Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VI/Parte III/Libro III/Capo IV

Da Wikisource.
Capo IV – Poesia latina

../Capo III ../Capo V IncludiIntestazione 28 febbraio 2019 25% Da definire

Parte III - Capo III Parte III - Capo V

[p. 1331 modifica]Capo IV. f t Poesìa latina. I Quelle ragioni medesime che non permisero alla poesia italiana il fare in questo secolo que’ felici progressi che dall’ ingegno e dallo studio di tanti uomini dotti si sarebbon potuti aspettare, fecero ancora che miglior fosse la {a) 11 sig. conte Carli lia osservato (fìp. t. fj,p. 32) che il primo ad assegnar per equivoco r opera in musica dello Sbarra al secolo xv fu l’autore francese ilel1’ /Ustorie de la Musique. I. La porsi« 1.1tina fu coltivata più Wi renatile. I.e P italiana. [p. 1332 modifica]II. Noi in« di Antonio Lotto. i33a LIBRO sorte della poesia latina. Perciocchè essendo allora gli eruditi comunemente rivolti a diseppellire gli antichi scrittori latini, e ad illustrarli con comenti e con note, risvegliavasi naturalmente in molti il pensiero di seguir le loro vestigia, e di giugnere a quella gloria a cui li vedevano sollevati. L’onore della solenne corona conceduto nel secolo scorso al Petrarca e ad altri illustri poeti servì ancora a molti di stimolo per imitarne gli esempj. Egli è ben vero che il poetico alloro in questo secol medesimo fu comperato non rare volte col denaro e col raggiro più che coll’ingegno e collo studio, e ne vedremo le pruove nelle patenti di poeta coronato concedute singolarmente dall’imp Federigo III ad uomini ch’eran ben lungi dall’esserne meritevoli. Ma fra non molti poeti degni di tutt’altro che di corona, molti ancora ve n’ebbe a cui essa non fu che troppo tenue ricompensa del loro valore, e più ancora furono quelli che paghi di meritar quest’onore non si curarono di ottenerlo. Qui ancora però fra l’immenso numero di poeti latini che ci si fa innanzi, ci convien ristringerci a dire principalmente di quelli che furono più illustri. II. Fin dal principio del secolo era celebre nel poetare latinamente Antonio Losco vicentino. Il P. Angiolgabriello di S Maria ne ha parlato assai lungamente (lì ibi. e Star, degli Scritt. vicent. t. 1, p. 222, ec.), ma con molti errori, come si è dimostrato nel Nuovo Giornale de’ Letterati d’Italia (t 7, p. 19, ec.). Da queste due opere trarremo qui ciò che intorno [p. 1333 modifica]TERZO 1333 al Losco è più importante a sapersi (a). Questi, nato in Vicenza verso la fine del sec xiv, passò a Milano, e dal duca Giangaleazzo Visconti fu fatto suo cancelliere e segretario. Il che mostra abbastanza la falsità di ciò clic il P. Angiolgabriello ha affermato, cioè ch’ei fosse scolaro di Vittorino da Feltre, di Cincio romano, di Bartolommeo da Montepulciano, di Poggio e di Manuello Grisolora; i quali tutti, trattone l ultimo, erano o più giovani, o a un dipresso coetanei del Losco, e perciò solo il Grisolora gli potè esser maestro. Quando nel 1404 Vicenza divenne soggetta a’ Veneziani, il Losco passò a’ loro servigi, e due volte fu da essi inviato a Roma, la prima al pontef Innocenzo VII nel 1406 per ottenere che si rimovesse dal vescovado di Verona Jacopo Rossi, e gli venisse sostituito Angiolo Barbarigo; l’altra nello stesso anno a complimentare il nuovo pontefice Gregorio XII. Questi conoscendo il talento del Losco, lo scelse a suo segretario, come si afferma da Bartolommeo Fazio (De Viris ill. p. 3), e dopo lui dal ch monsig Filippo Buonamici (De cl. Pontif. Epist. Script, p. 149, ed. 1770). Martino V, Eugenio IV e Niccolò V lo ebbero ugualmente caro, e se ne valsero nel medesimo impiego; anzi dal primo di essi fu inviato suo nunzio al duca di Milano (Pogg. Hist. florent l. 5). E tale era la stima di cui godeva Antonio, singolarmente per rifa) Alrune altre notizie rii Antonio Losco e di Francesco e di ¡Niccolo di lui figli ci ha dalc il eh. signor abate Marini (Degli Archiatri ponti/. (■ I, p. 137). [p. 1334 modifica]1334 LIBRO guardo al talento poetico, che Lorenzo Valla fu accusato allo stesso pontefice Martino V, perchè aveva osato dire che Bartolommeo da Montepulciano era miglior poeta del Losco. Egli fu grande amico di Poggio, che lo introduce a parlare nel suo dialogo dell’Avarizia, e in quello della Varietà della Fortuna, ossia delle rovine di Roma. E veramente grandi sono gli elogi che gli uomini eruditi di quella’età ci han lasciato dell’ingegno e dell’eleganza di scrivere del Losco. Molti ne reca il P. Angiolgabriello, e ad essi può aggiugnersi quello ancor più magnifico di Giuseppe Brivio, che si è prodotto nel suddetto Giornale, ove ancora si è dimostrato che il Losco finì di vivere in età molto avanzata tra ’l 1447 e il 1450 Francesco Barbaro si adoperò con molta sollecitudine, perchè le poesie del Losco fosser raccolte e pubblicate, di che ei parla in una sua lettera a Francesco Losco di lui figliuolo (Barb. ep. 8, p. 106). Ma ciò non ostante è assai poco ciò che se ne ha alle stampe. Il P. Angiolgabriello ci dà un esatto ragguaglio, e qualche saggio ancora delle poesie latine sì stampate che inedite di questo allor sì famoso poeta; ed esse son tali, che ben si conosce che si era a que’ tempi ancora ben lungi dall’eleganza e dal gusto degli antichi scrittori. Ne abbiamo ancora alle stampe un Comento sopra undici Orazioni di Cicerone; e alcune altre opere in prosa latina se ne conservano manoscritte, e fra esse un’Invettiva contro de’ Fiorentini, che. il Losco scrisse in non so quale occasione. Di essa parla, e ce ne dà ancor qualche tratto l'abate Mehus (f tUt [p. 1335 modifica]TEnzo I335 Ambr. camald. p. 288, 21)8, ec.), il quale insieme ragiona della risposta che ad essa fece Coluccio Salutato. III. Quel Giuseppe Brivio poc’ anzi da noi rammentato fu egli ancora poeta a’ suoi giorni famoso. Egli era probabilmente cognato del Losco, come nel sopraccennato Giornale si è dimostrato. Dopo essere stato lungamente in Milano sua patria, ov’era canonico ordinario della metropolitana, morì in Roma nel 1450 in età di 80’ anni. L Argelati (Bibl. Script med. t. 1, pars 2, p. 230), il Sassi (Hist. Typogr. mediol. p. 339)) e il co Mazzucchelli (Scritt ital. t. 2, par. p. 2115) ci danno il catalogo di molte poesie latine che se ne conservano manoscritte nella biblioteca Ambrosiana, fra le quali non si ha alle stampe che una lunga lettera in versi a Niccolò Niccoli pnbblicara dall’ ab Mehus (praef. ad Epist. Ambr. camald. p. 79, ec.), la quale non ci muove alcun desiderio di vederne le altre alla luce (*). Più rozzo ancora c lo stile di Matteo Rotilo oblato de’ monaci di Monte Oliveto, tra i quali visse più anni in Siena, ed ivi pure morì nel 144^Egli ardì d’intraprendere la traduzione di Dante in versi latini, e di questo suo lavoro si cou(*) Il co. Mazzucchelli ed altri scrittori da lui citati accennano un poemetto di Giuseppe Brivio in lode di S. Alessio, ma senza indicarci ove se ne abbia copia. I na ne ho io veduta in un codice ms della libreria di S. Salvadore in Bologna, che ha per titolo: Laudes S. Alexii edite per Jos. Brippium ejus devotum doctorem: edite Rome feliciter. Al fine si legge: Scripsit Johannes de Mediolano an. i44‘> Home. 1 [p. 1336 modifica]133ti LIBRO servano codici a pernia in alcune biblioteche. Fra’ quali è assai pregevole uno del sig. co Pietro Trieste di Asola, una descrizione esatta del quale mi è stata comunicata dal sig. co Giovanni Trieste canonico di Trivigi di lui fratello, e al par di lui coltivatore de' buoni studj. Esso è scritto con lusso, e ornato di miniature che sembrano del principio del secolo xv. A ogni canto premettonsi gli argomenti in prosa italiana di Giovanni Boccaccio; e al fine di ciascuna delle tre parti vi ha un capitolo in terza rima, che ne contiene l’epilogo, e che forse è opera del Boccaccio medesimo, o di Jacopo figliuol di Dante; benchè non vi sia argomento che facciane certa fede. Ognuno può immaginarsi come riuscisse il Ronto in sì difficile impresa in un tempo in cui appena vi era chi scrivesse con eleganza, anche ne’ più facili e ne’ più leggiadri argomenti. In fatti i saggi che ce ne han dato il sig. dott Domenico Vandelli in una sua dissertazione inserita nelle Simbole Goriane stampate in Roma (t. 6, p. 141, ec.), il sig. ab Zaccaria (Stor. letter. d Ital, t. (6, p. 632; t 9, p. 1 £>4), >1 sigabate Mehus (l'ita Ambr. camald, p. 173), e il P. degli Agostini (Scritt. venez. t. 2, p. 611), son tali che ci fanno, non so se dica ammirare, o compatire il coraggio di chi si accinse a quest’opera. Quest’ultimo scrittore dimostra colle parole dello stesso Matteo, ch’ egli era nato in Grecia da’ genitori di patria veneziani; e annovera qualche altra opera da lui composta, alle quali deesi aggiugnere la Vita di Alessandro V, ch’egli scrisse assai rozzamente iu [p. 1337 modifica]TERZO l337 prosa latina, e clic è stata non ha mollo iLitn alla luce (Misceli. di Lucca, t. 4, p.) (a). Uguali a un dipresso e di valore e di età a’ poeti or or mentovati furono Lodovico Merchenti veronese autor di un poemetto intitolato Benacus, in cui si descrive la vittoria che nel 1438 riportarono i Veneziani su Filippo Maria Visconti nel lago di Garda, intorno a cui veggansi il march Maffei (Ver. illustr. par 2, p. 200) e Apostolo Zeno (Diss. voss. t.1,p. 127), e Girolamo Valle, di cui si ha alle stampe un poema sulla Passione di Cristo, oltre alcune altre opere, delle quali ragiona il medesimo Zeno (ib. p. 13^)y e più altri, di cui non giova il parlare distintamente. IV. Più celebre ancora fu a que’ tempi il nome di Maffeo Vegio lodigiano, di cui ha scritta esattamente la Vita, traendola singolarmente dall’opere di lui stesso, il p Corrado Gianningo della Comp di Gesù (Act. SS. Supplem. 2 jun. p. 57), pubblicata poscia di nuovo dal ch. Sassi (Hist Typogr. med. p. 329, ec., 405, ec.). Era egli nato in Lodi ranno t.jotì, come dimostra il suddetto scrittore, da Belloro Vegio e da Caterina Lanteria, ed avea avuta la sorte di avere in Milano, ove fu mandato agli studj, ottimi precettori, i quali nelle lettere non meno che nella pietà gli fecer fare assai felici progressi. La poesia era quella di cui più che d’ogni altro studio si compiaceva. (a) Alcune Poesie inss. Ialine di Mniteo Ronto si conservano ancora nella Laurcnziana (Da/id. Cai. Codd. tal. Bibl. Laur. 1. 2, p. 32&). TlRADOSCltl, Voi IX. 8 [p. 1338 modifica]>338 LIBRO Nondimeno per ubbidire a suo padre coltivò ancora la giurisprudenza, la quale gli piacque bensì per la gravità e per 1’eloquenza degli antichi giureconsulti, ma non potè mai indursi ad esercitarla nel foro Molti scrittori appoggiati all’autorità di Rafaello Volterrano hanno affermato ch'ei fosse chiamato a Roma, e fatto datario dal pontef Martino V (*). Il P. Gianningo e il Sassi han provata con molti argomenti la falsità di questa opinione e il secondo singolarmente, producendo due lettere dello stesso Vegio, ha dimostrato che non solo l’an 1431, in cui morì Martino V, ma ancora nel 1433 egli era in Pavia. Il Sassi pensa però, che il Vegio fosse in Pavia solo in qualità di scolaro. Io credo al contrario ch’ ei vi fosse ancor professore prima di poesia, poi di giurisprudenza, e me ne persuade la lettera del Vegio a Bartolommeo Capra arcivescovo di Milano pubblicata dal Sassi, che così comincia: Si forte, admiraris, Praesul Sanctissime, quod ego, qui in studiis Poetarum versatus sum. nunc ad Legum traditionem me convertam, ec. Le quali ultime parole mi sembra che intender si debbano di cattedra da lui sostenuta. Inoltro (*) Nella Descrizione dalla Basilica Vaticana pubblicata iu Roma nell’anno da due eruditi beneficiati di essa, lìatacllo Sìduue e Antonio Martinetti, si all’erma di nuovo che Mafìeo Vegio fu datario sotto Martino V, e canonico di S. Pietro, e si promette di recarne le pruove in due bolle di Niccolò V nel Ionio secondo ilei 13ullario della stessa Basilica. Io ho vedute le dette due bolle (Bali. Basii. Va tic. I. a, p. I "20, ritti, ma in esse Maffeo è dello bensì canonico, ma non datario. [p. 1339 modifica]TF.nzo j33g il poeta Antonio d’Asti, che, come altrove abbiam detto, nel 1429 studiava in Pavia, parla del Vegio, come di professore dell’arte poetica. Rechiamo l’elogio ch’egli ne fa, poichè non l hanno avvertito gli scrittori della Vita del Vegio (Script rer. ital. vol. 14, p 1013.): Hic erat et Vegius doctissimus ille Poeta, Qui mihi non parvo junctus amore fuit. Qui cum vidisset, quae dicto tempore ad ipsum L’ilro tam juvenis carmina pauca dedi, Me fuit hortatus, monuit me motus amore, Ut doctis operam) versibus usque darem; Cum fieri possem fama praestante Poeta, Si Musas aliquo tempore prosequerer; Ille meos animos tantum his hortatibus auxit, Ut me scribendi ceperit acer amor, Condendique modos. Posthaec idcirco modorum Temporibus variis millia multa dedi; Quae si quid laudis tribuerunt, si quid honoris, Sique dedere umquam commoda grata mihi, Confiteor, Vegio debenda est gratia Vati, Prima poetandi qui mihi causa fuit. Deesi però confessare che non se ne trova menzione negli Atti da me più volte citati di quella università. A’ tempi adunque soltanto di Eugenio IV fu il Vegio chiamato a Roma, ove ebbe le onorevoli cariche di segretario de’ Brevi, e poi di datario, e ove caro a quel pontefice, non meno che a Niccolò V di lui successore, visse sino al primo anno di Pio II, cioè fino al 1458, in cui venuto a morte fu onorevolmente sepolto nella chiesa di S. Agostino e nella cappella di s Monica, cui egli devotissimo dell’uno e dell’altra avea nobilmente ornata facendo innalzare un magnifico sepolcro [p. 1340 modifica]l34o LIBRO alla Santa, il cui corpo a’ tempi di Martino V era stato trasportato a Roma. Tutto ciò veggasi più ampiamente disteso e provato da’ suddetti scrittori, i quali ancora ci danno un esatto catalogo di tutte l’opere sì pubblicate' che inedite di Maffeo, di cui pure ragionano il Fabricio (fi ibi. mcd. et inf. Latin, t. 5,p. 14 ec) e l’Oudin (De Script, eccl. t. 3, p. 2543, ec.). Molte di esse sono inserite nella Biblioteca de’ Padri (t. 26, ed. Lugdun.). Io non parlerò delle opere ascetiche e morali, tra le quali son molto pregevoli i libri de Educatione Liberorum, delle Vite di S. Bernardino da Siena, di s Monica, di S Agostino e di S. Pier Celestino, e di altri libri da lui scritti in prosa latina, nei’ quali egli usa di uno stile, per riguardo a que’ tempi, elegante e colto. Le opere poetiche debbon essere qui rammentate più distintamente. È celebre il libro da lui aggiunto all Eneide di Virgilio, la qual per altro non abbisognava di tal supplemento. Ne abbiamo ancora un poemetto sulla morte di Astianatte, quattro sulla spedizione degli Argonauti, quattro della Vita rii di S. Antonio Abate, oltre alcune altre poesie, e oltre quelle: non poche che si conservano manoscritte nella Laurenziana in Firenze, delle quali esattamente ragiona il ch. sig. can Bandini (Cat. Codd. lai. Bill. Laur. t. 2, p. 179, 186, ec.). Esse non son per certo le più eleganti cose del mondo. Vi si scorge nondimeno una non ordinaria facilità nel verseggiare, e un talento che avrebbe dato frutti migliori assai, se avesse avuti più felici coltivatori. Oltre le opere che i citati scrittori ne rammentano, [p. 1341 modifica]TERZO,3^, abbiamo ancora Ira le Lettere tlelP Aglietti ima a lui scritta dal Vegio (Aliotti Epist t. 2,p. 381,) in risposta a due che scritte aveagli l’ Agliotti l’anno 1445 (ib. t. 1, p. 122, 128), nelle quali gli dà il titolo di poeta chiarissimo. V. Un altro poeta men conosciuto, ma forse più degli altri degno di goder della pubblica luce, vivea a’ tempi medesimi, cioè Basinio da Parma. Appena potrei qui darne notizia alcuna, se le sue opere stesse, parte da me vedute, parte additatemi da altri, non ce ne informassero bastevolmente. Della patria e della famiglia di questo poeta, e della moglie da lui menata in Rimini, troviam contezza nell’ inventario della domestica di lui suppellettile, che ancor si conserva nel pubblico archivio di Rimini, e che comincia: In Christi nomine, amen. Anno a nativitate ejusdem MillCCCCLVII, Indi elione quinta, tempore D. Callisti Papae III et die vigesima mensis Maii, Cum secundum formam statutorum Arimini quaelibet mulier remanens vidua suo marito teneatur facere inventarium, ideo nobilis Domina Domina Antonia quondam spectid)ilis viri Domini Petri de Gualdis, et uxor qu. Clarissimi Poetae D. Baxinii qu. Viari de Parma Civis Arimini et habitatoris. Ei nacque circa il 1421, o non molto dopo; perciocchè egli stesso nel suo poema astronomico, alludendo all’ altro poema da sè composto sulle vittorie di Sigismondo Malatesta contro Alfonso I re di Napoli, e intitolato Hesperidos, dice di averlo composto in età di appena trent’ anni. Quae simul ac cecini numeroso carmine bella, Vix mihi ter denos aetas data videro! unno*. v. n, Ruiifio z Parrai [p. 1342 modifica]I 34a LIBRO Or le guerre suddette finirono nel 1450, e poco appresso dovette Basinio celebrarle col suo poema. In fatti l'altro poema, cioè l'astronomico, in cui fa menzione del primo, fu da lui composto tra'l 1454 e l 1456 mentre Sigismondo fortificava Kimini (Ciernen tini, llacc. t. 2, p. 400), di che egli ivi ragiona. Ei fu scolaro di Vittorino da Feltre in Mantova, e poscia del Gaza e di Guarino in Ferrara, dei’ quali suoi precettori ei parla in più luoghi delle sue opere. E in Ferrara egli ottenne tal nome, che di scolaro passò ad esser maestro. Il Borsetti, citando i monumenti di quell’ università, affeitua (Hi st. Gjmn. ferr. t. 2, p. 30) che a’ 25 di settembre del 1448 Basinio da Parma gramatico e uomo dottissimo fu destinato dal Pubblico a istruire nella lingua latina la gioventù. Abbiamo in questa biblioteca estense un poemetto latino da lui composto sulla morte di Meleagro, al fine del quale si rivolge al march Leonello che fu signor di Ferrara dal 1441 fino al 1450. Rechiamone questi ultimi versi che ci daranno un saggio del valore di questo poeta, e da' quali ancora raccogliesi ch' egli era allora assai giovine: Haec super Oenida cecini, quum prima juventae Tempora tollebat studiis Ferraria nostris. Illo nam juvenis, pri moque Basimus aevo, Tempore, dum dederat magni mihi carmen Homeri Ocia. purpureo referebam diana cothurno. Mox laudes, memorande, tuas, tua splendida quando Major in Italia, neque te praestantior ullus Justitia, Leonelle, canam. quo carmine vati Cuncta mihi Parmae cantet Poeana juventus. Questa maniera di favellare ci mostra che [p. 1343 modifica]TERZO,3/}3 Basinio era allora scolaro e non professore; e tanto più è egli a lodarsi, ch essendo sì giovine, e a que tempi in cui l’eleganza di scrivere era ancora sì rara, fosse nondimeno sì leggiadro poeta. Ed è probabile che in premio di questi versi avesse da Leonello la cattedra or mentovata. Ma ciò non ostante Basinio abbandonò presto