Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo II/Libro I/Capo IX

Da Wikisource.
Capo IX - Biblioteche

../Capo VIII ../Capo X IncludiIntestazione 8 marzo 2019 25% Da definire

Libro I - Capo VIII Libro I - Capo X
[p. 364 modifica] [p. 365 modifica]

Capo IX.

Biblioteche.

I. Le pubbliche biblioteche aperte in Roma prima da Asinio Pollione e poscia da Augusto, delle quali nel precedente volume si è ragionato, doveano facilmente risvegliare nell’animo de’ seguenti imperadori il pensiero di imitare la loro munificenza. In fatti Tiberio che pur non fu certamente protettor delle lettere, par nondimeno che un’altra pubblica biblioteca aprisse in Roma. Gellio ne fa menzione: Cum in domus Tiberianae bibliotheca sederemus (l. 13, c. 18) e Vopisco ancora: Libri ex bibliotheca Ulpia... item ex domo Tiberiana (inProbo c.2). Noi non troviam veramente presso alcun degli storici che ne hanno scritta la Vita, memoria alcuna di questa biblioteca di Tiberio. Ma le parole de’ due allegati scrittori sembra che avere non possano altro senso. Noi troviamo in Tacito, ch’egli innalzò un tempio aA’Augusto l. 6 Ann. c. 45); e forse ae’esso contigua era la biblioteca, come contigue aa’altri tempii eran quelle di Pollione e di Augusto. II. Ma troppo funesto alle romane biblioteche fu l’impero di Nerone. Nell’orribile incendio che da Svetonio (in Ner. c. 38) e da Dione (l. 62) e da altri più recenti scrittori si dice espressamente eccitato per voler di Nerone, ma da Tacito si lascia in dubbio, se forse non avvenisse a caso (l. 15, c. 38); in questo incendio, dico, le biblioteche ancora furono [p. 366 modifica]366 LIBRO almeno in gran parte preda del fuoco. Tacito annoverando i danni ch’esso produsse, e le cose di grandissimo pregio che ne furono con sinuate, nomina monumenta ingeniorum antiqua et incorrupta. La biblioteca Palatina singolarmente dovette soffrirne, poichè, secondo lo stesso Tacito, l’incendio ebbe principio a quella parte del Circo ch’era vicino al colle Palatino e al Celio, e dopo essersi sparso pel piano salì ancora all’alto, ed ogni cosa distrusse. Egli è facile a immaginare l’immenso danno che ne seguì a ogni genere di letteratura e di scienza. A que’ tempi in cui si rare eran le copie de’ libri, e in cui il sapere era quasi tutto rinchiuso entro le mura di Roma, moltissimi libri dovettero perdersi interamente. Noi forse a quest’incendio dobbiamo il non essere , annoiati dalle opere de’ cattivi scrittori; chè essendo vene pochissime copie, saranno allora per buona sorte irreparabilmente perite; ma ad esso dobbiamo ancora la perdita di tante pregevolissime opere de’ migliori autori, ch’essendo state composte non molti anni prima, e non essendosene perciò ancora moltiplicate assai e sparse in ogni parte le copie, furon consunte dal fuoco senza speranza di ripararne la perdita. A questo un altro incendio si aggiunse alcuni anni dopo, cioè a’ tempi di Tito, in cui per tre giorni continui le fiamme fecer in Roma orribil rovina (Svet. in Tito, c. 8). In esso tra gli edificj distrutti dal fuoco, Dione annovera (l. 66) il portico di Ottavia insieme co’ 1ibri, cioè la biblioteca che ivi era stata posta da Augusto, e che nell’incendio di [p. 367 modifica]’Verone eia rimasta illesa; e in questo ancora è probabile che molti libri perissero. III. Di Vespasiano non ci narrano gli antichi storici che pensasse ad aprire nuove biblioteche. Nondimeno troviam nominata in Gellio la biblioteca del tempio della Pace (l. 16, c. 8; l. 5, C. 21), e di essa fa menzione Galeno ancora (l. 1 de Composit. Medicam. secund. Cent). Or questo tempio fu opera di Vespasiano, che con esso volle eternate la memoria del trionfo che riportato avea de’ Giudei e della distruzione di Gerusalemme (Svet in Vesp. c. 