Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo II/Libro II/Capo I

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Capo I - Idea generale dello stato civile e letterario di questi tempi

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Capo I - Idea generale dello stato civile e letterario di questi tempi
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Capo I.

Idea generale dello stato civile e letterario di questi tempi.

I. Tito Antonino soprannominato il Pio, che l’anno 138 succedette nell’impero aA’Adriano, fu uno de’ più saggi principi che salisser Sul trono. Se se ne tragga la pudicizia, di cui, per confessione ancora di Marco Aurelio suo successore che di lui parla con grandi elogi, egli non fu troppo severo custode (De Reb. suis l. 1, c. 13), non vi ebbe virtù di cui egli non desse luminosi esempii. Persuaso di non esser sovrano se non per giovare a tutti, a ciò rivolse singolarmente le sue mire. Annullare le 1. Elogio del* Pimper. Antonino.“proiezione da lui accordala alle scienze. [p. 412 modifica]LiBHo leggi ingiuste, punire i turbatori della pubblica tranquillità, sovvenire liberalmente a’ bisognosi d1 ogni maniera, provvedere in somma con affetto da padre e con vigor da sovrano a tutte le necessità dello Stato; queste furono le più dolci e le più ordinarie sue occupazioni. Le scienze ebbero aneli1 esse parte nelle provvide cure di questo ottimo imperadore. Vespasiano, come si è detto nel libro primo, avea a’ professori di rettorica assegnato annuo stipendio, e forse fin d’allora erasi questa legge stesa anche a’ professori dell’altre scienze in Roma; ma Antonino ampliolla ancor maggiormente, perciocchè , come narra Giulio Capitolino (in Anton. c. II), a’ retori ed a’ filosofi non solo in Roma, ma in tutte ancor le provincie dell1 impero egli concedette liberalmente e onori e stipendj; ma con discernere saggiamente quei che ne fossero meritevoli; perciocchè lo stesso autore racconta (c. 7) che a un certo Mosamede poeta lirico greco (di cui il Salmasio recita (in Not. ad hunc loc.) alcuni versi) egli sminuì lo stipendio di cui godeva, forse perchè gli parve che fosse maggior di quello che gli conveniva. Molti privilegi ancora accordò loro Antonino, e singolarmente l1 esenzione da1 varii pubblici impieghi; e stabilì innoltre qual numero di professori’ in ciascheduna scienza aver dovessero le città, cioè che le minori avessero cinque medici,; tre sofisti, ossia retori, e tre gramatici che godessero delle suddette immunità: le maggiori, sette medici, quattro retori ed altrettanti gramatici; le massime, dieci medici, cinque retori ed altrettanti gramatici. Le stesse immunità [p. 413 modifica]SECONDO 41^ accordate furono ai filosofi, de’ quali però non fu fissato numero determinato, e a’ professori di legge, che aveano scuola in Roma. Tutti questi privilegi conservatici dall1 antico giureconsulto Modestino sono stati diligentemente raccolti ed illustrati dal celebre Antonio Agostino Ad Modestinum l. sing. p. 241, ec.) Egli ancora fu uomo di eccellente ingegno, di colta letteratura e di singolare eloquenza (Capit, c. 2). Questo è il solo elogio che degli studj di Antonino ci fa lo scrittor della sua Vita, ed è un elogio assai glorioso ad un sovrano a cui il peso de’ pubblici affari non permette di dar molto tempo agli ameni studj. Ma l’ab. Longchamps non è pago di questo elogio, ed altre più pellegr ine notizie ci somministra (Tabl, des gens de lettr. t. 1, p. 136) del sapere di Antonino; giacchè a lui, e prima agli autori della Storia letteraria di Francia (t. 1 ,p 277), è sembrato di dovergli dar luogo tra’ Francesi illustri in dottrina; nè si può negare che con qualche ragione non l’abbian fatta, affermando Capitolino: pareri tuia genus e Gallia Transalpina, Nemausense scilicet (c. 1). Or l’ab. Longchamps , oltre aver affermato dopo i suddetti autori, non solo che egli era originario della città di Nimes, il che da noi loro non si contrasta, ma che ancora il padre e l’avolo di Antonino vi eran nati, il che non so come essi possan provare , così ci parla degli studi da lui fatti: Nella sua gioventù ei potè senz altra guida che il suo proprio genio innoltrarsi nella carriera cui bastava mostrargli; talchè si può dire che a se medesimo ei dovette la gloria di [p. 414 modifica]essere uno dei più dotti uomini del suo tempo Avea un’erudizion prodigiosa fino da quell’età che non suoe’essere capace che de’ primi elementi. Poichè fu bastantemente nudrito della letteratura degli autori greci e latini, pensò essere omai tempo di usare de’ materiali che avea raccolti. Li attività della sua immaginazione non lasciavagli (quasi luogo aa’altra scelta che della eloquenza, o della poesia. Ei si vol.e alla prima; e la gloria che acquistossi in questa luminosa carriera, è fondata su diverse opere) di cui Capitolino fa grandissimi encomiii L’elogio non può essere più eloquente. Ma il valoroso autor mi perdoni, se io mi fo a chiedergli con rispetto quali prove egli possa arrecare di sì gloriose asserzioni. Ove ha egli trovato che Antonino senza guida alcuna apprendesse le scienze? Ove, che ei fosse un de’ più dotti uomini del suo tempo? Ove, che ancor giovinetto avesse un’erudizion prodigiosa? Ove, che ei facesse professione di eloquenza? In quae’edizione finalmente di Capitolino ha egli trovato che questo autore faccia encomii dell1 opere di Antonino, o almen le accenni? Io certo nulla vi veggo di tutto ciò, nè in alcun antico autore incontro ombra o vestigio di quelle sì grandi cose che questo scrittor ci racconta. Anzi Giulio Capitolino afferma che alcune orazioni che correvano sotto il nome di questo principe, credevasi comunemente che fossero altrui lavoro; benchè Mario Massimo sostenesse ch’egli erane veramente autore (c. 11). Come dunque e con qual fondamento l’ab. Longchamps ha potuto formare aA’Antonino un sì magnifico elogio? Ma rimettiamoci in sentiero.