Ferrara, qualunque ragion ne avesse; ciò accadde o nel 14Ì9> *u cu‘ ve§_ giamo che Filippo da Castro ebbe la cattedra di belle lettere (ib. t. 1, p. 51), o certamente nel 1450, nel qual anno non si vede Basinio nel catalogo de’ professori di quella università, di cui io ho copia. Passò allora alla c.orte del Malatesta in Rimini, ove caro a quel principe, e amato da tutti gli uomini dotti che ivi viveano, soggiornò poscia fino alla morte. Questa dovette accadere pochi giorni prima de’ 20 maggio del 1457, come è manifesto dall’ inventario poc’ anzi accennato, di cui però non è rimasto che il primo foglio. Sigismondo gli fè’ dare sepoltura nel magnifico suo tempio di S. Francesco insiem cogli altri uomini dotti, le cui ceneri ivi raccolse; e si può veder l’iscrizione che gli fu posta, presso i due moderni scrittori che han trattato di quel tempio, da noi altrove accennati (a). Molte sono le (a) 11 eh. Padre Allò ci ha di fresco date assi più copiose notizie della vita e dell’ opere di Basinio de’ Basini da Parma (Mem. de’ Lei ter. ¡¡armiti. t. 2, p. i85, ec.); ed ha osservato fra le altre cose che nell’Inventario qui da me riportato, qual mi fu trasmesso da Rimini, dee leggersi die trigesima, non ni ■ gdima, e qu. Vincentii!, non q. Viari Egli ha ancor [p. 1344 modifica]»344 LIBRO Opere da lui composte, delle quali è a dolersi che sì poche abbiali veduta la luce; poiché egli è al certo uuo de’ più colti poeti di questo secolo, c forse tra’ suoi contemporanei il più elegante. benché non sempre uguale a se stesso. Ahhiam già accennato il poema in tre libri sulla morte di Meleagro, di cui, oltre la copia che ne ha questa biblioteca Estense, uno ne ha la Laurenzìana (Catal. I. cit. p. 117, ec.), c uno la rcal biblioteca di Parma, ove pure conservatisi un’ epistola al marchese Leonello in versi esametri piena di lodi di quel magnanimo principe, e due opuscoli ili prosa latina, uno intorno alle legge dei versi, l’altro intorno a quelle de’ ritmi. Una lettera ili versi esametri a Sigismondo Malatesla ne è stata pubblicata di fresco negli Aneddoti romani (L 2, p. 401), in cui egli mostra la necessità e il vantaggio dello studio della lingua greca, e deride il poeta Porcellio che 11011 sapendo di greco riputava inutile quella lingua; sul qual argomento si ha pure rie’ medesimi Aneddoti una lettera in prosa di Basinio a Roberto Orsi riminese (ib.pag. 3oo), in cui rainenta le contese che perciò avea avute col suddetto Porcellio, e mostra in quanti errori era ijuesti caduto nel poetare, come anche Ìtrovato che Basinio nacque nel 1425. Merita d’esser letto tutto ciò che questo indefesso scrittore ci ha scoperto del soggiorno di Basinio alle corti di Ferrara e di Rimini, alle controversie ch’ egli ebbe col poeta Porcellio, benchè da lui beneficato, e con Tommaso Seneca, e alle molte opere da lui composte, delle quali ci fa sperare che siamo per avere tra poco un’edizione in Rimini. [p. 1345 modifica]TEMO,345 Seneca da Camerino, appunto perchè erano ignoranti del greco. Più celebre è un'altra opera di Basinio intitolata Isottaeus, perchè composta in lode della celebre Isotta atrove da noi rammentata, concubina prima, e poi moglie del Malatesta. Cristoforo Preudhomme nel 1540 pubblicò in Parigi la seguente raccolta: Trium Poetarum elegantissimorum Porcellii, Basinii, et Trebanii Opuscula nunc primum edita. In essa contengonsi cinque libri, il primo de’ quali è intitolato De amore Jovis in Isottam, gli altri, essi pur come il primo, in metro elegiaco, son tutti in lode d’Isotta. Benchè il titolo posto in fronte al libro dall’editore attribuisca quelle poesie a’tre mentovati scrittori, da lui creduti per error fiorentini, nondimeno il Zeno ne fa autore Porcellio (Diss. voss. t. 1, p. 18). Il co Mazzucchelli più minutamente distingue i diversi autori a cui esse si attribuiscono dal Preudhomme; e presso lui pure della maggior parte di esse si dà la gloria al Porcellio (Notiz. di Isotta da Rim. p. 21). Alcuni codici a penna, che se ne hanno in diverse biblioteche, varian molto tra loro, e nel titol del libro, e nel numero delle elegie, e ne’ nomi degli autori. Io non posso qui farne un minuto confronto. Ma non dee tacersi che un bellissimo codice di tai poesie intitolato Isottaeus, scritto ^ vivente ancora Basinio, nell’an 1455, conservasi nella real biblioteca di Parma, diviso in tre libri, ove quasi tutte si attribuiscono allo stesso Basino. E un codice sì antico, oltre più altre ragioni che si potrebbono arrecare, è certamente di gran peso per dare a questo [p. 1346 modifica]■ 34*3 LIBRO poeta l’onore de’ mentovati componimenti. Nella stessa biblioteca conservansi parimente due poemetti di Basinio, uno sulla guerra di Ascoli sostenuta da Sigismondo contro lo Sforza, e intitolato; Epistola, in qua reliquus ager Picenus ad Asculum loquitur; l’altro intitolato Diosymposeos, sive de Jovis compotatione, del quale pure ha copia la Riccardiana in Firenze (Cat Bibl. riccard p. 63). Il più ampio poema che ci abbia lasciato Basinio, è quello intitolato Hesperidos libri ti'edecirn, il cui originale conservasi nella libreria Gambalunga in Rimini (V. Racc. milan. p. 1757), e di cui pure ha copia la real biblioteca di Parma. Esso comprende le vittorie de’ Fiorentini condotti dal Malatesta contro Alfonso re d’Aragona. Due altri poemetti ci son rimasti di questo valoroso poeta, ciaschedun diviso in tre libri, uno intitolato Astronomicon, di cui si ha copia e nella suddetta biblioteca di Parma, e nella Marucelliana e in altre; e il sig. can Bandini ne ha pubblicati di fresco alcuni passi che sono di una singolare eleganza, e si crederebbono scritti a secol migliore; l’altro è sulla conquista degli Argonauti, e conservasi, ma imperfetto, nella libreria Gambalunga. Finalmente un’ assai elegante epistola in versi scritta al Malatesta per esortarlo a prender l’armi affin di sedare i tumulti d’Italia ne conserva la più volte mentovata biblioteca di Parma, oltre alcuni altri opuscoli di minor conto, ch’io potrei qui accennare, se non temessi d’essermi omai troppo di (l'uso nel ragionar di questo poeta, il qual per altro per la singolar sua eleganza è degno [p. 1347 modifica]TEHZO ili esser più celebre, che non è stato finora, ne’ fasti dell’italiana letteratura. VI. Il poc’ anzi mentovato Porcellio potrebbe aver luogo ancor tra’ poeti. Ma già ne abbiamo parlato nel favellar degli storici. Perciò ancora noi lasciam di trattare di molti altri che dovrebbono essere annoverati tra’ poeti latini di questa età, ma de’ quali si è già fatta, o si farà altrove menzione. Tali sono Giammichele Alberto da Carrara, il pontef Pio II, Leonardo Bruni, Bartolommeo Scala. Marcantonio Sabellico, Pier Candido Decemhrio, Antonio Panormita, Antonio Galateo, Antonio d’Asti, Niccolò Burzio, Filippo Buonaccorsi, Pietro Crinito, Bonino Mombrizio, Ermolao Barbaro il giovine, Orazio romano, Gregorio da Città di Castello, Antonio Tebaldeo, Antonio Cornazzano, Cassandra Fedele, Guarino da Verona, Giovanni Aurispa, Francesco e Giammario Filelfi, Gabbriello Paveri Fontana, Carlo Marsuppini, Antonio Urceo, Filippo Beroaldo, Piatino de’ Piatti, Fausto Andrelini, tutti poeti quai più quai meno felici, ma che più che per poesia latina furon celebri per altri generi di letteratura. Io parimente non farò qui che accennare i nomi di alcuni altri poeti latini. Leonardo Dati fiorentino, segretario del card Giordano degli Orsini, indi del card Francesco de’ Condolmieri, poscia di quattro sommi pontefici, cioè di Callisto III, di Pio II, di Paolo II e di Sisto IV, finalmente vescovo di Massa, e morto in Roma nel 1472 fu autore di molte poesie latine che giacciono inedite in diverse TI. Si arrrlimino molli altri porli ili minor muto. [p. 1348 modifica]«348 LIBRO biblioteche (a). U canonico Salvino Salviui ne ha scritta la Vita, che poi dall’ab Mehus è stata data alla luce insiem colle Lettere del medesimo Leonardo (Florentiae, «743» in-8). In essa si annoverano diligentemente tutte le opere di questo dotto prelato, e si recano insieme i magnifici elogi che di lui fecero a que’ tempi tutti gli uomini più eruditi, co’ quali era gli congiunto in amichevol corrispondenza. « Molte poesie latine e molti epigrammi conservansi parimente nella Laurenziana di Alessandro Bracci fiorentino morto in Roma, mentre era ambasciadore della sua patria presso Alessandro VI, e molti saggi di esse ha pubblicati il eli. signor canonico Bandini che ne ha data insieme un’esatta notizia (Cat. Codd. lat. Bibl. Laur. t. 3, p. 774, ec.). Ei fu anche dotto nel greco, e ne abbiamo alcune traduzioni in lingua italiana (Mazzucch. Scritt. ital. t. 2, par. 4, p- «943) "• Di Leonardo Griffi milanese, che dopo esser vissuto più anni in patria fu nominato da Sisto IV l'an 1478 al vescovado di Gubbio, poscia l’an 1482 promosso all’arcivescovado di Benevento, e morì in età di quarant’otto anni nel «485 (*), si hanno molte poesie lafa) Leonardo Dati fu dichiarato vescovo di Massa n 17 di agosto del i\6y, e pare che la morte se nc debba fissare alla fine del ii’jl; perciocché agli 8 di gennaio dell’ anno seguente fu quella chiesa conferita a r. Bartoloinmeo dalla Itovere nipote di Sisto IV' (Mariti’, Archiatri, t. a, p. 176). (*) Leonardo Griffi fu sepolto in Roma nella chiesa di s Maria del Popolo, e ne recitò l’ orazione funebre Pomponio Leto. la qual conservasi manoscritta in un codice della Vaticana. [p. 1349 modifica]terzo,34y tuie manoscritte nella biblioteca Ambrosiana, delle quali parla l’Argelati (Bibl. Script, mediol. t. 1, pars 2, p. 709, ec.). Fra esse abbiamo solo alle stampe la descrizione della sconfitta di Braccio Perugino presso l’Aquila, da lui descritta in versi esametri (Script. Rer. ital. vol. 25, p. 465, ec.), il qual poemetto per vivacità d’immagini, per armonia di versi, per eleganza di stile è certamente un de’ migliori componimenti che in quel secolo si pubblicassero (a). Lancino Corti e Giovanni Billi milanesi amendue, vissuti verso la fine di questo secolo e ne’ primi anni ancor del seguente, furono autori di un grandissimo numero di poesie latine, ma non molto felici, delle quali e delle loro edizioni si può vedere il suddetto Argelati (l. cit p. 155, 531). E quanto al Corti, è ancor da vedersi la critica che ne fa il Giraldi, il qual ne riprende la durezza, 1’ oscurità e l’afl’ettazion d’ingegno (De PoeL suor, temp. dial. 1). Un poema inedito in versi esametri di quel Tommaso Seneca da Camerino da me mentovato nella prima parte di questo tomo mi ha gentilmente mostrato il eli. P. abate (a) Di Leonardo Griffi conserva Milano una memoria alla pietà di esso gioì iosa, cioè la picciola chiesa di s Liberata, che credesi da alcuni disegnata da Bramante. Egli ne ordinò la fabbrica col suo testamento, e perciò nell’architrave di essa leggonsi (questi due versi: Quod Griffus statuit moriens Leonardus in Urbe, Ecce pii fratres hoc posuere sue rum. Di lui ha parlato con molta esattezza il sig. ab. Marini (Degli circhi atri pontif. t. 2, p. aiti), il *|ual fissa l’eleziou di esso al vescovado di Gubbio all’anno i4?2[p. 1350 modifica]i35o LIBRO Trombclli, che ha per titolo: ti istoria Bortauicnsis T/iome Senee e: qualiter D). Galeacius Mariscotus Eques extraxit Magnificum Hannibalem Bentivolum de carcere, et reliquia preclara gesta per eos. Esso è diviso in quattro libri; e vi si aggiungono poi tre componimenti poetici di quel Gasparo Tribraco modenese, di cui diremo in questo capo medesimo, e uno di Valerio Sennenacio precettore di S. Antonio in lode del suddetto Galeazzo Marescotti. Ugolino Verini fiorentino grande amico di Marsiglio Ficino (V. Fic. Op. t. 1, p. 625, 869, 884) uno de' più fecondi poeti di questo secolo. I tre libri de Illustratione Fiorentiae, la Vita del re Mattia Corvino, e più altre opere, altre stampate, altre inedite che si rammentano dal P. Negri (Scritt. fiorent. p. 520) e dal can Bandini (Specimen Litter.florent. t. 1, p. 199), ci mostrano ch’egli avea una facilità non ordinaria nel verseggiare, alla qual facilità però non è sempre ugual l’eleganza. Il secondo di questi scrittori ci ha ancor data l’idea, e ha pubblicati alcuni passi di un poema da lui composto, e intitolato Paradisus, che conservasi nella Laurenziana in Firenze (Cat. Codd. mss. lat t. 1, p. 773), e di più altri poetici componimenti che ivi si ritrovano (ib. t 2, p. 317, 326, 329). Michele di lui figliuolo, di cui abbiamo alle stampe i Distici su’costumi de’ fanciulli, da lui composti in quell’ età stessa a cui istruzione scriveva, e molte lettere inedite, e morto nel più bel fior degli anni, fu altamente lodato dagli scrittori di que’ tempi,.non solo per lo raro talento che in lui scorgeva», [p. 1351 modifica]TERZO 1 35 I ma più ancora per la singolare illibatezza dei’ suoi costumi, per cui volle anzi morire che usar di un rimedio con cui l’avrebbe macchiata. Di lui veggansi i due suddetti scrittori (Negri, l. c; Band. l. c. t 2, p. 143, ec; t. 3, p. 462, ec.) (*). Domenico di Giovanni natìo di Corella nel territorio fiorentino, religioso dell’Ordine de’ Predicatori, e morto nel 1483 in Firenze, di cui oltre gli scrittori fiorentini ragionano i PP. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 864), molto si esercitò nel poetare latinamente, e oltre più altre opere che se ne conservano manoscritte, quattro libri ne sono stati pubblicati in versi elegiaci, da lui intitolati Theotocon, ne’primi due de’ quali tratta della Vita della Madre di Dio, negli ultimi due de’ Tempj in onor di essa innalzati. Questi ultimi erano già stati pubblicati dal dott Lami, insieme col secondo libro di un altro poema latino da lui composto in lode di Cosimo de’ Medici (Delic. Eruditor.), e poscia insieme co’ primi due han di nuovo veduta la luce per opera dei P. Giambattista Maria Contarini domenicano, che gli ha illustrati con note (Calog. Nuova Racc. t 17, 19) (a). Abbiam finalmente (‘) Molle lettere ancora di Michele Verini e alcune pur di Ugolino conservami nella Laurenziana in Firenze, e alcune ne ha pubblicate il eh. sig. canonico Bandini (Lclt. t. 3, fi. 47?)■ (a) Tra le poesie inedite di Giovanni di Domenico deesi annoverare singolarmente un poema diviso in sei libri in lode della città di Firenze, che conservasi nella Laurenziana (Band. Cat. Codd. lai. BUI. Laur. t. 3, p. 864, ec). [p. 1352 modifica]VII. La 0111«) «li Fi*» rara jh^oihLi di poeti. i35a livho un poema eroico diviso in quattro libri, ma non finito, sulla caduta di Costantinopoli, di Ubertino Pusculo bresciano (Miscell. Lazzaroni, l. 1), di cui non ci è rimasta altra notizia (*). \1J. Tutte queste poesie, se se ne traggano quelle di Basinio e il poema del Griffi, son più a lodarsi per la facilità che per l’eleganza, e dobbiam bensì commendare nei’ loro autori lo sforzo che fecero per ottenere il titolo di poeti, ma dobbiamo guardarci dal battere quel sentiero su cui essi si posero. Lode assai maggiore ottennero alcuni altri verso la fine di questo secolo, da’ quali si può dir con ragione che le poesia latina fu ristorata e ricondotta, benchè a lenti passi, all’antica eleganza. E di essi è giusto perciò, che ricerchiam le notizie con qualche maggior esattezza. La corte di Ferrara, di cui non ebbero in questo secol le Muse il più gradito e il più onorato ricovero, ce ne offre alcuni che hanno diritto ad essere annoverati tra’ primi. Guarin! da Verona e Giovanni Aurispa, che ivi furono per più anni maestri di amena letteratura, non furono al certo poeti molto felici. Ma coll’accendere i lor discepoli allo studio degli antichi scrittori segnaron loro la via per giugnere a quell’eleganza di stile a cui essi invano sforzati si erano d’arrivare. Alquanto migliori sono le Poesie latine di Balista (*) Alcune notizie intorno nd Ubertino Pusculo s» pnsson vedere nel Catalogo de’ MSS. della libreria Farsetti (/>. 5a). Un altro pocinelto del Pusculo sul martirio del fanciullo S. Simone ucciso dagli Ebici lu pubblicato in Augusta nell’anno i5ii (Cai. Bibl. Bunav. t. i, voi. 3, p. 67, ec.). [p. 1353 modifica]TERZO i353 figliuol di Guarino, che furono stampate-in Modena nel 1496; ma esse però non son ancora si terse, che non si vegga la rozzezza del secolo. I primi tra’ Ferraresi a cui possa con qualche ragione concedersi il titol di colti ed eleganti poeti, sono i due Strozzi, Tito Vespasiano il padre ed Ercole il figlio, de quali perciò ci conviene di far qui distinta menzione (*). Vili. L’illustre famiglia degli Strozzi ferraresi discende da quella de’ Fiorentini; perciocché Nanne o Giovanni Strozzi, padre di Tito Vespasiano, fa il primo di quella famiglia che da Firenze passasse a Ferrara in età ancor tenera a’ servigi del marchese Niccolò ìli. Così ci assicura il medesimo Tito nell’elegia in lode della stessa città di Firenze: Hic tenero Nannes majorum hauti degener actis Vagitus priuios edidit ore pater. Atque ita Ferrariam vix pubescenti bus atmis Nicoleo Estensi regna tenente petit. Carm. p. 1-15, ed. Aid. 1513. Leggiamo in fatti negli Annali del Delaito (Script. Ber. ital. voi. 18, p. 9G3), che l’anno 14o t (*) Di Tito Vespasiano Strozzi ragiona a lungo e assai minutamente il ch. dott Barotti (t. 1, p. 109, ec.), che annovera i diversi impieghi e le onorevoli cariche che a lui furono conferite, e ne fissa la morte o al fine d'agosto, o al principio di settembre del 1505. Alla Vita del padre soggiunge quella del figlio Ercole, di cui noi pure qui ragioniamo, e di lui ancora ci somministra esatte e distinte notizie. TlUAROSCUI, Fol. IX. <) [p. 1354 modifica]■ 354 LIBRO andando il march Niccolò III a Milano, seco condusse fra gli altri Nanne Strozzi. Ei fu uomo famoso in armi, e un bell’elogio ce ne han lasciato non meno Tito di lui figliuolo (Carm, p. 145), che Ercole di lui nipote (Carm, p. 40). Quattro figliuoli egli ebbe, Niccolò, Lorenzo (a), Roberto e Tiro, tutti, come dice Biondo Flavio (Ital. illustr. reg.6), illustri per gli studj dell’amena letteratura. Ma il più celebre fra essi fu Tito che negli studj di poesia e d’eloquenza ebbe a maestro Guarino da Verona, com’egli stesso afferma (Carm, p. 48). Ebbe a sua moglie Damigella Rangona figlia del conte Guido, con cui si sposò circa il 1470, come raccogliam da’ due elogi ch’ei per essa compose (Carm, p. 148), nel qual tempo medesimo dal duca Borso ebbe le onorevoli divise di cavaliere (ib. p. 140). Rammenta egli stesso le cariche a cui fu sollevato in Ferrara, e le imprese di guerra, nelle quali avea date pruove non dubbie del suo valore, e loda singolarmente la sua integrità nell’amministrar la giustizia: Nulla Magistratus gestos mihi sordida labes Foedavit, mundasque mauus, diari numera curo Publica, servavi jam quinta messe Tribunus, Bissenisque caput Patribus, Princepsque senatus. ib. p. i4*Così egli ci dice le sue proprie lodi, di clie (a) Lorenzo