9). Egli vi raccolse quanto di più raro potè trovare in ogni parte del mondo, singolarmente molti ornamenti del tempio trasportati da Gerusalemme a Roma (Jos. de Bello Jud. l. 7); il libro sol della Legge e le cortine di porpora del Santuario volle che serbate fossero nel suo palazzo. Egli è dunque probabile che in questa occasione egli a questo tempio aggiugnesse ancora una biblioteca. Anzi, se mi è lecito il proporre una mia conghiettura, parmi assai verisimile che molti codici ebraici vi fossero allor collocati. Troppo avidi erano i Romani di raccoglierne da ogni parte; ed avendo essi trovati nella presa di Gerusalemme non pochi libri in caratteri e in lingua ad essi comunemente ignota, egli è facile a pensare che seco dovettero portarli a Roma, dove in niun altro luogo dovean esser meglio riposti, che in quello ove serbavansi le altre spoglie e gli altri monumenti di tal conquista. IV. Nondimeno la gloria di aver riparato il danno che i due suddetti incendj recato aveano 111. Una nuova ne apre Ve* sputtano. IV. Altre rinnovate da Doumi uno. [p. 368 modifica]V. Biblioteca P’pia tliTra368 - LIBRO alle romane biblioteche, si attribuisce conni,nemente a Domiziano. Questi, a cui per altro dee assai poco la romana letteratura, si diè gran pensiero, come narra Svetonio (in />o/?i/£§ c. 20) , di rinnovare le biblioteche dall’incen-J dio distrutte 5 e non solo raccolse con grande® spesa e da ogni parte quanti libri potè tro-J vare, ma spedì uomini dotti fino in Alessandria, dove allora fiorivan gli studj, perchè vi faces-B sero copia de’ libri che ivi trovassero. E pare # che la Palatina biblioteca singolarmente fosse. quella al cui ristoramento pensò Domiziano; 1 poiché essendo probabile assai che essa fosse® incendiata sotto Nerone, veggiamo ciò non ostante che se ne fa menzione ancora da’ posteriori scrittori. Giusto Lipsio crede ancor probabile (Syntagma de Biblioth. c. 7) che al medesimo Domiziano si debba attribuire la biblioteca del Campidoglio, che poscia, regnando Commodo, fu per incendio distrutta. Ma vedremo tra poco che più verisimilmente deesi credere che ne fosse fondatore Adriano. V. Trajano ancora segnalò in questo la sua magnificenza colf aprire una nuova biblioteca che dal suo nome fu detta Ulpia. Pare che di questa biblioteca si faccia menzione in una medaglia di Trajano riferita dal conte. Mezzabarba (Imper. Roman. Numi sui. p. 160); ma l’esserne in parte smarriti i caratteri non lascia accertarne il senso. Più chiaramente vedesi in un’altra medaglia nominata la basilica Ulpia (ib.) a cui la biblioteca dovea essere annessa. Di essa fanno pure menzione e Gellio che rammenta gli editti degli antichi pretori che ivi [p. 369 modifica]eran raccolti (l. 11, c. 17), e Vopisco che nomina ancora i libri di lino che vi si conservavano. Linteos etiam libros requiras, quos Ulpia tibi bibliotheca, quum volueris, ministrabit (in Aurel c. 2); e altrove dice che a suo tempo essa era situata alle Terme di Diocleziano (in Probo c. 2). Che fossero i libri di lino mentovati da Vopisco, non è di quest’opera l’esaminarlo. Anche Livio (dec. 1, l. 4) e Plinio il Vecchio (l. 13, c. 11) ne parlano; ma in modo che sembra ch’essi si usasser solo a’ tempi più antichi. Certo non era carta fatta di lino, come la nostra; ma pare anzi che fossero pezzi di lino, su cui si scrivesse. Così ancora il libro Elefantino della stessa biblioteca, che altrove rammentasi da Vopisco (in Tac. c. 8), a me par probabile, come pensa il Salmasio (in not. ad l. c. Vop.), che altro non sia che un libro formato di tavolette di avorio. Ma di ciò veggansi il Guillandino nella sua opera intitolata Papyrus, il P. Montfaucon nella sua Palaeographia graeca, e gli altri trattatol i di somigliante argomento.

