Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano/54

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CAPITOLO LIV

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CAPITOLO LIV.

Origine, e dottrina dei Paoliziani. Persecuzioni che soffersero dagli imperatori greci. Loro ribellione in Armenia ec. Migrazione nella Tracia. Dottrina de’ medesimi propagata in Occidente. Germi, caratteri e conseguenza della Riforma.

Il Cristianesimo avea presa l’indole delle nazioni presso le quali a mano a mano allignò. I nativi della Sorìa e dell’Egitto all’indolenza di una divozione contemplativa si abbandonavano: Roma cristiana volea tuttavia governar l’Universo; mentre, discussioni di teologia metafisica, occupavano lo spirito e la loquacità de’ popoli della Grecia. In vece di adorar silenziosi gl’incomprensibili misteri della Trinità, o della Incarnazione, si diedero ad agitare con calore sottili controversie che dilatarono la loro [p. 6 modifica]Fede, a scapito forse della carità, e della ragione1. Incominciando dai giorni del Concilio di Nicea, e venendo sino alla fine del settimo secolo, le guerre spirituali turbarono la pace e l’unità della Chiesa; e tanto operarono sulla decadenza, e la rovina dell’Impero che tale circostanza mi ha anche troppo spesso costretto a tener dietro ai Concilj, ad esaminare i simboli, ad enumerare le Sette di questo burrascoso periodo degli ecclesiastici Annali. Dopo lo incominciamento dell’ottavo secolo, e fino agli ultimi giorni dell’Impero di Costantinopoli, il rumore delle controversie si fece udir più di rado. Sazia era la curiosità, stanco lo zelo, e i decreti di sei Concilj aveano immutabilmente determinati gli articoli del Simbolo cattolico. Lo spirito della disputa, comunque frivolo e pernicioso esser si possa, abbisogna almeno di una certa energia, e tiene operose alcune facoltà intellettuali; ma i Greci avviliti si contentavano, in que’ giorni, di digiunare, di orare, e di obbedir ciecamente al loro Patriarca, e al loro clero. La Vergine, e i Santi, le reliquie e le immagini, i miracoli e le visioni, divennero il solo argomento delle prediche de’ frati e della divozione del popolo; e sotto nome di popolo possiamo qui senza [p. 7 modifica]ingiustizia comprendere le classi primarie della società. Gl’Imperatori della Isaurica dinastia che si accinsero a scotere da questo letargo i loro sudditi, scelsero cattivo istante, e temperamenti aspri anzi che no; e se anche la ragione fece in quel tempo alcuni proseliti2, molto maggior numero l’interesse, o il timore ne soggiogò: ma l’Oriente difese, o sospirò le sue Immagini un’altra volta, e la loro restaurazione, qual festa trionfale, dell’Ortodossia fu celebrata: in tai giorni di sommessione passiva e uniforme, i Capi della Chiesa si trovarono sciolti dalle molestie, o vogliam dire, privi dei diletti della superstizione. Spariti erano i Pagani; nel silenzio e nella oscurità giaceansi gli Ebrei: le dispute coi Latini, divenute meno frequenti, si riduceano a lontane ostilità contra un nazionale nemico, intanto che le Sette dell’Egitto, e della Sorìa godevano i vantaggi della tolleranza all’ombra dell’arabo califfato3. Verso la metà del settimo secolo, la tirannide spirituale elesse a vittime i Paoliziani4, la [p. 8 modifica]dottrina de’ quali è un ramo di Manicheismo; e ridotta a stremo la loro pazienza, e spinti alla disperazione che li fece ribelli, si sparsero nell’Occidente, ove per ogni banda i germi della Riforma diffusero. Siami permesso, attesa l’importanza di tali avvenimenti, l’entrare in alcune particolarità sulle dottrine e la storia de’ Paoliziani5; e poichè questi non sono in istato più di difendersi, mi sia parimente lecito, per servire alla imparzialità, e alla buona fede, il mettere in aperto tutto il bene, l’attenuare il male che gli avversarj loro ne dissero.

I Gnostici che turbata aveano l’infanzia del Cristianesimo, soggiacquero finalmente al peso della potenza e della autorità della Chiesa. Lungi dal pareggiare, o superare i cattolici in ricchezze, sapere, e numero, i deboli partigiani che conservava ancor questa Setta, scacciati dalle Capitali dell’Oriente, e [p. 9 modifica]dell’Occidente, confinati vennero ne’ villaggi e per mezzo ai monti situati presso l’Eufrate. Il quinto secolo ne offre alcune vestigia di Marcioniti6, ma tutti i settarj furono compresi per ultimo sotto la sola denominazione di Manichei; eretici che essendosi attentati a voler conciliare le dottrine di Zoroastro, e di Cristo, da entrambe le Religioni una persecuzione del pari accanita patirono. Durante il regno del pronipote di Eraclio, ne’ dintorni di Samosato, più celebre per essere stata patria di Luciano, che per l’onore di aver dato il suo nome ad un regno della Sorìa, apparve un riformatore, che i suoi discepoli, i Paoliziani, considerarono bentosto qual missionario eletto dal cielo per annunziare la verità, e degno della confidenza degli uomini. Cotesto riformatore, di nome Costantino, avea ricettato nella sua modesta abitazione di Mananali un diacono che ritornava dalla Sorìa, ov’era stato prigioniero; e ne ebbe in dono il Nuovo Testamento, dono tanto più da apprezzarsi che riguardi prudenziali del clero greco, e forse anche de’ gnostici Sacerdoti, già nascondeano con grande cura agli occhi de’ volgari questi volumi7. A tale lettura si limitarono gli studj di Costantino che ne fece regola di sua credenza; [p. 10 modifica]e gli stessi Cattolici, comunque impugnino le interpretazioni da esso date alle sacre carte, non gli negano di avere citati i testi nella loro purezza ed autenticità. Ma le cose, alle quali in siffatto studio volse l’animo più intensamente, furono gli scritti, e gli atti della vita di S. Paolo. I nemici della setta de’ Paoliziani fondata dal ridetto Costantino, fanno derivare il nome della medesima, da qualcuno degli oscuri uomini che la predicarono; ma ho per fermo che tal nome i Paoliziani assumessero, come gloriosa testimonianza della loro divozione all’Appostolo dei Gentili. Costantino e i suoi alunni rappresentavano, diceano essi, Tito, Timoteo, Silvano, Tichico, primi discepoli di S. Paolo, e imposero alle Congregazioni che nell’Armenia, e nella Cappadocia instituirono, i nomi delle chiese edificate dagli Appostoli; innocente allusione che riaccese la ricordanza e l’esempio delle prime età della Chiesa. Questo fedele discepolo di S. Paolo, così nelle Epistole di esso come nell’Evangelio, si fe’ a rintracciare il Simbolo de’ primi cristiani; e qualunque sia stato il frutto di tali indagini, ogni protestante applaudirà, se non altro, alla intenzione che le suggerì. Ma se il testo delle Scritture seguìto dai Paoliziani avea il pregio di essere puro, altrettanto intero non potea dirsi. I lor primi dottori non ammettevano le due Epistole di S. Pietro, riguardandolo come l’appostolo della Circoncisione8, e accusandolo di avere difesa contra il loro [p. 11 modifica]appostolo favorito l’osservanza della legge mosaica9. Pari ai Gnostici disprezzavano tutti i libri dell’Antico Testamento, senza por mente che quelli di Mosè e de’ Profeti erano stati consacrati dai decreti della Chiesa cattolica. Con non minore ardimento, e senza dubbio, con maggior ragione, Costantino, il nuovo Silvano, rigettava quelle visioni cui pubblicarono in sì pomposi, ed enormi volumi le Sette orientali; que’ favolosi componimenti10 de’ Patriarchi ebrei, e de’ saggi dell’oriente, quegli Evangelj, quelle epistole, e quegli atti supposti, sotto de’ quali nel primo secolo della chiesa, il codice ortodosso andava sepolto; nè facea grazia alla teologia di Manete, nè alle eresie che a questa si riferivano, nè alle trenta classi di Eoni, dalla fertile immaginazione di Valentino creati. I Paoliziani riprovavano con [p. 12 modifica]tutta sincerità la memoria, e le opinioni de’ Manichei: onde doleansi della ingiustizia de’ loro avversarj, nell’attribuire una sì lodevole denominazione ai discepoli di S. Paolo, e di Gesù Cristo.

I Capi de’ Paoliziani rompendo molte anella della catena ecclesiastica, si erano fatti più liberi col ridurre a meno il numero de’ padroni che la profana ragione alla voce de’ misteri e de’ miracoli sottomettevano. La setta de’ Gnostici era nata prima che si professasse pubblicamente il culto cattolico, e, oltre al silenzio di S. Paolo, e degli Evangelisti, la consuetudine e l’odio preservarono i Paoliziani dalle innovazioni, che, a poco a poco, nella disciplina, e nella dottrina della Chiesa allignarono11. [p. 13 modifica]Essi pensavano veder sotto forma verace quegli oggetti, che, in lor sentenza, la sola superstizione aveva disfigurati. In una immagine che diceasi scesa dal cielo, essi non iscorgeano se non se il lavoro di un uomo, il cui solo ingegno potea dar valore al legno, o alla tela che egli avea posta in opera; nelle reliquie miracolose, ossa e ceneri inanimate, prive di virtù, e forse non mai appartenute alla persona cui venivano attribuite; la vera croce, l’albero della vita, non era, ad avviso loro, che un pezzo, o sano, o guasto, di legno; il corpo, e il sangue di Gesù Cristo, un minuzzolo di pane, [p. 14 modifica]e una tazza di vino12, dono della natura, e simbolo della Grazia. Essi toglievano alla madre di Dio i suoi celesti onori, la sua immacolata verginità13, nè davano ai Santi, o agli angeli l’incarico di farsi mediatori per essi nel cielo, o di soccorrerli sulla Terra. Nella amministrazione de’ Sacramenti voleano aboliti gli oggetti visibili di culto, e le parole del Vangelo, secondo essi, non additavano che il battesimo e la comunione de’ fedeli. Liberissimi nell’interpretare le scritture, ogni qualvolta il significato [p. 15 modifica]letterale impacciavali, si rifuggivano ne’ labirinti delle figure e dell’allegoria. Molta cura dimostrarono di infrangere i vincoli posti fra l’Antico, e il Nuovo Testamento14, e riguardando il secondo come la raccolta degli oracoli di Dio, abborrivano il primo, divulgandolo invenzion favolosa ed assurda degli uomini, o dei demonj. Non può recarne maraviglia che essi scorgessero nel Vangelo, il mistero ortodosso della Trinità; ma invece di confessare la natura umana, e i patimenti reali di Gesù Cristo, la costoro immaginazione si dilettava creargli un corpo celeste che si fosse fatto strada per quel della Vergine, siccome l’acqua attraversa un condotto. Un fantoccio sostituito al Redentore sopra una croce, giusta l’opinione di questi settarj, mandò a vuoto il furor degli Ebrei. Un simbolo di tal natura non conveniva nè meno allo spirito ne’ tempi d’allora15, e que’ medesimi fra i Cristiani che lamentavano non essere le dottrine religiose ristrette al mite giogo imposto da Gesù Cristo e da’ suoi Appostoli, giustamente si offesero che i Paoliziani osassero violare l’unità di Dio, primo articolo della Religion naturale e della Religion rivelata. Perchè comunque i Paoliziani cre[p. 16 modifica]dessero con fiducia e speranza il Padre, il Cristo, l’anima umana e il mondo invisibile, supponeano ad un tempo l’eternità della materia, sostanza ostinata e ribelle, origine di un secondo Principio, di un ente operante, creatore del mondo visibile, e che userà della sua possanza temporale, fino alla consumazione definitiva della morte e del peccato16. L’esistenza del mal morale, e del male fisico, avea introdotti questi due principj nella filosofia, e nelle religioni antiche dell’Oriente, d’onde una tale dottrina fra le varie Sette de’ Gnostici s’era diffusa. Vennero intorno ad Arimane ideate tante opinioni diverse, quante gradazioni è lecito il fantasticare, fra la natura di un dio rivale dell’altro, e quella di un demonio subordinato; fra l’indole di un ente vinto dalla passione, o dalla fragilità, e quella di un ente per propria essenza malvagio; ma a malgrado d’ogni umano sforzo, la bontà e la potenza di Ormuzd, trovavansi alla contraria estremità della linea, e quanto avvicinavasi all’uno de’ due enti, dovea scostarsi dall’altro nelle proporzioni medesime17. [p. 17 modifica]