Strozzi fu conte di Campo Galliano e di Castellarano, come si raccoglie da un diploma ad esso diretto dal duca Borso l'anno ¡464> che conservasi nel segreto archivio Estense. [p. 1355 modifica]TERZO i355 però chiede scusa a chi legge, dicendo di essere a ciò stato sforzato dalla maldicenza con cui di lui ragionava un certo Gorello siciliano venuto a Ferrara (a). Di alcuni degli onori conferiti a Tito si fa ancor memoria nel più volte citato Diario ferrarese: Domenica a dì XI dicto (cioè di settembre del 1497) intrò con grandissimo onore, e forse maggiore che mai altro intrasse, Judice de’ XII savj del Comune di Ferrara il Magnifico Messer Tito Strozza Cavaliero et Poeta (Script. rer. itaL vol. 24, p. 347)• Ma poscia nello stesso Diario si parla di lui in maniera troppo diversa da quella con cui lo abbiamo udito ragionar di sè stesso. Perciocchè a 13 di marzo del 1500 si dice: Essendo Messer Tito Strozzo Cavaliero Judice de’ XII Savj di Ferrara per lui et per li Savj, fu buttada la colta in Comune a sol. 3 9 Marchesani per denaro con grandissime grida • del popolo, e malivolentia del popolo verso dicto Messer Tito universaliter odiato, et così li fioli, da ogni persona per il mangiare del popolo, et angarie imposte, per modo che furono trovati per Ferrara bulettini in suo vituperio, e di altri Magnati (ib. p. 381). E al 1502: Judice de’ XII Savj fu riferì nato Messer Tito Strozza con grandissimi lagni et inimicizie uni(a) Tito Vespasiano Strozzi fu anche mandato dal duca Ercole I a Roma a congratularsi eoi nuovo pontefice Innocenzo Vili, eletto nel settembre del 14^4» e l’Orazione da lui allor recitata fu allora stampata (Audi/redi Cat. rom. Edil. saec. xr, />■ 268, 273). Ed è anche stata nuovamente riprodotta (Race, ferrar, di Opusc. t. 1, p. 10). [p. 1356 modifica]IX. Su» pome. « i356 LIBltO l’crsalitr.r di tutto il popolo, et ghe costò carissimo (ib. p. 400); e poco appresso parlando di un certo Teodosio Bruza, dice: et è peggio voluto lui... et Messer Tito Strozza dal popolo. che non è il Diavolo (ib. p. 4°i)• Chi di questi due testimoni meriti maggior fede, se il! poeta stesso, o l autor del Diario, io lascio che ognuno il decida per sè medesimo. Certo è nondimeno che l’odio popolare non è sempre argomento bastante a provare alcuno colpevole. Da altre poesie di Tito raccogliesi ch’ ei fu ambasciadore del duca Ercole a Roma, non so per quale occasione e che tornandone passò per Firenze, ove era stato ancora dodici anni prima (Carm. p. n5)} che due volte almeno fu alle sponde del lago di Garda (ib. p. 131); ch’ egli era stato in età giovanile a Ve- 1 nezia, ove avea ricevute molte dimostrazioni di affetto da Jacopo Antonio Marcello (ib. I p. 108). Io non ho trovata sicura memoria del tempo in cui egli morisse; ma certo ei morì prima di Ercole suo figlio, e perciò al più tardi ne’ primi mesi del i5o8. IX. Molte sono le poesie di Tito, e di ge- ] nere tra loro diverse, altre amorose, altre gra- i vi, altre satiriche. Oltre quelle che sono stampate, alcune altre inedite se ne conservano in questa biblioteca Estense, come quella De situ ruris Pelosellae indirizzata al march Leonello (*), e quella intitolata Voneroljcos, ossia (*) Alcune delle poesie inedite di Tito Vespasiano Strozzi, e quella singolarmente De Si tu ruris Pelosellae, e insieme la Prefazione sopra il libro della / ita [p. 1357 modifica]TERZO 1357 ¡1 Lupo malvagio, in cui sembra descrivere la caduta di Buonvicino dalle Carte fattor generale del duca Ercole I, che Tanno 14-5 fu per la rea sua amministrazione spogliato d’ogni onore e cacciato in esilio (Script, rer. ital. vol 24, p 250). Avea parimente intrapreso un poema in lode del duca Borso, ma non potè comporne che dieci libri, e morendo commise ad Ercole suo figlio di condurlo a fine j ma questi rapito da immatura morte non potè eseguire i paterni comandi. Innoltre in un codice, in cui si contengono cinque libri delle Poesie latine di Tito, come molte vi mancan di quelle stampate da Aldo, così molte ancora ve ne ha inedite; ed alcune fra le altre assai più eleganti di quelle che han veduta la luce. Queste ancora però son degne di molta lode, e vi si scorge non solo molta facilità, ma ancora un’eleganza che verso la metà del secolo xv, quando Tito cominciò ad essere celebre, era propria di assai pochi. Quindi il veggiamo esaltato a gara con somme lodi da tutti gli scrittori di que’ tempi. Lascio in disparte il bell’ epicedio di Ercole di lui figliuolo (Carm. p. 39), che può sembrare dettato da figlial tenerezza. Celio Calcagnini nell’ orazion funebre di Ercole figliuol di Tito, di cui ora diremo, fra le altre lodi del padre annovera questa ancora, che alla nosnlitaria di /\ fi ssere Francesco Petrarca traducto de Latino in vulvare ad istantia et nome del Magnifica Conte Lorenzo suo fratello, sono state pubblicate di fresco dal P. abate Mittarelli (Bibl. MSS. S. ìfirh. Fernet. p. io74). [p. 1358 modifica]l358# LIBRO biltà del sangue e allo splendor delle cariche congiunse l’ornamento della letteratura, e lasciò ai’ posteri felici pruove del suo sapere. Ei fu amicissimo di Battista Guarino, fra le cui Poesie abbiam tre elegie a lui indirizzate (Carm. p. 26, 28, 85), che mostran non meno il lor vicendevole affetto, che la stima in cui il Guarino avea l’ingegno di Tito. Il Filelfo ancora, di cui abbiamo due lettere scritte a Niccolò fratello di Tiro (l. 11, ep. 8, 20), dà al secondo il titolo di eloquentissimo. Egli è per ultimo annoverato tra i migliori poeti di quell’età dal Giraldi (Op. t. 2, p. 535), benchè questi aggiunga, e non senza ragione, ch’ ei fu poi superato da Ercole suo figliuolo. X. Ecco l’elogio che fa di Tito e di Ercole questo scrittore: Nè picciola, lode nel poetare hanno ottenuto i due nostri concittadini, Tito Strozzi ed Ercole di lui figliuolo, e, per quanto a me sembra, assai più colto del padre. Amendue furono illustri e per la nobiltà della loro famiglia, e per la dignità di giudici, e per l’eleganza del poetare. Ma se le insidie, per non dire la crudeltà, de’ sicarj avesser conceduta ad Ercole più lunga vita, egli ci avrebbe date cose molto migliori che quelle di suo padre: perciocchè in lui scorgevasi ingegno e saggio discernimento, benchè talvolta le pubbliche cure lo distogliessero dagli studj. Molte poesie ci han lasciate amendue, alcune delle quali sono state pubblicate da Aldo, e leggonsi con piacere. Evvi ancora la li orse ide di Tito, ch’ egli scrisse, ma non divolgò), in lode del duca Borso. Assai più magnifico è l’elogio che di Ercole [p. 1359 modifica]TERZO,35l) fa Celio Calcagnini nell’ orazion funebre detta nell’esequie di esso (Op.p. 505, ed. Basii, i.*»44). Ei cel descrive come scrittore ammirabile in prosa non men che in versi, e in ogni genere di poesia latina, sì elegante e sì dolce, ch era invidiato da molti, ma da pochi assai pareggiato; sì felice inoltre nella poesia italiana, che a giudizio del Tibaldeo non v’ era chi meglio in ciò riuscisse; dotto ancora nel greco, nella qual lingua avea preso a descrivere la guerra de’Giganti, imitando con maraviglioso successo la gravità e l’armonia d’Omero; dotato di sì grande memoria, che qualunque cosa avesse letta una volta, ei ripetevala anche con ordin retrogado, senza mai esitare; amico per ultimo di tutti i dotti, ch’ ei favoriva e accarezzava in ogni maniera, animandoli colla lode a intraprendere cose sempre maggiori. A questi pregi propri d’ un valoroso coltivator degli studj, aggiugne il Calcagnini ancor quello d’ottimo cittadino e d’uom giusto, magnanimo e pio, e fornito di tutte quelle virtù che dovean renderne dolcissima a’ Ferraresi la ricordanza. Paolo Giovio ancora ne ha inserito l’elogio tra quelli degli uomini illustri (Elog. p. 33), in cui dice fra le altre cose, che di lui valeasi singolarmente il duca Ercole I per disporre i teatrali spettacoli, de’ quali, come abbiamo veduto, egli assai compiacevasi. Era lo Strozzi grande amico del Bembo, come raccogliesi e da qualche lettera a lui scritta (Op. t. 3, p. 189), e dalle Prose, nelle quali il Bembo lo introduce tra' ragionatori in que’ dialogi, ove si cerca di persuadergli che oltre la poesia latina, [p. 1360 modifica]136o LIBRO da lui sopra ogni cosa amata, non lasci di coltivare ancor l’italiana, come in fatti egli fece. Il Giovio medesimo ci racconta qual fosse l’origine della immatura e crudel morte di questo poeta; cioè che avendo egli presa in moglie Barbara Torcila {a), un personaggio di alto affare, il quale aspirava a tai nozze, di ciò sdegnato, il fece uccidere di notte tempo, mentre su una mula tornavasene a casa. Abbiam Tepoca e le circostanze di questa morte negli Annali manoscritti di Ferrara di Filippo Rodi, che si conservano in questa biblioteca Estense, ove all’an 1508 così si legge: A dì 6 Giugno la notte fu ammazzato il C. Ercole Strozzi Poeta et Gentiluomo molto letterato; et fu trovato morto a S Francesco nel mezzo della strada involto nel suo mantello et ad un hora di giorno non era ancora stato levato il corpo di quel luogo, per non sapere i suoi di casa alcuna cosa di questo fatto; et haveva ventidue ferite, et in specie le havevano tagliato le canne della gola, nè si seppe mai chi avesse commesso questo omicidio. Le Poesie di Ercole son certamente più colte e più eleganti di quelle del padre, e alcune singolarmente possono a buon diritto essere annoverate tra le migliori di questo secolo. Rechiamone sei soli (a) Barbara Torcila moglie di Ercole Strozzi fu essa pur coltivatrice «Iella volgar poesia, e nella morie del suo infelice marito, con cui non era vissuta che pochi giorni, scrisse un ’elegante sonetto che si ha alle stampe nella Raccolta de’ Poeti ferraresi, e altrove. [p. 1361 modifica]TERZO l36l versi, ne’ quali sembra predire la vicina sua morte: Sed jam summa venit fatis urgentibus hora: Ah! nec amica mihi, nec mihi mater adest, Altera ut ore legat propriae suspiria vitae, Altera uti condat lumina et ossa rogo. Defletam mihi jam toties tegit urna parentem: Cara premar quantis nescit amica malis. Carm, p. 69. Alcune rime ancor se ne leggono nelle Raccolte de poeti italiani (V. Quadrio, t. 2, p. 354; Crescimbeni, t. 1, par. 2, p. 198). Nè è piccola lode di questo poeta, che il grande Ariosto gli desse luogo tra’più illustri (Orl. c. 4?-). XI.Lodovico Carro e Girolamo Castelli, amendue già da noi nominati nel parlare de’ medici, furono ancora non infelici poeti. Del primo abbiamo nell’Estense biblioteca un poemetto latino al duca Ercole I scritto con molta eleganza. Il secondo, che dal Giraldi dicesi ferrarese di patria, e non bolognese, come afferma il Borsetti (Hist. Gymn. ferr. t. 2, p. 34), dal suddetto scrittore (l. c. p. 536) è lodato non solo come medico, ma ancora come oratore e poeta eccellente, ma amante così della lima, che nel suo testamento vietò che niuna delle sue cose si pubblicasse. Egli aggiugne però di averne lette alcune poesie scritte non senza eleganza. Il co. Matteo Maria Boiardo fu come nella italiana, così ancora nella latina poesia, tra’migliori di quell’età, e le sue Egloghe singolarmente altrove da noi rammentate son piene d’eleganza e di grazia. Il Tibaldeo ancora fu XI. Altri po*t» alla corte medesima. [p. 1362 modifica]i36a LIBRO più felice verseggiatore nella lingua latina che nella italiana. Lodovico Carbone scolaro di Teodoro Gaza è annoverato dal Giraldi (l. cit. fj. 5~6) tra’poeti ch ebber nome a’tempi di Leonello e di Borsa; e da lui vien detto autore di molti componimenti in prosa e in verso scritti con uno stile fiorito ma umile. Il Borsetti lo registra tra i professori dell’ università di Ferrara (Hyst. Gymn. ferr. t. 2,p. 38, ec.), e accenna il decreto con cui l’anno x456 ci fu destinato a tener pubblica scuola di’ eloquentia e di poesia. In fatti abbiamo negli Atti di questa Computisteria di Ferrara un decreto del duca Borso del 1458, in cui si afferma che gli erano state assegnate 100 annue lire di stipendio, e si determina ch’esse sieno a proporzione detratte dagli stipendj degli altri professori. Aggiugne il Borsetti, che nel 1465 il Carbone passò a Bologna, e che di là fece ritorno a Ferrara, ma non dice in qual anno. Noi peróne abbiamo l’epoca in un altro decreto del medesimo duca Borso del dicembre del 1466, in cui si accordano certe esenzioni a favore Clarissimi Oratoris et eximii Artium Doctoris D. Magistri Ludovici Carboni redeuntis ex Bononia ad Studim Ferrariae. Egli morì, come affermasi dal Giraldi, l’anno 1482. Tito Vespasiano Strozzi lo esalta con somme lodi in un epigramma a lui indirizzato, in cui fra le altre cose gli dice: Doctus es, et culti placido sermonis ab ore Dulcior (Hyblaeo copia melle fluit. Nec minus Orator, quam vates optimus, idem Nunc patriae linguam tradis utramque tu.te: [p. 1363 modifica]

  • TERZO 1303

linrharus est, rpiicumque rapi virtutibus isti* Se negai, et tantum non probat mgeniiun. Carin. p. 4.9. II Borsetti ne annovera parecchie opere scritte in prosa e in verso, niuna delle quali si ha alle stampe, trattane quella ch’ei gli attribuisce, De Elocutione oratoria. Questa però, come avverte il Baruffaldi (Suppl, ad Hist. ferr. Gymn. t. 2, pars 2, p. 17), è d’un altro Lodovico Carbone da Costacciaro vissuto un secol più tardi.. Il medesimo Baruffaldi rammenta alcune altre opere del vecchio Carbone; alle quali innoltre deesi aggiugnere l’orazione in morte di Lodovico Casella, che si conserva in questa biblioteca Estense. Due medaglie coniate in onor di esso si accennano dallo stesso scrittore (ib. p. 128), dalle quali sembra raccogliersi ch’ ei fosse poeta laureato, e questo onor del Carbone confermasi con più certezza dal Diario ferrarese, ove parlando dell orazion da lui recitata ne’ funerali del duca Borso, così si dice: Mastro Ludovico de Carboni Poeta Laureato in Pergolo fece una oratione ad laude del Signore Hercole, e del Duca Borso morto, che molto al popolo piacette (Script. rer. ital vol. 24, p. 236). Il Guasco, che non so su qual fondamento il dice reggiano di patria (Stor. letter. p. 14) > mentre i versi dello Strozzi poc’anzi citati cel mostrano ferrarese, ci ha dato un saggio delle poesie latine del Carbone, che si conservavano in un codice a penna presso i Minori Osservanti di Reggio. In esse ei ci si scuopre più facile ch elegante poeta, ed è leggiadra cosa a vedere com’ ei per piacere alla sua amata si va lodando [p. 1364 modifica]

  • 364 LIBRO •

magnifieamente; e fra le altre cose rammenta che da una ambasciata fatta al pontefice riportato avea il titolo di conte: Pontifici summo placuit facundia nostra, Qui comitis titulum jussit inesse rnihi (*). i XII. Alla corte medesima di Ferrara fiorirono circa lo stesso tempo due altri poeti, modenese il primo, l’altro reggiano, cioè Tribraco e Lucio o Luca Riva, i quali son qui nominati dal Giraldi tra’ poeti migliori di questa età {/. ciL). Appena vi La chi ci parli del primo, di cui (*) Altre notizie intorno a Lodovico Carbone si posson vedere nelle Memorie degl’illustri Ferraresi del ch. dott Barotti (t. 1, p. 35), il quale ne ha ancor pubblicate alcune poesie. Ma assai più copiose ancora sì intorno alla vita, che intorno alle opere del Carbone, son quelle che l’eruditiss P. Verani mi ha gentilmente dirette, e che sono state inserite nel t. XVII di questo Giornale modanese, ove fra le altre cose con nuovi monumenti confermasi ciò che il Barotti ha rivocato in dubbio, cioè che il Carbone fosse anche professore in Bologna; il che pure affermasi dall’ Alidosi (Dott. foresi, di Tr.ol. ec. p. 128). Lo stesso P. Verani, che avea-prima dubitato di ciò che dal Giraldi si afferma, cioè che il Carbone morisse di peste nel 1482, m’ha poi avvertito che narrandosi dal Borsetti sulle memorie di que’ tempi, che anche Lodovico Sandeo morì di peste nell’ anno medesimo, potè ciò avvenire ancor del Carbone; purchè concedasi ciò ch’egli ha dimostrato, cioè che a’ 24 di dicembre del detto anno ei recitò l orazione nella venuta a Ferrara del card Francesco Gonzaga. A ciò io aggiugnerò solamente che dell’ orazion funebre del Carbone in lode del duca Borso trovasi copia anche presso il ch. sig. D. Jacopo Morelli, e ch’ essa è seguita da un’ ode latina del duca Ercole, quam, dic’egli parlando col detto duca, praes tanti stimi:» Musicis tuis notaiuLim ccmciuendanupie iradidi. [p. 1365 modifica]TERZO,365 pure ci son rimaste non poche poesie. Altro nome non gli vien comunemente dato che quel di Tribraco modenese; ma in alcuni luoghi gli si aggiugne il prenome di Gasparo; il che vedesi singolarmente ne’ versi di Bartolommeo Paganelli, altro poeta modenese, di cui diremo tra poco. Ei tenne per qualche tempo scuola in Modena, ed ivi ebbe fra gli altri a suo scolaro il celebre Antonio Urceo, come narra il Bianchini nella Vita del medesimo Urceo, di cui altrove ragioneremo. Il suddetto Paganelli in una sua elegia (l. 3, el. 5) descrive il luogo ove abitava Tribraco in Modena, dicendo a’ suoi versi, che quando sien giunti in città alla piazza ove è la statua detta della Bonissima, volgan verso levante; e quindi entrando nella contrada, che pochi passi appresso si apre alla destra, si avanzino circa venti passi, e ivi troveran la casa di Tribraco, di cui fa un magnifico elogio: Bis denis Tribrachi non distat passibus illinc Sedes Castaliis pervia numinibus. Alta patet; triplices illustrant limina valvae: Huc vatum omne frequens itque reditque genus. Quam bene cum noris sacros ingressa penates, Haec vati referas nomina pauca meo: Tribrache Gorgenei cultor studiose liquoris, Tribrache Pierii spesque decusque chori, Tam bene cui rerum causae, coelique meatus, Cui terrae tractus, cui patet unda mai is, Quem veteres ullo non vincunt numine vates, Seu mater Musa est, seu ait Apollo parens, Cui tres Dircaei concedunt, laude poetae, Alcaeus pariter, Moeoniusque senex, Qui facis haec priscis non cedat vatibus actas, Seu Latium, sive hos Graecia prima tulit, et. [p. 1366 modifica]i3G6 libro Da Modena passò poscia a Ferrara, ove era fin dal 1461, e ove provò più volte la munificenza e la liberalità del duca Borso, come veggiamo da’ monumenti che si conservan nei’ più volte citati Atti della Computisteria di Ferrara. In un decreto del detto duca de' 3 di ottobre del 1461 si ordina che si paghino dieci lire di marchesini Litterato viro Tribracho Matinensi... in subsidium eundi Venetias, et inde in Graeciam pro litteris Graecis perdiscendis. Ma questo viaggio in Grecia non par che seguisse; perciocchè abbiamo un altro decreto del medesimo Borso del gennaio del 1462, con cui comanda che si paghino cento lire doctissimo et litteratissimo viro Tribraco Mutinensi... in praemium virtutis et doctrinae suae. E in un altro de’ 4 gennaio del 1463 ordina che si diano due forini d’oro eruditissimo viro Tribracho Mutinensi... pro expensis faciendis per eum pro eundo Mutinam et inde redeundo. Anzi veggiamo ch’egli aveva ivi un fisso stipendio; perciocchè in un altro decreto de’ 22 di dicembre del 1467 ordina il duca stesso che si dia Tribracho Mutinensi viro egregio et erudito suam pagam Novembris proxime elapsi. Il lungo soggiorno in Ferrara gli diede occasione di stringersi in amicizia con altri uomini dotti, de’ quali era ivi gran numero, singolarmente con Tito Vespasiano Strozzi, di cui abbiamo un’elegia scritta al nostro Tribraco, invitandolo a venir seco in una sua villa. Eccone i primi versi pieni di encomj al nostro poeta. Tribrache, divinum quis te neget esse l’oetam, Cum tibi tale sacro carmen ab ore lluat? [p. 1367 modifica]TERZO 1367 Namque modo ostendit tua nobis scripta Metellus, Quem fratri comitem rura dedere meo. Illis quid potuit numeris ornatius esse Quae vis, ingenii gratia quanta tui? Sic ego Nasonem, sic te, jucunde Properti, Sic quoque te video, culte Tibulle, loqui; Ecce novum per te Latio decus additur, et jam Vate suo tollit se Mutinensis ager. Carni, p. 46Pare che Tribraco morisse prima del duca Borso, cioè verso l’anno 14 /1 j perciocché tra le molte poesie che di lui son rimaste, non ve n’ ha alcuna in cui parli o. della morte di quel gran principe, o di Ercole I come di duca di Ferrara. Delle suddette poesie però non se n ha alcuna alle stampe. In questa biblioteca Estense trovasi un poemetto in lode di Borso. intitolato Divi Ducis Borsi Estensis triumphus per Tribrachum Mutinensem. Rechiamone il principio per saggio della vena di questo poeta: Rursus ab Ausonio venientes vertice Divae Estensem memorate Ducem, qui fortibus armis Pacifer imperium Latia producit! in ora, Hespeniasque tuetur opes, qui saecula priscis Temporibus meliora facit, ec. Un altro poemetto sul furore di Ercole conservasi nella Riccardiana in Firenze (Cat Bibl. ricc, p. 369). Più altri componimenti che se ne hanno in due codici ferraresi, uno del march Cristino Bevilacqua, l’altro del dott Giannandrea Barotti, si annoverano distintamente dal ch ab Zaccaria (Ann. letter. dItal. t 3, p. 670, ec.). Alcuni altri se ne veggono indicati nella Biblioteca di Konigsberg (V. Bessellii [p. 1368 modifica]