[p. 415 modifica]II. Nulla meno felice alle lettere fu l’impero di Marco Aurelio soprannomato il Filosofo, e Lucio Vero, che adottati da Antonino per voler di Adriano gli succederon nel trono l’an 161 } non già che il secondo di essi recasse loro ornamento, o onore alcunoj ch’egli. benchè avesse a maestri i più valenti gramatici , retori e filosofi così greci come latini che allora erano in Roma, e benchè avesse continuamente al fianco molti uomini eruditi, poca disposizion nondimeno agli studj ricevuta avea dalla natura; e perciò, trattine alcuni versi e poscia alcune orazioni che giovinetto egli scrisse, e non troppo felicemente (seppure egli stesso le scrisse e non altri per lui, come da alcuni si sospettava), egli non fece nelle scienze progresso alcuno (Capit. in ejus Vita, c. 2); e molto meno allor quando salito all’impero abbandonossi liberamente a’ più detestabili vizj. Ma Marco Aurelio degno successor d’Antonino, e nelle virtù filosofiche migliore ancora del suo predecessore, seppe impedire il danno che dalla dissolutezza del suo collega venir poteva all’impero. Io non so se in tutta l’antichità profana vi abbia un uomo che possa con lui venire a confronto. Tutte le virtù di un privato furono in lui congiunte a tutte le virtù di un sovrano. Modesto nella grandezza, sobrio nelle delicie, casto in mezzo a’ piaceri, austero in mezzo agli agi fino a dormire sul terren nudo , fu al tempo medesimo guerrier vvaloroso, giudice incorrotto, padre amantissimo de’ suoi sudditi, e liberale ristoratore delle pubbliche e delle private calamità. La setta stoica,

II. Elogio dì M. Aurelio. [p. 416 modifica]416 LIBRO

di cui volle essere rigoroso seguace, trasfuse in lui ancora alquanto di quell’orgoglioso fa, sto che a cotali filosofi era comune; e effetto di esso probabilmente si fu il rammentar ne’ suoi libri, de’ quali or ora favelleremo, alcune cose in sua lode, come di non aver fatta cosa di cui avesse a pentirsi, di non essersi mai sottratto dal soccorrere a’ poveri coll’usato pretesto di non avere denaro (l. 1 de Reb. suis), ed altre sì fatte cose ch’egli attribuisce a benefìcio degli Iddii, ma che miglior consiglio sarebbe stato tacere modestamente. Egli nondimeno, come afferma Galeno (l. de Prognosi.) che era di que’ tempi in Roma, egli ben conosceva quanto pochi vi fossero veri filosofi, e la sperienza gli avea fatto conoscere che la più parte erano uomini avari e superbi, e che altro non curavano che la lor gloria e il loro interesse. Ma, troppo è difficile all’uomo scorto dalla sola ragione guardarsi da que’ difetti medesimi ch’ei ravvisa e riprende in altrui. Ciò non ostante ei fu certamente il più saggio tra’ tutti gli imperadori idolatri. Per ciò che appartiene a’ Cristiani, ei ne fu ostinato persecutore; e il miracolo celebre della pioggia al suo esercito ottenuta dalle preghiere de’ soldati cristiani sospese bensì per alcun tempo la spada sopra essi levata, ma non estinse l’odio che contro di essi avea Marco Aurelio; il quale per ciò appunto ch’era per falsa pietà adoratore superstizioso de’ suoi Iddii, credeva di dover aspramente punir coloro che ricusavan di riconoscerli e di adorarli. Non è qui luogo di parlare ampiamente di tali cose che polraimosi [p. 417 modifica]SECONDO 417

vedere diligentemente esaminate dagli scrittori della Sloria Ecclesiastica.

III. Or un sì saggio principe fu coltivatore i indefesso ad un tempo e fomentatore generoso de’ buoni studj. Egli avea spesso in bocca il! detto celebre di Platone , che allor fiorite sarebbono le città, quando o regnassero i filosofi , o i regnanti filosofassero (Capit. in ejus Vita, c. 27). Quindi con ogni cura attese e a coltivare egli stesso le scienze, e ad eccitarne al coltivamento i suoi Romani. Molti egli ebbe chiarissimi uomini di quel tempo destinati ad istruirlo negli anni suoi giovanili, i cui nomi si posson vedere presso Giulio Capitolino (c. 2); anzi egli stesso ne ha fatta ne’ suoi libri onorevol menzione (l. 1 de Reb. suis). I più celebri tra essi furono Erode Attico, Cornelio Frontone, Procolo, Giunio Rustico, Sesto di Cherona nipote di Plutarco, e Apollonio di Calcide tanto da lui onorato, che non si arrossì di frequentarne la casa anche imperadore (Capit. c. 4). A’ suoi maestri mostrossi egli grato singolarmente; a Frontone innalzò una statua nel senato; Procolo fu da lui fatto proconsole; e per Giunio Rustico avea egli sì grande stima ed affetto, che oltre l’averlo continuamente a suo confidente, e l’innalzarlo due volle all1 onore del consolato, egli solea baciarlo pubblicamente innanzi a’ prefetti del pretorio; e poichè fu morto, chiese al senato che gli si ergessero statue. Di tutti finalmente ei teneva le immagini in oro tra quelle de’ Dei penati, e dopo lor morte offeriva al loro sepolcro vittime e sacrificj (ib. c. 2,3, 4). Ma Tìràboschi, Voi. II. 37 [p. 418 modifica]418 LIBRO