Le fatiche appostoliche18 di Costantino Silvano gli moltiplicarono ben tosto i discepoli, segreto compenso alla sua spirituale ambizione. Sotto lo stendardo di lui si raccolsero gli avanzi delle Sette gnostiche, e principalmente i Manichei dell’Armenia. Convertì, o sedusse co’ suoi argomenti molti Cattolici, e predicò con buon successo nelle contrade del Ponto19 e della Cappadocia, da lungo tempo imbevutesi della religione di Zoroastro. I dottori Paoliziani, paghi di un soprannome tratto dalle Scritture, e del titolo modesto di compagni di pellegrinaggio, distinti per austerità di costumi, per zelo o sapere, ed anche per la fama che godevano di avere ricevuti i doni dello Spirito Santo, ma incapaci di desiderare e di ottenere le ricchezze e gli onori dei prelati ortodossi, ne censuravano amaramente le anticristiane vanità, riprovando persino la denominazione di anziani, o di sacerdoti, come istituzione della Sinagoga. La nuova Setta si dilatò grandemente nelle province dell’Asia Minore, situate al levante dell’Eufrate. Sei principali Congregazioni della mede[p. 18 modifica]sima rappresentavano le chiese alle quali S. Paolo indiritte avea le sue epistole. Silvano pose la sua dimora nei dintorni di Colonia20, in quella parte del Ponto che rendettero parimente famosa gli altari di Bellona21 e i miracoli di S. Gregorio2223. Qui venne fuggendo il governo tollerante degli Arabi e qui, dopo ventisette anni di predicazione, perì vittima della persecuzione de’ Romani. Que’ devoti imperatori, che di rado aveano proscritte le vite d’altri [p. 19 modifica]eretici meno odiosi di questi, condannarono senza misericordia la dottrina, gli scritti e le persone dei Montanisti e de’ Manichei. Consegnati alle fiamme i lor libri, chiunque osò conservarne o professare le opinioni che vi si racchiudevano, a ignominiosa morte fu condannato24. Simeone, inviato dall’Imperator greco a Colonia, vi si mostrò armato del poter delle leggi e della forza militare, per atterrare il Pastore, e ricondurre, se possibile era, lo smarrito gregge in seno della Chiesa. Con atto di raffinata crudeltà, dopo aver fatto collocare l’infelice Silvano a capo de’ suoi schierati discepoli, comandò a questi di meritarsi il perdono, e di dar prove di pentimento, col trucidare il loro padre spirituale. Non sapendo eglino risolversi a tanta empietà cadeano i sassi dalle lor mani, nè in tutta quella banda vi fu che un solo carnefice, o secondo il dire de’ fanatici, un nuovo David che rovesciò il gigante dell’eresia. Questo apostata nomavasi Giusto, il quale ingannò una seconda volta, e tradì i suoi malaccorti fratelli. L’inviato dell’Imperatore diè a divedere nella propria persona una nuova conformità cogli atti di S. Paolo: simile all’Appostolo abbracciò la dottrina della quale chiarito erasi persecutore, e, rassegnate dignità e ricchezze, acquistò nella setta de’ Paoliziani la gloria di un [p. 20 modifica]missionario e di un martire. Generalmente però, i ridetti Settarj non correvano in traccia della corona del martirio25: ma durante un secolo e mezzo di patimenti, soffersero con rassegnazione tutto quanto lo zelo de’ lor persecutori seppe immaginare contr’essi; nè gli sforzi della costanza pervennero ad estirpare i germi, difficilissimi entrambi ad essere spenti, i germi del fanatismo, e quelli della ragione. E predicanti, e congregazioni, uscirono per più riprese dal sangue, e dalle ceneri delle prime vittime. Pure in mezzo alle ostilità esterne cui soggiacevano i Paoliziani, trovarono il tempo per abbandonarsi a querele domestiche. Predicarono, disputarono, soffersero; e sin gli storici del Cattolicismo son costretti a far testimonianza sulle virtù, certamente apparenti, che in un intervallo di trentatre anni Sergio diè a divedere26. Un pretesto di religione spronò la crudeltà ingenita di Giustiniano, trattosi nella vana speranza di estinguere con una sola persecuzione il nome e la memoria dei Paoliziani. La semplicità della Fede che professavano i principi Iconoclasti, e la loro av[p. 21 modifica]versione alle superstizioni popolari, avrebbero potuto per vero dire renderli più indulgenti sugli errori di alcune dottrine: ma divenuti più indulgenti alle calunnie de’ Monaci27 si fecero i tiranni de’ Manichei, per tema di venire accusati lor complici. È questa la taccia da cui fu invilita la clemenza di Niceforo nel mitigare a favor de’ suddetti eretici il rigore delle leggi penali; nè l’indole conosciuta di questo principe, permette attribuirgli un motivo più generoso. Ardentissimi nel perseguire i Paoliziani mostraronsi e il debole Michele I, e il severo Leone l’Armeno; ma si meritò palma di divozion sanguinaria l’imperatrice Teodora, quella medesima che restituì alle Chiese d’Oriente le Immagini. I suoi messi trascorreano furibondi le città e le montagne dell’Asia Minore, e al dir persin di coloro che adularono questa femmina, durante un brevissimo regno, centomila Paoliziani perirono, quali sotto la mannaia del carnefice, quali strozzati, quali arsi vivi. Forse i delitti e i pregi di questa Sovrana, vennero esagerati del pari; e se il calcolo fosse esatto, vi sarebbe luogo a presumere che molti, unicamente Iconoclasti, segnalati con più odioso nome, fossero stati avvolti nel crudele bando, o che altri de’ medesimi, scacciati [p. 22 modifica]dalla Chiesa, avessero contro lor voglia cercato un asilo nel seno dell’eresia.

[A. D. 845-880] I Settarj di una Religione perseguitata da lungo tempo, se giungono a ribellarsi, sono i più tremendi, e i più pericolosi di tutti i ribelli. Animati da una causa che riguardano come sacra, non danno luogo nè a timor nè a rimorso; il sentimento di una creduta giustizia, indurisce i lor cuori sin contro i moti dell’umanità; pronti a vendicare sui figli de’ loro tiranni le ingiurie che i loro padri soffersero. Tali abbiam veduti gli Hussiti della Boemia, e i Calvinisti della Francia, e tali furono nel nono secolo i Paoliziani dell’Armenia, e delle vicine province28. L’uccisione di un Governatore e d’un vescovo, iti fra quelle genti con ordine di convertire o sterminare i ribelli, fu il primo segno della sommossa, e i più interni gioghi del monte Argeo alla libertà e all’odio de’ ribellanti offersero asilo. Incendio più vasto e fatale accesero la persecuzione di Teodora, e la diffalta di Carbeas, valoroso Paoliziano che comandava le guardie del general d’Oriente. Il padre di questo Carbeas era stato impalato per ordine degl’inquisitori cattolici: onde la religione, o almen la natura, sembravano autorizzarlo a fuggir lunge da’ suoi persecutori, e a voler farne vendetta. Per non dissimili motivi, cinquemila confratelli di Carbeas brandirono l’armi abbiurando ogni spezie di sommissione verso Roma, che chiamavano l’anticristiana; un emiro sa[p. 23 modifica]racino condusse lo stesso Carbeas dinanzi al Califfo, e il Commendator de’ credenti stese lo scettro proteggitore all’implacabile nemico de’ Greci; il quale o costrusse, o affortificò nelle montagne situate fra Sivas e Trebisonda, la città di Tefrica29, abitata anche oggi giorno da un popolo feroce e sfrenato; e le colline di que’ dintorni, coperte vidersi di fuggiaschi Paoliziani, che in allora si credettero lecito il conciliare l’uso delle armi coi precetti dell’Evangelo. Disastrata l’Asia per ben trent’anni dai flagelli delle guerre esterna ed interna, i discepoli di S. Paolo, si unirono nelle loro correrie a quelli di Maometto; onde tanti pacifici Cristiani, tanti vecchi padri che insieme alle giovinette loro figlie a crudele cattività tratti si videro, dovettero darne fatale merito alla intolleranza de’ lor sovrani. Cresciuti a dismisura e i mali, e la vergogna de’ Cristiani greci, il figlio di Teodora, il dissoluto Michele si trovò alla necessità di marciare in persona contra i Paoliziani, e sconfitto sotto le mura di Samosato, accadde il vedere l’Imperator de’ Romani fuggitivo dinanzi a quegli eretici che la madre di esso al fuoco avea condannati. Comunque i Saracini combattessero coi Paoliziani, l’onore della vittoria fu aggiudicato a Carbeas, nelle cui mani caddero parecchi generali nemici, e più di cento tribuni; parte de’ quali fece liberi per avarizia, e un’altra parte, secondando il [p. 24 modifica]suo fanatismo, a crudeli tormenti dannò. A Crisocario, successore di Carbeas, il valore e l’ambizione un più vasto campo di rapine e di vendette dischiusero30. Non mai disgiunto dai suoi fedeli confederati i Musulmani, penetrò nel centro dell’Asia, e rotte in più occasioni le truppe poste alle frontiere, e le guardie di palagio, rispose ai bandi di persecuzione promulgati contro di lui, saccheggiando Nicea e Nicomedia, Ancira ed Efeso; nè l’invocato Appostolo S. Giovanni impedì che la città e il sepolcro del Signore31 non fossero profanati. Convertita ad uso di scuderia la Cattedrale di Efeso, i Paoliziani fecero a prova coi Saracini nel mostrare avversione e dileggio alle Immagini, e alle reliquie. Non duole il vedere la ribel[p. 25 modifica]lione trionfante sul dispotismo32 che disdegnò le querele di un popolo oppresso. Basilio il Macedone fu costretto ad implorare la pace, ad offrire riscatto pei prigionieri, ad usare i termini della moderazione, e della carità, nel pregar Crisocario a risparmiare i Cristiani suoi confratelli, e contentarsi di un sontuoso donativo in oro, argento, e drappi di seta. „Se l’Imperatore brama la pace, rispose questo audace fanatico, rinunzii all’Oriente, e sia pago di regnare in pace sull’Occidente: se a ciò non si presta, verrà balzato dal trono per la mano de’ servi di Dio„. Contro sua voglia, Basilio sospese ogni negoziazione, e accettata la disfida, condusse l’esercito nelle terre de’ Paoliziani mettendole a fuoco e sangue. E per vero dire, finchè si stette nelle pianure, questi eretici soggiacquero ai medesimi mali che aveano fatto soffrire ai sudditi dell’Impero; ma quando l’Imperatore non potè più dubitare della forza di Tefrica, della moltitudine di que’ Barbari, d’armi e d’ogni genere di munizioni fornitissimi, rinunziò con dolore ad una parte d’Impero, che non poteva più sostenere. Di ritorno a Costantinopoli, col fondar chiese e conventi, cercò assicurarsi la protezione di S. Michele arcangelo, e del Profeta Elia; nè passava giorno che ei non pregasse il cielo di vivere assai lungamente per trafiggere con tre freccie il capo d’un empio nemico. Fu esaudito anche al di là della espettazione: perchè dopo una correria, incominciata per vero con felici auspizj, Crisocario venne sorpreso [p. 26 modifica]ed ucciso nella sua tenda, e il capo di lui fu portato in trionfo a’ piedi del trono. Ricevuto appena un sì gradito donativo, Basilio chiese il suo arco, e contro quella testa vibrò tre frecce, in mezzo agli applausi de’ cortigiani, che la costui vittoria esaltavano. Con Crisocario si dileguò e perì la gloria dei Paoliziani. Onde nella seconda spedizione che Basilio mosse contra cotesti eretici, abbandonarono l’insuperabile loro Fortezza di Tefrica33; alcuni di essi implorando il perdono del vincitore, altri rifuggendosi agli estremi confini dell’Oriente. La ridetta città non fu d’allora in poi che un mucchio di rovine; ma lo spirito d’independenza si resse per più d’un secolo fra quelle montagne. I Settarj difesero la loro religione e la lor libertà, spesse volte invasero le romane frontiere, e si mantennero in lega co’ nemici dell’Impero, e dell’Evangelo.