  • 368 LIBRO

Misceli.praef. p. 13), per tacere di qualche altra cosa di minor conto (). XIII. Il Riva, che or veggiamo nominato - Luca, or Lucio, or Lucceio, fu grande amico di Tito Strozzi, di cui abbiamo una satira (Carm. p. 132) e un’elegia (ib. p. 77) a lui indirizzate. In questa seconda grandi sono le lodi che Tito dice del Riva, di cui oltre le molte virtù esalta il sapere e lo studio e la perizia nelle lingue greca e latina: Cui magia est l.atiae nitor et facundia linguae Cognita? Quis Grajo doctior eloquio ì Quis juvenum tanto moderari examine gentes Aon it, et ingenuis artibus imbuere?! Queste parole ci mostrano che il Riva era professore di belle lettere in Ferrara. In fatti il Borsetti (Hist. Gymn. ferr. t 2, p. 47) accennando i monumenti di quell’università, afferma che l’an 1468 fu colà chiamato a professor di gramatica, e che fu poscia promosso alla cattedra di poesia. Ercole Strozzi figliuol di Tito fu nel numero degli scolari del Riva; ed essendo questi caduto infermo, e poi riavutosi, Ercole ne festeggiò la guarigione con una elegante elegia (Carm, p. 60). Il Giraldi ancora ebbelo a suo maestro, com egli stesso racconta (l. cit.)} aggiugnendo che Luca era principalmente diligentissimo osservatore della misura e dell’ armonia delle sillabe, sicchè veniva detto talvolta (*) Del Tribraco e degli altri poeti modenesi qui mentovati si è parlato anche più stesamente nella Biblioteca modenese. [p. 1369 modifica]TERZO l36lj il maestro delle sillabe. Ebbe innoltre tra suoi amici Battista Guarino, tra le cui Poesie latine si legge un’elegia a lui scritta in occasion delle nozze del medesimo Luca (Carm, p. 76). Ei vivea ancora nel 1507, come raccogliesi dalla dedica che il Giraldi in quell’anno gli fece del suo Trattato intorno alle Muse. Di questo valoroso Reggiano niuna menzione fa il Guasco nella sua Storia letteraria di quella città, e nondimeno non doveva egli esser (passato sotto silenzio, benchè niuna cosa, ch’io sappia, ce ne sia rimasta. XIV. Siegue poscia il Giraldi annoverando più altri poeti che in Ferrara e nelle altre città degli Estensi ebber fama di eleganti poeti. E prima ei nomina Lodovico Bigo Pittori ferrarese, poco lontan di tempo, dic egli, dai' poeti or mentovati, di cui ci restano moltissime poesie. Tra esse le giovanili e le amatorie sono le più pregiate; perciocchè, quando egli si volse a coltivar la pietà, e a scriver di cose sacre, ne fu migliore la vita, ma più infelici i versi. Molte in fatti sono le poesie latine che abbiam del Pittori, delle quali si può vedere il catalogo presso il Borsetti (l. c.p. 329). Anzi egli stesso nell’ultimo libro de’ suoi Epigrammi si vanta del molto numero de’ suoi versi: Tres et viginti panxit mea Musa libello«, l’raeter in Angelicas scriptum opus excubias. Un’ elegia da Battista Guarino a lui scritta sembra indicarci ch’egli avesse a suo scolaro il Pittori; e ci mostra ancora la stima che il Tirauoscui, Fot. IX., 10 [p. 1370 modifica]13yo LIBRO maestro faceane (Carm, p. 131). Le poesie nondimeno non ne son troppo eleganti, e forse la molta facilità ch’egli avea nel comporre, non gli permise di renderle più colte e più terse. Ei visse fino a’ tempi di Leon X, come raccogliesi da alcuni de’suoi epigrammi; ma non abbiam notizia dell’ anno in cui finisse di vivere. Nomina quindi il Giraldi Antonio Urceo saprannomato Codro, di cui direm tra’ grama* tici, poi Bartolommeo Prignani, di cui fa questo elogio: Fiorì al medesimo tempo in Modena Bartolommeo Prignani, di cui abbiam molti versi, per lo più elegiaci, i quali non mi sembrano inferiori a que' de’ poeti finor nominati. Ebbe tra’ suoi scolari Dionigi Tribraco e Francesco Rocciolo (o anzi Rococciolo) a voi ben noti. Il Prignani, che con altro nome chiamasi ancor Paganelli, è stato ammesso dal Ve* driani nella sua Storia dei Letterati modenesi, e dal Guasco in quella dei’ reggiani. Di lui io ho veduti quattro libri elegiaci intitolati De imperio Cupidinis, dedicati ad Alfonso d’Este figliuolo del duca Ercole I, e stampati in Modena nel 1492 ne’ quali introduce l’Amore a vantarsi delle vittorie che in ogni luogo e sopra ogni ordine di persone riporta, e nomina non solo le città, ma i personaggi ancora più ragguardevoli che al suo impero egli avea soggiogati; un poemetto elegiaco intitolato De vita quieta stampato in Reggio nell’anno 14i>7 5 e da lui scritto a difendersi dal rimproverarlo che alcuni faceano, perchè non avesse accettate le cariche offertegli nella curia romana; e tre libri [p. 1371 modifica]TERZO,3^, di Elegie stampati in Modena nel 1488. Egli era natio di Prignano, luogo nella diocesi di Reggio, come raccogliesi da una delle sue Elegie (l. 3, el. 3) scritta a Niccolò da Lucca vescovo di Modena, in cui introduce la sua stessa Elegia a così parlare al vescovo: Me tuus huc Vates Prignanis mittit ab arvis, Et dixit: castos incole casta lares. Te colit absentem: patriae non ulla voluta Ex animo potuit te pepulisse suo. Egli però avea de’ poderi in Campogalliano sul Modenese, dicendo egli stesso: Cum raris ego sub dumis prope fluminis undam), Qua mea Cajanus praedia campus habet De imper. Cupid. l. 1. Tenne scuola in Modena, come abbiamo udito affermarsi dalGiraldi, e come accenna lo stesso Prignani, in più luoghi. Fu assai caro al co Giovanni Boiardo, presso il quale trattenevasi spesso nel feudo di Scandiano. Pare ch’ ei non vivesse oltre il secolo xv, o almeno non abbiam monumento che cel mostri vivo anche nel secol seguente. Dello stile da lui usato abbiam dato un saggio ne’ versi or ora recati, e ne daremo altri qui sotto, ne’ quali si vede molta facilità, ma non uguale eleganza, difetto ordinario ne’ poeti di questi tempi. A lui dobbiam la notizia di molti altri che allor godevano in Modena del nome di valorosi poeti. Oltre quel Dionigi Tribraco, di cui direm tra poco, troviam da lui nominato un suo fratello detto Girolamo, e Jacopo Bianchi. Perciocchè egli [p. 1372 modifica]l372 LIBRO introduce Gasparo Tribraco a parlare a lui stesso in tal modo: Hic est Prignanus, nuper mihi cognitus alter, Qui libi jain t'raler, discipulusque fuit, Quem, donec caneret divos, mors atra coegit Corpus in Illyricis limquere littoribus. Novimus et Blanco cultum de sanguine vatem, Qui fuit Aonia te duce sparsus aqua. (l.c.l. 4). Al qual luogo si aggiugne in margine nell’accennata antica edizione: Hieronymus Paganellus. Jacobus Blancus. E poco appresso si nomina Ugo Scandiano: Scandianus Musis veniet comitantibus Hugo, Unde novos poteris semper habere sales. Più altri ne annovera altrove, così dicendo al suo libro: Te leget ingenuus juvenis Discalcia proles, Qui natat Aonia tam bene lotus aqua; Te leget et Tribracho genitus de sanguine vates, Vignolae cupida corripiere manu, Pro te dimittet sacros Fontana libellos; Dimittet fasces Curtius ipse suos; Sylvius hos, Crispusque simul, Picusque sequentur, Staterius docto te leget ore puer. L. 2 Eleg. proocm. (a). (a) Bartolommeo Prignano Paganelli finì di vivere nel 1493, come si è provato nella Biblioteca modenese, ove di lui e delle molte poesie da lui composte si è detto più lungamente (t. 3, p. 425, ec.). Ivi ancora si son prodotte più copiose notizie della vita e delle opere degli altri due poeti modenesi che poco appresso rammento, cioè di Dionigi Tribraco (t.5,p. 287,ec.) [p. 1373 modifica]TERZO,3^3 I quali personaggi più distintamente sono indicati nelle note marginali: Zaccarias Discalcius, Dionisius Tribrachus, Petrus Vignola, Daniel Fontana, Joannes Curtius, Sylvius Milanus, Bernadinus Crispus, Joannes Baptista Picus, Andreas Staterius. Continua poscia dicendo che se mai due poeti della nobil famiglia de’Forni (i quali in margine sono indicati co lor nomi D. Albertus et D. Thomas) il manderanno a Ferrara insieme co’ loro versi, entri in quella città con timore, atteso il gran numero che ivi è di poeti: At si Ferrari un Furnorum clara propago Te veheret! sociis forte datura suis, Providus hic caveas; nam tot Ferraria vates, Quot ranas tellus Ferrariensis habet. E ne nomina singolarmente Luca Riva, Tito Strozzi e Battista Guarini. Di quasi tutti questi Modenesi, che dovean essere allora famosi ne’ poetici studj, non abbiamo altre memorie onde raccogliere qual ne fosse il valore. XV. De’ due scolari che il Giraldi dà al Prignani, cioè di Dionigi Tribraco e di Francesco Rococciolo, possiam dir qualche cosa più accertata. Del primo parla più volte il Prignani nelle sue Elegie (De imper. Cupid. l. 4, ec.), tra le quali ve n’ha una a lui indirizzata (/.a, eleg. 4), in cui lo invita a venire alle sue colline di Prignano. Essa è intitolata: ad Dionysium Tribrachum adolescentem et vatem Mutinensem; e di Francesso Rococciolo (t. 4, p- 381, ec); e del reggiano Luca Riva nominalo poc'anzi (l. 4, fi. 3 >4). [p. 1374 modifica]13^4 LIBRO e comincia con questo elogio di questo giovin poeta: Curarnin pr.iesens solnmcn dulce mearum. Absens pectoribus maxima cura meis, Tribrache, cui merito faciles tribuere C.anioenae A cito condendis nomina carminibus, Tribrache Pegasei nomen fatale liquoris, Et morum et vitae semper imago meae, Quem mecum oblectant vitae praecepta quietae, Quique soles nostro primus inesse choro, ec. Di questo Tribraco assai men vantaggioso concetto avea il Bembo, che scrivendo a Dante III Alighieri in Verona di un professore di belle lettere, che i Veronesi cercavano, dice: De Tribacho nescio quo illo Mutinensi, quem audio istic circumire singulos, vos videritis. Ego quidem isto nomine doctum esse aliquem nesciebam usquam gentium. (l. 4 Famil. ep. 12). Questa lettera è scritta nel 1506, e in tal anno perciò convien dire ch’ei si fosse recato a Verona per ottener quella cattedra, la qual però non troviamo che fossegli conceduta. Pare ch ei sia lo stesso che quel Dionigi Trimbocco (a) di cui fa un lungo elogio Tommasino Lancillotto, che n era stato scolaro, nella Cronaca di Modena, che conservasi manoscritta in questa biblioteca Estense, donde l ha copiato il Vedrani (Dott. moden. p. 34). In esso fra le (a) Dionigi Trimbocco veniva probabilmente da un di quelli di cui si lia menzione in un decreto de' 3 di luglio del i.^o del marchese Leonello, in cui si nomina Antonio de’ 'fi-imbocchi cittudin modenese giù morto, e i figli da lui lasciati, cioè Giovanni, liarlolommeo, Geminiano, Gasparo e Dionigi. i [p. 1375 modifica]TERZO |3^5 altre cose racconta ch’ egli era in Modena professore di belle lettere stipendiato dalla comunità; che interpretava singolarmente le opere di Cicerone, di Dante e del Petrarca; che era versatissimo in ogni genere di letteratura e di scienza; che ricusò amplissime offerte fattegli da molti principi, antiponendone a tutti la patria; e ch essendo morto in età di 60 anni nel 1526, gli furon celebrate a spese del pubblico solennissime esequie. Aggiugne ch’ ei gloriavasi di esser del sangue del celebre Tribraco. Il che benchè sia assai probabile, può forse nondimeno cadere in dubbio al riflettere che il Prignani, il quale nomina più volte amendne, non mai li dice parenti. Anzi quando finge che Gasparo già trapassato a lui ragioni, così gli fa dire di Dionigi: Huc etiam ille tuus venit Dionysius olim, Contabitque modos, et leget historias De imper. Cupid. I. 4Col che sembra indicarci che Dionigi avesse maggior relazione al Prignani che a Gasparo stesso. Il Vedriani afferma ch’ egli scrisse più opere latine che sono perite, e singolarmente un Panegirico in lode del co Giovanni Boiardo, e che non se ne ha alle stampe che un’ opera: De IT origine e dignità della Cavalleria. Francesco Rocx)ccioli sopravvisse due anni a Dionigi Tribraco, e morì in Modena, ove parimente teneva scuola, nel dicembre dell’an 1528, come racconta il sopraccitato Lancellotto, che ne descrive ancora il magnifico funerale. In questa biblioteca Estense ne abbiamo [p. 1376 modifica]XVI. Valore nr?I1 iniprowi«air Hi P»n/iluSaaaijauv poesie. l376 LIBUO un poemetto in versi esametri in lode di Alfonso I duca di Ferrara, intitolato perciò s/l~ phonsias. Esso è dedicato da Paolo figliuol di Francesco, e medico di professione, al duca Ercole II; e la lettera dedicatoria è scritta da Viadana a 30 di aprile del 1549 Il nome del poeta è espresso così nel titolo: Pub. Francisci Rococioli Mut. Poetae laureati; e questo ne è il principio, che parmi, a dir vero, avere alquanto dello stil di Lucano: Desuetos quiqumque jubes me visere colles, Pieridumque choros, et inermem scribere Mai lem, Cicute torporem mentis, turpemque veternum Disiice. Jam nimias resides in pectore curae Protraxere moras: agitandum turbine magno Pectus, et insani replendum numine Phoebi. Nella sopraddetta lettera dedicatoria si fa menzione di un altro poema del Rococciolo in lode di Modena, intitolato Multineis, il quale diviso in dodici libri conservasi manoscritto nella biblioteca dell’Istituto di Bologna, insieme con una selva intitolata De statu Matinae an 1501. Il Cinelli innoltre (Bibl. volante, t. 4, p. 163) ne rammenta un’orazione sopra la poesia stampata da Domenico di lui fratello nell’an 1504. Finalmente in alcune note marginali a penna aggiunte all’ opera poc’ anzi citata del Vedriani (il quale parla solo di Domenico lo stampatore (l. c. p. 78), e passa sotto silenzio il poeta) si dice che se ne ha alle stampe una Satira con alcuni altri versi latini. XVI. Noi ci siamo avanzati alquanto entro il sec xvi nel ragionare di questi due scolari di Bartolommeo Prignani, anche perchè essi [p. 1377 modifica]TERZO,377 cominciarono ad aver gran nome nel secolo di cui scriviamo. Per la stessa ragione dobbiam qui parlare di un altro celebre Modenese, cioè di Panfilo Sassi, benchè egli pure toccasse, anzi vivesse ancor molti anni del secol seguente. Molti ne fanno encomj, ma niuno ce ne ha data la Vita; ed è assai difficile il raccoglierne le epoche e le circostanze (a). Ei nacque verso il 1455, poichè egli stesso scrivendo nel 1493 a Cassandra Fedele, dice che allora avea circa 38’ anni di età. Poco tempo io credo che vivesse in Modena sua patria. In fatti nella suddetta lettera, ch è scritta da Verona, dice il Sassi ch ei soleva abitare in una terra del Veronese detta Rasa, e nel 1494 quando Matteo Bosso canonico regolare andando da Verona a Ravenna trovollo in Erbeto, luogo tra Verona e Mantova, ed ivi pranzò con lui, avea iI Sassi fissata in quelle parti la sua dimora. Ne parla con somme lodi Matteo in due sue lettere (Epist. famil. sec. ep. 78, 83); e io non posso a meno di non recar qui l elogio che ne fa nella seconda di esse, poichè insieme ci dà alcune notizie che non abbiamo altronde: Io mi son sempre ricordato di Panfilo Sassi, scrive egli ad Adeodato Broilo, e di quel giorno in cui ebbi la sorte di goder di quel giovane all' occasione del pranzo che tu mi desti in Erbeto. Io non so di alcun altro che in tale età abbia mostrata sì gran dottrina, sì vico in(a) Anche di l’nnfìlo Sassi si c ragionato più a lungo nella Biblioteca modenese, e se ne sono prodotte più copiose notizie (1. 5, p. 23). [p. 1378 modifica]• 3^8 LlliRO gegno, e, ciò che è in Ini più ammirabile, sì gran coraggio nel verseggiare all' improvviso, e sì rara memoria, se pur tali non sono stati Gio~ vanni Pico della Mirandola, Ermolao Barbaro patrizio veneto j e Lippe fiorentino il Cieco. Dio immortale! di quante cose parlò e disputò egli con noi e in tempo del pranzo, e levate le mense! e con qual eleganza, e con qual gravità e con qual grazia, con quale ingegno, con quale eloquenza per ultimo e con qual senno! Nè solo della sacra letteratura e de' divini misteri, ma ancor di qualunque scienza profana. Ma ciò che reconne maggior piacere, e che ci parve più ammirabile, fu il vedere con qual felicità di memoria ei ripetesse non sol le cose che gli eran più famigliari e più note, ma quelle ancora che una volta sola avea lette. Che dirò io della vita ch'ei conduce? Secondo l esempio di molti antichi, fuggendo dallo strepito e dalla turba, si è procacciato un piacevol ritiro in una solitaria villa, ove dimenticate tutte le altre cose, tutto il tempo da lui si impiega con somma fatica allo studio della filosofia e all’ intelligenza delle cose divine; il che appena è mai che si vegga in un giovane. Con una non più udita facilità, improvvisa in versi al suon della cetera così in italiano come in latino a qualunque argomento gli venga proposto. Finalmente, com' ei medesimo amichevolmente. mi disse, invitato da alcuni principi con ampie promesse alle lor corti, ha rigettate le loro offerte, parendogli cosa vile ed indegna, che chi ama la filosofia si renda schiavo, ec. Poichè il Bosso fu tornato a Verona, gli scrisse [p. 1379 modifica]TERZO t379 nel 14f)7 pregandolo istantemente che, se mai potesse portarsi alla città, venisse a trovarlo nel suo monastero (ib. ep. 190); il che ci mostra che il Sassi soggiornava ancora nella sua villa presso Verona. In fatti di questa città ei parla spesso nelle sue poesie, tra le quali abbiamo ancora una lunga elegia in lode della medesima, ove nomina gli uomini illustri per lettere, che ivi allora fiorivano, e da cui si potrebbe ricavar più notizie da aggiugnersi alla Verona illustrata del marchese Malici. Li fu ancora per qualche tempo in Brescia, ove il condusse Girolamo Donato, quando verso il 1495 ne fu eletto podestà (Agostini, Scritt. venez. t. 2, p. 209). E un leggiadro fatto racontasi dal Castelvetro ivi accaduto (Op. critichep. 