosforo. I Vescovi della seconda Siria (Aleman. p. 26) deplorano tal suicidio, la colpa o la gloria della femminil castità, e nominano l’Eroina.
  48. Il dubbioso credito di Procopio (Anecd. c. 17) viene sostenuto dalla meno parzial testimonianza d’Evagrio, che conferma il fatto, e specifica fino i nomi. Il tragico destino del Prefetto di Costantinopoli si riferisce da Giovanni Malala (Tom. II p. 139).
  49. Vedi Gio. Malala (Tom. II p.47). Anch’egli confessa, che Giustiniano era attaccato agli Azzurri. L’apparente discordia dell’Imperatore con Teodora vien risguardata forse con troppa gelosia e sottigliezza da Procopio (Anecdot. c. 10). Vedi Alemann. Pref. p. 6.
  50. Questo dialogo, che ci è stato conservato da Teofane, dà un saggio del linguaggio popolare, ugualmente che dei costumi di Costantinopoli nel VI secolo. Il Greco di quel tempo è mescolato con molte parole forestiere e barbare, delle quali, il Du-Cange non sempre sa trovare il significato, o l’etimologia.
  51. Vedi questa Chiesa e Monastero presso il Du-Cange CP. Christiana l. IV p. 182.
  52. L’istoria della sedizione Nika è tratta da Marcellino (in Chron.), da Procopio (Persic. l. 1 c. 26), da Giovanni Malala (T. II p. 213, 218), dalla Cronica Pasquale (p. 336, 340), da Teofane (Chronograph. p. 154, 158) e da Zonara (L. XVI p. 61, 63).
  53. Marcellino dice in termini generali; Innumeris populis in Circo trucidatis. Procopio numera trentamila vittime, ed i 35,000 di Teofane s’accrescono fino a 40,000 dal più recente Zonara. Tale ordinariamente è il progresso dell’esagerazione.
  54. Jerocle, contemporaneo di Giustiniano, compose il suo Συνδεχμος (Itinerar. p. 631), o notizia delle Province e Città Orientali, prima dell’anno 535 (Wesseling. in Praefat. et not. ad p. 623 ec.).
  55. Vedi il Libro della Genesi (XII, 10) e l’amministrazione di Giuseppe. Gli annali de’ Greci convengono con quelli degli Ebrei, quanto all’antichità delle arti, e dell’abbondanza d’Egitto: ma quest’antichità suppone una lunga serie di progressi: e Warburton, ch’è quasi oppresso dalla Cronologia Ebrea, ricorre alla Samaritana (Divin. Legat. Tom. III p. 29 ec.)
  56. Otto milioni di modj Romani, oltre una contribuzione di 80,000 aurei per le spese del trasporto per mare, da cui furono i sudditi graziosamente liberati. Vedi l’Editto XIII di Giustiniano; i numeri sono determinati e verificati dall’accordo de’ Testi Greco e Latino.
  57. Iliad, VI, 289. Quei veli di vari colori, πεπλοι παμποικιλοι eran opere delle donne Sidonie. Ma questo passo fa più onore alle manifatture che alla navigazione della Fenicia, donde s’erano trasportate a Troia in navi Frigie.
  58. Vedi in Ovidio (de art. amandi III 269 ec.) una lista poetica di dodici colori tratti da’ fiori, dagli elementi ec. Ma è quasi impossibile distinguere con parole tutte le delicate e varie specie sì dell’arte che della natura.
  59. Mediante la scoperta della cocciniglia ec. noi di gran lunga sorpassiamo i colori degli antichi. La loro porpora Reale aveva un forte odore, ed un coloro scuro come il sangue di toro; Obscuritas rubens (dice Cassiodoro Var. I 2), nigredo sanguinea. Il Presidente Goguet (Origine des Loix et des Arts P. II L. 2 c. 2 p. 184, 215) diletta e soddisfa il Lettore. Io dubito se il suo libro, specialmente in Inghilterra, sia tanto noto quanto merita.
  60. Si sono in altre occasioni accennate le prove istoriche di tal gelosia, e se ne sarebbero potute addurre molte di più, ma gli atti arbitrari del dispotismo venivan giustificati dalle sobrie e generali dichiarazioni della Legge (Cod. Teodos. Lib. X Tit. 21 Leg. 3 Cod. Giustin. Lib. XI Tit. 8 Leg. 5). Se ne fece una necessaria restrizione, ed una permissione umiliante rispetto alle mime o alle ballerine (Cod. Teod. Lib. XV Tit. VII Leg. 11).
  61. Nell’istoria degl’Insetti (molto più maravigliosa che le metamorfosi d’Ovidio) il baco da seta tiene un posto distinto. Il Bombice dell’Isola di Ceos, quale vien descritto da Plinio (Hist. Nat. XI, 26, 27 con le note de’ dotti Gesuiti Arduino, e Brotier) può illustrarsi mediante una simile specie, che si trova nella China (Memoires sur les Chinois. Tom. II p. 575, 598): ma il nostro baco da seta, ugualmente che il gelso bianco, non eran noti a Teofrasto, nè a Plinio.
  62. Georgic. II, 121. Serica quando venerint in usum planissime non scio; suspicor tamen in Julii Caesaris aevo, nam ante non invenio, dice Giusto Lipsio (Excursus I ad Tacit. Annal. II, 32). Vedi Dione Cassio (Lib. XLIII p. 358 Edit. Reimar.) e Pausania (Lib. VI p. 519), il primo che descriva, sebbene stranamente, l’insetto Chinese.