Costantino, che i partigiani delle Immagini soprannomarono Copronimo, condusse, verso la metà dell’ottavo secolo, le sue soldatesche in Armenia; e nella città di Melitene e di Teodosiopoli trovò molta mano di Paoliziani, seguaci di una dottrina poco diversa da quella ch’ei professava. Laonde rimane indeciso, se per punirli, o per conceder loro un distintivo d’imperiale favore, li trasportasse dalle rive dell’Eufrate a Costantinopoli e nella Tracia, migrazione che introdusse e diffuse la dottrina de’ Paoli[p. 27 modifica]ziani in Europa34. Se quelli fra essi che si stanziarono nella Metropoli non tardarono a confondersi e mansuefarsi col rimanente degli abitanti, gli altri si radicarono co’ loro dogmi sui territorj della nuova lor migrazione. I Paoliziani della Tracia, fattisi forti contra le tempeste della persecuzione, apersero segreta corrispondenza coi lor fratelli di Armenia, e largheggiarono di soccorsi agli appostoli della Setta, i quali si condussero, e non indarno, a tentar la fede de’ Bulgari, ancora mal salda35. Li crebbe di forza e di numero una poderosa colonia che Giovanni Zimiscè36, nel decimo secolo, dai colli Calibj alle valli del monte Emo fe’ trasmigrare; poichè il clero d’Oriente che vedeva vani i suoi voti per una compiuta distruzione de’ Manichei, supplicava almeno che costoro venissero allontanati. Il valoroso Zimiscè tenendo in pregio questa popolazione, le cui armi avea già sperimentate, comprese che non potea, senza proprio danno, lasciarla confinante coi Saracini alla medesima collegati, ma che col farla cambiare in tale guisa di patria, o gli sarebbe stata utile contro i [p. 28 modifica]Barbari della Scizia, o questi Barbari finalmente l’avrebbero annichilata. Ei procurò nullameno di temperare l’asprezza d’un esiglio in terra lontana, concedendole tolleranza di religiose opinioni. Le ridette genti tenendo Filippopoli, la chiave della Tracia, ridussero in lor soggezione i Cattolici di quel paese, e coi migrati Giacobiti serbaronsi in lega. Occupata inoltre una linea di villaggi e castella nella Macedonia e nell’Epiro, trassero nella lor comunione, e sotto le lor bandiere arrolarono una mano di Bulgari ragguardevole. Fin tanto che le tenne in dovere la forza, e vennero non pertanto trattate con moderazione, le loro soldatesche negli eserciti dell’Impero si segnalarono: onde i pussillanimi Greci parlarono con maraviglia, e quasi in tuon di rimprovero del coraggio di questi cani, sempre ardentissimi per la guerra, e avidi d’umano sangue. Tal coraggio medesimo li rendea talvolta ostinati e arroganti, facili a lasciarsi condurre dal capriccio, o dal risentimento, intanto che i loro privilegi venivano di frequente infranti dalle pietose slealtà del clero e dell’imperiale Governo. Fervendo la guerra coi Normanni, duemila e cinquecento di questi Manichei, abbandonate le bandiere di Alessio Comneno37, cercarono di bel nuovo l’antica patria. Altamente sdegnatone l’Imperatore, dissimulò finchè gli venisse il destro della vendetta, poi chiamati ad amichevole [p. 29 modifica]parlamento i Capi di questa popolazione, nè sceverando i colpevoli dagli innocenti, la punì tutta quanta con prigionie, confiscazione di beni e battesimo. Questo principe, chiamato dalla devota sua figlia il tredicesimo Appostolo, concepì durante un intervallo di pace il pio divisamento di riconciliare i Manichei colla Chiesa e collo Stato, e posti i campi del verno a Filippopoli, trascorse giornate, e notti intere in teologiche controversie. Per dar forza alle sue ragioni, e vincere l’ostinatezza de’ Settarj, compartì onori e ricompense ai più chiari fra suoi proseliti, e quanto ai convertiti di minore importanza assegnò ad essi una nuova città che circondò di giardini, e alla quale impose il proprio nome ornandola di privilegi; e con questa leggiadria li privò della rilevante Fortezza di Filippopoli. I recalcitranti poi vennero confinati nelle carceri, o banditi, e se non perderono la vita, il dovettero alla scaltrezza anzichè alla clemenza d’un Imperatore che avea fatto arder vivo, rimpetto al tempio di S. Sofia, un misero eretico, le cui parti nessuno assumeva38. Ma non andò guari che l’orgogliosa speranza di sradicare le opinioni pregiudicate di un popolo, fu mandata a vuoto dall’invincibile fanatismo de’ Paoliziani, stanchi ben presto di fingere, e all’obbedire restii. Poco dopo la partenza e la morte di Alessio, abbracciarono nuovamente le antiche leggi civili, e religiose. Nell’incominciare del secolo decimoterzo, il loro papa e primate occupava le frontiere della Bulgaria, della Croazia e [p. 30 modifica]della Dalmazia, governando per via di vicarj le Congregazioni che la Setta avea istituite nella Francia, e nella Italia39. D’indi in poi non sarebbe difficile, a chi vi ponesse attento studio, il seguire fino ai dì nostri la catena non interrotta delle loro tradizioni. Verso il finire dell’ultimo secolo, questa Setta o Colonia abitava tuttavia le valli dell’Emo, vivendo quivi nella ignoranza e nella povertà, e più spesso per parte del Clero greco che dal governo turco soffrendo tribolazioni. I Paoliziani de’ giorni nostri hanno perduta ogni ricordanza dell’antica origine e mentre hanno introdotta nel loro culto l’adorazione della Croce, trovasi questo contaminato da diversi sagrifizj di sangue, l’uso de’ quali fu portato ai medesimi da alcuni prigionieri venuti dai deserti della Tartaria40.