VI. Abbiam di sopra accennata la biblioteca del Campidoglio, che da Giusto Lipsio si crede essere stata opera di Vespasiano, e che fu poscia incendiata a’ tempi di Commodo, cornea suo luogo diremo. Il Conringio pensa al contrario (De Bibl. Augusta) ch’ella non fosse diversa da quella del tempio della Pace; e l’argomento ch’egli arreca a provarlo, si è che ! questo tempio era presso il Foro, cioè alle falde del Campidoglio. Ma in questo egli certamente ha preso errore. Il tempio della Pace TirABOscm, Voi. II. 24 VI. Alta pnì. blu lie biblio» lochc. [p. 370 modifica]VII. I 1 i hliolecarii. SyO LIMliO era presso il Foro bensì, non però presso il Foro grande ch’era alle falde del Campidoglio, ma presso un altro Foro detto Transitorio, come raccogliesi dall’antica descrizione di Roma pubblicata dopo altri dal Muratori (Thes. laser. I t. 4, p. 2126), ove questo Foro insieme col tempio della Pace è posto nella quarta regione; 3 al contrario il Campidoglio insieme col Foro 1 grande è posto nell’ottava. Più probabile sern- 1 bra la conghiettura del P. Alessandro Donati ^ della Compagnia di Gesù, che nell’erudito suo ’ libro stampato in Roma l’anno 1648, e inti- , tolalo Roma vetus et recens, riflettendo, come j abbiam di sopra narrato ,- che Adriano fece ] fabbricare sul Campidoglio le pubbliche scuole, 1 pensa (l. 2, c. 9) che ivi ancora egli aprisse j a vantaggio di que’ che le frequentavano, una \ pubblica biblioteca. Di Adriano pure pensano J alcuni che fosse una biblioteca in Tivoli, che si accenna da Gellio (l. 9, c. i4 \ l- 19* c. 5);1 ina oltreché altri leggono diversamente que’ 1 passi , non vi ha alcun fondamento bastevole a provarlo. VII. Sarebbe a desiderare che gli storici, i quali di tutte questo biblioteche ci han lasciati memoria, ci avessero ancor tramandati i nomi de’ valentuomini a’ quali ne fu affidata la cura. Ma niuno ne troviam nominato nelle loro storie, A questo mancamento però suppliscono almeno in parte le antiche iscrizioni, nelle quali veg- , giamo espressi i nomi di alcuni di essi. E sin-. golarmenie a’ tempi di Claudio alcuni liberti si veggono che da lui aveano preso il nome, e a questo impiego erano da lui destinati. [p. 371 modifica]Tali sono: Ti. Claudius Augusti L. Hymenacus Medicus a Bibliothecis in un’iscrizione presso il Muratori (Nov. Thes. Inscr. t. 2, p 893), e Ti. Claudius ,Alcibiades Mag. a Bibliotheca Latina Apollinis, item Scriba ab Epistolis Lat. presso il medesimo (ib. p. 923); e forse il medesimo impiego avea un altro che ivi pure si dice: Ti. Claudius Lemnius Divi Claudii Augusti Lib. a Studiis (ib. p. 995); e finalmente: A ritiochas Ti. Claudii Caesaris a Bibliotheca Latina Apollinis (ib. p. 932). Questo Antioco non era liberto, ma forse un erudito straniero venuto a Roma. Gli altri tre eran liberti; e già abbiamo veduto altrove che spesso ad essi affidavansi tali impieghi; il che non dee sembrare strano sotto il regno di Claudio, che fu il regno de’ liberti. * Di un altro bibliotecario ci ha lasciata memoria Suida, cioè di Dionigi Alessandrino figliuol di Glauco e di professione gramatico, il quale, dic’egli, a tempo di Nerone e de’ seguenti imperatori fino a Trajano fu soprastante alle biblioteche, e impiegato ancora nello scriver lettere e rescritti, e nelle legazioni. Aggiugne che fu maestro del gramático Partenio, e scolaro del fìlosofo Cheremone, di cui era stato successore in Alessandria. » In un’altra iscrizione si legge T. F1avius a Biblioth. Graec. Pal. (ib. p. 927). Questi potrebbe essere un liberto o di Vespasiano, o di Tito, o di Domiziano, che tutti furon Flavii. Ma come Domiziano fu quegli, come abbiam detto, che rinnovò le biblioteche dall’incendio distrutte, e la palatina singolarmente che qui vedesi nominata, è probabile che questa iscrizione [p. 372 modifica]3^2 LIBRO appartenga a’ tempi di questo