82) 0; poiché avendo un cotale recitato un epigramma da sè composto in lode del podestà, il Sassi, che ivi era presente, fingendosi sdegnato, esclamò che colui era un plagiario, e che aveagli involato quell'epigramma; e in pruova prese a recitarlo con tal prontezza e velocità, che fece credere a tutti ben fondata la sua accusa; finchè egli stesso scoprì l’inganno, e rendette al poeta la lode pel suo epigramma dovutagli. Ove e quando morisse, non trovo indicio certo a conoscerlo. Il Quadrio dice (t. 2, p. 217) che all'edizione delle poesie italiane del Sassi fatta in Venezia nel i5i9 I *) Non in Brescia, ma in Verona narrasi rial Caslclvetro accaduto il piacevo! fatto di Panfilo Sassi in casa del podestà Girolamo Donato, di cui qui nbbiam latta menzione; ma realmente dovette esso accadere in llrcscia, nella qual città sola fu podestà il Donato. [p. 1380 modifica]i38o libro si aggiugne un sonetto di Filippo da Pellenera professore in Padova, in cui ne piange la fresca morte. Ma questo sonetto medesimo vedesi aggiunto alla edizione delle stesse poesie fatta in Venezia nell’anno i5o4, clic si ha in questa biblioteca Estense; il che potrebbe persuaderci ch’ ei fin d’allor fosse morto. A me par nondimeno che il Giraldi, il quale suppone il suo dialogo tenuto a tempi di Leone X, ne parli come d’uomo ancor vivo. Ecco le parole dello stesso autore, dalle quali raccogliesi che il Sassi fu tra coloro ne’ quali il frutto non corrisponde alle concepute speranze: Pamphilus etiam Sassius, dic egli (l. c p. 541, Mutinensis extemporalis Poeta, qui, ut inter loquendum celerrime verba volvit, ita in facicndis versi bus promptissimus. Variarum disciplinarum studium Sassium non ea facere permisit quae primis, ut ait ipsemet, annis pollicebatur, paratus ad omnia. Illi memoria pene Divina non in poetis modo sed et caeteris in omni facultate scriptoribus. Sed nae in eo verissimum illud esse videtur, quod est ab Aristotile proditum, quod qui memoria cxcellunt, plerurnque ingenio ac judicio deficiunt. Minus enim omnino Sassio judicii ac limae. In fatti è certissimo che Panfilo visse fin dopo il 1515. Perciocchè tra le Lettere del card Gregorio Cortese ne abbiamo una a lui scritta da Panfilo, colla risposta fattagli da Gregorio (Cort. Op. t. 2, p. 43, ec.). Esse non hanno data. Ma ragionasi in esso de’ versi che il Cortese allor monaco avea fatti in lode del suo monastero di Lerins, e a questo monastero egli non [p. 1381 modifica]TERZO | 381 si trasferì che nel 1515 (Vita del card. Cort. ib. t. 1, p. 19). Anzi io credo ch’ei non morisse che dopo il 1525. Perciocchè il Casio, che in quell anno pubblicò gli Epitaffj degli Uomini illustri già morti, di lui ivi non parla; ma bensì nel supplemento, ove annovera i morti tra ’1 i5a5 c ’I i528 (Epit. p. 70); e par che c indichi ch’ ei morisse in età di oltre ad ottant’ anni, dicendo: Stette ottant’ anni pel Parnaso colle. E io credo innoltre ch’ei venisse a finire i suoi giorni in questa sua patria; perciocchè vedremo che alcuni letterati modenesi, che vissero circa la metà del secol seguente, si vantarono di averlo avuto a maestro, mentre egli in sua casa leggeva or uno, or l’altro degli antichi scrittori. Ma per diligenze ch’ io abbia fatte, non mi è avvenuto di trovarne accertata testimonianza. Quindi il mentovato sonetto del Pellenera dovette esser composto su qualche falsa voce della morte del Sassi, come altre volte è avvenuto (*). Moltissime sono le poesie sì (*) Le mie congetture intorno alla morte di Panfilo Sassi non sono state fallaci; non così quella del luogo della sua morte; perciocchè egli morì nel settembre del 1527, non in Modena, ma in Longiano nella Romagna, ove era podestà pel co. Guido Rangone signor di quel luogo. Così narra Tommasino Lancellotto scrittor di quei' tempi nella sua Cronaca ms. di Modena, e il passo in cui si narra tal morte, era già stato pubblicato dal ch. dott Barotti nelle sue note alla Secchia Rapita (c. 3, st. 61); ma io non l avea per anco avvertito. [p. 1382 modifica]l38a LIBRO italiane che latine che ne abbiamo alle stampe. La prima edizione delle italiane fu fatta in Venezia nel 1500, e più altre poscia ne vennero appresso, oltre alcune altre rime che sono state separatamente stampate. Le poesie latine furon pubblicate in Brescia nel ì-iyj)- Altre poscia ne uscirono, e quelle singolarmente in lode de’ conti della Somaglia stampate nella stessa città l’anno i5oa. l)i qual merito esse siano, fabbinili poc’ anzi udito dal sopraccitato Giraldi; il quale giustamente riflette che molto son esse lontane da quella eleganza che da un poeta di tanto ingegno sembrava doversi aspettare. Dalle due lettere poc’ anzi citate raccogliesi che il Sassi avea ancora scritta la Vita di S. Geminiano, che dal Cortese è celebrata con molte lodi; ma convien dire ch’essa siasi smarrita. XVII. Sembrerà forse ch’ io mi sia trattenuto più che non facea d’uopo nel ragionar de’ poeti che vissero in Ferrara e in Modena, e in altre città de’ dominj Estensi. Ma spero che niuno mi ascriverà a delitto, se più volentieri ragiono di ciò che la riconoscenza e l’ ossequio mi dee rendere più caro. Or questo gran numero di poeti latini, che noi ritroviamo in queste provincie, la maggior parte dei’ quali vissero a’ tempi del duca Ercole I, e molti provarono gli effetti della liberalità di esso, può aver qualche forza, s’io mal non avviso, a rendere almeno dubbioso ciò che abbiamo udito narrarsi da Paolo Giovio nel ragionare del Collenuccio, cioè ch Ercole non sapea di latino. Perciocchè non è in alcun modo probabile che tanti gli offerissero le lor latine poesie, [p. 1383 modifica]TERZO 1383 se conoscevano ch’ei non poteva provarne diletto; e non è pur verisimile ch’ ei fosse così benefico verso coloro che gli faceano doni, de’ quali non conosceva il valore (*). La poesia italiana avrebbe allora avuto il primato in Ferrara, c la latina per poco non sarebbe stata dimenticata. Or veggiamo al contrario che assai maggior copia di poeti latini che non d’italiani ebbe allora questa città, e che più felici furono i progressi della poesia latina, che non quelli della italiana. Aggiungasi che Francesco Negri veneziano nella orazion funebre in lode di Ercole, che conservasi in un codice a penna di questa biblioteca Estense (”), fra le altre primve del favore di questo principe verso gli studi, reca l’aver falli tradurre di greco in (*) Un’altra pruova che ha qualche forza a distruggere la comune opinione, adottata per altro ancora dal eh. dottor Uh rotti (Memor. de’ Letter. ferrar, t. 1, p. 87), che il duca Ercole I non sapesse punto di latino, ci vien somministrata da alcune lettere latine che il giovinetto principe Alfonso di lui figliuolo gl indirizzava per dargli saggio del suo progresso ne buoni studj, le quali tuttor si conservano in questo ducale archivio, ove io le ho vedute. Argomento ancora più forte ci somministra su ciò l’orazion funebre di Lodovico Carbone in lode del duca Borso rammentata nel capo II del libro I, ove l’autore parlando del duca Ercole loda fra le altre cose in lui la lettura degli storici e de’ filosofi, e la traduzione di tanti buoni scrittori. (**) L’orazion funebre di Francesco A'egri in lode di Ercole I duca di Ferrara, che io ho creduta inedita, è stampata; e ne ha copia il più volte lodato sig d). Jacopo Morelli. Non vi è segnata 1'edizione; ma chiaramente si conosce ch’ella fu fatta circa il tempo medesimo in cui fu delta. [p. 1384 modifica]XVIII. Si accennano molti altri pueii. 1384 LIBRO latino più di mille volumi greci: Taceo mille et amplius Graecos codices, quos ad communem studentium usum Latinos fieri mandavit. E perciò possiamo giustamente inferirne che Ercole I, se non sapea di latino quanto un Poliziano o un Pontano, tanto almen ne intendeva, quanto era bastante a conoscere il valor di coloro che verseggiavano o scrivevano in quella lingua. XV11I. Or ritornando ai’ poeti, molti altri ne annovera nel suo dialogo il Giraldi (l. c. p. 531, ec.), de’ quali parla con lode, e de’ quali nondimeno poco o nulla è fino a noi pervenuto. Qualche fama, secondo questo scrittore, ottenne Pietro da Monopoli poeta e orator non oscuro, che fu professore in Roma ne’ primi anni di Pomponio Leto, il quale ancora gli fu per qualche tempo scolaro. Cinzio da Ceneda fu scrittor di elegie, nelle quali si ammira una singolare facilità, ma manca del tutto l’energia e la forza. Francesco Ottavio, detto ancora Cleofilo, natio di Fano, visse lungo tempo in Ferrara, indi in Roma. Tre libri in verso eroico intorno alla guerra di Fano ne furono pubblicati in Roma nell’anno i4ì)°j nel qual anno l’autore morì in Civitavecchia. Le Poesie amatorie ne furono pubblicate l’an 1610 in Francfort dal Goldasto sotto nome di Bernardo Cillenio, e poi rendute al lor vero autore nella Raccolta de’ poeti latini Delic. Poet. ital. t. 2, p. 136). Il Giraldi afferma che si leggono con piacere, e nomina ancora un altro poema da lui composto e intitolato dnthropntJic.omachia, il quale non so se sia uscito alla luce. Di lui veggasi ancora il Fabricio (Bibl. [p. 1385 modifica]TERZO,385 /ned. et ìnj. Latin, t. 5, />. i5o) che accenna inoltre la Vita che di questo jioela ha scritto Francesco Poliardi da Fano (). Angiolo Sabino, continua a dire il Giraldi, scrisse un poema sulla guerra di Fiandra, che non è ancor divolgato, ma può leggersi in Roma. Esso è ampolloso e sonante secondo il costume di quelr età. Fu amico di Niccolò Perotti uoni dotto ed eloquente, e da lui fu aiutato nelle contese che ebbe con Domizio Calderini, che al Sabino solea dare il nome di Fidentino, al Perotti quello di Brotco. 11 sopraccennato poema è poi stato dato alla luce dal P. Martene col titolo s/ngrli de Curìbus Sabinis poema de cxcidio CAvitaiis Leodicnsis (Collect. ampliss. t. 4)■ Ed ei debb1 essere quel medesimo che col nome {li A. Sabino poeta laureato {a) si legge nel titolo della prima edizione di Ammiano Marcel(*) Di Francesco Cleofilo fa menzione ancora Pietro Valeriano, il quale racconta ch’ei fu col veleno ucciso dal suo suocero, il quale volle in tal modo scansare il pagamento che doveagli per la dote della sua figlia (De infelic. Litter. p. 8o). IP Amhropotheomacìàa di esso fu stampata) in Fano da Girolamo Soncino nel 1516 insieme coll’ altro poema delle Guerre di Fano, come mi ha avvertito il sig. Mercier. (a) Angiolo Sabino in una lettera da lui aggiunta! all'edizion di Lattanzio fatta in Roma nel 1474 si nomina Angelus Cneus Sabinus, come ha osservato il chiarissimo P. M. Audifredi (Cat. rom. Edit. saec. XV, p. l 'io), il quale ragiona ancora dell' edizione di Ammiano Marcellino da lui fatta, e dei’ Paradossi sopra Giovenale da lui pubblicati con tre lettere al Perotti lo stesso an 1574 (ib. p. 158, 159), e di due edizioni di Terenzio da lui pur proccurate (ib. p. 4'^, 4'3)Tiraboschi, Voi. IX. [p. 1386 modifica]1386 LIBRO lino fatta in Roma nel 1474- ^ Giraldi ne accenna innoltre i Comenti da esso scritti sopra le Satire di Giovenale (*). Niccolò Lelio Cosmico padovano fu poeta, secondo lo stesso scrittore, la cui fama fu maggiore mentre vivea, che poichè fu morto. Egli avealo conosciuto in Ferrara, ove avea il Cosmico fatto lungo soggiorno, e ove era da alcuni ammirato per modo, che quasi a tutti l antiponevano. Alcune poesie latine aveane vedute il Giraldi, il quale le dice ingegnose ma dure, e riprende fautore come poeta mordace e insofferente delle altrui lodi. Delle poesie italiane del Cosmico due edizioni abbiamo, fatte nei secolo xv (Quadr. t. 2, p. 207). Delle latine non so se alcuna abbia veduta la luce. Egli ci vien descritto da alcuni come uom discolo e libertino e convien dire ch’ei desse qualche occasione d’esser creduto tale, poichè nel 1489 fu accusato all’Inquisitore di Mantova, che prese a formarne processo. Così raccogliam da due lettere inedite di monsig Lodovico Gonzaga, da me altre volte citate nella prima delle quali scrive a Bonifacio de’Pichi, perchè rappresenti all’Inquisitore, che non può credersi reo di delitto Cosmico, il quale essendo stato più anni servidor del mach Federigo suo padre, e poi suo, non avea (*) 1 Comenli del Sabino su Giovenale, da lui intitolati Paradoxa, furono stampati in ltorna nel i4?4 colla dedica a Luigi Donato vescovo di Bergamo. Il Sabino è ancora autore di tre lettere stampate in versi latini in risposta a tre »Ielle Eroidi di Ovidio; ed egli ancora fu l'editore »lei Lattanzio e dell’ A ninnano Marcellino stampati in tu ma nell’anno 14^4[p. 1387 modifica]

  • TEnzo ^fimai dato indicio di malvagi costumi; nell’altra

l’accomanda il medesimo Cosmico ad Antonia da Balzo sua cognata, e lo dice homo virtuoso ed existimato per tutta Italia. Di Marino Filezio (a), che il Giraldi nomina appresso come poeta mediocre, e di Rafaello Giovenzoni, di cui loda singolarmente alcuni componimenti lirici (*), non so se abbiasi cosa alcuna stampata. Di Sigismondo da Foligno della famiglia de Conti, che giunse a’ tempi di Giulio II, di cui fu segretario, ha pubblicato un epigramma il ch. ab. Gianfrancesco Lancellotti, che di lui ancora ci ha date diverse notizie (Mem, di Ang. Colocci, p. 68) (81). Di Pacifico Massimo abbiamo un gran numero di poesie, insieme con alcuni altri opuscoli, stampate prima in Firenze nel i.^Sy, indi in Fano nel i5o6 (c), poscia in (a) Filetico dee scriversi e non Fileno, di cui e delle opere da lui composte ha parlato con molta esattezza il sig. ab. Marini (Degli Archiatri ponti/, t. 2, p. 208); e parecchie notizie ce nc ha ancor date il P. M. Audifredi { Cut. rom. Edit. saec. XV, p. 4°* 1 4'1)• (*) Alcune poesie di Rafaello Giovenzoni o Zovenzoni si leggon nell1 ultimo tomo della raccolta stampata in Firenze col titolo Carmina Jllustrium Poeta rum. (l>) Ili Sigismondo da Foligno altre notizia ci ha date il sig. ab. Marini, che ne ha anche pubblicata una lettera (t. 1, p. 202; t. 2, p. 254). (c) Nella copia dell'edizione delle Poesie di Pacifico fatta in Fano nel 1 óofi, clic ha questa ducal biblioteca, si annunciano nel frontespizio molte opere di esso; ma non ve n'ha che due, cioè i due libri elegiaci s pia Lucrezia, e gli altri due sopra Virginia; e sembra ciò non ostante che la copia sia intera. Di questo poet 1 e delle' opere da lui composte si hanno notizie nelle Memorie per la Vita di Angelo Colocci raccolte dui signor Tihaboschi, Voi. IX. [p. 1388 modifica]»388 LIBRO Camerino nel i5:ì3, e finalmente in Parma nel 1691; dalla quale edizione furon tolte alcune oscene poesie. Ed ei certo ebbe tempo di scriver molto, poichè giunse all’anno centesimo di età, come si prova nella breve Vita di esso premessa a qualche edizione, ove si aggiugne che ei morì in Fano verso il 1500. Si vede in esse molta facilità, ma non molta eleganza; e alcuni scrittori, che l'hanno paragonato ad Ovidio, non hanno avvertito che non basta essere ubertoso e facondo per potersi paragonare al poeta di Sulmona, ma conviene imitarne ancora quella leggiadrissima fantasia e quell’ammirabile naturalezza che ne è il principale ornamento. Parla innoltre con lode il Giraldi di Paolo da Piscina soprannomato Marso, cui dice uomo assai erudito e di facilità ammirabile nel verseggiare, e ne accenna, oltre altre poesie, il Genetliaco di Roma e i Comenti sopra i Fasti di Ovidio, delle quali opere niuna a mia notizia ha veduta la luce ('). Di Paolo e di Pieabate Gianfrancesco Lancellotti, e premesse alle Poesie del medesimo stampate in Jesi nel 1772 (p. n3,ec.). Vegganii ancora le Lettere pittoriche perugine del chiarissimo sig. Annibaie Mariotti, il quale ni renna di averne veduto un bel codice di poesie latine da lui scritte, mentre stava nel collegio della Sapienza Vecchia di Perugia {p. 273). (*) 1 Conienti di Paolo Marso sui Fasti d’Ovidio furono più volte stampati, cioè in Venezia nel 1485 e nel 1.