benché a tutte le scienze egli si applicasse presto nondimeno abbandonò l’eloquenza, la poesia e le belle lettere, per applicarsi unicamente alla filosofia; e tra’ beneficj di cui egli rende grazie agli Iddii, annovera quello di averlo prontamente distolto da tali studi (l. i de reb. suis) che a lui doveano per avventura sembrare leggere troppo e puerili. Tutto dunque ingolfatosi nella sua stoica filosofia, lascionne ancora a’ posteri un pregevole monumento ne’ dodici libri da lui scritti in greco, e intitolati Delle Cose sue, ne’ quali egli altro non fa che esporre i pensieri, le riflessioni, le massime eli’ egli seco sLesso andava meditando. Alcuni, e singolarmente il Boeclcro (Bib iogr. crii.), tacciati quest’opera come mancante di ordine e di connessione; ma ella è cosa leggiadra il cercare ordine e connessione ove l’autore non ha voluto usarla. Marco Aurelio, seguito poscia da’ più famosi scrittori, ha voluto darci una raccolta de’ suoi pensieri così come gli venivano alla mente; nè ha mai preteso di fare dissertazioni e trattati. Con qual diritto adunque si pretende da lui un ben ordinato e seguito ragionamento? Più giustamente gli si può dare l’accusa di superbia e di fasto, eli’ egli non seppe ne’ suoi libri abbastanza dissimulare. Nel che però parmi che assai meno di Seneca ei sia degno di riprensione. Di Marco Aurelio ha trattato assai lungamente e non meno eruditamente il Bruckero (Hist. crit.Phil. t.2, p. 578). Gli eruditi, pe’ quali io scrivo, non hanno bisogno di essere da me avvisati che l’opera sotto il nome di Marco Aurelio pubblicata dallo [p. 419 modifica]SECONDO 419

spagnuolo Gucvara col titolo ili Orologio de’ Principi è una mera finzione. IV. Gli onori e i premii co’ quali Antonino e Marco Aurelio ricompensarono gli uomini dotti de’ loro tempi, sembra che ravvivare dovessero: il fervor de’ Romani nel coltivare le scienze. E ’ nondimeno si poco numero abbiamo d’uomini a questa età celebri per sapere, se se ne traggano i filosofi , e questi ancora per la più parte stranieri. A dir vero, benchè questi due principi a tutti i coltivatori di qualunque genere di letteratura si mostrassero favorevoli e liberali , chiaramente vedevasi nondimeno ch’essi, e Marco Aurelio singolarmente, sopra tutti avean in pregio i filosofi. Quindi non è maraviglia se, abbandonati gli altri studi, i più si volgessero alla filosofia, o almen mostrassero di coltivarla per far cosa grata a’ sovrani. E così avvenne di fatto; poichè accenna Giulio Capitolino (c. 23) che molti al tempo di Marco Aurelio credendo di potere sotto il filosofico pallio nascondere ogni loro delitto, turbavano e sconvolgevano la repubblica, e perciò fu d’uopo all’imperadore di usar diligenza per conoscerli e punirli. Come poi il costume andavasi ognor più corrompendo in Roma, e l’ardor concepito ne’ tempi addietro pel coltivamento degli studi erasi coll’andar del tempo per le ragioni altre volte accennate rattepidito assai, perciò l’impegno di questi due imperadori nel fomentare le scienze non ebbe gran forza se non tra’ Greci, i quali, venendo a Roma singolarmente per farvi pompa del lor sapere , godevano volentieri di sì opportuna occasione per [p. 420 modifica]V. 11 regno di Comodo , di Pertinace e di Didio Giuliano poco favorevole a’ dotti. 4ao LIBRO salire agli onori e per radunar le ricchezze a cui aspiravano. Nondimeno se gli altri imperadori che venner dopo , avesser seguite le vestigia di questi due gloriosi loro predecessori, Roma forse si sarebbe riscossa, e come nello stato civile così ancor nel letterario si sarebbono rinnovati i lieti tempi d’Augusto. Ma Marco Aurelio ebbe la sventura di avere un figlio e un successore troppo da sè diverso.

V. Fu questi Comodo, che l’an 180 succeduto nell’impero a Marco Aurelio suo padre (Lucio Vero era già morto d’apoplesia F anno 169) rinnovò gli orrori de’ Tiberj, de’ Neroni e de’ Domiziani, de’ quali uguagliò e superò forse ancora la crudeltà non meno che le brutali disonestà. Marco Aurelio suo padre aveagli posto al Fianco per istruirlo nelle lettere alcuni de’ più dotti uomini che fossero in Roma; ma tutti questi maestri, dice Lampridio (in Comm. c. 1) , non gli giovarono punto; nè egli di altro occupossi giammai che del libero sfogo di tutte le sue passioni. Ei fu ucciso l’an 193, per congiura dei suoi più fidi, poichè essi si avvidero che egli risoluta avea ancora la loro morte. Gli succedette Elvio Pertinace uomo di vil condizione, perciocchè figlio di un venditore di legna. Qual luogo sia la Villa di Marte sull’Apennino in cui egli nacque, e se appartenga al Monferrato, o alla Liguria, non è cosa agevole a diffinire, nè è di quest’opera l’esaminarlo. Egli non ostante la bassezza della sua nascita apprese i primi elementi e Fari inetica, e quindi la lingua greca ancora e i precetti delf eloquenza. Anzi egli stesso per alcun tempo [p. 421 modifica]SECONDO 421