imperadore. Finalmente abbiamo un’iscrizione di uno il cui nome è smarrito, ma che dicesi procurator di Adriano in molte provincie dell’Asia, e insieme Proc. Bibliothecar. Graec. et Latin. (ib. t. 1, p. 653; t. 2, p. 706). VIII. Colla munificenza degli imperadori nelF aprire pubbliche biblioteche, gareggiò il lusso de’ privati nel formarle entro le domestiche mura. Io non penso che alcuno desideri ch’io qui annoveri tutti quelli che aveano biblioteche nelle proprie lor case. Basti l’accennarne alcuni pochi per saggio. Una picciola biblioteca di settecento libri avea il poeta Persio, cui egli morendo lasciò al suo amicissimo filosofo Anneo Cornuto (Svet in ejus Vita). Avea pure la sua Giulio Marziale mentovata dal poeta dello stesso nome (l. 7, epigr. 26); la sua il poeta Silio Italico, come narra Plinio il Giovane (l. 3, ep. 7) il quale ancor fa menzione di quella di Erennio Severo (l. 4, ep. 28). Ma celebre singolarmente fu quella del gramatico Epafrodito nativo di Cherona, che visse in Roma da’ tempi di Nerone fino a’ que’ di Nerva; perciocchè egli, benchè schiavo, seguendo l’esempio di Tirannione di cui si è parlato nel primo volume, raccolse, se dobbiam credere a Suida (in Lex.), una biblioteca di trenta mila volumi scelti e rari. Potrebbe parer qui luogo opportuno a ragionar della biblioteca che Plinio il Giovane aprì in Como a beneficio de’ suoi concittadini; ma ci riserberemo a parlarne nel terzo libro, ove raccoglieremo tutto ciò che appartiene, per così dire, alla letteratura provinciale d’Italia [p. 373 modifica]IX. Era in somma così frequente l’uso delle private biblioteche, che appena eravi uom facoltoso che non avesse la sua; e il lusso, che di questi tempi era eccessivo in Roma, davasi palesemente a vedere in esse ancora, e si gareggiava a chi poteva andare più oltre. Quindi il severo Seneca, riformator rigoroso degli altrui vizj più che de’ suoi, contro di questo abuso ancora fa un’amara invettiva: E a che giovano, dice (De Tranq. animi c. 9), gl’innumerabili libri e le biblioteche, il cui padrone appena in tutta la sua vita ne legge gl’indici? La moltitudine. confonde, e non istruisce chi studia; ed è assai meglio il restringersi a pochi autori, che scorrerne molti. Quattrocento mila libri arsero in Alessandria, monumento illustre di regia magnificenza. Altri la loderanno, come fa Livio, il qual dice che fu pregevole opera della eleganza e della sollecitudine de’ re d Egitto. No non fu ella eleganza nè sollecitudine, fu piuttosto un letterario lusso; anzi nemmen letterario. Perciocchè non allo studio, ma alla pompa fu indirizzato; come alla più parte degli uomini che ignorano anche i primi elementi, i libri non son già ajuto allo studio, ma ornamento delle sale di convito. Abbiansi dunque i libri che bastano; ma non se ne faccia spe ttacolo. Egli è pur meglio, dirai, l’impiegare in ciò il denaro che in bronzi, o in quadri. Tutto ciò che è soverchio, è ancora vizioso. Perchè vuoi tu perdonare a un uomo che adorna gli armarj di avorio e di cedro, che raduna gran copia di autori o sconosciuti o disprezzati, e che si sta sbagliando fra [p. 374 modifica]migliaia di libri, dei quali sol gli piacciono i titoli e i frontespizj? Tu vedrai i più oziosi raccoglier quante vi sono Orazioni e Storie; e nelle lor case le scansie sollevantisi fino al tetto. Perciocchè ormai nel bagno ancora e nelle terme si forma una biblioteca, come ornamento ne- j cessano di una casa. Io il soffrirei, se ciò na- 1 scosse da soverchio amore di studio; ma tutti. ’ questi libri e le immagini de’ loro autori da ogni parte si cercano solo a pompa e ao’ornamento delle pareti. Fin qui Seneca, il quale, s’è vero che avesse cinquecento treppiedi di cedro coi piè di avorio, come abbiamo udito narrarsi da Dione, meglio avrebbe fatto a rivolgere contro di se medesimo queste invettive.