  63. Tam longinquo orbe petitur, ut in publico matrona transluceat.... ut denudet foeminas vestis (Plin. VI, 20. XI, 21). Varrone, e Publio Siro avevano già scherzato sulla Toga vitrea, ventus textilis, et nebula linea (Horat. Sermon I, 2, 101 con le note del Torrent e di Dacier).
  64. Sopra la tessitura, i colori, i nomi e l’uso degli ornamenti di seta, di mezza seta e di lino dell’antichità vedansi le diffuse, profonde ed oscure ricerche del gran Salmasio (in Hist. August. p. 127,309, 310, 339, 341, 342, 344, 338, 391, 395, 513), che però non conosceva il più comune commercio di Digione, o di Leida.
  65. Flavio Vopisco in Aurelian. c. 45 in Hist. Aug. p. 224 Vedi Salmas. ad Hist. Aug. p. 392 e Plinian. Exerc. in Solinum p. 694, 695. Gli Aneddoti di Procopio (c. 25) fissano in modo parziale ed imperfetto il prezzo della seta al tempo di Giustiniano.
  66. Procopio de Aedif. l. III c. 1. Queste Pinne di mare si trovano vicino a Smirne, in Sicilia, in Corsica, ed in Minorca: e fu presentato al Pontefice Benedetto XIV un par di guanti di questa sorte di seta.
  67. Procopio Persic. Lib. I c. 20. Lib. II c. 25 Gothic. l. IV c. 17. Menandro in Excerpt. Legat. p. 107. Isidoro de Charax (in Stathmis Parthicis p. 7, 8 ap. Hudson Geogr. minor. Tom. II) ha notato le strade, ed Ammiano Marcellino (Lib. XXIII c. 6 p. 400) ha enumerato le Province dell’Impero Panico e Persiano.
  68. La cieca ammirazione de’ Gesuiti confonde i differenti periodi della Storia Chinese. Questi vengono con maggiore critica distinti dal Guignes (Hist. des Huns Tom. I p. I nelle Tavole, Part. 2 nella Geografia; Mem. de l’Academ. des Inscript. Tom. XXXII, XXXVI, XLII, XLIII) che scuopre il successivo progresso della verità degli annali e della estensione della Monarchia, fino all’Era Cristiana. Egli con occhio curioso ha cercato le connessioni della nazion Chinese con le Occidentali: ma queste son tenui, oscure; nè avrebbero i Romani mai sospettato, che i Seri, o Chinesi possedessero un Impero non inferiore al loro.
  69. Si possono investigare le strade dalla China alla Persia ed all’Indostan nelle relazioni di Hackluyt, e Thevenot, degli ambasciatori di Sharokh, d’Antonio Ienkinson, del P. Greuber ec. Vedi anche i viaggi d’Hanmay Vol. I p. 345, 357. Ultimamente si è tentata una comunicazione per mezzo del Tibet dagl’Inglesi Sovrani di Bengala.
  70. Intorno alla Navigazione Chinese fino a Malacca ed Achin, e forse fino a Ceylan, vedi Renaudot (sopra i due viaggiatori maomettani p. 8, 11, 13, 17, 141, 157), Dampier (Vol. II pag. 136), l’Istoria filosofica delle due Indie (Tom. I p. 98), e l’Istoria generale de’ viaggi (Tom. VI p. 201).
  71. La cognizione o piuttosto l’ignoranza di Strabone, di Plinio, di Tolomeo, d’Arriano, di Marciano ec. rispetto alle regioni orientali del Capo Comorin è dottamente illustrata dal Danville (Antiquité Geographique de l’Inde, specialmente a p. 161, 198). Si è migliorata la nostra Geografia dell’Indie per mezzo del commercio e della conquista: e si è schiarita dall’eccellenti Carte e Memorie del Maggior Rennel. S’egli estende la sfera delle sue ricerche con la medesima critica, sagacità e cognizione, succederà e forse sarà preferibile al primo fra’ moderni Geografi.
  72. La Taprobana di Plinio (VI 24), di Solino (c. 53), di Salmasio (Plinian. Exercit. pag. 781, 782), e della maggior parte degli Antichi, i quali spesso confondono le Isole di Ceylan e di Sumatra, viene più chiaramente descritta da Cosimo Indicopleuste. Pure anche il Topografo Cristiano ne ha esagerato le dimensioni. Le notizie, che dà sul commercio Indiano e Chinese, son rare e curiose (l. II p. 138 L. XI 337, 338. Edit. Montfaucon).
  73. Vedi Procopio (Persic. L. II c. 20). Cosimo somministra interessanti notizie intorno al porto, ed all’iscrizione d’Aduli (Topograph. Christ. l. II p. 138, 140, 143) ed al commercio degli Assumiti lungo le coste affricane della Barberia o Zingi (p. 138, 139) fino a Taprobana (Lib. XI p. 339).
  74. Vedi le missioni Cristiane all’Indie presso Cosimo (L. III p. 178, 179 L. XI p. 337), e si consulti Asseman. Bibliothec. Orient. Tom. IV p. 413, 548).
  75. L’invenzione, la manifattura, e l’uso generale della seta nella China si può vedere presso il Duhalde (Description generale de la Chine Tom. II p. 165, 205, 223). La Provincia di Chekian è la più rinomata, sì per la quantità, che per la qualità di essa.
  76. Procopio (L. VIII Gothic. IV c. 17), Teofane Bizantin. (ap. Phot. Cod. LXXXIV p. 38), Zonara (T. II l. XIV p. 69). Il Pagi, (Tom. II p. 602) pone all’anno 552 questo memorabil trasporto. Menandro (in Excerpt. Leg. p. 107) riferisce l’ammirazione de’ Sogdoiti: e Teofilatto Simocatta (L. VII c. 9) oscuramente presenta i due regni rivali nella China, Paese della seta.