lennc scuola eli gramatica in Roma (Capit. in Pertin. c. 1). Ma sembrandogli questo esercizio sterile e infruttuoso, gittati i libri, si diè all’armi; e dopo varie vicende fatto prefetto di Roma, venne quindi innalzato all’imperiale dignità. Un gramatico divenuto imperadore sarebbe stato probabilmente favorevole alla letteratura. Ma la giusta severità del suo impero irritò i pretoriani avvezzi a non soffrir legge alcuna; e fu da essi ucciso dopo tre non interi mesi di regno. Di pochi giorni più lungo fu l’impero di Didio Giuliano milanese di patria , e pronipote del celebre giureconsulto Salvio Giuliano, di cui altrove abbiam favellato. Ei comperò l’impero da’ pretoriani; ma allora fu che cominciarono a vedersi quelle sollevazioni or in una or in altra provincia, che furon poscia quasi continue, sorgendo da ogni parte uomini ambiziosi della imperiale corona, che formandosi un numeroso partito si volgevano contro de’ loro rivali, e colle stragi si disputavan lo scettro. A me non appartiene il far menzione di tutti; mabasterannni Faccennar quelli a cui venne fatto di stabilirsi sul trono. VI. Settimio Severo fu il successor di Giuliano ucciso dopo tre mesi e sei giorni d’impero. Era egli nato in Lepti città della Libia. Dione dice (in Excerptis) ch’egli era ori ondo delle Gallie; Sparziano (in Sev. c. 1), che i suoi maggiori erano cavalieri romani. Checchè ne fosse, egli fu diligentemente istruito nella greca e nella latina letteratura; e in età di diciotto anni cominciò a declamare pubblicamente (Spart. ib.). Quindi sen venne a Roma per [p. 422 modifica]VII. Di Cararallu, di Marrimi c di Eliogululo.

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attendere più facilmente agli studi (ih.)’, e.dopo aver sostenute in più provincie onorevoli cariche, viaggiò ad Atene singolarmente per ac(juistar nuove cognizioni, e per vedere i monumenti d’antichità, di cui quella città era adorna (ib. c. 3). A tutti in somma gli studj ei si rivolse con non ordinario fervore; benchè Dione affermi (l. cit.) ch’egli avea più passione che talento per coltivarli. Avea egli stesso composta la Storia della sua vita, che da Dione (/.) e da Sparziano (in Sev. c. 3) talvolta viene citata, ma di essa non ci è rimasto pure un frammento. Il suo impero avrebbe potuto alle scienze recare vantaggio e lustro, se un’indomabile crudeltà non lo avesse renduto oggetto di orrore a tutti, e oscurato lo splendore delle molte e non ordinarie virtù che in lui si vedevano. Giulia Donna sua moglie, i cui costumi non eran troppo lodevoli, volle almeno farsi gran nome col proteggere i dotti. Quindi ella avea sempre al fianco filosofi sofisti , geometri ed altri uomini eruditi d’ogni maniera (Philostr. in Vita Apollon. l. 1 , c. 3); ed a lei singolarmente dobbiamo la famosa storia ossia il romanzo dell’impostore Apollonio Tianeo, che a sua istanza scritta fu da Filostrato , uno de’ filosofi da lei favoriti. VII. Benchè la crudeltà di Settimio Severo lo avesse fatto esecrabile a’ suoi Romani, poichè ei nondimeno fu morto l’anno 211, e fu levato sul trono Bassiano Caracalla di lui figliuolo, ognuno avrebbe voluto ebe egli ancora vivesse; tanto più crudele del padre mostrossi il figlio, senza avere alcuna di quelle virtù che [p. 423 modifica]SECONDO 413

ji, qualche maniera temperavano la crudeltà di Severo. I primi saggi ch’egli ne diede, furono f uccisione di Plantilla sua moglie, di Plauzio suo cognato, e del suo fratello e collega Geta. Quindi è facile a conghietturare qual fosse contro gli altri chi era sì brutale verso de’ suoi, Il suo regno non fu che un continuo esercizio della più barbara crudeltà che non ebbe riguardo a’ più celebri personaggi di quel tempo; poichè nel numero degli uccisi si vide ancora il famoso giureconsulto Papiniano. Il solo di cui si legga che fosse da Caracalla onorato e ricompensato pel suo sapere, è Oppiano poeta greco di Anazarbo nella Cilicia, autore de’ due poemi che ancor ci rimangono, della Pesca e della Caccia. Questi avendo seguito suo padre che da Settimio Severo era stato rilegato nell’isola di Malta, o in quella di Meleda, come altri vogliono, venuto poscia a Roma offerì a Caracalla le sue poesie, delle quali mostrò egli gradimento sì grande, che non solo gli permise di tornarsene alla sua patria col padre, ma quanti erano i versi, di tante monete di oro gli fece dono. Così si narra in un’antica Vita di Oppiano, che suol premettersi a’ suoi poemi da Suida e da qualche altro storico non molto antico; l’autorità de’ quali non so se basti a persuaderci di un fatto che dall’indole di Caracalla si rende poco probabile. Ma ancorchè ciò fosse veramente avvenuto, un tal esempio poco giovar poteva ad avvivare agli studj in mezzo a tanti altri esempj di crudeltà e di barbarie che sotto l’impero di Caracalla si videro in Roma. Molto più ch’egli, [p. 424 modifica]424 LIBRO

benché Severo lo avesse fatto diligentemente istruir nelle scienze, non mai però erasi ad esse applicato (Dio l. 77). Anzi contro i filosofi seguaci di Aristotele egli era sdegnato per modo, che tolse loro quanti luoghi di radunanze aveano in Alessandria, e avrebbe voluto dare alle fiamme i libri tutti di quel famoso filosofo, perchè pazzamente diceva che della morte di Alessandro egli era stato colpevole (ib.). Macrino uccisore e successore di Caracalla l’anno 217 avrebbe forse ancor più di lui travagliato l’impero; ma ucciso dopo circa un anno di regno, lasciò il trono ad Antonino Eliogabalo nipote di Settimio Severo per parte di Giulia Soemia sua madre, figlia di Giulia Alesa che era sorella di Giulia Donna moglie del detto imperadore. Principe più dissoluto non occupò giammai il trono de’ Cesari; e la crudeltà non ne fu punto inferiore a quella de’ più crudeli imperadori. Ma non molto tempo ebbe a sfogarla, ucciso l’anno 222, dopo quasi quattro anni d’impero, contandone egli soli diciotto di età. VIII. Era ormai tempo che salisse sul trono un principe da cui Roma sperar potesse finalmente sicurezza e pace. E tale fu il giovane Alessandro Severo. Era egli figlio della celebre Giulia Mammea, sorella della madre di Eliogabalo , che da molti autori si crede con assai probabile fondamento che fosse cristiana (V. Tillem. mém, des Emper. Vie d’Alex.). L’educazione ch’ella diede ad Alessandro , fu la più saggia che una madre possa dare ad un figlio destinato a regnare; e il frutto che Alessandro ne trasse, corrispose perfettamente [p. 425 modifica]SECONDO 425