Ì92 e nel 1520, e in Tusculano sul lago di Garda nel 1527, aggiuntevi ancor le note di Antonio Costanzo da Fono, che è quell’Antonio Volsco da Fano cui loda il Marso nella sua prefazione, e di cui abbiam pure i Comenti sopra le Eroidi stampati in Parma nel 1481. Il Morso nella prefazione medesima narra di esser [ artito [p. 1389 modifica]TERZO tZSy Irò Marso di lui fratello, e uomo uncir esso erudito, parla a lungo il Corsignani (De Viris ili. Marsor. p. 208). Del primo fa onorevol menzione Erasmo (Epist t. 1), dicendo che il vide in Roma circa il i5o6 uomo in età di quasi oltant1 anni, e nondimeno vegeto c laborioso per modo, che stava allor comentando il dialogo della Vecchiezza, e alcuni altri libri di Tullio. Di Paolo fa ancor menzione Bartolomda Vinegia dieci anni addietro per Roma, d’onde era poscia tornato; accenna i Comcnti che su i Fasti aveano scritti I’omponio l.cto, c un certo Anacliterio in Perugia, e dice di avere ancora interpretata la Farsaglia e l Arte rettorica. Di Pietro.Marso ancora abbiamo i Comenti sul poema di Silio Italico stampati in Venezia nel 1492, nella prefazione a’ quali riflette clrcransi prima di lui accìnti in Rama a cementar quel poeta Pietro Monopolista, Pomponio Leto c Comizio Caldei ino, da lui detti suoi predecessori. Veggasi il Fabricio che annovera diverse opere di amendue (Bibl, lat. med. et inf. aet. t. 6, p. 226). Il sig. Merci er, più volte da me lodato, mi ha indicata ancora un’ edizione delle Poesie di Domizio Palladio da Sora senza data, fatta al principio del secolo xvi, e un libro di Epigrammi di Bartolommeo Cantalicio stampato in Venezia nel 1493, ch è forse lo stesso che ne. conservasi nella Laurenziana (Band. Cai. L'ndd lai. Bibl. Laur. t. 2, p. 14 ■ s e<-'■)• « Di molte opere di Pietro e di Paolo Marso più esatte notizie ci ha poi date il P. M. Audifredi (Cat. rom. Edit. saec. XV, p. 307, 427, 42®» 3qo, 3g2, 395, 396, 399). Di Giambattista Centalicio, che fu poi vescovo di Arti e Penna, e morì nel 1513, e delle opere da lui composte si posson vedere diligenti notizie nell’ opera più altre volte lodata dagli Storici napoletani del Soria (t. 1, p. 114, ec.) ». [p. 1390 modifica]13go LIBRO nieo Prignani, da cui raccogliamo ch'egli era venuto a Modena per osservarne le antichità: Interea aspicio vatem cognomine Marsum, Inter mortales qui modo clarus erat. Venerat et Mutinam, priscae quo signa ruinae Cerneret et veterum grammata Pyramidum De imper. Cupiii. I■ 4Di Pietro Barozzi vescovo di Padova rammenta il Giraldi la Vita di Cristo da lui distesa in versi; intorno al qual autore più ampie notizie si posson leggere nell’opera del co Mazzucchelli (Scritt. ital. t 2, par. 1, p. \ 18). Finalmente accenna il Giraldi i nomi di Domizio Palladio da Sora, del Cantalicio e di Francesco Zambeccari, poeti anch’essi di qualche nome. L’averli questo dotto scrittore creduti degni di esser nominati tra’ poeti famosi di questa età, non ci ha permesso di passarli sotto silenzio. Molti altri potrebbon fra essi aver luogo, ma sono men conosciuti, perchè le lor poesie non hanno avuta la sorte di venire alla pubblica luce. Tra essi Bartolommeo Pagello cavalier vicentino fu al par d’ogni altro elegante poeta, come ben si raccoglie e da alcuni frammenti che ne ha pubblicati il P. Angiolgabriello da noi mentovato altre volte (Scritt. vicent, t. 2, par. 1, p. 262), tratti dalle molte poesie inedite che se ne conservano in Vicenza, e da’ grandi elogi con cui di lui ragionano alcuni de’ migliori scrittori di que’ tempi; fra’ quali il Parrasio non teme di affermare ch’ei non saprebbe decidere a chi si dovesse la preferenza tra lui [p. 1391 modifica]TERZO 1391 e Tibullo c Properzio (Quacsit per Epist. p. 23, ed. Ncap. 1771)- Molti epigrammi di Nicodemo Folengo mantovano conservatisi nella Laurenziana (Band. CaL Codd. lat. Bibl. Laur. t. 3, p. 2a3), de' quali quattro soltanto in lode di Lorenzo de’ Medici han veduta la luce (Carm, ill. poet. ital. t. 4, p. 4<9)- Di Matteo Chironio faentino conservasi in Ravenna tra’libri dell’eruditiss P. ab. Ginanni un poemetto manoscritto fatto in occasione del passaggio che per Ravenna fece l’imp Federico III. Io ne ho avuta copia per gentilezza dell’ornatiss sig. co. Antonio Severoli arcidiacono di Faenza “ ed ora degnissimo vescovo di Fano »; ed esso parmi, per riguardo a que’ tempi, colto ed elegante assai. Il P. Millarelli (ScriptJavent.) ne rammenta ancora un Comento sopra Dante, di cui non ho alcuna notizia. Al mentovato poemetto premettesi un’ elegia di Marco Aldegati mantovano che, come ivi si legge, nel 1483 era professor di poesia in Ravenna, il qual autore è stato omesso dal co. Mazzucchelli (*). (*) Di Marco o anzi di Marcantonio Aldegati poeta mantovano, oltre l’elegia da me qui accennata, conservasi in Mantova presso il sig. march Ferdinando Aldegati un codice membranaceo, ma in più parti mutilato, che contiene un poema latino in XII libri da lui composto col titolo di Gigantomachia. Esso fu scritto dopo il 1495; perciocchè vi si lodano le imprese al Taro di Francesco Gonzaga marchese di Mantova; e prima del 1511, poichè vi si loda Lodovico Gonzaga eletto di Mantova, e morto al’ 19 di gennaio del detto [p. 1392 modifica]«392 LIBRO Ma ci basti l’aver fatta eli questi breve menzione; e passiamo a dire più stesamente di alcuni altri cui si farebbe ingiuria col nominarli sol di passaggio. anno. Rechiamone un saggio in alcuni versi sulla fine dell’ ultimo libro. Mantua Musarum domus inclita, Mantua cantu Andino aetherei sedes etata Tonantis, Quae mihi si dabitur, nec erunt crudelia fata, Carminibus celebrata meis ab origine prima Qualiscusmque sui non carmina spernet alumni, At famuhnu Aldegathnm dignabitnr case Mar uni Time majorc tuba, tua tunc majore cocthurno Inclita gesta canam. Di questo stesso poeta conservavasi in Modena presso il sig dott Giambattista Morelli il cominciamento di un altro poema in lode dell’antico Ercole dedicato ad Ercole I duca di Ferrara, intitolato Herculeidos. Non sono che vent’ otto versi, poichè il restante forse è perito, e forse comincia: Herculis arma cano, duros et in orbe labores, Quos tulit immerito saeva (sic) insidiante noverca Irarum causas odiique aperite furorem Pierides, ec. E accenna qui l’altro già indicato poema sopra i Giganti: Bella impia cantu Terrigenum cecini vestro, et cum munere vestro, ec. Io credo che da questo poeta non sia diverso quel Marcantonio Aldageto mantovano, di cui nella Biblioteca de’ MSS. di S. Michel di Murano si è pubblicata un’elegia in morte di Galeotto signor di Faenza, la quale avvenne nell’anno 1488 (Bibl. flfSS. S. Midi, p. 16, ec.). Quattro libri finalmente di Elegie dell’Aldegati si conservano nella Laurenziana in Firenze, e una relazion diligente con diversi saggi delle medesime ce [p. 1393 modifica]l'Enzo 139.3 XIX. Giannantonio Campano merita d’ aver luogo tra i primi. Michel Ferno milanese scrittore contemporaneo ne ha distesa la Vita che si vede premessa alla prima edizione delle opere di questo scrittore fatta in Roma nel 1495. Da essa principalmente han tratte le lor notizie que’ molti moderni che di lui han ragionato, benchè comunemente con molti errori; fra’ quali il Bayle ne ha commessi non pochi. Assai più esatto è ciò che ne ha scritto Apostolo Zeno (Diss. voss. t. 2, p. 196, ec.); e io perciò delle osservazioni da esso fatte e della Vita di Ferno varrommi singolarmente per dirne qui in breve. ha data nel suo catalogo di que’ MSS. i! eh. sig. canonico Bandini (i. 3, p. H29, ec.). Alle poesie di Marcantonio Aldegati mantovano, qui ncccnnale, più altre se ne possono nggiugnere che mi sono state cortesemente indicate dal fu eh. sig. marchese Carlo Valenti mantovano. Tre libri di Elegie amorose in lode di una cotal sua Cinzia conservansi in un codice presso il sig. abate Malico Luigi Canonici in Venezia, a’ quali va innanzi una lettera dedicatoria del medesimo, patimenti in versi elegiaci, al Cardinal Francesco Gonzaga legato di Bologna, e al (ine dell’ ultimo libro si legge: Mantua me gcnuit: fecit me Cynlhia vatem: Aldegattorum giuria dicar ego. U’ altra elegia ancora ne ha ritrovata in Bavenna di fresco il sig. marchese Camillo Spreti, che da lui fu presentata al sig. Cardinal Luigi Valenti legato degnissimo di quella provincia. Essa fu composta dall’Aldegali nel 1488, quando ivi Irovaronsi gli Statuti municipali di quella città, che erano stati per lungo tempo smarriti, ed ha per titolo: Marci AldegaUhi Mantuani Ra vennae poesim pubhcc profilcntis anno uccccixxxr n prò invenlione Municipaliurn Elegia. [p. 1394 modifica]13()4 LIBRO Ei fu di famiglia sì oscura, che non ne sappiamo il nome; perciocchè quel di Campano gli venne dalla provincia della Campagna, ossia di Terra di Lavoro, ove nacque circa il 1427 (*) in un villaggio detto Cavelli. Destinato a pascere le pecore, cadde per buona sua sorte sotto lo sguardo di un prete, che scorgendo nel giovine pastorello indicj di gran talento, sel trasse in casa, e istruitolo ne' primi elementi, inviollo a Napoli, ove continuò' i suoi studj, ed ebbe fra gli altri a suo maestro Lorenzo Valla. Risolutosi di passare in Toscana, nel viaggio cadde ne' ladri, dai' quali spogliato a gran pena salvossi in Perugia. Ivi accolto amorevolmente da Niccolò di Sulmona, che già avealo conosciuto in Napoli, si avanzò felicemente nell’ intrapresa carriera, ed essendo in età di 23 anni si diede allo studio della lingua greca, come altrove abbiam dimostrato. Scelto a professor di eloquenza nella stessa città, vi tenne l’an 1455 l’orazione di cui in altro luogo si è detto (l. 1, c. 3), e proseguì in quell’impiego fino al 1459 quando avvenutosi a passar per Perugia il pontef Pio II nell’ atto di andarsene al concilio di Mantova, Jacopo degli Ammanati, che fu poi cardinale, ed era allora segretario del papa, indusse il Campano (*) La nascita del Campano si dee più giustamente fissare circa il 14‘29- Nella prefazione alla Vita di Braccio ci dice che questi mori cinque anni prima che egli nascesse: Qui nnnum tjuintum ante me natum mortuus est. Or questi fini di vivere al principio di giugno dell5atuio 14^4 (Murai. Ann. d’Lai. ad li. a.). [p. 1395 modifica]TERZO,3<)5 a seguir la corte romana. Ei divenne in fatti carissimo a quel pontefice, che il nominò prima vescovo di Crotone, poscia di Teramo. Non meno accetto egli fu a Paolo II, successore di Pio, da cui l’an 1471 fu inviato al congresso di Ratisbona per trattar della lega de' principi cristiani contro de’ Turchi. Il soggiorno d’Alemagna o per la natura del clima, o pe’ costumi degli abitanti, o per altra qual che si fosse ragione, fu al Campano sommamente spiacevole, e perciò in più lettere sfogò il suo mal umore contro i Tedeschi. Sisto IV succeduto a Paolo, e che aveva già avuto in Perugia a suo scolaro il Campano, il promosse successivamente a’ governi di Todi, di Foligno e di Città di Castello. Mentre egli era nell'ultima di queste città, essa fu assediata dalle truppe di Sisto sdegnato contro de’ cittadini, perchè non avean voluto ricevere entro le mura le stesse truppe. Il Campano avendo pietà de’ disastri a cui vedea esposto quel popolo, scrisse liberamente al pontefice, rappresentandogli i danni che dal suo sdegno contro di quei cittadini sarebbon venuti. Di che irritato Sisto, non solo privò di quel governo il Campano, ma lo esiliò da tutto lo Stato ecclesiastico (*). L’infelice prelato pas(*) Nell’affermare che il Campano fu da Sisto esiliato da tutto lo Stato ecclesiastico, io ho seguito il compendio della Vita che ne scrisse il Ferno premesso all'edizione di Lipsia del 1707. Ma il Ferno, a dir vero, non parla che di un esilio volontario che il Campano volle sostenere per timor dello sdegno del Papa. Ita vir tantus exilium meditari coactus est. Cernebat vir prudentissimus ante [p. 1396 modifica]1396 LIBRO sato alla corte di Napoli con isperanza di onori e di premi, poichè si vide deluso, ritirossi al suo vescovado di Teramo, ove finì di vivere nel 1477, *n et® cinquantanni (’). Abbiamo altrove parlato delle opere storiche da lui composte. Oltre di esse abbiamo alcuni trattati appartenenti a filosofia morale, alcune orazioni da lui dette in diverse occasioni e nove libri di Lettere. A queste, che sono state di nuovo pubblicate da Gian Bnrcardo Menckenio in Lipsia nel 1707, si aggiungono otto libri di Poesie latine di vari metri e di diversi argomenti, e molle di esse più libere, che al suo stato non conveniva. 11 Zeno riferisce gli elogi e il carattere che han fatto di questo scrittore Paolo Cortese, il Sabellico, il Volterrano e il Giraldi, i quali tutti ne lodano l’ingegno raro e la singolare facilità; e solo si dolgono eh’ei non abbia bmate con più attenzione le sue opere, difetto ordinario a coloro che scrivendo senza difficoltà non sanno sostener la fatica che seco porta il correggere e ritoccar ciò che è scritto. oculos ejus Pontificìs versori, in cujus consprctiim aduniti impetrare non poterai, esse non alind quam inrendiunt irati animi suffovere, nec di ut limitale Jflccti, sed amplius ejus praesenlia ma/ore Jlamma provocatum iri. Itaque Neapolim ad Ferdinandum Regcm, ec. Di questa osservazione son debitor al eh. P. Yerani, che tante altre me ne ha cortesemente somministrate. (*) Il Campano non morì in Teramo, ma in Siena, ove egli erasi trasportato, dopo essere stato più anni in Teramo, e fu in quella cattedrale sepolto coll’iscrizione che riportasi dall’ Ughelli. [p. 1397 modifica]Delle opere del Campano ci han dati ancora esatti catalogi l’Oudin (De Script, eccl. t 3, p. 2679) e il Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin.. t 1, p. 326); ed io perciò ho creduto di potermi spedir brevemente nel ragionarne. XX. Non men famoso per la facilità di far versi fu a’ suoi tempi Battista Mantovano, così detto dalla sua patria. Egli era della famiglia Spagnuoli, ma nato, se crediamo al Giovio (in Elog.), d’illegittima nascita (a). Lo stesso Batista in una elegia, in cui dà un picciol ristretto (a) La Vita di Battista Mantovano scritta con molta erudizione dal P. Florido Ambrosi carmelitano, e stampata in Torino nel 1785, e alcune altre notizie gentilmente comunicatemi dal ch. sig. Avv Leopoldo Cammillo Volta mi danno il mezzo a correggere e ad aggiugnere alcune cose a questo articolo. Le Memorie del soppresso convento del Carmine in Mantova pruovano ch’ei nacque a’ 17 di aprile del 1448 L’illegitimità della nascita è una favola troppo facilmente adottata dal Giovio. La madre di Battista fu Costanza de’Maggi gentildonna bresciana, e moglie di Pietro di lui padre; e come tale più volte ei la nomina I Op. t. 3, p. 302; t. 1, p. 139)). Il nome della famiglia spagnuola di origine era Modover, come ci mostra l’iscrizione sepolcrale a lui posta, che tuttor vedesi nel chiostro del detto convento. Ch’ei deponesse il governo dell’Ordine, è cosa almeno dubbiosa assai. Ed è poi falso certamente che Federigo Gonzaga gli facesse innalzare una statua di marmo. A questo errore di molti scrittori ha data forse occasione un busto di terra cotta di Francesco Gonzaga padre di Federigo, che vedesi in Mantova in mezzo a due busti di Virgilio e di Battista con quel celebre verso: Argumentum utrique ingens, si secla coissent. Finalmente deesi ammetter per certo, come ha provato l!autor della Vita, che il Mantovano fu assai ben versato nello studio della lingua ebraica. [p. 1398 modifica]13<)8 LIBRO della sua vita, confessa che fin da’primi anni avea amata la poesia: A teneris colui Musas: mihi semper ad artes Ingenuas calcar cura patema f’uit. Entrato nell’Ordine de' Carmelitani, continuò in esso i suoi studj in varie città e sotto diversi maestri, come egli stesso racconta nella citata elegia, ove ancora aggiugne che fu onorato di ragguardevoli cariche; che intraprese non pochi viaggi, e che ebbe a sofferire molti disagi. I suoi meriti io innalzarono nel 1513 alla suprema dignità di general del suo Ordine, alla quale però ei rinunciò spontaneamente tre anni appresso, per vivere in riposo nella sua patria. Ma pochi mesi dopo ai’ 20 di marzo dell’ an 1516 finì di vivere in età, secondo il Giovio, di oltre ad 80’anni, onorata di magnifiche esequie, e di una statua di marmo coronata d’alloro, che da Federigo Gonzaga marchese di Mantova gli fu fatta innalzare. Moltissime ne sono le opere, e quasi tutte di poesia latina. Nè io ne tesserò il catalogo, che può vedersi presso molti scrittori, e singolarmente presso il Warthon nella sua Appendice al Cave (p. 238). Un’ orazion manoscritta detta l’an 1488 innanzi al pontef Innocenzo VIII ne avea presso di sè 1 arciprete Barnffaldi (Ca~ log. Racc. dopusc. t. 26, p. 174)- Diversi sono i giudizi che di questo poeta han recato diversi scrittori, alcuni de’ quali non han dubitato di porlo a fianco a Virgilio; e io mi stupisco ch Erasmo, giudice per altro sì rigoroso, si lasciasse in tal modo sedurre da non so qual [p. 1399 modifica]l'Enzo 13yg favorevole prevenzione riguarda a questo poeta, che non temesse di dire che sarebbe, credeva egli, venuto un giorno in cui Battista si riputasse di poco inferiore all’antico suo concittadino (Epist. 2, ep. 395). A me sembra che più giustamente di tutti ne abbia ragionato il Giraldi, che così ne dice (l. c p. 534). Io lodo il pensiero e l’ottima intenzion di Battista; ma ei fu poeta pronto più che maturo. Quasi innumerabili sono i versi da lui scritti, co' quali tanta fama ottenne presso de’ rozzi e del volgo, ch egli era quasi creduto il solo poeta che allor vivesse, e, un altro Virgilio. Ma, Dio immortale! qual diversità fra l’uno e l’ altro! Virgilio è in ogni sua parte perfetto. Questi al contrario ha usato continuamente d un eccessiva,, e direi quasi temeraria libertà nel verseggiare, nella quale anzi egli è sempre andato crescendo. E così suole avvenire che coloro che hanno minor discernimento, e più si compiacciono di lor medesimi, si veggan venir meno ogni giorno, e in vecchiezza mancar del tutto; perciocchè l ingegno va scemando ogni giorno. Ne’ primi anni ei fu più lodevol poeta; ma dappoichè l estro e il fervor giovanile cominciò a svanire, ei fu a guisa di un torbido fiume che uscendo fuor dalle sponde non può essere trattenuto da alcun riparo. Appena possiam leggere i versi da lui composti negli ultimi anni. Nè io così di lui vi ragiono per atterrare in certo modo le statue che i Mantovani gli hanno innalzate, ma per avvertirvi qual conto dobbiate farne. Il Giovio aggiugne che Battista coltivò ancora la lingua ebraica, e a questo studio attribuisce in [p. 1400 modifica]l4°0 LIBRO gran parte la negligenza da lui usata nel limare i suoi versi. Io non trovo però, che del profitto da lui fatto nello studio di questa lingua ci abbia egli lasciato alcun saggio. Ma ch’ ei fosse amante ancora e coltivatore de' gravi studj, ci è argomento per crederlo l’amicizia ch’egli ebbe col celebre Giovanni Pico della Mirandola (V. Pici Op. p. 356, 368, 386). Nè dee tacersi un altro poeta mantovano, cioè Giampietro Arrivabene, scolaro di Francesco Filelfo, di cui abbiamo un poema intitolato Gonzagidos, che tratta singolarmente delle lodi del march Lodovico Gonzaga (a). Esso è stato pubblicato dal Meuschenio; e intorno all’autore si possono vedere esatte notizie presso il conte Mazzucchelli (Scritt. itnl. 11, par. 2}p. 1138), c nel primo de’ due eruditi ed eleganti Discorsi del chiarissimo abate Bettinelli sulla Letteratura mantovana ('). (ii) Di Giampietro Arrivabene e di altri letterati di questa illustre famiglia più diligenti notizie ci ha date il suddetto sig. avv Leopoldo Cammillo Volta prefetto della real biblioteca di Mantova (Racc. ferrar. tfOpusc. t. 9, p 83): e possiamo da lui sperarle anche più ampie, quando ei pubblicherà, come desideriamo ch’ ei faccia, ciò che intorno alla storia letteraria della sua patria egli ha raccolto, o va tuttora raccogliendo studiosamente. (*) Tra’ poeti per la loro fecondità rinomati deesi aggiugnere ancora Antonio Baratella da Camposanpiero sul Padovano, che visse al principio del secolo xv. Oltre le notizie che delle molte poesie da lui scritte ci dà dopo altri scrittori il co. Mazzucchelli, parecchie epistole in versi a più uomini illustri di quell’ età me ne ha indicate il sig. ab Giambattista Rossi cancelliere vescovile di Trcvigi. [p. 1401 modifica]TERZO lqOI XXI. Due assai migliori poeti ebbe la città di Trivigi, uno che, nato altrove, fissò ivi per più anni la sua dimora, e n ebbe la cittadinanza; l’altro nato e vissuto nella detta città. Il primo è Giovanni Aureho Augure Ilo, intorno al quale due dotti scrittori si sono al tempo medesimo affaticati, senza saper l’un dell’altro, in ricercarne, diligentemente le notizie, e quasi al tempo medesimo le bau pubblicale; il conte M azzucchclli (ib. p. 1251), e il co can Rambaldo degli Azzoni Avogaro (Nuova Racc, d opusc. t. (6, p. 155). Essi son talvolta tra lor discordi; ma il secondo ristrettosi a parlare soltanto dell'Augurello, ha potuto esaminare ciò che a lui appartiene con più attenzione che il primo, a