  77. Cosimo, soprannominato Indicopleuste, o sia il Navigatore Indiano, fece il suo viaggio verso l’anno 522; e fra gli anni 535 e 547 compose in Alessandria la Topografia Cristiana (Montfaucon Praef. c. 1), nella quale confuta la empia opinione, che la terra sia un globo: e Fozio aveva letto quest’Opera (Cod. XXXVI p. 9, 10) che dimostra i pregiudizi d’un Monaco, uniti alla cognizione d’un Mercante: la parte più valutabile di essa fu pubblicata in francese ed in greco da Melchisedec Thevenot (Rélations curieuses P. 1) e dipoi tutta insieme in una splendida Edizione dal P. Montfaucon (Nova collectio Patrum. Paris, 1707 2 Vol. in fol. Tom. II p. 113, 346). Ma l’Editore, ch’era Teologo, arrossirebbe di non avere scoperto in Cosimo la eresia Nestoriana, che si è svelata dal La Croze (Christianisme des Indes Tom. I p. 40, 56).
  78. Evagrio (L. III c. 39, 40) è minuto e grato, ma si irrita contro Zosimo, perchè calunnia il gran Costantino. L’umanità d’Anastasio fu diligente ed artificiosa nel raccogliere tutte le circostanze e le memorie di quella tassa: i Padri per pagarla venivano talvolta costretti a prostituire le loro figlie (Zosimo Histor. L. II c. 38 p. 165, 166 Lipsiae 1784). Timoteo di Gaza prese un avvenimento di questa specie per soggetto d’una tragedia (Suida Tom. III p. 475) che contribuì a fare abolire il tributo (Cedreno p. 35). Felice esempio (se è vero) dell’utilità del Teatro.
  79. Vedi Giosuè Stilite nella Biblioteca Orient. dell’Assemanno (Tom. I p. 268). Di questa tassa di Capitazione fa leggiermente menzione la Cronica d’Edessa.
  80. Procopio stabilisce questa somma (Anecd. c. 19) sulla relazione de’ Tesorieri medesimi. Tiberio aveva vicies ter millies: ma il suo Impero era assai diverso da quello d’Anastasio.
  81. Evagrio (L. IV c. 30) nella seguente generazione era moderato e bene istruito: e Zonara (Lib. XIV c. 61) nel XII secolo aveva letto attentamente, e pensato senza prevenzione: pure i loro colori son quasi così neri come quegli degli Aneddoti.
  82. Procopio (Anecd. c. 30) riferisce le oziose congetture di quel tempo. La morte di Giustiniano, dice l’Istorico segreto, manifesterà la sua ricchezza, o povertà.
  83. Vedi Corippo De Laudib. Justini Aug. L. II 260 ec. 304 ec.

    Plurima sunt vivo nimium neglecta parenti,
    Unde tot exhaustus contraxit debita Fiscus.

    Si portarono da robuste braccia nell’Ippodromo delle centinaia di libbre d’oro; Debita genitoris persolvit, cauta recepit.

  84. Gli Aneddoti (c. 11, 14, 18, 20, 30) somministrano molti fatti, e più querele.
  85. Un centinaio ne fu rimesso a Scitopoli, Capitale della seconda Palestina, e dodici al rimanente della Provincia. L’Alemanno (p. 59) produce onestamente questo fatto rilevato da una vita manoscritta di S. Saba composta da Cirillo di lui discepolo, ch’era nella Libreria Vaticana, e poi fu pubblicata dal Cotelerio.
  86. Gio. Malala (Tom. II p. 232) parla della mancanza del pane, e Zonara (L. XIV pag. 63) de’ tubi di piombo, che Giustiniano, o i suoi Ministri tolsero dagli acquedotti.
  87. Per un Aureo, ch’era la sesta parte d’un oncia di oro, invece di 210 folli, o sia once di rame, ne diede solamente 180. Una sproporzione del valore della moneta sotto il prezzo comune, doveva tosto produrre una scarsità nella moneta bassa. In Inghilterra dodici soldi in moneta di rame non si venderebbero più di sette soldi (Smith Ricerche sulla ricchezza delle Nazioni Vol. I p. 49). Quanto alla moneta d’oro di Giustiniano Vedi Evagrio L. IV c. 30.
  88. Il giuramento è concepito ne’ termini più formidabili (Novell. VIII Tit. 3). I trasgressori usano contro di se medesimi queste imprecazioni; quidquid habent telorum armamentaria Coeli, a partecipare l’infamia di Giuda, la lebbra di Giezi, il tremor di Caino ec. oltre tutte le pene temporali.
  89. Luciano (in Toxare c. 22, 23 Tom. II p. 530) riferisce un simile o anche più generoso atto d’amicizia d’Eudamida di Corinto; e tal istoria ha prodotto un’ingegnosa, ma debole commedia di Fontanelle.
  90. Gio. Malala Tom. II p. 101, 102, 103.
  91. Anatolio, uno di questi, perì in occasione d’un terremoto... senza dubbio per giusto giudizio di Dio! I lamenti e clamori del Popolo presso Agatia (L. V p. 146, 147) fanno quasi eco agli Aneddoti. L’aliena pecunia reddenda di Corippo (L. II, 381 ec.) non è molt’onorevole per la memoria di Giustiniano.