intenzione e al desiderio dell’ottima madre. Salito al trono in età di tredici anni, sotto la direzione di Mammea e di Mesa sua avola e di tre consiglieri di somma prudenza, resse l’impero per tal maniera, ch’ei parve dal ciel mandato a ristorarne i passati danni. Le virtù di Tito, di Traiano, di Antonino, di Marco Aurelio si vider rivivere in Alessandro con tanto maggior suo onore, quanto egli era* di essi più giovane assai. Ma le scienze singolarmente trovarono in lui un coltivator diligente e un magnanimo protettore. I maestri che in esse egli ebbe, furono i più dotti uomini che allor fossero in Roma , e da essi venne istruito nella greca e nella latina letteratura. Egli però nella prima fece più felici progressi che nella seconda (Lampr. in Alex. c. 3). Ma tutti i dotti di qualunque nazione fossero aveva cari, tenevali di continuo al fianco, e rendeva loro non ordinarj onori, anche perchè, dice Lampridio (ib.), egli temeva ch’essi ne’ loro libri non inserissero alcuna cosa contro il suo nome. Il lor parere voleva egli intendere quando si avesse a decider di affar rilevante: e in occasione di guerre trattenevasi volentieri co’ vecchi soldati e cogli uomini versati nelle antiche storie , per sapere da essi qual fosse stata in somiglianti occasioni la condotta de’ più celebri generali (id. c. 16). In guerra ugualmente che in pace avea destinate alcune ore del giorno alla lettura singolarmente de’ libri greci, fra’ quali sopra tutti pi acovagli la Repubblica di Platone: talvolta però faceva uso ancor degli oratori e de’ poeti latini, e singolarmente delle [p. 426 modifica]426 LIBRO

poesie ili Sereno Samonico, cui egli avea conosciuto ed amato assai, e di Orazio (id. c. 30). Anzi alla mensa ancora egli o teneva seco alcun libro, e univa al cibo lo studio, o almeno voleva che uomini dotti gli assistessero, e gli; tenessero eruditi ragionamenti (id. c. 34). Di Virgilio ancora e di Cicerone avea sì grande stima, che ne teneva le immagini tra quelle de’ più famosi eroi (id. c. 31). Egli stesso esercitossi nella poesia, e alcune Vite dei migliori imperadori scrisse in versi (id. c. 27). Nè solo le umane lettere, ma le scienze ancora e le arti tutte furon da lui coltivate. Egli era versato nella geometria , nella pittura , nella musica e in tutti gli esercizj cavallereschi 5 e nel canto e nel suono di molti stromenti era eccellente, benchè, lontano dall’imitare la capricciosa leggerezza di Nerone, egli non ne usasse giammai se non co’ suoi paggì (ib.). Non pago d’istruirsi nelle scienze e nell’arti, cercava di risvegliarne negli altri desiderio e stima. Quindi udiva spesso gli oratori e i poeti, non già se alcun panegirico avesser voluto fare in sua lode, ch’egli nol sofferiva, ma quando recitavano le loro orazioni, o i lor poemi, singolarmente se ad argomento di essi prendeano la storia d’Alessandro il Macedone, o le azioni di alcuno de’ più virtuosi imperadori, e a tal fine recavasi egli spesso or al pubblico Ateneo, ove i retori e i poeti greci e latini recitavano i loro componimenti, or al Foro, ove si trattavan le cause (id. c. 35). Finalmente aprendo a vantaggio delle scienze il suo erario, egli con regia munificenza nuove scuole fondò [p. 427 modifica]SECONDO 427

di rettorica, di medicina, di meccanica, d’architettura; e assegnò stipendj non solo «’professori di tutte (queste arti, ma ancora a’ fanciulli poveri di onesta condizione , perchè potessero apprenderle, e agli avvocati nelle provincie, i quali trattassero gratuitamente le cause (id. c. 44)• Così tra le scienze da sè coltivate e protette non avesse egli dato luogo ancora all1 astrologia giudiciaria! Ma era questo un errore troppo allor radicato negli animi de’ Romani, ed era troppo difficile il tenersi lontan da uno scoglio a cui quasi tutti urtavano anche i più dotti uomini di quel tempo. IX. Era egli a temersi che un si saggio c sì amabile principe nel più bel fiore della sua vita dovesse rimaner trucidato barbaramente? E nondimeno tal fu l1 infelice sorte di Alessandro, Severo ucciso nel suo campo presso Magonza da’ suoi soldati impazienti della militar disciplina, a cui egli volea soggettarli, in età di soli ventisei anni, insieme con Mammea sua madre l’anno 235. Massimino, che fu da’ soldati tumultuosamente levato al trono, fu il principale autore di sì barbaro attentato. Era egli di vilissima nascita, ed avea per più anni condotte al pascolo le pecore. Poscia entrato nella milizia, era successivamente salito alle primarie cariche dell’impero. Egli lo resse appunto come poteva aspettarsi da un pecoraio. Feroce, crudele, avaro, fu l’oggetto dell’odio e del disprezzo di tutti. Quindi congiure e sollevazioni da ogni parte. I due Gordiani padre e figlio proclamati imperadori in Affrica , ma poco dopo uccisi, il secondo in battaglia , il [p. 428 modifica]428 LIBRO