cui l’ampiezza sterminata della sua opera non permetteva sempre l’entrare in minute ricerche. Del secondo dunque ci varrem noi a questo luogo, riducendo in poche linee ciò ch’egli ha ampiamente steso e provato con pregevoli documenti. Giovanni Aurelio nato di nobil famiglia in Rimini verso il 1441 passò in età di circa 17 anni a Padova, ove fatti gli studj legali, sembra probabile ch’ei tenesse per qualche tempo scuola di belle lettere, poichè il Trissino gli dà la lode (Dial. del Castellano) di aver osservate prima di ogni altro le regole della lingua del Petrarca. L'amicizia da lui ivi contratta con Niccolò Franco Vescovo di Trevigi gli ottenne la stima e la protezione di questo prelato, e gli fece stabilire il soggiorno nella stessa città, di cui, come si è detto, ebbe ancora la cittadinanza. Dopo la morte del Franco, seguita nel 14yy, Tira boschi, Voi. IX. 11 [p. 1402 modifica]i4oa L1BHO l’Augurello cambiò stanza più volte, e cercò ancora, ma inutilmente, di avere in Venezia la cattedra di eloquenza vacante per la morte di Giorgio Valla. Nel 1503 fu richiamalo a l'revigi, e nominato pubblico professore di lettere umane, nel qual impiego continuò fino al 1509, quando la guerra della famosa lega di Cambrai rendendo i tempi poco favorevoli alle Muse, lasciato Trevigi, passò FAugurello a Venezia. Tornò poi nondimeno finita la guerra all'usato soggiorno, ove ebbe ancora un canonicato, e vi finì i suoi giorni circa i 14 di’ottobre del 1524. Dopo aver esposta la vita menata dall'Augurello, passa l’erudito scrittore a ragionar delle doti e delle virtù non,ordinarie che in lui si videro, e il difende dalla taccia che il Giovio gli ha apposta, di essere andato pazzamente perduto dietro l’alchimia, alla qual voce ha data probabilmente origine la Chrysopoeia poema da lui composto, in cui insegna l’arte di fare l’oro, ma in cui si protesta egli stesso di parlar per ischerzo, e di non fare alcun conto di quella pretesa arte. A cose troppo migliori avea l’Augurello rivolto il pensiero. Oltre lo studio della poesia, coltivò molto la lingua greca, le antichità, la storia e ancor la filosofia, di che il mentovato autore adduce ottime pruove. Egli annovera poscia le opere dell’Augurello, di cui si hanno alle stampe, oltre il sopraccennato poema, molte poesie latine, che consistono in odi, in satire e in jambi, e sì dell’une che delle altre si son fatte più edizioni. Le rime italiane di esso sono state la prima volta pubblicate in Trevigi nel 1765. Alcuni epigrammi [p. 1403 modifica]TIMO I,(o3 latini nielliti »e ne conservali tuttora nella Laureuziana in Firenze (Barul. Cai. Codi. Uit. t. 2, p,(J3). Ei riporta per ultimo gli onorevoli elogi con cui dell’Augurello han parlato molti scrittori di quei’ tempi, e altri venuti appresso, e ribatte le accuse che gli hanno dato il Balzac e Giulio Cesare Scaligero. E certo chiunque ha qualche idea di eleganza e di gusto non può negare che l’Augurello non sia un de’ più colti poeti latini di-questo secolo, e uno de’ più felici imitatori degli antichi. Delle quali cose a me basti l’aver fatto un sol cenno, per non ripetere senza alcun frutto ciò che da altri è già stato egregiamente illustrato. XXII. Del Bologni ancor non fa d’uopo ch’io ragioni qui lungamente, Il can. Leoni (Suppl, al Giorn. de' Leder. J Ital. t. 2, p. 131) e il sopraccitato co Mazzucchelli (l. c. t. 2, par. 3, p. 1487) ci han date intorno a lui le più esatte notizie. Nato in Trivigi nel 1454 si volse principalmente agli studj legali, da' quali ancora fu sollevato ad alcuni onorevoli impieghi. Ma altri studj eran più conformi all’inclinazion del Bologni. Già abbiamo altrove osservato ch’ ei fu un dei’ primi a far raccolta di antichità ed iscrizioni, e il primo per avventura che al raccoglierle unisse ancor lo spiegarle. Il suo Antiquario, che conservasi manoscritto presso il sig. Lodovico Burchelati in Trivigi, è frutto delle fatiche da lui perciò sostenute. Viaggiò molto a tal fine, e del viaggio fatto a Milano ci ha lasciata ei medesimo la descrizione che fu poi pubblicata nel 1626. Egli attese inoltre all’edizione di vari libri clic a [p. 1404 modifica]l4°4 LIBRO que’ tempi si pubblicarono in Trevigi, e a quella di Plinio l'alta nel i 479 premise un’ apologia di quel dotto scrittore. Più d’ogni cosa però sembra ch’ei si dilettasse di poesia latina, diche ci fan fede i venti libri di versi di varie maniere, che si conservano manoscritti presso la famiglia Soderini patrizia veneziana, e dei’ quali solo qualche piccola parte ha veduta la luce. Il saggio che ne abbiamo, cel mostra poeta men colto dell’Augurello, di cui era amicissimo. E nondimeno egli ottenne dall’imp Federigo III l’onore della corona d’alloro; il qual non troviamo che all’ Augurello venisse conferito. Ei fu esposto a diverse vicende, ed ebbe a sott’erire non pochi disastri, annoverato perciò da Pierio Valeriano tra’ letterati infelici. Morì finalmente in Trevigi a’ 23 di settembre del 1517; e si posson vedere presso i detti scrittori così le iscrizioni che ne furono poste al sepolcro, come più altre notizie intorno a questo poeta, e alle opere da lui composte (*). XXIll. Lo stesso onore della corona poetica ebbe Elio Quinzio Emiliano Cimbriaco, col qual nome secondo il costume di quell’ età volle esser chiamato Giovanni Stefano Emiliano natio di Vicenza. Il ch. sig. Liruti, il quale pel lungo soggiorno dal Cimbriaco fatto nel Friuli gli ha dato luogo tra gli scrittori di quella provincia (*) Molte esatte e minute notizie intorno alle vite e alle opere di Girolamo liologni e di Bernardino di lui fratello, e di Giulio e di Ottavio figliuoli di Girolamo « Iie liiton parimenti poeti, si posson vedere nel Catalogo de’ ÌNISS. di. S. Michele di Murano, ove assai lungamente se ne ragiona (p. 156, ec.). [p. 1405 modifica]terzo 1^05 (Notìz. de* Letter. del Friuli l. i, p. 38a), sospetta ch' ei fosse figlio di Pietro Emiliano veneziano vescovo di Vicenza. Ma oltre che troppo debole mi par l’ argomento a cui egli si appoggia, cioè il titol di sacre che da il Cimbriaco alle ceneri di suo padre, egli stesso distrugge la sua opinione) perciocchè afferma che quel vescovo morì nell'an 1431, o nel 1433, e che Giovanni Stefano nacque probabilmente circa il 14 ii) (a)- Chiunque fosse il padre del nostro poeta, questi in età ancor giovanile passò nel Frinii, e in Sacile, in Pordenone, in S. Daniello, in Gcmona, in Civiilal (a) Molti errori dal sig. Liruti commessi nel ragionare del Cimbriaco ha rilevati l’esattiss. sig ab Domenico Ongaro nelle Memorie comunicatemi sulla Storia letteraria del Friuli. Io mi ristringerò solo alle cose che qui ne ho dette, ove ei mi ha additato di che correggerle e ampliarle. Oltre l'argomento da me recato a provare cha il Cimbriaco non potè esser figlio di Pietro Emiliano vescovo di Vicenza, egli osserva che in un dei' documenti dallo stesso sig. Lini ti prodotti Cimbriaco è detto figliuol di un Giovanni: Rgregius / ir AJtigisler Johannes Stephanus qu. Johannis de J'incentia Rcctor Scholanim. Egli ha anche osservato che in un documento del 14’"*, rogato in Gcmona a1 9.3 di gennaio, egli è detto con nuovo nome Egregius Magister Julianus Cimbriacus Vicentinus. In S. Daniello ei fu maestro nel 1470, e sul finir dell'anno passò a Gemona; nel i)88 era in Sacile, donde passò a Pordenone, e per ultimo a Cividale. L’anno della morte di questo poeta è incerto. Solo veggiamo ch ei vivea certamente nel 1494 e vi è qualche indicio ch'ei morisse prima del patriarca Donato, la cui morte accadde a: 3 di settembre del i.jcy. Del Cimbriaco ha parlato a lungo anche il P. Angiolgabriello da S Maria (Bibl, degli Scritt. vicent. t. 3, p. 54, ec. [p. 1406 modifica]14°^ LIBRO «lei Friuli tenne per più anni scuola di belle lettere. Nel 1469 passando l imp Federigo per Pordenone conobbe il Cimbriaco, ne ammirò il talento poetico, e gliene diè in premio la corona d' alloro e la dignità di conte Palatino, quali i onori di nuovo gli Furono conferii i da Massimiliano re de’ Romani in Lintz l’an 1489 Di questa sua doppia corona parla il Cimbriaco nelle sue Poesie, e dice ch’ ei non avea ancora compiti i vent’ anni, quando ne fu la prima volta onorato: Si tua Daphnaeis cinxit mea tempora ramis, Et me Palladio quondam manus induit auro, Annorum lustris nondum mihi quatuor actis Encomiast, ad Frid. Imp. Al sig. Liruti non sembra probabile che in età sì giovanile fosse il Cimbriaco creduto degno di tanto onore, e sembra che quelle parole si debbano intendere dell’ intervallo che passò fra l’ una e l altra coronazione. Ma in primo luogo egli qui parla dell’imp Federigo, e rammenta l’onore da lui stesso ottenuto; e inoltre ei chiaramente afferma nei’ versi seguenti riferiti dal medesimo sig. Liruti, ch’ebbe la corona poetica in Pordenone; mentre la seconda volta gli fu questo onore, come confessa lo stesso dotto scrittore, conferito in Lintz. È dunque certo che non avea ancora vent’ anni il Cimbriaco, quando fu la prima volta coronato poeta. Il che sarebbe indubitabile pruova del molto ch’ egli valeva nel poetare, se non sapessimo che questo onore fu conceduto talvolta più al denaro che al merito. Per ciò nondimeno che appartiene al Cimbriaco, ei può aver [p. 1407 modifica]TERZO 14<J7 luogo tra1 migliori poeti di questo secolo; ed è stato perciò lodato dal Sabellico e dal Giraldi, i cui elogi fatti a questo poeta si posson vedere presso il sopraccitato sig. Liruti. Alle stampe si hanno cinque Panegirici in verso eroico da lui scritti in onore degl imperadori Federigo III e Massimiliano I. Ma più altre poesie inedite e alcune lettere ancora se ne conservano manoscritte, delle quali parla il suddetto scrittore, il quale innoltre avverte che son del Ci mbriaco alcune poesie attribuite al Sabellico. Non si sa fin quando egli continuasse a vivere. Il sig. Liruti congettura ch’ei morisse in età giovanile sul finire di questo secolo.. Certo il Giraldi, il cui primo dialogo, come si è detto, si suppone tenuto a’ tempi di Leon X. ne parla come d’ uomo già trapassato (l. c p. 531), e si duole che per altrui invidia ne rimangan soppresse le poesie. XXIV. Come nell'italiana, così ancora nella latina poesia fu uno de' più felici Angiolo Poliziano, di cui diremo più a lungo nel trattare de’ professori di belle lettere. Il lungo e diligente studio ch’ei fece sugli antichi scrittori greci e latini, e ’l consueto suo esercizio di notare in essi le cose più degne di riflessione, gli rendette più agevole l’imitarne lo stile. Nè è già ch’ei possa dirsi perfetto modello di poesia latina, il che forse gli fu vietato dal congiunger insieme che’ ei fece gli studj della seria e della piacevole letteratura, onde nè negli uni nè negli altri potè giungere alla meta, attesa singolarmente la breve vita ch’egli ebbe. Saggiamente perciò ne ha giudicato il Giraldi, il quale dopo [p. 1408 modifica]l4°8 LIBRO aver detto (ih. p. 535) die il Poliziano fu uomo di grande e vivace ingegno, di varia e non volgare dottrina. e di vastissima erudizione), aggiugne che nelle poesie di esso si scorge l estro più che non l’artificio, e che la scelta delle espressioni e l’eleganza dello stile non è qual vorrebbesi in un perfetto poeta; che le quattro Selve latine, che ne abbiamo, intitolate Nutricia) Rusticus, Ambra, Manto, sembran dapprima tali a cui non manchi alcun pregio; ma che se pongansi al confronto colle poesie del Pontano, questi pare un Entello, quegli un Darete. Maggior lode per avventura deesi al Poliziano pe’ suoi greci epigrammi, che vanno aggiunti a molti epigrammi latini da lui composti, nel che deesi ancor più ammirarne l'ingegno e lo studio, perchè alcuni di essi furono scritti mentre ei non contava che diciassette o diciotto anni di età, come dal titolo ad essi premesso raccogliesi. Amico del Poliziano, e da lui molto pregiato pel suo talento poetico, fu Alessandro Cortese fratello di Paolo, di cui abbiamo a lungo parlato in questo tomo medesimo. Un ode dal Poliziano a lui scritta, perchè Alessandro venuto a Firenze per rivederlo l’aveva trovato assente, ci mostra (quanto tenera fosse la loro amicizia (Polit. Carm, p. 3io, cd Lngd. 1537. Della vita da lui condotta sappiamo assai poco. Jacopo Volterrano nel suo Diario ci ha lasciata memoria che Alessandro, allora giovane, nel 1483 recitò un’ orazione nella basilica Vaticana in Roma nel giorno della'Epifania: Alexander Carte si us modestia et eruditus juvenis orationem [p. 1409 modifica]TF11ZO 1^09 habuit. (Script. Ber. Uni. mi. a3, ».,83) (a). £gli era maggior di Paolo suo fratello, e questi dice di se medesimo, ch essendo ancora fanciullo, Alessandro solea condurlo a più ragguardevoli personaggi di Roma, dell’ amicizia de quali egli godeva (De Homin. doctis. p. 44). Egli ancora racconta (De Cardinal, p. a5) die <loj>o la morte di Alessandro avendo preso a esaminarne le carte, vi trovò tre predizioni di astrologi, nelle quali gli veniva predetto l’ onor della porpora a cui sarebbe arrivato. Ma nulla di ciò è avvenuto, dic egli (ib. p. 190); perciocchè egli è morto nella più fresca sua gioventù non già cardinale, ma segretario apostolico, nè egli ha avuto agio ad accrescere la sua fortuna, e a coltivare il suo talento poetico, mentre per altro non era difficile ad.avvenire che per la-fama del suo ingegno e del suo sapere. fosse fatto un dì cardinale. Il Coppi alla carica di segretario apostolico aggiugne quella di segretario de’ Brevi, e dice (Ann. di San Gimign) eli’ ei fu ancora nuncio apostolico, e che morì in età di 30’anni nel 14^4- >° penso che debba differirsene di qualche anno la morte. Tra le Poesie manoscritte di Alessandro, che si conservano presso questo sig march Giambattista Cortese da me nominato altre volte, molte ve ne ha scritte ad Ludovi(11) L’orazione rii Alessandro Cortese, colla lettera del medesimo al vescovo di Segni. e la risposta del vescovo scritta a" 2) di gennaio, fu stampata m <|iiel1 anno medesimo in Itoma, e ne fa mpuzic ne il P. Audifredi {Cai. rom Ed sarc. xr. p.). E una eo|na uis. conservasene anche nell' Ambrosiana di Milano. [p. 1410 modifica]i4io unno rum Francorum Regem. Or esse sembrano certamente scritte non a Luigi XI morto nel 1483, quando troppo giovine era il Cortese per aver coraggio d indirizzare le sue Poesie a sì potente monarca, ma a Luigi XII che cominciò a regnare nel 1497. In fatti in una di esse nomina gl’ immediati predecessori di questo re, cioè Carlo VIII e Luigi XI. Occurratquc rerens actas 1 hinc pectoris alti Carolus armipotens, illinc dignissimus astris, Et mundi Ludovicus amor, ec. Se fosse vero ciò che dallo stesso Coppi si afferma, che Alessandro fosse nuncio apostolico, potrebbe credersi che con tal carattere ei fosse mandato in Francia. Ma dal suddetto componimento sembra raccogliersi ch’ ei non vi andasse che per desiderio di conoscere quel sovrano: Nam me aurea tantum Impulit ausonias volitans tua fama per oras, Jussit et Italiam patriosque relinquere fines. Questi versi ci mostrano ch’ ei certamente fu in Francia, il che ancora comprovasi da altre sue poesie. Anzi da esse mi sembra che possa raccogliersi congetturando ch’ ei morisse o nello stesso anno i4i)8, o nel seguente, prima che Luigi XII scendesse armato in Italia; perciocchè di questa spedizione in tutte le poesie da lui fatte in lode di quel sovrano ei non fa mai alcun cenno. Oltre le suddette Poesie manoscritte si ha alle stampe un Panegirico in versi eroici da lui scritto in lode delle imprese di [p. 1411 modifica]TERZO 14 1 1 guerra del re Mattia Corvino; e da esso raccogliesi ch’ei pensava di farne un altro per celebrar gli alti pregi di cui era adorno quel principe. Ma forse la morte non gli permise di eseguire il suo disegno. Alcuni componimenti ne sono stampati nelle Raccolte dei’ poeti latini di patria italiani, ed esse cel mostrano fornito di molta facilità nel verseggiare congiunta con qualche eleganza, che, se non l uguaglia a’migliori poeti, lo fa precedere però alla maggior parte di quelli che gli furono contemporanei. XXV. Abbiam già annoverati non pochi tra’ poeti di questo secolo, che non sol nello scrivere, ma nell’improvvisare ancor poetando, ottennero molta lode. Serafino Aquilano, Bernardo Accolti, l’Altissimo, Panfilo Sassi, e più altri riscossero per ciò grandi applausi. Ma non v’ebbe forse chi in tal pregio potesse paragonarsi ad Aurelio Brandolini, uno de’ più rari uomini di questo secolo, e di cui perciò vuol ragione che trattiam qui con qualche particolar diligenza, benchè già ne abbia assai esattamente parlato il co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 4, p. 2013, ec.). Ei fu figliuolo di Matteo di Giorgio Brandolini di nobilissima famiglia fiorentina, ed ebbe la sventura di perdere in età ancor fanciullesca la vista. Il soprannome di Lippo, che gli vien dato comunemente, potrebbe farci credere ch’ei non fosse del tutto cieco, ma sol di occhi deboli e lagrimosi. Ma tutti gli scrittori di que’ tempi lo dicon cieco, e basti qui accennare Matteo Bosso, di cui parleremo tra poco, il qual lo dice [p. 1412 modifica]»4 13 LIBRO a primis ferme vitae cunabulis oculorum luminibus captum; e f Jacopo Filippo da Bergamo che lo conferma con queste parole: a nativitate quasi semper caecus (Suppl. Chron. ad an. 1490). Non sappiamo quando ei nascesse. Un sonetto da lui indirizzato a Lorenzo de’ Medici, e riportato dal Crescimbeni (Comment. t. 3. p. 189), ce lo rappresenta allora nella sua giovinezza: Risguarda alla mia cieca adolescenza, Che in tenebrosa vita piango e scrivo, Com’uom che per via luce l’abbandona. Il qual sonetto essendo scritto probabilmente dacchè Lorenzo nel 1469 cominciò a goder del primato nella repubblica dopo la morte di Pietro suo padre, converrebbe credere che allora Aurelio contasse circa 20 anni di età. Il co Mazzucchelli cita una lettera a lui scritta da Poggio che morì nel 1459, in cui lo esalta come oratore e scrittore perfetto, e ne parla come di uom già maturo. Ma a dir vero la lettera di Poggio è indirizzata Lippo suo, senz'altro nome; e perciò non è ancor ben provato ch’ella si debba credere scritta al nostro Aurelio. Fino da’primi anni fu soggetto a gravi e continue traversie, com'egli stesso racconta nella prefazione a’ suoi libri De Ratione scribendi, ove così dice di sè medesimo: Nam quum ab ineunte aetate sim in maximis semper angustiis ac laboribus corporis animique versatus, cum ob naufragium rei familiar'is nostrae, timi oh /tane, quae tatuiti corpus [p. 1413 modifica]TERZO I4I3 aggravai, caecilatem, unum hoc literarum praesidium, unum hoc solarium semper habui, quo calamitates omnes et praesentes constantissime iole cavi, et adventantes fòrtissime reputi. Ho die quoque quum nihilominus, atque haud scio, an etiam magis, fortunae procellis cangi ter, uniissa oh teinporum perversitateni quiescendi spe, ab hoc uno literarum studio et vitae praesidia et animi rilaxationem peto. La fama sparsa in ogni parte del singolar talento di Aurelio giunse all’orecchie del re Mattia Corvino, il quale avido di radunar nel suo regno quanti più potesse aver uomini dotti, principalmente italiani, gli fece istanza perchè colà si recasse. Non sappiamo quando precisamente egli intraprendesse quel viaggio. Ma certo egli era ancora in Roma nel 1482, quando, come altrove abbiamo osservato (t. 6, par. 1), si celebrò l’anniversario del Platina 3 e vedremo innoltre tra poco che spesso ei mostrò il suo raro talento d’improvvisare innanzi al pontef Sisto IV. Sembra dunque probabile ch’ei partisse da Roma e si recasse in Ungheria, dappoichè il re Mattia fondò una nuova università in Buda, poco dopo il detto anno 1482: intorno alla quale università degna è d esser letta una assai erudita dissertazione del P. Sisto Schier agostiniano stampata in Vienna nel 1774? intitolata Memoria Academiae Histropolitanae seu Posoniensis. In essa fra le altre cose egli osserva che si trova memoria d Aurelio negli Atti di quella università all"occasione di alcuni libri che il re gli fece prestare dalla sua biblioteca 3 e aggiugne che, morto nel i4'J« »1 [p. 1414 modifica]«4*4 LIBRO re Mattia, Aurelio uè recitò l’orazion funebre e toruosseue poscia in Italia. Apostolo Zeno, non so su qual fondamento, aggiugne (Diss. voss. t. 2, p. ìq'Ò) che prima di passare alla corte del re Mattia, ei sosteneva la stessa cattedra in Firenze coll’annuo stipendio di 12.5 scudi. Dopo la morte del re tornò, come si è detto, a Firenze sua patria, e nell’anno stesso entrò nella Congregazione di Lombardia dell’Ordine agostiniano nel convento di s Maria a S. Gallo nella suddetta città; e il P. Calvi nelle sue Memorie storiche dello stesso Ordine riferisce parecchi decreti assai onorevoli ad Aurelio fatti ne’ capitoli di quella Congregazione dal i4t)4 fino al 14i?7XXVI. Il nuovo genere di vita intrapreso da Aurelio gli diè occasione di esecitar dal pergamo quella eloquenza che finallora insegnata avea dalla cattedra. Benchè cieco, molte città d’Italia furon da lui onorate colla sua predicazione, e con quale applauso il dimostrano le molte testimonianze degli scrittori di que’ tempi riferite o accennate dal co. Mazzucchelli. Il più luminoso tra tutti gli elogi è quello che ne ha fatto Matteo Bosso canonico regolare in una sua lettera, la quale non sarà, io spero, discaro a chi legge, ch’io qui rechi distesamente tradotta nella volgar nostra lingua, anche perchè in essa si parla a lungo del raro talento di Aurelio nell improvvisare, Io ti racconterò, scriv egli a Girolamo Campagnola cittadino padovano (Epist. famil. 