In Occidente le voci de’ primi predicatori manichei, oltre all’essere mal ascoltate dai popoli, vennero soffocate dai principi. Il favore e i buoni successi che i Paoliziani ottennero nell’undicesimo, e nel duodicesimo secolo, vogliono soltanto essere attribuiti ai motivi di scontento segreto, ma non men vigoroso, onde anche diversi fra i migliori Cristiani sentironsi accesi contro la Chiesa di Roma. Tirannica erane41 l’avarizia, odioso il dispotismo; men [p. 31 modifica]forse invilita dei Greci da un superstizioso culto attribuito ai Santi e alle Immagini, più rapide e scandalose che non fra questi scorgeansi le innovazioni da essa introdotte. Posta in dogma la transustanziazione42, la credenza ne divenne una rigorosissima [p. 32 modifica]sivge; più corrotti essendo i costumi de’ Preti latini, avrebbe potuto dirsi che i Vescovi dell’Oriente [p. 33 modifica]erano i primi successori degli Appostoli a petto di questi poderosi prelati, usi a maneggiare e pastorale e [p. 34 modifica]scettro e spada ad un tempo. Tre diverse vie possono avere introdotti i Paoliziani in Europa. Avvi [p. 35 modifica]motivo di credere che dopo la conversione dell’Ungheria, que’ pellegrini i quali da questo paese a [p. 36 modifica]Gerusalemme si conducevano, potessero seguire senza rischio il corso del Danubio: il che essendo, e nella andata, e nel ritorno, toccata avrebbero Filippopoli; e diveniva facile a molti Settarj, ascondendo [p. 37 modifica]nome e credenza, il mescolarsi alle carovane francesi e alemanne, e ne’ paesi di queste seco loro introdursi. – Venezia estendeva il commercio e la sua dominazione su tutta la costa dell’Adriatico, ed è noto come questa Repubblica ospitaliera ricettasse gli stranieri di qualsisia clima, di qualsisia religione. – I Paoliziani che militavano sotto le bandiere di Bisanzio, ebbero sovente occasione di accampare nelle Province che i Greci Imperatori possedevano nella Sicilia, e poichè, così in tempo di pace come di guerra, conversavano liberamente cogli estranei, e coi nativi del paese, le loro opinioni ebbero campo di tacitamente diffondersi e a mano a mano di pervenire sino a Roma, e a Milano e ne’ regni posti di là dall’Alpi43. – Non si tardò molto a scoprire che migliaia di Cattolici d’entrambi i sessi, e di ogni ordine, il Manicheismo aveano abbracciato, e dodici canonici di Orleans condannati alle fiamme, contrassegnarono il primo atto di persecuzione. I Bul[p. 38 modifica]gari44 il cui nome, così innocente in origine, è divenuto tanto odioso nelle applicazioni che se ne sono fatte, si dilatarono per tutta l’Europa. Congiunti per comune odio contro l’idolatria e la Corte di Roma, obbedivano ad una specie di Governo episcopale, o presbiteriano; la diversità delle varie Sette consisteva in alcuni punti, più o meno discordanti, della loro scolastica Teologia; ma tutte generalmente convenivano nello ammettere i due Principj, nel disprezzare l’Antico Testamento, nel negare la presenza reale del corpo di Gesù Cristo, sia sulla Croce, sia nel mistero Eucaristico. Gli stessi nemici de’ Bulgari confessavano semplice il costoro culto, nè potersi rimproverare ad essi alcuna cosa quanto a purezza di costumi: si proponeano un modello di perfezione tanto sublime, che le loro Congregazioni, il cui numero aumentava ogni giorno, in due classi si dividevano, in quelle che a tal perfezione si conformavano, e in quelle che solamente aspiravano alla medesima. Il Paolizianismo avea poste principalmente profonde radici nel territorio degli Albigesi45, si[p. 39 modifica]tuato nelle province meridionali della Francia; laonde nel secolo XIII, si rinovarono sulle rive del Rodano quelle vicende di persecuzioni, e vendette che dianzi le terre dell’Eufrate avevano offerte. Fattesi rivivere da Federico II le leggi degl’Imperatori di Oriente, i Baroni, e le città della Linguadoca raffigurarono i ribelli di Tefrica; ma la gloria sanguinolenta di Papa Innocenzo III, superò quella della medesima Teodora; e se vi fu perfetta eguaglianza di crudeltà fra i soldati di questa Imperatrice, e gli eroi delle Crociate, la barbarie de’ sacerdoti greci venne superata di gran lunga dai fondatori della Inquisizione46, Ordine ben più atto a confermare che a confutar la opinione dell’esistenza di un cattivo Principio. Perseguitate dal ferro e dal fuoco le assemblee pubbliche de’ Paoliziani, e degli Albigesi, cessarono affatto, e i miseri resti di queste fazioni si videro costretti a fuggire, a nascondersi, o a procacciarsi una sicurezza col fingere di abbracciare la Fede cattolica. Ma l’invincibile spirito di setta non quindi sparve dall’Occidente: ed una segreta lega di [p. 40 modifica]discepoli di S. Paolo, che, protestando contro la tirannide di Roma, prendeano la Bibbia per regola di loro credenza, e dalle visioni della gnostica Teologia aveano liberato il loro simbolo, si perpetuò nello Stato, nella Chiesa, e persino ne’ chiostri. Gli sforzi di Wiclef nell’Inghilterra, e di Hus nella Boemia, immaturi furono e scevri di frutto; ma i nomi di Zuinglio, di Lutero e di Calvino vengono pronunziati colla gratitudine dovuta ai liberatori delle nazioni47.

Il filosofo che ha dovere di calcolare il grado di merito di cotesti uomini, e della riforma che le lor fatiche operarono, chiederà saggiamente quai sieno gli articoli di Fede48 superiori o contrarj alla ragione dal cui giogo sciolsero i Cristiani, perchè una tale libertà è senza dubbio un inestimabile vantaggio, ogni qualvolta colla pietà e colla verità sia conciliabile. Chi si accinge a ventilare, scevro d’imparzialità, un tale soggetto, dee piuttosto sorprendersi della timidezza dei riformatori, che scandalezzarsi del lor ardimento49. Non men degli Ebrei ammet[p. 41 modifica]tevano tutti i lor libri, e tutte le lor maraviglie, incominciando dal giardino di Eden, fino alle visioni del profeta Daniele; si credettero obbligati insieme a’ Cattolici, a giustificare contro gli Ebrei l’abolizione d’una legge emanata da Dio50. Era, oltre ogni dire, rigorosa l’ortodossia dei riformatori, sui grandi misteri della Trinità, e della Incarnazione; niun dubbio metteano sulla dottrina de’ quattro o sei primi Concilj, e fedeli al simbolo di S. Atanasio, bandivano dannazione eterna a tutti coloro che al simbolo della Chiesa cattolica non si uniformavano. Il dogma della transustanziazione, o trasformazione invisibile del pane e del vino, in corpo e sangue di Gesù Cristo51, mal può sostenersi contro l’armi e dello scherzo e del raziocinio. Ma in vece di consultare la semplice testimonianza de’ loro sensi, della [p. 42 modifica]vista, del tatto e del palato, i primi protestanti si avvolsero ne’ proprj loro scrupoli, e abbagliò le loro menti il prestigio delle parole che profferì Gesù Cristo nell’atto di istituire il Sacramento Eucaristico. Lutero sostenea la presenza corporale di Gesù Cristo nel pane consacrato; Calvino la reale, e solo lentamente prese radice nelle Chiese riformate l’opinione di Zuinglio, che null’altro vide nella Eucaristia, fuor d’una comunione spirituale, d’una semplice ricordanza52. Ma la perdita di un mistero fu largamente compensata da sorprendenti dottrine53 sul Peccato Originale, sulla Redenzione, sulla Fede, sulla Grazia, e sulla Predestinazione che tolte vennero dalle Epistole di S. Paolo. Certamente i Padri e gli scolastici, aveano preparate queste sottili quistioni54, ma il merito di averle condotte a [p. 43 modifica]definitiva e ad uso del popolo, è tutto de’ Capi della Riforma, che inoltre le divulgarono come articoli di Fede indispensabile alla umana salvezza. E fin qui veramente, e sotto l’aspetto di asserir cose difficili a credersi, lo svantaggio rimane affatto dal lato de’ Protestanti, perchè molti Cristiani meglio si adatterebbero a sottomettere la loro ragione all’idea d’un’ostia trasformata in Dio, che a conoscere per loro Dio un tiranno capriccioso e crudele.

Ciò nullameno e Lutero, e i suoi rivali rendettero servigi durevoli e rilevanti alla umanità, e la Filosofia non può negare a questi intrepidi entusiasti5556, un tributo di gratitudine. [p. 44 modifica]

I. Eglino tolsero al gigantesco edifizio della superstizione57 molta parte di assurdità, incominciando dall’abuso delle Indulgenze, e venendo sino alla intercessione di Maria Vergine. Tante miriadi di frati e di monaci, alla libertà ed ai lavori della vita sociale restituirono; per opera dei riformatori, una immensa schiera di Santi, e d’Angeli, spezie di Divinità imperfette, e subalterne, spogliate vennero del lor potere temporale e ridotte a contentarsi dalla sola celeste beatitudine; sbandite le immagini e le reliquie di questi dai tempj, la credulità del popolo, più non si vide di miracoli e giornaliere apparizioni nudrita. Ad un culto che a quello dei Pagani si avvicinava58, sostituirono un culto [p. 45 modifica]spirituale di preghiere, e rendimenti di grazie, più degno dell’uomo, e meno sproporzionato alla Divinità. Rimane però sempre a sapersi, se questa sublime semplicità alla popolare divozione si adatti; e se l’uom del volgo, al quale ogni oggetto visibile di venerazione sia tolto, sentirà più il religioso entusiasmo, o anzi non cadrà a poco a poco nel languore, e nella indifferenza.

II. La Riforma ha rotta quella catena di autorità59, che impediscono al timorato divoto il pensare da sè medesimo, e allo schiavo il dir quel che pensa: all’atto della Riforma, i Papi, i Padri della Chiesa, e i Concilj non vennero più riguardati come giudici supremi e infallibili della Terra; ed imparò ogni Cristiano a non avere altra legge che la Scrittura, altro interprete che la propria coscienza60. [p. 46 modifica]

Non dee nondimeno tacersi, essere stata questa libertà piuttosto conseguenza che scopo della Riforma. I nostri patriottici riformatori, intendevano a succedere ai tiranni che aveano atterrati, e, non meno imperiosamente di essi, pretendendo che ciascuno al lor Simbolo si sommettesse, sosteneano nei Magistrati il diritto di punir di morte gli eretici. Calvino trascinato da fanatismo, o da astio, punì in Servet61 una ribellione della quale era egli stesso colpevole62. E Cranmer aveva accese per gli [p. 47 modifica]in Smithfield, quelle fiamme che poscia lui medesimo consumarono63. Le tigri non avean dunque cambiata natura; ma i principj della Riforma lor limarono gradatamente le unghie e le zanne. Il Pontefice romano possedea un regno spirituale, e temporale ad un tempo; i dottori protestanti non erano che umili sudditi privi di giurisdizione, e di rendite. L’antichità della Chiesa cattolica facea sacri i decreti del Papa; i Riformatori sottomettevano al popolo le proprie ragioni e dispute, appellazione al giudizio di ognuno, che la curiosità e l’entusiasmo ricevettero con più ardore di quanto gli stessi riformatori desiderassero. Dopo i giorni di Lutero, e di Calvino, un’altra riforma si è andata operando tacitamente in seno delle Chiese protestanti, ed ha distrutto immenso numero di errori; sicchè i discepoli di Erasmo64 diffusero estesamente lo spirito [p. 48 modifica]di independenza e di moderazione. La libertà di coscienza65 venne invocata siccome patrimonio che a tutti gli uomini pertenea, siccome inalienabile diritto66. I Governi liberi dell’Olanda67 e della Inghilterra68 introdussero in pratica la tolleranza; [p. 49 modifica]e la prudenza, e l’umanità del secolo ampliarono i troppo limitati concedimenti della legge. Lo spirito dell’uomo ha ricuperata coll’uso la naturale estensione delle sue facoltà, nè la sua ragione continua ad appagarsi di parole, e di chimere fatte soltanto per intertenere i fanciulli. La polve copre le opere di controversia, e v’è gran distanza fra la dottrina della Chiesa riformata, e la credenza di coloro che ne son membri; sol quindi, o sorridendo, o sospirando, il moderno clero alle forme dell’Ortodossia, e ai simboli già abbracciati si adatta. Ciò nullameno gli amici del Cristianesimo si spaventano69 di tali illimitati progressi dello spirito di ricerca e dello scetticismo, e avverate veggonsi le predizioni de’ Cattolici. Gli Arminiani, gli Ariani, i Sociniani, de’ quali non dobbiam calcolare il numero su quello delle loro Congregazioni, hanno abbiurati apertamente tutti i misteri; e vediamo i fondamenti della rivelazione smossi da uomini, che usano il linguaggio della religione senza averne i sentimenti70, e [p. 50 modifica]si fanno lecita una libertà di idee filosofiche, senza avere quella moderazione che alla filosofia va congiunta.