  92. Vedi l’istoria ed il carattere di Giovanni di Cappadocia in Procopio (Persic. L. I c. 24, 25. L. II c. 30. Vandal. L. I c. 13. Anecd. c. 2, 17, 22). La concordanza della Istoria con gli Aneddoti è una mortal ferita per la riputazione del Prefetto.
  93. Ου γαρ αλλα ουδεν ες γραμματιστους φοιτων εμαθεν οτι μη γραμματιστα, και ταυτα κακα κακαως γραψαι... Niente altro imparò andando alla scuola che a scriver le lettere, e queste assai malamente); espressione molto forte.
  94. La cronologia di Procopio è incerta ed oscura; ma coll’aiuto del Pagi ho potuto distinguere, che Giovanni fu fatto Prefetto del Pretorio d’Oriente nell’anno 530, che fu deposto nel gennaio del 532, restituito prima del giugno 533, bandito nel 541 e richiamato fra ’l giugno 548 ed il primo d’aprile 549. L’Alemanno (p. 96, 97) dà la lista de’ dieci suoi successori: serie ben rapida in una porzione d’un solo regno.
  95. Quest’incendio s’accenna da Luciano (in Hippia c. 2) e da Galeno (L. III de Temperamentis Tom. I p. 81 Edit. Basil.) nel secondo secolo. Mille anni dopo viene positivamente affermato da Zonara (L. IX p. 424) sull’autorità di Dione Cassio, da Tzetze (Chiliad. II, 119 ec. ), da Eustazio (ad Iliad. Ep. 338) e dallo Scoliaste di Luciano. Vedi Fabricio (Bibl. Graec. L. III c. 22 Tom. II p. 551, 552) a cui son più o meno debitore di queste citazioni.
  96. Zonara (L. XIV p. 55) afferma il fatto senz’addurne alcuna prova.
  97. Tzetze descrive l’artifizio di questi specchi ustorj, che egli aveva letto, probabilmente con occhi non istruiti, in un Trattato matematico d’Antemio. Questo Trattato, περὶ παραδοξων μηχανηματων (delle macchine mirabili) si è ultimamente pubblicato, tradotto, ed illustrato da M. Dupuys, erudito e matematico (Memoires de l’Academie des Inscriptions Tom. LXII p. 392, 451).
  98. Nell’assedio di Siracusa dal silenzio di Polibio, di Plutarco e di Livio e nell’assedio di Costantinopoli da quello di Marcellino, e di tutti i contemporanei del VI secolo.
  99. Senz’alcuna previa cognizione di Tzetze o d’Antemio l’immortal Buffon immaginò, ed eseguì una serie di specchi ustorj, co’ quali potè infiammar delle tavole alla distanza di 200 piedi (Supplement a l’Hist. nat. Tom. I p. 330, 483. Edit. 4). Quali miracoli non avrebbe fatto il suo genio pel pubblico servizio a spese Reali, e col forte Sole di Costantinopoli o di Siracusa?
  100. Gio. Malala (Tom. II p. 120, 124) racconta il fatto: ma sembra, che confonda i nomi o le persone di Proclo e di Marino.
  101. Agatia Lib. V pag. 140, 152. Il merito di Antemio come Architetto vien sommamente innalzato da Procopio (de Aedif. Lib. I cap. 1), e da Paolo Silenziario (p. 1, 134 ec.).
  102. Vedi Procopio (De Aedif. L. I c. 1, 2 L. II c. 3). Ei riferisce una coincidenza di sogni, che suppone qualche frode in Giustiniano, o nel suo Architetto: ambidue videro in una visione l’istesso piano per fermare un’inondazione a Dara: fu rivelata all’Imperatore una cava di pietre vicina a Gerusalemme (L. V c. 6); e fu destinato un angelo alla perpetua custodia di S. Sofia (Anonym. de antiq. C. P. L. IV p. 70).
  103. Nella folla di Scrittori antichi e moderni, che hanno celebrato l’edifizio di S. Sofia, io distinguerò e seguirò: 1. Quattro Spettatori ed Istorici originali di esso, cioè Procopio (De Aedif. l. I c. 1), Agatia (L. V p. 152), Paolo Silenziario (in un Poema di 1026 Esametri ad calcem Annae Comnen. Alexiad.) ed Evagrio (L. IV c. 31): 2. Due leggende Greche più recenti, Giorgio Codino (De Orig. CP. p. 64, 74), e lo Scrittore anonimo del Banduri (Imp. Orient. Tom. I l. IV p. 65, 80): 3. Il grande Antiquario Bizantino Du-Cange (Comment. ad Paul. Silent. p. 525, 598 e CP. Christi L. III pag. 4, 78): 4. Due Viaggiatori Francesi, cioè Pietro Gillio (De Topograph. CP. L. II c. 3, 4) nel secolo XVI, e Grelot (Voyage de CP. p. 95, 164. Paris 1680 in 4). Quest’ultimo ha pubblicato anche le piante, i prospetti e le vedute interne di S. Sofia; ed i suoi disegni, quantunque di minor dimensione, sembrano più corretti di quelli del Du-Cange. Io ho adottato e ridotto le misure del Grelot; ma siccome nessun Cristiano può presentemente salir sulla cupola, l’altezza n’è presa da Evagrio paragonato con Gillio, con Greaves, e col Geografo Orientale.
  104. Il tempio di Salomone era circondato da Cortili, Portici ec. ma la pura fabbrica della Casa di Dio (se calcoliamo il cubito Egiziano o Ebreo a ragione di 22 pollici) non era più di 55 piedi alta, 36-2/3 larga, 110 lunga: Piccola Chiesa Parrochiale, dice Prideaux (Connection Vol. I p. 144 fol.): ma pochi Santuari potrebbero valutarsi quattro o cinque milioni di lire sterline.