primo per disperazione da se medesimo: Pup. pieno Massimo e Celio Balbino (che da Giulio Capitolino vien detto (in Max. et fìalb.) ¡j miglior poeta de’ tempi suoi) sollevati al medesimo tempo all’imperial dignità dal senato e ad essi per voler del popolo aggiunto col nome di Cesare il terzo Gordiano: ucciso poscia da’ lor soldati l’anno 2 38 Massimino insieme con suo figliuolo dello stesso nome, e uccisi pure nello stesso anno da’ soldati pretoriani i due imperadori Massimo e Balbino, rimase finalmente solo sul trono il giovane Gordiano. Era egli, secondo alcuni, figlio del secondo Gordiano; secondo altri, figlio di una figlia del primo. Comunque fosse, fu egli principe amabile, e che sotto la condotta di Misiteo suo zio resse lodevolmente l’impero. Avea egli coltivate felicemente le scienze (Jul. Capit, in Gordianis, c. 31), ed è probabile ch’ei fosse di ciò debitore agli altri due Gordiani-, poichè del primo sappiamo ch’era uomo di continuo studio, e che molte poesie da lui composte aveansi in pregio, e singolarmente un poema in trenta libri in lode di Antonino e di Marco Aurelio (ib. c. 3, 7)5 e del secondo ancora sappiamo che grande fama ottenne negli studi d1 ogni maniera (ib. c. 18), e che da Sereno Samonico il giovane gli fu per testamento lasciata la biblioteca di sessantaduemila volumi, ch’egli da suo padre avea ricevuto (ib.). Capitolino rammenta ancora alcuni componimenti in prosa e in versi da lui composti, tali, egli dice (ib. c. 20), che appaiali d uomo ingegnoso , ma troppo libero, e che non segue il suo proprio ingegno. [p. 429 modifica]SECONDO 429

X. Gordiano terzo ebbe egli pur breve re0 I gii°j ucciso da’ soldati l’anno 244? per suggestion di Filippo prefetto del pretorio, in età di11 le- I soli diciannove anni. Filippo, che colf uccision I J] Gordiano si aprì la strada all’impero, era, I secondo il parer di molti, cristiano (V. Tìllem. I Hist. des Emper. Note 1 sur Philippe). Ma se I così fu veramente, la sua condotta non fu certo I conforme alla sua religione. Non troviamo che I cosa alcuna ei facesse a pro delle lettere; anzi [ una sua legge si cita nel Codice di Gustiniano (Cod. l. 10, tit. 52, lex. 3), in cui comanda che a’ poeti non debbasi concedere immunità di sorte alcuna. Egli ancora però ebbe somigliante sorte a quella che per lui avea incontrata Gordiano, perciocchè essendosi Decio contro di lui sollevato l’an 249, venuti i due partiti a battaglia presso Verona , Filippo vi fu sconfitto ed ucciso. Due anni soli potè Decio godere dell’usurpato impero; e benchè alcuni antichi scrittori ci parlin di lui come di principe ornato di non ordinaria virtù, certo è nondimeno che la sanguinosa persecuzione da lui mossa contro de’ Cristiani cel mostra uom trasportato e crudele. Egli morì l’anno 251 combattendo contro de’ Goti, o da essi ucciso, o, come altri scrivono, affogato in una palude. Due anni soli parimente occupò 1"imperiai trono Treboniano Gallo, ucciso col suo figliuol Volusiano dai suoi soldati medesimi, dacchè Emiliano si fu contro di lui sollevato, ucciso egli ancor poco dopo da’ suoi stessi soldati che amaron meglio di soggettarsi a Valeriano. Questi dopo avere per sette anni governato non

x. Da Gordiano III fino a Valeriano. [p. 430 modifica]XI. linpuio infelice ili Gallieno.