Note

  1. Abbiamo già detto altrove, e lo ripetiamo, che la Teologia ci dice non essere i misterj del Cristianesimo contrarj alla ragione, ma soltanto superiori alla ragione. Bisogna poi convenire, che la carità, fondamento della parte morale del Cristianesimo, è stata dalle fierissime controversie teologiche non solo violata, ma mutata in odj, in persecuzioni crudeli, in orribili stragi che si rinovarono fra’ cristiani per una successione di secoli. (Nota di N. N.)
  2. La Casa imperiale d’Isauria proscrisse il culto delle Immagini; noi abbiamo già scritto, spiegandolo, una lunga nota al T. IX. (Nota di N. N.)
  3. Un teologo troverebbe più conveniente il dire, che il Cristianesimo aveva prevalso al Politeismo, ed al Giudaismo, e che le decisioni de’ sei primi Concilj generali, sostenute dalla forza dei cattolici imperatori greci, avevano punito severamente, e condannate al silenzio le opinioni erronee, che, nate fra’ cristiani stessi, avevano formato moltissime Sette cristiane, e ne vennero reciproche, e crudeli persecuzioni. (Nota di N. N.)
  4. Potevasi moderare questa forte espressione, e sebbene le persecuzioni che si fecero fra loro i Cristiani ortodossi, ed eterodossi, per le loro contrarie opinioni in Teologia dogmatica sieno state lunghe, feroci, e sanguinose, posto che oggidì i saggi, illuminati Governi, provvidamente più non permettono, per le passate terribili esperienze, che avvengano simili pubblici disastri, potevansi coprire d’un velo i moltissimi fatti storici, che provano a che grado di furiosa crudeltà possa giungere l’entusiasmo, ed il fanatismo de’ popoli rozzi, nelle controversie di religione. (Nota di N. N.)
  5. Il dotto Mosheim coll’imparzialità e buona fede, solite in lui, esamina gli errori e le virtù de’ Paoliziani (Hist. eccles. seculum IX, p. 311, ec.) desumendo i fatti da Fozio (contra Manichaeos, l. I), e da Pietro il Siciliano (Hist. Manichaeorum). La prima delle ridette opere non mi è venuta fra le mani: ho letta la seconda, che d’ordinario il Mosheim ha preferita, valendomi di una versione latina inserita nella Maxima Bibliotheca Patrum (t. XVI, p. 754-764), Edizione del Gesuita Radero (Ingolstadt, 1064, in 4).
  6. Nei giorni di Teodoreto, la diocesi di Cirro nella Sorìa contenea ottocento villaggi; due de’ quali abitati dagli Ariani, e dagli Eunomj, otto dai Marcioniti, che quell’operoso vescovo unì alla Chiesa cattolica (Dupin, Biblioth. eccles. t. IV, p. 81, 82).
  7. Nobis profanis ista (sacra Evangelia) legere non licet, sed sacerdotibus duntaxat; fu questo il primo scrupolo di un cattolico cui veniva consigliato legger la Bibbia (Pietro il Siciliano, p. 761).
  8. L’opinione de’ Paoliziani che ricusavano di ammettere la seconda Epistola di S. Pietro, trova appoggio nell’autorità di alcuni rispettabilissimi scrittori tanto antichi quanto moderni (V. Wetstein, ad loc. Simon, Hist. crit. du Nouveau Testament, c. 17). I Paoliziani ricusavano ancora l’Apocalisse; (Pietro il Sic., p. 736). Dal vedere che i contemporanei non ne apposero ad essi un delitto, potrebbe quasi dedursi che i Greci del nono secolo non facessero gran caso delle rivelazioni.
  9. Una tale contesa, che alla malignità di Porfirio non isfuggì, suppone errore o passione nell’uno e nell’altro de’ due appostoli, o forse anche in entrambi. S. Grisostomo, S. Gerolamo ed Erasmo, la suppongono una lite finta, un pietoso artifizio ideato per istruire i Gentili, e per correggere gli Ebrei (Middleton’s Works, vol. II, p. 1-20).
  10. Chiunque bramasse tutte le particolarità che riguardano i libri eterodossi può consultare le ricerche del Beausobre (Hist. critique du Manichéisme, t. I, p. 305-437). S. Agostino parlando de’ libri manichei, che si trovano nell’Affrica dice: Tam multi, tam grandes, tam pretiosi codices (contra Faust., XIII, 14); ma aggiunge poi senza misericordia: incendite omnes illas membranas, e tal consiglio fu rigorosamente seguito.
  11. La religion cristiana è composta di tre parti: la morale, la dogmatica, la disciplinare: la parte morale è contenuta intera chiaramente, senza bisogno di spiegazioni, e di interpretazioni, in queste parole, scritte nell’Evangelo, nelle quali disse Gesù Cristo consistere tutta la legge, Ama il signore Dio tuo sopra tutte le cose, ed il Prossimo tuo come te stesso; in questi due precetti tutta la legge ed i Profeti stanno. Queste poche parole sono da annoverarsi fra quelle delle quali scrisse, con buon senso, Agostino: Vi sono alcune cose nelle Scritture, le quali richiedono più il semplice uditore che il comentatore. La parte morale intrinsecamente non ha cangiato mai.
     La parte dogmatica è pure negli Evangelj, ma pel modo ond’è esposta, ha avuto bisogno di spiegazioni, di interpretazioni, ed in conseguenza di queste (le quali furono fatte da scrittori ecclesiastici, ed anche da Concilj generali, cominciando quanto a questi ultimi dall’anno 325, in cui si adunò quello generale di Nicea, e venendo all’anno 381 in cui fu convocato l’altro generale di Costantinopoli, e indi all’anno 400 in cui si convocò quello primo di Toledo soltanto nazionale, o provinciale, e poscia all’anno 1274 in cui si tenne quello generale di Lione) fu scritto, e compiuto il Credo in unum Deum ec., che dicesi nella Messa, e ch’è la formula della credenza de’ cattolici. Non si può sostenere, che sieno state fatte veramente innovazioni nella parte dogmatica; era questa già contenuta negli Evangelj, non vi fu bisogno, che d’interpretarla, dilucidarla, e scriverla in una formula da presentarsi a’ Cristiani, perchè da essi dovesse esser creduta. Ecco ciò che fecero molti Concilj in differenti secoli, secondo, che porgevasi l’occasione di decidere controversie, che spesso sorgevano, e che le une dalle altre nascevano intorno ai dogmi. Per esempio (pigliando la prima, e principal controversia) sta scritto nell’Evangelo che Gesù Cristo disse: mio Padre è in me, ed io sono in lui: ed in un altro luogo pure dell’Evangelo è scritto, che Gesù Cristo disse: il Padre, che mi mandò è maggiore di me; ed altrove pure nell’Evangelo; siccome il Padre mandò me, così io mando voi; disse Cristo agli Appostoli. Da questi due ultimi passi dell’Evangelo giudicavano i Cristiani, detti Ariani dal loro Capo il prete Ario, che Gesù Cristo non fosse della stessa sostanza del Padre, ossia dell’esser supremo, e perciò non fosse Dio; ed il Concilio di Nicea di 318 vescovi, l’anno 325, condannandoli giudicò, che per il primo passo, Gesù Cristo era, per le parole di lui medesimo, della stessa sostanza del Padre, vale a dire, ch’era Dio, e perciò si scrisse nel Concilio il Credo in unum Deum ec., in cui i Vescovi, contro il minor numero de’ Vescovi Ariani, decretarono, che si scrivesse, come fu scritto, che Gesù Cristo era consustanziale del Padre, cioè della stessa sostanza del Padre, cioè ch’era Dio, siccome leggesi nel Credo di Nicea. Tuttavia la guerra per la parola consustanziale, e per l’idea che racchiude, durò moltissimi anni nelle province cristiane d’Asia, e d’Europa; l’Arianismo mutò d’aspetto colla denominazione Nestorianismo da Nestorio Patriarca di Costantinopoli; vi venne dopo l’Eutichianismo, poi seguitò il Monotelismo, e questa Storia empiè alcuni volumi.
     La parte disciplinare poi ha avuto tali, e tante variazioni sì inferiormente che esteriormente, che sarebbe troppo lungo il riferirle; converrebbe scrivere un grosso volume in-folio. (Nota di N. N.)
  12. Bisogna osservare, che qui l’autore, riferisce le cose dette dai Paoliziani, che erano nell’errore, ed il Cattolico non dee punto turbarsi nella sua credenza. (Nota di N. N.)
  13. Si faccia qui la medesima riflessione, da ripetersi ogni volta, che l’autore riferisce gli errori de’ Paoliziani. (Nota di N. N.).
  14. Il legame fra l’Antico, ed il Nuovo Testamento fu stabilito dai Concilj, dai Padri, e dai Teologi. Agostino ci dice; novum in vetere est figuratum, et vetus in novo est revelatum, nel Testamento Nuovo spesso si cita l’Antico: la Teologia è tutta fondata sull’autorità dei libri del Testamento Vecchio e Nuovo, dei decreti dei Concilj, dei Papi, e delle spiegazioni dei Padri, e dei Teologi che ottennero credito. (Nota di N. N.)
  15. Pietro il Siciliano (p. 756) ha additati, ma con molta parzialità e passione i sei errori capitali dei Paoliziani.
  16. Primum illorum axioma est, duo rerum esse principia; Deum malum et Deum bonum, aliumque hujus mundi conditorem et principem, et alium futuri aevi. (Pietro il Siciliano, p. 756.)
  17. Due dotti critici il Beausobre (Hist. critique du Manichéisme, l. I, IV, V, VI), e il Mosheim (Institut. histor. eccles. et De rebus christianis ante Constantinum, sec. I, II, III), sonosi studiati di riconoscere e distinguere gli uni dagli altri i diversi sistemi de’ Gnostici intorno ai due Principj.
  18. Appostolo vuol dire inviato in generale; ciò è vero; ma questo vocabolo, per quanto sembra, è da usarsi soltanto parlando di quelli, che furono inviati da Gesù Cristo a spargere la sua religione: euntes, docete etc., e non di Silvano che andava diffondendo le sue opinioni contrarie a quelle determinate dai Concilj generali. (Nota di N. N.)