  105. Paolo Silenziario in oscuro e poetico stile descrive la varie pietre e marmi, che s’impiegarono nell’edifizio di S. Sofia (P. II p. 129, 133 ec.), vale a dire, l. Il Caristio pallido con vene di ferro: 2. il Frigio di due sorti ambedue color di rosa, uno con ombreggiature bianche, l’altro purpuree con fiori d’argento: 3. il Porfido d’Egitto con piccole stelle; 4. Il marmo verde di Laconia: 5. il Cario del monte Jassi con vene obblique bianche e rosse: 6. il Lidio pallido con un fiore rosso: 7. L'Affricano o Mauritano d’un color d’oro, o di zafferano: 8. il Celtico nero con vene bianche: 9. il Bosforico bianco con punte nere. Oltre il Proconnesio, che formava il pavimento, il Tessalo, il Molossio ec. che son coloriti meno distintamente.
  106. I sei libri degli Edifizi di Procopio son distribuiti in tal modo: il primo si limita a Costantinopoli: il secondo include la Mesopotamia, e la Siria: il terzo l’Armenia, ed il Ponto Eussino: il quarto l’Europa: il quinto l’Asia minore, e la Palestina: il sesto l’Egitto e l’Affrica. L’Italia è omessa dall’Imperatore, o dall’Istorico, che pubblicò questa opera d’adulazione avanti l’epoca dell’intera conquista di essa (an. 555).
  107. Giustiniano diede una volta quarantacinque centinaia d’oro (180,000 lire Sterline) per la riparazione d’Antiochia dopo il terremoto (Gio. Malala Tom. II pag. 146, 149).
  108. Quanto all’Ereo, Palazzo di Teodora. Vedi Gillio (De Bosphoro Thrac. l. III c. 11.), l’Alemanno (Not. ad Anecd. p. 80, 81 che cita vari Epigrammi dell’Antologia), ed il Du-Cange (CP. Christ. L. IV c. 13 p. 175, 176).
  109. Si paragonino fra loro i diversi linguaggi dell’adulazione e della malevolenza negli Edifizi (L. I c. 11), e negli Aneddoti (c. 8, 15). Gli oggetti spogliati del belletto, o nettati dal fango compariscono i medesimi.
  110. Procopio L. VIII, 29. Era questa Balena probabilmente forestiera o vagante, mentre il Mediterraneo non suole nutrirne. Balenae quoque in nostra maria penetrant (Plin. Hist. Nat. IX, 2). Fra il cerchio polare, ed il tropico, gli animali cetacei dell’Oceano crescono fino alla lunghezza di 50, di 80 e di 100 piedi (Hist. des Voyages Tom. XV p. 289; Zoologia Britannica di Pennant Vol. III p. 35).
  111. Montesquieu (Observat. sur la Grand. et la Decad. des Romains c. 20 Tom. III p. 503) osserva, che l’Impero di Giustiniano, come la Francia nel tempo delle incursioni de’ Normanni, non fu mai tanto debole, come quando si fortificò ogni villaggio.
  112. Procopio afferma (l. IV c. 6), che il Danubio fu arrestato dalle rovine del Ponte. Se l’Architetto Apollodoro ci avesse lasciato una descrizione della sua opera, si sarebbero dalla genuina di lui pittura corrette le favolose maraviglie di Dione Cassio (L. XVIII pag. 129). Il Ponte di Traiano era composto di venti o ventidue pilastri di pietra con archi di legno: il fiume è poco profondo, la corrente non rapida, e l’intero spazio fra le due rive non è maggiore di 443 tese (Reimar ad Dion. coll’autorità del Marsigli) o di 515 (Danville Geogr. anc. Tom. I p. 305).
  113. Vale a dire sopra le due Dacie Mediterranea e Ripense, sopra la Dardania, la Prevalitana, la Mesia seconda, e la Macedonia seconda. Vedi Giustiniano, che parla (Novell. XI) delle sue Fortezze di là del Danubio, e degli homines semper bellicis sudoribus inhaerentes.
  114. Vedi Danville (Memoires de l’Acad. ec. Tom. XXXI p. 289, 290), Rycaut (Stato presente dell’Impero Turco pag. 97, 316), Marsigli (Stato milit. dell’Imp. Ottomano p. 150). Il Sangiacco di Giustendil è uno de’ venti sottoposti al Beglerbeg di Romelia; ed il suo distretto mantiene 48 Zaim e 588 Timariotti.
  115. Queste fortificazioni possono assomigliarsi ai castelli della Mingrelia (Chardin Voyag. en Perse Tom. I p. 60, 131), pittura ben naturale.
  116. La Valle di Tempe è situata lungo il fiume Penco, fra i colli d’Ossa e d’Olimpo; essa è lunga soltanto cinque miglia, ed in alcuni luoghi non e più larga di 120 piedi. Le sue verdeggianti bellezze sono elegantemente descritte da Plinio (Hist. Nat. l. IV, 15), e più diffusamente da Eliano (Hist. var. L. III c. 1).
  117. Zenofonte Hellenic. lib. III c. 2. Dopo una lunga e tediosa conversazione co’ declamatori Bizantini, quanto è piacevole la verità, la semplicità e l’eleganza d’un Attico Scrittore!
  118. Della lunga muraglia vedasi Evagrio (L. IV c. 38). Tutto quest’articolo è tratto dal quarto libro degli Edifizi, eccettuato Anchialo (L. III c. 7).