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troppo felicemente l’impero, diede finalmente l’an 260 in se stesso un funesto spettacolo e non più ancora veduto al mondo, cioè un imperador romano fatto schiavo dai Persiani carico di catene, condotto per ogni parte in trionfo, e costretto a servir di sgabello al vincitor Sapore, (quando saliva sul cocchio, o a cavallo. Gallieno suo figlio, e da lui dichiarato già suo collega, parve rimirare con una snaturata indolenza un oggetto sì vergognoso a lui e a tutto l’impero , e nulla curarsi di riscattare l’infelice suo padre, che in quello stato d’obbrobrio e di confusione durò secondo la Cronaca.Alessandrina fino all’anno 269, quando i Persiani finirono d’insultarlo col dargli morte. XI. Qual fosse il tumulto e lo sconvolgimento di tutto il mondo in tante e sì frequenti e sì sanguinose rivoluzioni, è facile l’immaginarlo. Ma peggiore ancora e più turbolento di assai fu l’impero di Gallieno. Se altro in lui non avessimo a considerare che l’uom di lettere, egli dovrebbe aversi in conto di un de’ migliori imperadori. Fu egli, come dice Trebellio Pollione (in Gallieno, c. 11), e per eloquenza e per poesia e per tutte le belle arti assai illustre j e molti componimenti in prosa e in versi da lui composti erano allora in gran pregio; fra’ quali tre versi recita il suddetto scrittore da lui fatti nelle nozze de’ suoi nipoti, mentre tutti gli altri poeti latini recitavano a gara epitalamj in loro lode. Ma, come soggiunse il mentovato storico, altre virtù richieggonsi in un oratore e in un poeta, altre in 1111 impera* dore. Trattone il valore nell’armi, quando era [p. 431 modifica]SECONDO 431 costretto a combattere , non viclesi in lui alcuna delle virtù che rendono un sovrano amabile e rispettabile agli occhi de’ sudditi. Vile e indolente, pareva non esser salito sul trono che per giacersi in un vergognoso ozio; e l’onor suo istesso non che quel dell’impero non avea bastante forza a riscuoterlo. Quindi, mentre egli vivea abbandonato a’ suoi piaceri, vidersi tutte quasi le provincie sconvolte, saccheggiate , e piene di rovine e di stragi, o da’ Barbari che da ogni parte le correvano furiosamente , o da’ romani generali medesimi che valendosi dell’indolenza di Gallieno si facevano dalle lor truppe acclamare imperadori. Fu questo il tempo che rimase celebre nelle storie sotto il nome de’ trenta Tiranni, perchè tanti a un dipresso furon « olmo (contando ancor gli anni in cui Galieno regnò con suo padre) che si usurparono scettro e corona. L’impero ne fu scosso per modo che più non risorse all’antica grandezza, e le lettere ancora n’ebbero si gran danno che non potè più ripararsi. XII. Claudio II, che l’anno 268 succedette a Gallieno ucciso da’ suoi soldati medesimi, fu uno de’ migliori principi che sedesser sul trono, e forse avrebbe egli ristorato almen in parte l’impero da’ sofferti danni, se più lungamente avesse regnato; ma dopo due soli anni egli morì di peste. Più felice fu il regno di Aureliano , celebre per le vittorie riportate sopra i Barbari , e singolarmente pel trionfo della famosa Zenobia , ma insieme odiato da’ suoi per 1 eccessiva severità che il fece sembrar crudele. Ucciso da’ suoi soldati l’anno 275, ebbe [p. 432 modifica]432 LIBRO a successore M. Claudio Tacito che trovò l’impero pel valor di Aureliano rimesso finalmeme in calma. Era questi uomo assai versato negli studj, e tra le acclamazioni a lui fatte in senato, che riferisconsi da Vopisco (in Tac. c. 4); vedesi a lui dato il nome d’uom letterato: Et quis melius quam literatus imperat? Niuna notte, dice lo stesso storico (c. 11) soleva passare senza leggere , o scrivere qualche cosa; e di Cornelio Tacito singolarmente da cui diceva egli di discendere, avea sì grande stima , che fece legge che se ne avesse copia in tutte le biblioteche, e che ogni anno se ne facessero dieci nuovi esemplari (ib. c. 10). Principe innoltre saggio, prudente, amabile, di molto giovamento sarebbe stato all’impero, se dopo sei soli mesi d1 impero ei non avesse perduta la vita o per malattia, come dicono alcuni , o ucciso da’ suoi soldati, come più comunemente si crede. Floriano fratello uterino di Tacito, e Probo che comandava in Oriente, furono ciascheduno da’ lor soldati sollevati all1 impero; ma Floriano abbandonato presto ed ucciso dagli stessi soldati, lasciò libero il trono a Probo, principe degnissimo d’occuparlo, e che ne’ sei anni che resse l’impero, seppe tenere in freno e domare così i Barbari invasori delle provincie, come gli ambiziosi usurpatori della corona. Vopisco grandi cose ci narra delle virtù di cui egli era adorno; e dopo averne narrata la morte, Oh Dei, esclama, qual sì grande delitto ha ella commesso la romana repubblica, perchè voi doveste togliere un tal sovrano (in Probo, c. 23)? Il sol difetto che da alcuni in [p. 433 modifica]SECONDO 433 I hi si riprende, si è un’eccessiva severità co’ ,soldati, i quali già da molti anni avvezzi a ricusare ogni giogo, contro di lui rivoltisi, l’uccisero l’anno 282. XIII Uguale a Probo in virtù e in coraggio era Marco Aurelio Caro che gli fu dato a suc[ cessore; ma ancor più breve impero egli ebbe, ucciso l’anno seguente dal fulmine sulle sponde del Tigri. Carino e Numeriano figli e successori di Caro fra non molto gli tennero dietro, ucciso il secondo a tradimento dopo un solo anno di regno da Arrio Apro suo zio, il primo dopo due anni ucciso in una battaglia contro Diocleziano, acclamato dalle truppe imperadore, che rimase così solo e pacifico possessore del trono. Erano questi fratelli d’indole e di costumi troppo l’un dall’altro diversi. Carino abbandonato a’ vizj e alle dissolutezze; Numeriano giovane saggio, e, ciò che da noi deve singolarmente osservarsi, amantissimo degli studj. Avea egli, come narra Vopisco (in Numer. c. 1), coltivata assai l’eloquenza, e declamato ancor in pubblico spesse volte 5 e corsero per qualche tempo tra le mani de’ dotti alcune sue orazioni, più confacenti però, dice lo stesso storico, allo stile di declamatore che a quello di Tullio. In poesia poi egli fu sì eccellente, che tutti vinse i poeti del suo tempo; perciocchè ei venne poetando a contendere con Olimpio Nemesiano poeta celebre di questa età, e oscurò di molto la gloria di Aurelio Apollinare, poeta esso ancora famoso. Un’orazione da lui mandata al senato dicesi che fosse di tanta forza, che si fece decreto per innalzargli nella biblioteca Tiraboschi, Voi. II. 28 xiu. Di M. A11rei io Caro fino a Carino e a Numcriaao. [p. 434 modifica]XIV. Da Diodezinno (ino a Cojtduliiiu. 