  19. I Medi e i Persiani possedettero più di tre secoli e mezzo le province poste fra l’Eufrate a l’Halis (Erodoto l. I, c. 103), e i Re di Ponto perteneano alla reale casa degli Achemenidi (Sallustio, Frammento l. III, con supplimento e note dal presidente di Brosse).
  20. Gli è verisimile che Pompeo fondasse questa città dopo la conquista del Ponto. Trovasi la medesima in riva al Lico, al di sopra di Neo-Cesarea: i Turchi la chiamano Culei-Hisar, ovvero Scionac; assai popolata, e posta in un paese ben difeso dalla natura (D’Anville, Géographie ancienne, t. II, p. 34; Tournefort, Voyage du Levant, t. III, lettera 21, p. 293).
  21. Il tempio di Bellona a Comana, nel Ponto, ricca e possente fondazione, ove il gran Sacerdote veniva onorato, come seconda persona del regno. Di tale carica erano stati insigniti diversi proavi materni di Strabone, che con particolare compiacenza si arresta a descrivere (l. XII, p. 809-835, 836, 837) il tempio, il culto della Dea, e la festa che ad onore di essa ogni anno si celebrava; ma la Bellona del Ponto più alla Dea dell’amore che a quella della guerra si assomigliava.
  22. Gregorio, vescovo di Neo-Cesarea (A. D. 240-265), soprannomato Taumaturgo, ossia facitore di maraviglie. Un secolo dopo, Gregorio di Nissa, fratello del gran S. Basilio, pubblicò la storia o veramente il romanzo della vita di Gregorio il Taumaturgo.a
    1. Non è da dirsi che la vita di S. Gregorio Taumaturgo sia un romanzo, perchè fu scritta, e pubblicata un secolo dopo da un altro Santo, Gregorio di Nissa. (Nota di N. N.)
  23. Non bisognava unire insieme il tempio di Bellona, ed i miracoli di Gregorio. (Nota di N. N.)
  24. Hoc caeterum ad sua egregia facinora, divini atque orthodoxi imperatores addiderunt, ut Manichaeos Montanosque capitali puniri sententia juberent, eorumque libros quocumque in loco inventi essent flammis tradi; quod si quis uspiam eosdem occultasse deprehenderetur, hunc eundem mortis paenae addici, ejusque bona in fiscum inferri. (Pietro il Siciliano p. 759). Che di più poteano augurarsi il bigottismo e lo spirito di persecuzione?
  25. Sembrerebbe che i Paoliziani si fossero fatti leciti alcuni equivoci o alcune restrizioni mentali, sintanto che i Cattolici trovassero finalmente con quali interrogazioni poteano ridurli all’alternativa della apostasia, o del martirio (Pietro il Sicil. p. 760).
  26. Pietro il Siciliano (p. 579-767) racconta questa persecuzione con gioia e in tuono di scherzo. Justus justa persolvit. – Simeone non era τιτος, Tito, ma κητος, Ceto, (convien dire che la pronunzia di questi due vocaboli fosse all’in circa la stessa), una grande balena che sommergeva i marinai caduti nell’errore di crederla un’isola (V. Cedreno p. 434-435).
  27. Se gl’Imperatori Greci iconoclasti fossero stati indulgenti verso i Paoliziani, siccome questi avevano alcuni errori comuni co’ Manichei, i Monaci già padroni degli animi de’ sudditi, gli avrebbero al solito accusati di manicheismo; cotale accusa avrebbe prodotto il tristo effetto di sollevazioni, e di nuovi mali, che i saggi e forti governi d’oggidì sanno allontanare da’ loro Stati contenendo il Clero nei doveri di sudditanza. (Nota di N. N.).
  28. Pietro il Siciliano (p. 763-764), il Continuatore di Teofane (l. IV, c. 4, p. 103, 104), Cedreno (p. 541, 542, 545) e Zonara (t. II, l. XVI; p. 156) narrano la ribellione e le imprese di Carbeas e de’ suoi Paoliziani.
  29. Otter (Voyages en Turquie et en Perse t. II) giusta ogni apparenza fu il solo tra i Franchi, innoltratosi fin nel territorio de’ Barbari independenti, e in Tefrica, oggidì Divrigni: ed ebbe la ventura di fuggire dalle lor mani accompagnandosi ad un ufiziale turco.
  30. Genesio nel tessere la storia di Crisocario (Chron. p. 67-70, ediz. di Venezia), ne ha dato a divedere qual fosse allora la debolezza dell’Impero. Costantino Porfirogeneta (in vit. Basil., c. 37-43, p. 166-171) parla pomposamente della gloria dell’avo suo. Cedreno (p. 570-573) mostra come fosse privo delle passioni, ma anche delle cognizioni dei precedenti.
  31. L’Autore mostra qui la sua non curanza delle risposte che sanno dare i teologi alle proposizioni simili a questa non ha potuto impedire ec.; le ricorderemo noi al lettore. I Santi hanno fatto, e possono fare meravigliose cose, e miracoli; ma siccome essi gli intercedono da Dio, e siccome vengono fatti, o non fatti, secondo che li meritiamo, o no, così può avvenire, siccome moltissime volte avvenne, che non sieno fatti miracoli anche allor quando sembra ragionevole, ed opportuno di vederne operati: dei nostri meriti poi, o delle nostre colpe, noi non possiamo esser giudici, e ne viene che quantunque si abbia una buona causa, siccome era quella contro i Paoliziani, non si ottengano miracoli a punizione delle colpe nostre, o degli atti nostri. (Nota di N. N.).
  32. Ricordiamo al lettore che la ribellione è sempre un atto che merita punizione, e non trionfo. (Nota di N. N.)
  33. Συναπεμαθανθη πασα ή ανθουσα της Τεφθιπης ευανδρια, venne meno insieme la florida Fortezza di Tefrica. Come è elegante la lingua greca fra le labbra ancor di un Cedreno!
  34. Copronimo trapiantò i suoi συγγενεις, concittadini eretici; e parimente επλατυνθη ή αιθεσις Παυλικιανων, si dilatò l’eresia dei Paoliziani, dice Cedreno (p. 465), che ha copiati gli Annali di Teofane.
  35. Pietro il Siciliano, dimorato nove mesi a Tefrica (A. D. 870) per negoziare il riscatto de’ prigionieri (p. 764), fu istrutto di questa divisata missione; e ad impedire il trionfo dell’eresia, inviò la sua Historia manichaeorum al nuovo arcivescovo dei Bulgari (p. 754).
  36. Zonara (t. II, l. XVII, pag. 209) e Anna Comnena (Alexiad., l. XIV, p. 450, ec.) parlano della colonia di Paoliziani e Giacobiti, che Zimiscè, nell’anno 970, dall’Armenia trapiantò nella Tracia.
  37. Anna Comnena racconta nell’Alessiade (l. V, p. 31; l. VI, p. 154-155; l. XIV, p. 450-457, colle osservaz. del Ducange) la condotta appostolica tenutasi dal padre suo rispetto ai Manichei, da essa chiamati abbominevoli eretici, che ella aveva in animo di confutare.
  38. Fra Basilio, capo de’ Bogomili, Setta di gnostici che ben tosto disparve (Anna Comnena, Alessiade, l. XV, p. 486-494; Mosheim, Hist. eccles., p. 420).
  39. Matt. Paris, Hist. major., p. 267. Il Ducange riporta questo passo dello Storico inglese in una eccellente nota ad una pagina del Villehardouin (n. 208), che trovò a Filippopoli i Paoliziani strettisi in lega coi Bulgari.
  40. V. Marsigli, Stato militare dell’impero Ottomano, p. 24.
  41. Bisogna convenire che la Corte di Roma ne’ tempi andati si mostrò avara; ma l’aggettivo tirannica, è eccessivo; quanto poi al dispotismo, i Papi usavano dell’autorità del loro primato e per determinarlo molto si questionò; e se alcuni ne abusarono, o ne oltrepassarono i limiti, fu cosa cattiva. Del resto, noi ora non vogliamo entrare, perchè ne verrebbe una lunga dissertazione, nelle controversie mosse, e sostenute ne’ famosi Concilj generali di Costanza e di Basilea, intorno l’autorità del Papa, e dai Concilj, nell’occasione del processo, e della deposizione del famoso Papa Giovanni XXIII, che fece la guerra non meno al Concilio di Costanza, che ai due Papi contemporanei Gregorio XII, e Benedetto XIII. V. Fleury, e Lenfant. (Nota di N. N.)
  42. Gesù Cristo, siccome è scritto nell’Evangelo, disse nella Cena, tenendo del pane in mano, questo è il mio corpo; ma non disse: questo pane è la figura del mio corpo, perciò il senso figurato, ossia metaforico delle parole questo è il mio corpo ec., è da rigettarsi, e devesi ritenere il loro senso naturale, e letterale. Il Testamento Nuovo, in tutti i luoghi ne’ quali fa menzione di questo atto di Cristo nella Cena, parla con termini, che presi in senso naturale e letterale, esprimono, coerentemente alle parole di Cristo, la presenza reale del corpo, e del sangue di lui, e perciò la mutazione del pane nel corpo, e del vino nel sangue di Cristo; non ci parla mai in modo, che il pane, ed il vino sieno figure, o segni soltanto del corpo, e del sangue di lui, siccome sostennero indi nell’undecimo secolo, e dopo, i moltissimi seguaci di Berengario Arcidiacono d’Angers, e maestro di Teologia in Tours sua patria, e poscia gli Albigesi, e finalmente i dottori protestanti Lutero, Calvino, Zuinglio ec., in un con tutti i popoli, che indussero co’ loro ragionamenti a cotale errore. Dunque la credenza del cangiamento, ossia della transustanziazione ebbe origine dalle parole di Cristo, e non fu una innovazione della Chiesa romana, ossia d’Innocenzo III nel Concilio generale di Roma l’anno 1215, cui vuol alludere l’Autore: riferiremo poi le nuove espressioni definitive d’Innocenzo, e del Concilio intorno l’Eucaristia.
     Per poter pigliare le parole riferite nell’Evangelo questo è il mio corpo ec. in senso figurato, e sostenere, che il pane eucaristico (ossia pane di rendimento di grazie pel mistero della Redenzione) sia soltanto la figura del corpo, e del sangue di Cristo, sarebbe necessario, o che Cristo ci avesse fatti avvertiti che prendeva in senso figurato, e metaforico le espressioni usate (senso di cui spesso si serviva per far intendere più facilmente dagli ascoltanti le sue lezioni di morale), e non nel naturale, e letterale, o che queste espressioni, prese in questo senso, avessero significato un’assurdità sì palpabile, e sì grossolana, che l’uomo il più ignorante, avesse dovuto accorgersi, che Gesù Cristo non potea giammai prenderle nel senso naturale, e letterale.