  119. Vedi sopra Vol. I. Nel corso di quest’Istoria ho qualche volta rammentato, e molto più spesso trascurato le precipitose incursioni degl’Isauri, che non ebbero alcuna conseguenza.
  120. Trebellio Pollione (in Hist. Aug. p. 107) che visse al tempo di Diocleziano o di Costantino. Vedi anche Pancirolo ad Notit. Imper. Orient. c. 115, 141; Cod. Theodos. Lib. IX Tit. 35 Leg. 37; con una copiosa e ben corredata annotazione del Gotofredo (Tom. III p. 250, 257).
  121. Vedi la piena ed ampia descrizione delle loro scorrerie presso Filostorgio (Hist. Eccl. L. XI c. 8) con l’erudite dissertazioni del Gotofredo.
  122. Cod. Giustin. L. IX Tit. 12 Leg. 10. Son rigorose le pene stabilite contro di essi, cioè una multa di cento libbre d’oro, la degradazione, e fino la morte. La pubblica sicurezza potè somministrare un pretesto per dissiparli: ma Zenone in seguito volle piuttosto trar profitto dal valore e dal servizio degl’Isauri.
  123. La guerra Isaurica, ed il trionfo d’Anastasio si narrano brevemente ed oscuramente da Giovanni Malala (T. II p. 106, 107), da Evagrio (L. III c. 35), da Teofane (p. 118, 120) e dalla Cronica di Marcellino.
  124. Fortes ea regios (dice Giustiniano) viros habet, nec in ullo differt ab Isauria, quantunque Procopio (Persic. l. 1 c. 18) noti un’essenzial differenza nel militare loro carattere: ne’ più antichi tempi però i Licaonj ed i Pisidj avevan difeso la lor libertà contro il gran Re (Senofonte Anabas. l. III c. 2). Giustiniano si serve d’una falsa e ridicola erudizione dell’antico Impero de’ Pisidj e di Licaone, il quale dopo aver visitato Roma (lungo tempo avanti Enea) diede il nome e la popolazione alla Licaonia (Nov. 24, 25, 27, 30).
  125. Vedi Procopio Persic. l. 1 c. 19. L’Altare della concordia nazionale, dove si facevano gli annui sacrifizi e giuramenti, che Diocleziano aveva eretto nell’Isola d’Elefantina, fu demolito da Giustiniano con minor politica che zelo.
  126. Procopio de Aedif. l. III c. 7 Hist. l. VIII c. 3, 4. Questi Goti senz’ambizione avevan ricusato di seguitar le bandiere di Teodorico. Fino al secolo XV e XVI se ne può rintracciare il nome e la nazione fra Caffa, e lo Stretto di Azof (Danville Memoir. de l’Acad. Tom. XXX p. 240). Essi meritarono bene la curiosità del Busbechio (pag. 321, 326): ma sembra, che siano svaniti nelle relazioni più recenti delle missioni del Levante (Tom. I), e presso Tott, Peyssonel ec.
  127. Per la geografia e la struttura di questa frontiera dell’Armenia, vedi le Guerre Persiane, e gli Edifizi di Procopio (l. II c. 4, 7. l. III c. 2, 7).
  128. Questo Paese vien descritto da Tournefort (Voyage au Levant Tom. III Lettr. XVII, XVIII). Quell’abile Botanico ben presto scuoprì la pianta, che infetta il mele (Plin. XXI, 44, 45). Egli osserva, che i soldati di Lucullo con ragione restaron sorpresi al freddo, che vi trovarono, mentre anche nella pianura d’Erzerum alle volte cade la neve nel mese di giugno, e di rado termina la raccolta prima del Settembre. I Colli dell’Armenia sono sotto il grado 40 di latitudine: ma nella montuosa regione, dove io abito (la Svizzera), si sa bene, che una salita di alcune ore trasporta il viaggiatore dal clima della Linguadocca in quello della Norvegia: e si ammette come regola generale, che sotto la linea equinoziale un’elevazione di 2400 tese equivale al freddo del cerchio polare (Remond Observat. sur les Voyages de Coxe dans la Suisse Tom. II p. 104).
  129. Può rintracciarsi l’identità, o prossimità de’ Calibi e dei Caldei presso Strabone (L. XII pag. 825, 826), Cellario (Geogr. Antiq. Tom. II p. 202, 204) e Freret (Mem. de l’Acad. Tom. IV p. 594). Senofonte, nel suo Romanzo (Cyropaed. l. III), introduce quegli stessi Barbari, contro i quali avea combattuto nella sua ritirata (Anabas. l. IV).
  130. Procopio Persic. lib. I cap. 15 de Aedif. lib. III cap. 6.
  131. Ni Taurus obstet in nostra maria venturus (Pompon. Mela III, 8). Plinio, Poeta non meno che Naturalista, personifica il fiume, ed il monte, e ne descrive il combattimento. Vedasi nell’eccellente Trattato del Danville il corso del Tigri, e dell’Eufrate.
  132. Procopio (Persic. l. II c. 12) racconta la storia col tuono mezzo scettico e mezzo superstizioso d’Erodoto. Questa promessa non si trova nella primitiva menzogna d’ Eusebio, ma cominciò almeno dall’anno 400: ed una terza favola, cioè la Veronica, ben presto insorse sulle altre due (Evagrio lib. IV c. 27). Siccome Edessa è stata presa, il Tillemont dovè negar la promessa (Mem. Eccl. Tom. I p. 362, 383, 617).