434 LIBRO di Traiano una statua, non come a Cesare ma come ad oratore, con questa gloriosa iscrizione: Numeriano Caesari oratori temporibus suis potentissimo. Tutto ciò da Volpisco Destino veramente infelice di Roma che gli 0u timi principi ch’essa ebbe di questi tempi, e da’ quali lo Stato e le scienze avrebbon potuto trovar ristoro agli antichi lor danni, tutti le fos. ser rapiti da presta morte; e che perciò per mancanza di opportuni rimedj il male si facesse ognora peggiore, e si rendesse troppo difficile, e quasi impossibile il rimediarvi. XIV. Diocleziano nato di bassa stirpe nella Dalmazia, ebbe nondimeno virtù e talenti superiori alla sua condizione; e in ciò singolarmente che appartiene a prudenza e a valor militare, potè andar del pari coi più famosi guerrieri. Il fasto e l’avarizia però, e molto più la crudelissima persecuzione mossa contro dei Cristiani, oscurarono molto sì grandi pregi. Di questa nondimeno il principale autore non fu egli, ma Massimiano Galero, di cui or parleremo, che non cessò d’importunare Diocleziano, finchè non n’ebbe ottenuto il fatale editto di morte contro i seguaci di Cristo. Diocleziano nel secondo anno del suo impero elesse a suo collega Massimiano soprannominato Erculeo, uomo coraggioso esso pure, ma del rimanente rozzo, crudele e mal costumato. Quindi l’anno 292, per le turbolenze" ond’era sconvolto l’impero, convennero insieme i due imperadori di nominare altri due loro colleghi col nome di Cesari; e Diocleziano adottò a tal fine.Massimiano Galero figliuolo di un bifolco della [p. 435 modifica]SECONDO 455 pacia, coni’ ei ben dava a vedere ne’ suoi ’ c0stuiui e nel suo portamento; Massimiano Erculeo adottò Costanzo Cloro pronipote delfiiuperadore Claudio II, principe di bontà e di clemenza non ordinaria, e degno di aver per figlio il gran Costantino. Essi divisero in quattro parti l’impero, cosa non ancor veduta; ma Diocleziano tenne sempre un grado d’autorità superiore agli altri. Fu mirabile per molti anni la scambievole unione che strinse insieme i quattro sovrani. Ma l’anno 305 Massimiano Galero costrinse minacciosamente i due Augusti I)iucle,iauo e Massimiano Erculeo a rinunciare f impero. Galero e Costanzo furon dunque riconosciuti Augusti; e il nome di Cesare fu dato a Severo uomo da nulla, e a Massi mi no Da za figliuolo di una sorella di Galero. Diocleziano visse poscia privatamente a Solona in Dalmazia, ove morì l’anno 313. Massimiano Erculeo al contrario ripigliò lo scettro nello sconvolgimento in cui trovossi l’impero alla morte di Costanzo Cloro. Io non tratterrommi a raccontarne le varie e funeste vicende. Basti il dire che si videro quasi al medesimo tempo otto imperadori, Massimiano Galero, Severo, Massimino, Costantino il Grande, dopo la morte di suo padre Costanzo levato da’ soldati alla dignità imperiale, Massenzio figliuolo di Massimiano Erculeo che da se medesimo usurpolla in Roma, lo stesso Massimiano Erculeo che ad istanza del figliuolo di nuovo la prese lo stesso anno 306, Licinio dichiarato imperadore l’anno seguente da Massimiano Galero, e Alessandro che si usurpò l’impero in Cartagine l’anno 3o8. [p. 436 modifica]436 ’ LIBRO Ciaschedun di essi collegato or con gli uni; or cogli altri si disputarono lungamente Fin,, pero; ma tutti un dopo l’altro caddero vittima della loro ambizione, e finalmente l’an 313 Costantino e Licinio soli ne rimaser padroniil secondo però troppo inferiore così in merito come in autorità al primo, con cui perchè volle poscia contendere, perdette l’an 323 e l’impero e la vita. XV. Di tutti questi imperadori che abbiam • veduti in questi ultimi anni salir sul trono, niuno ve n’ebbe da cui le lettere ricevessero protezione e favore. Uomini per la più parte o nati di bassa stirpe, o allevati fin da fanciulli fra l’armi, appena le conoscevan per nome; e le guerre che di continuo doveano sostenere o contro i domestici, o contro gli stranieri nimici, tenevano i lor pensieri a tutt’altro rivolti che alle scienze. Egli è vero che Eumenio nell’Orazione detta in Autun l’an 296 per indurre il prefetto delle Gallie a ristorare in quella città le pubbliche scuole, ci rappresenta i due imperadori Diocleziano e Massimiano (Eum. Oratio pro restaur. scholis inter Paneg. vet ed. Paris, 1718, p. 149) come solleciti pel coltivamento degli studj nulla meno che pel buon ordine delle lor truppe, e di Massimiano singolarmente afferma (ib.p. 151) ch’egli ben persuaso le scienze essere il fondamento delle virtù tutte, credeva di dover provvedere ugualmente all’arte di ben parlare che a quella di vivere saggiamente. Ma ognun vede che poco conto vuol farsi di tali testimonianze, nelle quali troppo gran parte suole avere l’adulazione. [p. 437 modifica]I„ unica cosa che da essi veggiamo fatta a vantaggio delle scienze, si è la legge riferita nel Codice di Giustiniano, con cui si vieta che a niuno debbansi accordare le immunità, trattine i professori delle arti liberali e i medici (l. 10, tit. 46, lex. 1); con alcune altre leggi di somigliante tenore. Ma quanto a Massimiano Galero, Lattanzio ce ne parla come di nemico implacabile d’ogni letteratura. L’eloquenza, die1 egli (De Mort. Persec. c. 22), fu estinta; tolti di mezzo i causidici; i giureconsulti o rilegati, o uccisi. Le lettere aveansi in conto di arti malvagie, e que’ che in esse eran versati, furono come nimici abbattuti e oppressi. Nel che però è probabile che ne’ Cristiani singolarmente odiasse Massimiano le lettere e gli studi d’ogni maniera. XVI. Tal fu lo stato dell’impero romano dall’anno 138, in cui morì Adriano, fino al principio del quarto secolo; e l’averlo brevemente descritto basta a farci comprendere quanto funesti fossero a’ buoni studi i tempi di cui parliamo. Ciò che ora dovremo dire in particolare di ciascheduno di essi, il confermerà maggiormente.