     I. Gesù Cristo ben lungi dal darci questo avvertimento, dispose anzi i suoi seguaci a prendere le dette parole in senso naturale e letterale, dicendo loro, prima d’istituire l’Eucaristia colle parole stesse, che la sua carne era cibo, che il suo sangue era bevanda; aveva di più promesso loro di dare ad essi questo pane, e gli Ebrei udendolo dir ciò, si chiedevano l’un l’altro, come potrebbe dare a mangiar loro la sua carne; e Gesù Cristo, avendoli uditi, non rispondendo a questa interrogazione, ripetè, che la sua carne era cibo veramente, ed il suo sangue bevanda veramente, e che se non mangiassero la carne del figlio dell’uomo, e non bevessero il suo sangue, non avrebbero la Vita Eterna.
     II. Non si può dire, che il senso naturale, e letterale delle parole questo è il mio corpo ec., onde fu istituita l’Eucaristia, contenga un’assurdità palpabile, o una contraddizione aperta, di modo, che udendo le parole stesse, la mente lasci il senso letterale, e s’appigli al figurato, perchè in tal caso i Cristiani non avrebbero mai creduto alla presenza reale del corpo e del sangue di Cristo nel pane Eucaristico; inoltre sembra che non si avrebbe potuto stabilire giammai questa credenza, questo dogma, o almeno si avrebbe udito fra Cristiani, ne’ primi secoli, dei reclami contro di esso, ed i più si sarebbero appigliati al senso figurato. Al contrario, quando Berengario combattè questa credenza, questo dogma della presenza reale, i Cristiani vi credevano, nè pensavano, che l’Eucaristia fosse la figura, il segno soltanto del corpo di Cristo. Non si trova che alcun scrittore ecclesiastico, che alcun vescovo si sia giammai lamentato, che s’introducesse al suo tempo un’idolatria condannabile, perchè si adorasse Gesù Cristo, come realmente presente, sotto le apparenze del pane e del vino. (Perpetuité de la foi, vol. in 12, pag. 23).
     Rilevasi dagli scritti de’ Padri dei primi secoli, ch’essi prendevano le parole di Cristo questo è il mio corpo ec. nel senso naturale, e non nel figurato, e che quindi credevano alla presenza reale. Non conviene in ciò appigliarsi ad un picciolo numero di passi delle loro opere per assicurarsi della loro opinione, bisogna prendere tutto il contesto de’ luoghi dove hanno parlato di ciò. Dunque se talora si leggerà, che i Padri abbiano dato al pane Eucaristico il nome di segno, d’Immagine, di figura, non si conchiuderà, che non credessero alla presenza reale (N. Ales. t. 2, l. I).
     Per le parole della consacrazione, la sostanza del pane, e dal vino è mutata, secondo i Padri, nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo; ma questo corpo, e questo sangue non si vedono: i sensi non sentono che le specie del pane e del vino, e perciò esse, dopo la consecrazione sono i segni del corpo di Gesù Cristo; ecco come il pane, ed il vino sono i segni del corpo e del sangue di Cristo.
     Pascasio monaco, e poi abate di Corbia, diede origine all’errore di Berengario verso la fine del secolo nono, avendo composto poco prima per l’istruzione de’ Sassoni (che la forza di Carlomagno costrinse a farsi Cristiani, mettendone a morte molte migliaia, che non vollero rinunciare alla lor religione) un trattato del corpo e del sangue di Cristo: stabiliva la presenza reale, e sosteneva che il corpo, che noi riceviamo, e mangiamo nel pane Eucaristico è quello stesso nato da Maria, e ch’era stato appeso alla croce, e che noi beviamo quel sangue uscito dal Costato di Cristo. Sebbene Pascasio seguisse la credenza de’ Cattolici, non v’era il costume di dire formalmente queste cose. Questa maniera di esprimersi ebbe de’ contraddittori; egli la sostenne; la controversia menò rumore, e durò finchè Berengario prese ad esaminare lo scritto di Pascasio, ed i libri de’ suoi oppositori.
     Berengario, vedendo che il pane ed il vino conservavano dopo la consecrazione le proprietà e le qualità che avevano prima, e che davano tanto prima, che dopo i medesimi effetti, affermò che il pane, ed il vino non erano il corpo, ed il sangue di Cristo, siccome diceva Pascasio. Sostenne, ed insegnò, che il pane, ed il vino non si cangiavano; ma non negò la presenza reale, secondo il senso naturale e letterale delle parole di Cristo; sosteneva che il pane, ed il vino contenevano il corpo ed il sangue di lui, perchè il Verbo si univa al pane ed al vino, e che per tale unione, il pane, ed il vino divenivano poi il corpo ed il sangue di Cristo, senza che la loro natura, e la loro essenza fisica si mutassero.
     Berengario insegnò queste cose nella scuola di Tours, e le sostenne in una lettera, che, letta in un Concilio di Roma ma fu condannata, e l’Autore scomunicato, ed essendolo stato nuovamente, timoroso si ritrattò, visse ritirato, e morì intorno l’anno 1088.
     Ma l’errore di Berengario fu sostenuto dal gran numero de’ suoi discepoli, che presero il nome di Berengariani. Non istettero attaccati all’errore del maestro, andavano innanzi con arditi ragionamenti: tutti riconoscevano col maestro, che il pane ed il vino non si cangiavano; ma molti non potendo concepire, che il Verbo si unisse al pane ed al vino, come aveva detto Berengario, conchiusero che in nessun modo il pane, ed il vino non erano il corpo ed il sangue di Cristo, e che non ne erano, che la figura, il segno; quindi negarono compiutamente il cangiamento.
     Benchè condannato, l’errore si sostenne e si divulgò moltissimo in Francia, in Alemagna, ed in Italia. Presero i Berengariani da Alby in Francia, loro centro, il nome di Albigesi. Essi inoltre non volevano tollerare le grandi ricchezze, e la potenza del Clero, giunte all’estremo, e sostenevano non doversegli pagare le decime; la qual cosa fu sostenuta anche dal povero Arnaldo da Brescia, fatto miseramente bruciar vivo dal Papa Adriano IV. Per verità, i vizj, e i disordini del Clero erano al colmo: vendevasi ogni cosa nelle Chiese; gli Albigesi generalmente erano poveri, e di poche fortune, e regolati.
     Rammentando con rammarico i moltissimi Albigesi bruciati vivi dagli Arcivescovi di Tolosa e di Lione, e l’armata de’ crocesegnati, raccoltasi per pigliar la promessa indulgenza, comandata dall’Abate de’ Cisterciensi, Legato del Papa, e da’ Vescovi, che trucidò, o bruciò (Istoria di Linguad.) furiosamente in Bezieres, settantamila persone, donne, vecchi, uomini, fanciulli, veri, o creduti Albigesi, lo stabilimento del tribunale de’ Padri Inquisitori, che scorsero le province, scomunicando, e bruciando Albigesi, per molti anni, onde di loro non rimase che il nome, e la lagrimevole istoria, e ritornando al punto di Fede, al dogma, il Concilio generale di Roma, l’anno 1215, presieduto dal Papa Innocenzo III, lo confermò, e stabilì contro i Berengariani, e contro gli Albigesi, usando in modo di spiegazione la parola transustanziazione, che cangiamento di sostanza significa, con queste espressioni.
     „In qua (ecclesia) idem ipse sacerdos, et sacrificium Jesus Christus; cujus corpus, et sanguis in sacramento altaris sub speciebus panis, et vini veraciter continentur: transubstantiatis pane in corpus, et vino in sanguinem, potestate divina, ut at perficiendum mysterium unitatis accipiamus ipsi de suo quod accepit ipse de nostro. (Labbe Collectio Concil.)
     E Bossuet dice a questo proposito a’ Dottori protestanti. „Puisqu’il étoit convenable, ainsi qu’il a été dit, que les sens n’aperçussent rien dans ce mystère de foi, il ne falloit pas qu’il y eut rien de changé à leur égard dans le pain, et dans le vin de l’Eucharistie. C’est pourquoi etc. Bossuet: Exposition de la doctrine p. 105, picciolo libro scritto in vano con molta abilità ed avvedutezza per persuadere ed attrarre i protestanti all’unione co’ cattolici. Chi poi volesse vedere distesamente come rispondano i teologi cattolici alle obbiezioni de’ teologi protestanti (raccolte specialmente nell’Opera del dottore Eduardo Albensino) legga ne’ Corsi di Teologia dogmatica i capitoli dell’Eucaristia, o l’Opera Variazioni ec. di Bossuet, giacchè i Protestanti sostennero, e sostengono lo stesso errore de’ Berengariani, e degli Albigesi intorno il pane, ed il vino dopo le parole della consecrazione. Gli Albigesi furono distrutti, come detto è, ma i Protestanti per le loro vittorie contro l’Imperator Carlo V, e per l’editto nomato Interim, che fu costretto a dare, prosperarono, estesero, e rafforzarono la Riforma in molte regioni considerevoli dell’Europa. (Nota di N. N.).
  43. Il Muratori (Ant. Ital. medii aevi, t. V, Dissert. 60, p. 81-152) e il Mosheim (p. 379-382, 419-422) discutono partitamente quanto si riferisce ai Paoliziani che posero dimora nell’Italia e nella Francia. Ma entrambi gli autori ommisero nelle precitate opere un passo osservabilissimo di Guglielmo di Puglia, che in modo ben chiaro segnalò i Paoliziani, descrivendo una battaglia accaduta fra i Greci e i Normanni nell’anno 1040 (in Muratori, )., t. V, p. 256):