  133. Questi si compravano da’ mercanti d’Aduli, che commerciavano nell’India (Cosma Topogr. Christ. L. XI p. 339). Pure nella stima delle pietre preziose il primo era lo smeraldo Scitico, il Battriano aveva il secondo luogo, e l’Etiopico solamente il terzo (Theophrast. d’Hill, p. 61 ec. 92). La produzione, le cave ec. degli smeraldi sono involte nella oscurità: ed è dubbioso, se noi abbiamo alcuna delle dodici specie di essi note agli Antichi (Goguet Orig. des Loix ec. Part. II Lib. 2 cap. 2 art. 3). In questa guerra gli Unni guadagnarono, o almeno Peroze perdè la più preziosa perla del Mondo, di cui Procopio racconta una ridicolosa favola.
  134. Gl’Indo-Sciti continuarono a regnare dal tempo d’Augusto (Dionys. Perieget. 1088 col commentario d’Eustazio presso Hudson Geogr. minor. Tom. IV) fino a quello di Giustino il Vecchio (Cosma Topograph. Christ. Lib. XI p. 338, 339). Nel secondo secolo essi eran padroni di Larice, o di Guzerat.
  135. Vedi le avventure di Firuz, e Peroze, e le loro conseguenze presso Procopio (Persic. l. 1 c. 3, 6) che può confrontarsi co’ frammenti dell’Istoria Orientale (d’Herbelot Bibliot. Orient. p. 351 e Texeira Istoria di Persia tradotta o compendiata da Stewens l. I c. 32 p. 132, 138). La Cronologia è ben determinata dall’Assemanno (Bibliot. Orient. Tom. III p. 396, 427).
  136. La descrizione della Guerra Persiana sotto i regni di Anastasio e di Giustino può trarsi da Procopio (Persic. l. I c. 7, 8, 9), da Teofane (In Chronograph. pag. 124, 127), da Evagrio (L III c. 37), a Marcellino (in Chron. p. 47), e da Giosuè Stilita (ap. Asseman. Tom. I p. 272, 281).
  137. Procopio fa un’ampia e corretta descrizione di Dara (Persic. l. I c. 10. l. II c. 13 de Aedif. l. II c. 1, 2, 3. l. III c. 5). Se ne veda la situazione presso il Danville (l’Euphrate et le Tigre p. 53, 54, 55) quantunque sembra, ch’egli raddoppi la distanza fra Dara e Nisibi.
  138. Per la Città, ed il passo di Derbend vedasi Herbelot (Bibliot. Orient. p. 157, 291, 807), Petit de la Croix (Hist. de Gengiscan. l. IV c. 9), Istoria Genealogica de’ Tartari (Tom. I p. 120), Oleario (Voyage en Perse p. 1039, 1042) e Cornelio le Bruyn (Viaggi Tom. I p. 146, 147). Può confrontarsi il prospetto di questo con la pianta d’Oleario, il quale crede che le mura siano di crostacei e di sabbia induriti dal tempo.
  139. Procopio con qualche confusione le chiama sempre Caspie (Persic. l. 1 c. 10). Questo passo presentemente si appella Tatar-topa, Porte Tartare (Danville Geogr. anc. Tom. II p. 119, 120).
  140. L’immaginario riparo di Gog e Magog, che fu seriamente investigato e creduto da un Califfo del IX secolo, sembra che sia derivato dalle porte del Monte Caucaso, e da un’incerta notizia della muraglia della China (Geogr. Nubiens. p. 267, 270: Memoires de l’Academie Tom. XXXI p. 210, 219).
  141. Vedi un’erudita Dissertazione di Baier de muro Caucaseo in Comment. Acad. Petropolit. anno 1726 Tom. I p. 425, 463: ma le manca una carta o pianta. Quando il Czar Pietro I s’impadronì di Derbend l’anno 1722 la misura del muro fu trovata essere di Orgigie o braccia russe 3285 ciascheduna delle quali contiene sette piedi Inglesi, e perciò della lunghezza in tutto di poco più di quattro miglia.
  142. Vedi le Fortificazioni ed i trattati di Cosroe o Nushirwan presso Procopio (Persic. l. I c. 16, 22 l. II), e di Herbelot (p. 682).
  143. La vita d’Isocrate s’estende dall’Olimpiade 86. 1. fino alla 110. 3. (dall’anno 436 al 338 avanti Gesù Cristo). Vedi Dionys. Halicarn. Tom. II p. 149, 150 Edit. Hudson. Plutarco (o l’Anonimo) in Vit. X Orator. pag. 1538, 1543 Edit. II Steph. Phot. Cod. CCLIX p. 1453.
  144. Sono copiosamente descritte, quantunque in concise parole, le scuole d’Atene nella Fortuna Attica di Meursio (c. VIII p. 59, 73 nel Tom. I Opp.). Quanto allo stato ed alle arti di quella città, vedi il primo libro di Pausania, ed un piccolo trattato di Dicearco (nel secondo Tomo dei Geografi di Hudson), che scrisse verso l’Olimpiade CXVII. (Dissert. di Dodwell. sez. 4).
  145. Diogen. Laert. De vit. Philosopher. L. V segm. 37 p. 389.
  146. Vedi il testamento d’Epicuro presso Diogene Laerzio L. X segm. 16, 20 pag. 611, 612. Una sola Epistola (ad Familiar. XIII, 1) scuopre l’ingiustizia dell’Areopago, la fedeltà degli Epicurei, la destra urbanità di Cicerone, e la mescolanza di disprezzo e di stima, con cui i Senatori Romani riguardavano la Filosofia ed i Filosofi della Grecia.