    Cum Graecis aderant quidam, quos pessimus error
    Fecerat amentes, et ab ipso nomen habebant.

    Ma lo stesso Muratori conosce sì poco la dottrina de’ Paoliziani, che la converte in una specie di Sabellianismo o di Patripassianismo.

  44. Il nome di Bulgari, B-ulgres, B-ugres, non indicava che un popolo; i Francesi ne han fatto un termine di vilipendio, a mano a mano applicato agli usurai, e a coloro che commettono peccati contro natura; fu dato il nome di Paterini, o Patelini, a quegli ipocriti che hanno un linguaggio adulatorio e melato, siccome il protagonista della vaghissima burletta, l’avvocato Patelin. (Ducange, Gloss. latin. medii et infimi aevi). I Manichei venivano anche nomati Chatari o Puri, corrottamente Gazari ec.
  45. Il Mosheim (p. 477-481) offre un’idea giusta, benchè generale, delle leggi emanate, della Crociata bandita contro gli Albigesi, e della persecuzione che sopportarono. Se ne leggono le particolarità presso gli Storici ecclesiastici antichi e moderni, cattolici e protestanti, fra’ quali il più imparziale e moderato di tutti è il Fleury.
  46. Gli atti (Liber sententiarum) della Inquisizione di Tolosa (A. di Cristo 1307-1323) sono stati pubblicati dal Limborch (Amsterdam 1692), e li precede una Storia generale della Inquisizione. Meritavano essi un autore più dotto e migliore nella critica. Non essendo lecito calunniare nè il demonio, nè il santo Ufizio, farò osservare a questo proposito come, in una lista di rei che tiene diciannove pagine in foglio, solamente quindici uomini e quattro donne siano stati consegnati al braccio secolare.
  47. I nomi di Zuinglio, di Lutero, di Calvino sono pronunciati con lode e riverenza, da alcuni popoli della Germania, della Svizzera, dell’Olanda, dell’Inghilterra, della Svezia ec. che pervennero a persuadere, ma non lo sono dagli altri popoli dell’Europa, che rimasero cattolici. (Nota di N. N.).
  48. Se i dottori protestanti adottarono molti errori, ritennero però la credenza a’ misterj principali dell’Unità, e Trinità di Dio, dell’Incarnazione ec. (Nota di N. N.).
  49. Il Mosheim, nella seconda parte della sua Storia generale, racconta le opinioni e la condotta de’ primi riformatori; ma dopo avere fin lì tenuta la bilancia con occhio sicuro, e mano fermissima, incomincia, d’allora in poi, a farla inclinare a favore de’ Luterani, suoi confratelli.
  50. Gesù Cristo è venuto a riformare, a perfezionare non ad abolire la legge di Mosè, data pure da Dio; egli disse, non veni solvere legem sed adimplere. (Nota di N. N.).
  51. La transustanziazione è un mistero, è una cosa di Fede, e perciò deve credersi sommessamente, e non bisogna ragionarvi sopra: siccome poi in cotale cangiamento rimangono le specie, ossia le apparenze del pane e del vino, anche per dichiarazione del Concilio stesso di Roma dell’anno 1215, così la testimonianza de’ sensi non fa ostacolo alla credenza del cangiamento suddetto, che presso i protestanti, e gl’increduli. È naturale poi che a’ dottori protestanti facessero impressione le parole di Gesù Cristo hoc est ec. riferite nell’Evangelo, perchè ammettevano, del pari, che i Cattolici, le decisioni, e spiegazioni dei Concilj generali del quarto e del quinto secolo, e quindi credevano, siccome credono, che Gesù Cristo sia Dio: non conterranno verità le parole di Dio? la contengono, dissero i dottori protestanti, ma nello spiegare le parole, che la contenevano, errarono con sottili ragionamenti su i vocaboli, sull’uso delle metafore, fatto spesso da Gesù Cristo, e con confronti d’altri passi del Nuovo Testamento, perchè vollero, e pretesero riformare, in iscambio di conformarsi alla tradizione, ai Padri, ai Concilj ed ai Papi, e di credere sommessamente. (Nota di N. N.).
  52. In modo più spiegato e compiuto accadde sotto il regno di Eduardo VI la Riforma della Inghilterra; ma una formale e violenta dichiarazione, che contro la Presenza reale conteneasi negli articoli fondamentali della Chiesa Anglicana, venne cancellata dall’originale per piacere al popolo, ai Luterani, o forse anche alla regina Elisabetta (Burnet’ s History of the Reformation, vol. II; p. 82-128-302).
  53. Intorno a tutte queste materie si deve ammettere, e credere ciò che insegna la Chiesa generale, spiegando di pien diritto il Nuovo Testamento, di cui come si sa, fanno parte le lettere di S. Paolo. (Nota di N. N.).
  54. È noto a’ dotti, che i teologi e filosofi, detti scolastici dal secolo duodecimo, e dopo, movevano nelle scuole sottili quistioni, che sostenevano furiosamente con forme sillogistiche, e con vane parole da essi adoperate invece di ragionamenti. Facevano una moltitudine di definizioni, e distinzioni, sostenevano pertinacemente una ridicola guerra di sillogismi, senza avere bene spesso cognizioni, e idee positive della materia che trattavano, e dopo una lunga scena, i questionanti stanchi dal combattere, ma nè vinti, nè vincitori, nulla avevano imparato, e concluso. La Logica e la Filosofia d’oggidì, dopo i Loke, i Baconi, i d’Alembert, i Condillac, sommi uomini, fondate sull’osservazione, sull’esperienza, su i fatti, sul retto uso della ragione, sull’analisi della cose, e delle idee, mandò in dileguo la Scolastica. Quanto ai Padri della Chiesa, ve ne furono alcuni le cui opinioni furono condannate, per esempio Origene e Tertuliano, dai Concilj, e perciò se taluno di loro prepararono alcune sottili quistioni, non è questo un appoggio a’ dottori protestanti, per non conformarsi alle spiegazioni, e decisioni de’ Concilj. (Nota di N. N.).
  55. Il Cattolico deve dire entusiasti dell’errore. (Nota di N. N.)
  56. „Se non vi fossimo stati Lutero ed io, diceva il fanatico Whiston al filosofo Halley, rimarreste ancora in ginocchione dinanzi ad una immagine di S. Vinifredo„.
  57. Il Cattolico deve ritenere tutto ciò, che gl’insegna la Chiesa cattolica, cioè i Concilj, e se i dottori protestanti hanno levato via molte cose da questo insegnamento, ciò non riguarda che i popoli, ch’essi venivano a capo di persuadere, e nulla i Cattolici. Quanto poi alle Indulgenze, ecco ciò che ci dice il Bossuet: Quand donc elle (la Chiesa) impose aux pêcheurs des oeuvres pénibles, et laborieuses, et qu’ils les subissent avec humilité, cela s’appelle satisfaction, et lorsqu’ayant égard ou à la ferveur des pénitens, ou à d’autres bonnes oeuvres, qu’elle leur prescrit, elle relâche quelque chose de la peine, qui leur est due, cela s’appelle Indulgence.„ Exposition de la doctrine de l’Eglise Catholique p. 53. (Nota di N. N.).
  58. L'Autore qui allude al culto delle Immagini, da noi già altrove spiegato, ed al culto esteriore prestato da' Cat- tolici. Il culto interiore, ch'è quello solo, che rendono a Dio i protestanti, e ch' è pure reso da' Cattolici, non basta; vi vuole anche il culto esteriore, ch'è quello che prestiamo col corpo essendo pure l’uomo un composto d’anima e di corpo: l’unione delle due parti del culto lo rendono perfetto. (Nota di N. N.)
  59. La Chiesa Cattolica vuole che si sia soggetto a questa catena d’autorità; di già la Teologia è fondata sull’autorità. (Nota di N. N.).
  60. La dottrina de’ protestanti lascia interpretare a ciascuno la Sacra Scrittura, ma la dottrina de’ Cattolici ciò proibisce espressamente; nessuno può, secondo la propria privata ragione, interpretarla e intenderla; questo potere spetta soltanto a’ Padri, a’ Papi, a’ Concilj, ed il credente deve sommessamente ammettere soltanto le loro spiegazioni, e rinunciare a quelle che fossero suggerite dallo spirito privato, ch’è da riguardarsi in ciò siccome una petulanza: così decretò due secoli e mezzo sono, il Concilio generale di Trento: „Praeterea ad coescenda petulantia ingenia, decernit, ut nemo suae prudentiae innixus, in rebus fidei, et morum ad aedificationem doctrinae Christianae pertinentium, Sacram Scripturam ad suos sensus contorquens, contra eum sensum, quem tenuit, et tenet sancta Mater ecclesia, cujus est judicare de vero sensu, et interpretatione Scripturarum Sanctarum, aut etiam contra unanimem consensum patrum, ipsam scripturam sacram interpretari audeat, etiam si ejusmodi interpretationes nullo unquam tempore in lucem edendae forent. Qui contravenerint per ordinarios declarentur, et poenis a jure statutis, puniantur.„Sessio 4 Conc. Trid.
     Ordina, il Concilio, che i Vescovi rispettivi debbano dichiarare, e denunciare coloro, che interpretano la Scrittura, secondo la loro ragione privata, quand’anche non pubblichino colle stampe le spiegazioni date, acciò sieno puniti (Nota di N. N.).
  61. L’articolo Servet del Dizionario Critico del Chauffepié, è quanto ho trovato di meglio fra gli scritti che danno conto di questa indegna ed inumana condanna. V. anche l’abate di Artigny, Nouveaux Mémoires d’Histoire, etc., t. II, p. 55-154.
  62. Move in me più ribrezzo il supplizio di Servet, che non gli auto-da-fè della Spagna, e del Portogallo. 1. Giusta ogni apparenza, lo zelo di Calvino era invelenito dall’astio e fors’anche dalla gelosia. Egli accusò l’avversario dinanzi ai giudici di Vienna, nemici d’entrambi; e a fine di perderlo con maggior sicurezza, ebbe la viltà di tradire il sacro deposito di un carteggio particolare. 2. Questo atto di crudeltà, non fu nemmeno colorato dal pretesto di un pericolo per la Chiesa, o per lo Stato; perchè dal momento in cui Servet a Ginevra si trasferì, vi condusse una vita tranquilla; non predicò, non pubblicò alcun libro, non fece proseliti. 3. Un inquisitore cattolico si sottomette almeno al giogo ch’egli medesimo ha imposto; ma Calvino trasgredì quella sublime massima di fare agli altri quanto vorremmo fatto a noi stessi; massima che io trovo in un tratto morale d’Isocrate (in Nicocle, t. I, p. 93 ediz. Battie), e che precedè di quattro secoli la pubblicazione dell’Evangelo. Λ πασχονκες υφ’ ετερων οργιζεσθε, ταυτα τοις αλλοις μη ποιειτε Non fate agli altri quello, per cui v’adirate, soffrendolo dagli altri.
  63. V. Burnet, vol. II, pag. 84-86. L’autorità del primate soggiogò il senno e l’umanità del giovine monarca.
  64. Erasmo può venire considerato come il padre della Teologia nazionale. Ella sonnecchiava da un secolo, allorchè la tornarono in onore nell’Olanda gli Arminiani, il Grozio, il Limborch e il Leclerc: in Inghilterra il Chillingworth e i Latitudinarj di Cambridge (Hist. of own Times, vol. I, p. 261-268, ediz. in 8), Tillotson, Clerke, Hoadley ec.
  65. La libertà di coscienza veramente non si oppone allo spirito della religione Cristiana. Quanto poi alla tolleranza, ella è o civile, o ecclesiastica: la prima che consiste soltanto nel non perseguitare alcuno per motivo di religione, che non fu a grande sventura ammessa ne’ secoli di fanatismo, e di barbari costumi, e quindi furono immolate a migliaia, e migliaia le misere vittime, e ne vennero tanti, e lunghi disastri, è oggidì pe’ progressi della filosofia, della ragione e dell’umanità, uno de’ principj fondamentali di tutti i Governi, ed è un vero benefizio: la tolleranza ecclesiastica poi, che esigerebbe una lunga dissertazione, consiste nel non prevalersi, per contenere nella credenza, e nel rispetto della religione i Cristiani cattolici, che dei mezzi, e dei metodi prescritti dall’Evangelo in quel luogo: Sit tibi tanquam Etnicus, et publicanus si ecclesiam non audierit. (Nota di N. N.).
  66. Duolmi osservare che i tre filosofi del secolo passato, Bayle, Leibnitz, e Locke, segnalatisi nel difendere sì nobilmente i diritti della tolleranza, fossero laici, e filosofi.
  67. V. l’eccellente capitolo di Sir Guglielmo Temple, intorno la Religione delle Province Unite. Non so perdonare al Grozio (De rebus belgicis, Annal., l. I, pag. 13, 34, ediz. in 12), l’avere approvate le leggi imperiali che alla persecuzione si riferiscono, e serbati i suoi biasimi al solo tribunal sanguinario della Inquisizione.
  68. Sir Guglielmo Blackstone (Commentaries, vol. IV, p. 53, 54), dilucida la legge inglese qual fu posta all’atto della Rivoluzione. Severa non solamente contro i Papisti e coloro che negano la Trinità, essa lascerebbe un campo bastantemente ampio alla persecuzione in generale, se lo spirito della nazione non fosse più forte di cento atti del Parlamento.
  69. Essi s’avvedono con dispiacere che l’audace spirito di ricerca seco trae facilmente una poca credenza alla rivelazione, e può condurre al deismo. Ognun sa che gli Arminiani, gli Ariani, i Nestoriani, i Sociniani, hanno rotta la catena de’ misterj creduta da’ Cattolici, e si andò avverando ciò che aveva preveduto S. Paolo: in novissimis temporibus discedent quidam a fide, attendentes spiritibus erroris etc.
  70. Denunzio alla pubblica considerazione due passi del dottore Priesley, i quali scoprono a che intendano realmente le Opinioni di questo scrittore. L’uno di essi (Hist. Of the corruptions of Christianity, vol. I, p. 275, 276) dee fare tremare il sacerdozio, l’altro (vol. II, p. 484) la magistratura.