  147. Damascius in vit. Isidori ap. Photium Cod. CCXLIII. p. 1054.
  148. Vedi Luciano (in Eunech. Tom. II. pag. 350-359 Ediz. Reitz), Filostrato (in Vit. Sophist. l. II c. 2), e Dione Cassio, o Zifilino (l. LXXI p. 1195) insieme co’ loro Editori Du Soul, Oleario, e Reimar, e soprattutto Salmasio (ad Hist. Aug. p. 72). Un giudizioso Filosofo (Smith Ricchezza delle nazioni Vol. II. p. 340-374) preferisce le libere contribuzioni degli studenti ad uno stipendio fisso pel Professore.
  149. Brucker Hist. Crit. Philos. Tom. II p. 310 ec.
  150. Si fissa la nascita d’Epicuro all’anno 342 prima di Cristo, (Bayle) nell’Olimpiade CIX. 3, ed egli aprì la sua scuola in Atene nell’Olimp. CXVIII 3 cioè 306 anni avanti la medesima Era. Quella Legge intollerante (secondo Ateneo l. XIII p. 610, Diogene Laerzio, L. V: S. 38. p. 290 e Giulio Polluce IX 5) fu fatta nel medesimo o nel seguente anno (Sigon. Opp. T. V. p. 62. Menag. ad Diogen. Laert. p. 204. Corsini Fasti Attic. T. IV p. 67, 68) e fu soggetto al medesimo esilio anche Teofrasto Capo de’ Peripatetici, e discepolo d’Aristotele.
  151. Questa non è un’Era immaginaria: i Pagani contavano le lor calamità dal regno del loro Eroe. Proclo, di cui la nascita è segnata dal suo Oroscopo (l’an. 412 il dì 8 di Febbrajo a Costantinopoli), morì 124 anni απο Ιουλιανου βατιλεως (dopo l’Imperator Giuliano) l’anno 485 (Marin. in vit. Procli c. 36).
  152. La vita di Proclo, composta da Marino, fu pubblicata dal Fabricio (Hamburg, 1700, et ad calcem Bibliot. Latin. Lond. 1703). Vedi Suida (Tom. III p. 185, 186), Fabric. (Bibliot. Graec. l. V c. 26 p. 449, 552), e Brucker (Hist. Crit. Philos. Tom. II. 319-326).
  153. La vita d’Isidoro fu fatta da Damascio (ap. Photium Cod. CCXLII p. 1028, 1076). Vedi l’ultimo secolo de’ Filosofi Pagani presso Brucker (Tom. II. p. 341-351).
  154. Fa menzione della soppressione delle scuole d’Atene Giovanni Malala (Tom. II p. 187) ed una Cronica anonima nella Libreria Vaticana (ap. Aleman. p. 106).
  155. Agatia (l. III p. 69, 70, 71) riferisce questa curiosa storia. Cosroe montò sul trono l’anno 531, e fece la sua prima pace co’ Romani al principio dell’anno 533 epoca ben conciliabile con la giovin sua fama, e con la vecchia età d’Isidoro (Asseman. Bibliot. Orient. Tom. III p. 404 Pagi Tom. II p. 543, 550).
  156. Cassiodoro Var. Epist. VI, I Giornandes c. 57 p. 696. Edit. Grot. Quod summum bonum primumque in mundo decus edicitur.
  157. Vedi i regolamenti di Giustiniano (novell. CV) con la data del 5 luglio a Costantinopoli, indrizzati a Strategico, Tesoriere dell’Impero.
  158. Procopio in Anecdot. c. 26 Aleman. pag. 106. Nel XVIII anno dopo il Consolato di Basilio, secondo il computo di Marcellino, di Vittore, di Mario ec. fu composta la Istoria segreta, ed agli occhi di Procopio il Consolato era già totalmente abolito.
  159. Da Leone il Filosofo (Nov. XCIV an. 886, 911). Vedi Pagi (Dissert. Hypatic. p. 325, 362) e Du-Cange (Gloss. Graec. p. 1635, 1636). Erasi avvilito fino il titolo: Consulatus Codicilli... vilescunt, dice il medesimo Imperatore.
  160. Secondo Giulio Affricano ec. il Mondo fu creato nel primo giorno di settembre 5508 anni, tre mesi, e venticinque giorni avanti la nascita di Cristo (Vedi Pezron Antiquité des tems defendue p. 20, 28) e quest’Era si è usata da’ Greci, da’ Cristiani orientali, ed anche da’ Russi fino al regno di Pietro I. Tal periodo per quanto sia arbitrario, è però chiaro e comodo. De’ 7296 anni, che si suppongono passati dopo la creazione, ne troveremo 3000 d’ignoranza, e d’oscurità; 2000 favolosi o dubbiosi, 1000 d’istoria antica, principiando dall’Impero Persiano, e dalle Repubbliche di Roma e d’Atene, 1000 dalla caduta del Romano Impero in Occidente fino alla scoperta dell’America, ed i rimanenti 296 formeranno quasi tre secoli dello stato moderno d’Europa, e del Genere umano. Io sceglierei piuttosto questa cronologia, che stimo assai preferibile al nostro doppio e intricato metodo di contare per l’indietro, e per l’avanti gli anni prima e dopo l’Era Cristiana.
  161. L’Era del Mondo ha prevalso in Oriente dopo il VI Concilio Generale (an. 681). In Occidente l’Era Cristiana fu inventata primieramente nel VI secolo: si propagò nell’VIII per l’autorità e gli scritti del Venerabile Beda; ma non fu che pel secolo X che l’uso di essa divenne legale e e comune. Vedi L’Art de verifier les dates, Dissert. Prelim. p. III, XII Dictionaire diplomat. Tom. I p. 329, 337. Opere d’una laboriosa società di Monaci Benedettini.