2, ep. 75), cosa non più udita e che ti desterà maraviglia e stupore. Abbiam qui in Verona udito di fresco profilare [p. 1415 modifica]TERZO 14i5 dal periamo Lìppo fiorentino religioso dell Ordine de Romitani di S. Agostino, e cieco quasi fin dalla nascita, con sì grande ammirazione de' magistrati della città e degli uomini eruditi, ' ' parlando, o scrivendo. la sacra Scrittura, e la maneggia e la tratta con somma destrezza. Ei possiede sì bene queir l’antica filosofia, grave, soda ed ornata, che ci è stata tramandata da' Greci, e che ora nelle nostre scuole non è più in uso, che quando di essa ragiona, non ci sembra già di udire un Burleo, un Paolo Veneto, uno Strodo, ma Platone, Aristotile e Teofrasto. Taccio i monumenti di tutte le storie, e quanto v ha nei’ poeti e negli oratori di più grande e sublime, le quali cose ha egli in tal modo presenti, che sembra averle non già apprese, ma portate seco fino dal nascere. Nel toccare la cetra, se mi è lecito il dirlo, supera Apolline ed Anfione. E a’ più famosi poeti ancora ei va innanzi perciò, che que’ versi ch’ essi facevano con lungo studio, egli all improvviso li compone e li canta. Nel che ei dà a vedere una sì pronta, sì fertile e sì ferma memoria, e. una sì grande felicità d’ingegno e di stile, che appena, o mio Campagnola, tu puoi immaginarla. Io non mi ricordo di aver mai o veduta o letta tal cosa in altri. Di Ciro raccontasi che nominò di seguito tutti i soldati del suo esercito; di Cine a, che venuto a Roma ambasciatore di Pirro, il secondo giorno appellò coi nomi lor proprj i senatori e i cavalieri tutti di Egli ama singolarmente [p. 1416 modifica]l4*6 LI URO quella città; di Mitridate, ch essendo signore di ventidue nazioni, a tutti parlava nella lor lingua, e grandi cose ancora si narrano della memoria di Seneca. Ma il nostro Lippo in una grande assemblea di nobilissimi ed eruditissimi personaggi, e innanzi al podestà medesimo, qualunque cosa gli fu da essi proposta. presa in mano la cetra, l espose tosto in ogni sorta (di poetico nu tro. Invitato per ultimo ad improvvisare sugli uomini illustri che ave ano avuta F"i nvia per patria, egli senza trattenersi punto a pensare, e senza mai esitare, o interrompere il canto, celebrò con nobilissimi versi Catullo, Cornelio Nipote, Plinio il vecchio, ornamento e splendore della nostra città. Ma ciò ch è più ammirabile, si è ch'egli espose all improvviso in elegantissimi versi tutta la Storia naturale di Plinio divisa in trentasette libri, scorrendone ciaschedun capo, e non tralasciando cosa che degna fosse d osservazione. Questo trattenimento è sempre stato a lui famigliare, e frequentissimo singolarmente presso il pontef Sisto IV, quando o si celebrava la solennità dì ale un Santo, o qualche altro argomento gli veniva improvvisamente proposto. Perciocchè egli di qual si fosse materia ragionava sul campo in maniera, che non lasciava in disparte cosa la qual fosse o necessaria a sapere, o piacevole a udire. Quando poi predicando viene al costume e parla popolarmente dal pulpito, sembra che, benchè cieco, ei vegga tutto ciò che da lui o si esalta o si biasima, Io ho voluto formarti questo primo abbozzo d'un uom sì raro, ch’ io speco cìu.'. [p. 1417 modifica]TERZO tu leggerai con piacere; e ciò ancora io ho fatto, perchè venendo egli costà, tu possa udirlo, ec. Al qual elogio son conformi più altri, benchè più brevi, di altri scrittori di quel secolo, che si posson vedere uniti insieme e premessi alla nuova edizione fatta in Roma l’anno i;35 do’libri di Lippo De ratione scribendi. XXVII. Così rendutosi Aurelio famoso in tutta l Italia, ottenne la grazia e la stima de’ più dotti uomini e de' più gran principi di quella età. Ei fu singolarmente per qualche tempo in Napoli a tempi del re Ferdinando II, e passato da Napoli a Roma, ebbe, come affermasi dagli scrittori Agostiniani citati dal co Mazzucchelli, a suo scolaro Giammaria del Monte, che fu poi papa Giulio III (‘); e ivi pure finì di vivere nell’ottobre del 1497 ^ come pruova il P. Gandolfi (De CC Script, augustin. p. 86). Molte e di diversi argomenti sono le opere che ne abbiamo alle stampe, nè si può a meno di non istupire al reflettere che un cieco potesse giungere a sapere e a scriver tanto. L’opera fra tutte a mio parere la più pregevole è quella De ratione scribendi, scritta con singolare eleganza, e in cui si espongono i precetti intorno (*) Il P. Lettor Vernni mi ha fatto riflettere che essendo Giammaria del Monte, che fu poi Giulio III, nato nell’anno 1487, ed essendo il Rrnndolini morto nel 1497, «juesti non gli potè esser maestro se non ne’ primi rudimenti; il che anche per altre ragioni non è probabile, l-'orse ciò doveasi dire di Rnfaello Brandolini che visse in lloma almeno fino al t5i4TlRAliOSCHI, Voi IX. l3 XXVIl. Su* OpCT*. [p. 1418 modifica]i4J8 unno allo scrivere con metodo e con precisione superiore a quel secolo, degna perciò delle molte lodi di cui onorolla Sebastiano Corrado, quando ne offrì la dedica alla città di Reggio, ove allora teneva scuola. Se ne hanno ancora i Paradossi cristiani, e un Dialogo della condizione della vita umana e del soffrire le infermità, due orazioni, una sulla Passione del Redentore, lodata sommamente da Aldo Manuzio il giovine che la ristampò, l’altra in lode di S. Tommaso d'Aquino (a), tutte in latino, e alcune poesie latine e italiane', delle quali opere veggasi l’ esatto catalogo presso il co Mazzucchelli. Delle due poc’ anzi citate orazioni io ho veduta solo la prima che oltre la prima edizione va aggiunta alle Lettere di Giano Nicio Eritreo: e benchè non sia essa del tutto esente da’ pregiudizi del secolo, è nondimeno la miglior cosa che in genere di eloquenza sacra latina si vedesse a que’ tempi: scelte espressioni, sintassi armonica, varietà di affetti, quasi tutte in somma si veggono in essa le doti di un valente oratore che si è formato sul modello del padre della romana eloquenza. A queste opere il co. Mazzucchelli ne aggiugne altre in numero ancor maggiore, che son tuttora inedite, fra le quali son degne principalmente della pubblica luce i tre libri De comparatione (a) L’orazione in lode di S. Tommaso, che fu allora stampata, e nel cui titolo si legge solo Lippi Brandoliin, senza l’aggiunto Ord. Eremit., ec., pare (he debba attribuirsi a Hafaello Brandoliui, di cui ora diremo. [p. 1419 modifica]TERZO 14ig ReipubUcae et Regni da lui indirizzati a Lorenzo de’Medici, e più ancora la Storia sacra degli Ebrei da lui formata sull' autorità della Bibbia, di Giuseppe Ebreo, e di altri antichi scrittori, e illustrata con erudite ricerche. Questa insieme con una generale raccolta di tutte l’opere sì edite che inedite di Aurelio possiamo sperare di veder pubblicata un giorno dal P. Giacinto della Torre agostiniano da me altre volte mentovato con lode, il quale ha rivolto l animo a questa edizione, che ornata di documenti e di note recherà gran vantaggio alle lettere e alle scienze, e farà sempre più chiaramente conoscere il singolar talento e la vasta erudizione del Braudolini. XXVIH. Aurelio ebbe un fratel minore, o, secondo altri, cugino, di nome Rafaello, che avendo avuta la stessa sventura di perder la vista, n ebbe lo stesso soprannome di Lippo. Il dubbio, s’ ei fosse fratello, o cugino d Aurelio, nasce dalla voce germanus, che il primo usa nel favellar del secondo; perciocchè essendo essa usata non rare volte, singolarmente dagli scrittori di que’ tempi, a spiegare un cugino, pare che qui ancora si debba intendere in questo senso. Se nondimeno è appoggiato ad autorevoli documenti l’albero genealogico premesso alla Vita di Rafaello, di cui diremo tra poco, è certo che questi due ciechi furon fratelli, ma Rafaello più giovin di Aurelio. Di lui ragiona il Pontano che il conobbe in Napoli, ove Rafaello visse più anni. Lippus Florentinus, dic egli (De Fortitud. l. 2, c. de Caecitate, ec.), puer vidit; nunc adolescens, quamquam [p. 1420 modifica]14^0 LIBRO utroqua oculo captus, non minus tamen assidue rhetorum ac philosophorum auditoria frequentat. Mirum illi studium rerum antiquarum, mira cura latini sermonis, mira etiam in amicorum congressibus jucunditas, et cum paupertate simul et caecitate laboret, licet adolescens, quae aetas minime apta est patientiae, utrumque malum ea aequitate fert, ut neutrum sentire videatur. Ove è a riflettere che il Pontano scriveva questo trattato, come pruova il co Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 4, p. 2018), circa il 1481, e non può perciò questo passo convenire ad Aurelio, il qual certamente a quel tempo non era più giovane. In Napoli, secondo gli scrittori napoletani citati dallo stesso co Mazzucchelli, ei recitò un panegirico in lode del re Carlo VIII, quando questi s’impadronì di quel regno nel 14o5E premio di questa orazione fu un diploma del re medesimo pubblicato da’ detti scrittori, con cui assegnò a Rafaello una pensione annua di 100 ducati. Da Napoli passò poscia a Roma, ove ei tenne scuola di belle lettere. Giannantonio Flaminio gli raccomandò il celebre Marcantonio suo figlio, e di lui parlò spesso con grandi elogi in alcune sue lettere, dalle quali raccogliesi innoltre che Rafaello volle aver seco nelle medesime stanze, di cui godeva al Vaticano, il giovane Marcantonio, e che era sommamente caro al pontef Leon X (l. 5, ep. 11, 17, 18). Egli ancora era improvvisatore famoso e ancor celebre oratore, e vien perciò dal Giraldi unito ad Aurelio (De Poet. suor, temp. dial 1, p. 540). Questi però ne loda bensì la [p. 1421 modifica]TERZO 1^31 felicità singolare nel ragionare all’ improvviso in verso non men che in prosa 5 ma avverte insieme che correva fama tra molti che egli avesse le orazioni venali, e che le componesse secondo il prezzo che venivagli offerto; e aggiugne che avendo voluto Leon X porlo a confronto con Andrea Marone celebre improvvisatore anch’esso, Rafaello in questo cimento rimase vinto. Non sappiamo fin quando ei vivesse. Certo ei vivea ancora nell'an 1514 » in cui sono scritte le lettere or mentovate. Altro di lui non si ha alle stampe che un latino elegante dialogo intitolato Leo, perchè tratta delle lodi di Leon X e della famiglia dei’ Medici. Esso fu pubblicato la prima volta in Parma l'an 1753 dal ch. dott. Francesco Fogliazzi, che vi ha aggiunta qualche lettera di Rafaello, e ha corredata quest opera di erudite annotazioni, premessavi ancora una esatta e diligente Vita dell autore di essa (n). Altre lettere e altre (a) Tre orazioni di Raffaello si hanno alle stampe, una in lode di S. Tommaso, che abbiam detto poc'anzi attribuirsi per errore ad Aurelio, e che fu detta, secondo il Diario del lini cardo, nel 1498 un’altra ne’funerali di Guglielmo Perrerio primo auditore delle cause apostoliche, detta nel i5oo (Audifr. Cat.rom. Kdit.p. 355); e un'altra in morte del Cardinal Domenico della Rovere detta nel i5oi, di cui si ha copia nella Chigiana in Roma. Molte altre orazioni dette da Raffaello in occasione delle cappelle papali si accennano ne loro Diarj da Burcardo e da Paride Grassi, e l'ultima è de’ 30 di giugno del 1515 (il che ci mostra Raffaello vivo ancora in quell'anno) in morte di Concessina sorella di Giulio II maritata in un Ridolfi!. Burcardo parlando di una di esse, ch’ei tenne nel 1 (97, dice: < Jialionem [p. 1422 modifica]1^7 7 I.ISIIO orazioni se ne conservano manoscritte, e se ne può vedere il catalogo presso il più volte citato co Mazzucchelli, il quale ancora ha rilevato e ad evidenza confutato l errore del Toppi, seguito poi dal Tafuri (Scritt. del Regno di Nap. t. 2, par. 2, p. 356), che ha creduto Rafaello napoletano di patria e oriundo dall’isola di Procida. XXIX. Il soggiorno in Napoli fatto da questi due valorosi poeti non poco dovette concorrere ad animar sempre più il fervore e l’impegno con cui ivi coltivavasi la poesia latina. E veramente convien rendere a questa città una lode troppo giustamente dovutale, cioè che da essa prima che altronde uscirono tali poesie latine, per cui si potè vantare l’Italia di essere, per quanto era possibile, ritornata al secolo di Augusto. Il gran Pontano fu il primo a cui si potesse a giusta ragione conceder la gloria di aver felicemente ritratta in sè stesso l’eleganza e la grazia degli antichi poeti ed egli col suo esempio formò più altri, e additò a’ posteri il sentiero che doveasi da essi tenere. Se Pier Summonte, ch eragli stato amicissimo, ne avesse scritta, come pensava di fare, la Vita, noi ne sapremmo le circostanze ancor più minute. Ma o egli non eseguì il meditato lavoro, o questo è miseramente perito. Molle post Evangelium fecit Raphael cact us germanio fratcr Lippi edam caeci professi S. Angus tini praedicti, quem me super pulpitum ducente ruit scala, et ambo cecidìmus ad ¡errarti absque tainen alii/ua laesione, Ueo nobis propitio. Di queste notizie »un debitore ul più volte lodato P. Venuti agostiniano. [p. 1423 modifica]TERZO |^a3 notizie ce ne ha date coll'ordinaria sua esattezza Apostolo Zeno (Diss. voss. t. 2, p. 172, ec.), a cui nondimeno possiamo aggiugnerne alcune altre tratte dall’opere dello stesso Pontano. Questi, come pruova il suddetto scrittore, nacque nel dicembre dell’an 1426, ed ebbe a patria non già Spello, come da molti si dice, ma Cereto nella diocesi di Spoleti nell’Umbria. Giovanni ne fu il nome proprio, che cambiò poscia secondo l’ usanza di quell’ età in quello di Gioviano. Di Jacopo e di Cristiana suoi genitori ci ha lasciata egli stesso onorevol memoria nelle sue Poesie facendo al sepolcro loro epitaffi (Tumul. l. 2, p. 79 ed. ald. 1418); e della madre singolarmente rammenta l'amorosa sollecitudine con cui destramente venivalo animando a’ primi suoi studj (De Serm. l. 6, p. 102 ed. flor. 1520). Ma non ugualmente onorevoli sono gli elogi da lui fatti a' tre grama! ici, clic egli ebbe a maestri ne’ primi anni, detti Pasquale, Melchiorre e Cataldo, i quali da lui si descrivono come l un più dell’ altro ignoranti < ib. p. 1 ^8). Le turbolenze della sua patria il costrinsero a partirne in età ancor tenera; e per qualche tempo visse tra’ soldati e tra l armi, finchè passò ad abitare in Napoli: Me quondam patriae casus nil triste timentem Cogit longinquas ire repente vias. Castra peto. tenerisque VU'Uili confessus «b anni« '1 byrrenns didici sub Jove ferre nives. Mox ubi composito redierunt ocia tirilo, 1 t repetit pntrins Marlia turba lares, Eicepit lthodio quondam l'andata colono Partlieiiope studili lemper amata meis. Amor. I. 1, /1. al. [p. 1424 modifica]1434 unno Era allora in Napoli Antonio Panormita, che scorgendo l’ingegno di cui era dotato il giovin Pontano, prese a coltivarlo studiosamente, e così si compiacque in vederne i felici progressi, che quando alcuno chiedevagli la spiegazione di qualche difficil passo de’ poeti o degli oratori antichi, modestamente solea rimetterlo al Pontano, come questi racconta (De Serm. l. 6, p. 102, ed. flor. 1520). Egli innoltre fu debitore al Panormita delle cariche e degli onori a cui videsi sollevato dal re Ferdinando I, da cui, oltre più altri ragguardevoli impieghi, fu destinato ad istruir nelle lettere Alfonso II, suo figliuolo, del quale ancora fu segretario, come già era stato di Ferdinando I, e il fu poscia di Ferdinando II. XXX. Così rendutosi il Pontano caro ed accetto a quei’ principi, fu loro indivisibil compagno in tutte le spedizioni, trovossi presente a molte battaglie, cadde ancora talvolta in man de’nemici, ma sempre rispettato da tutti, e udito con applauso grandissimo, quando prendeva a ragionare pubblicamente. Egli accenna in più luoghi queste sue vicende, ma senza indicarcene le circostanze. Et nos, dic egli (De Obedient. l. 5), apud Principes viros magnam saepe habuimus audientiam, ut nonnumquam spectante instructo exercitu auditi fuerimus. Licet in hoc gloriari, quod cum aliquando in hostis manus incidissemus, honorati et donati ab illo dimissi sumus. Ricorda altrove l’onore che gli fece Alfonso figliuolo del re Ferdinando I, quando entrato il Pontano nel padiglione, ove il principe con tutti i suoi generali si stava [p. 1425 modifica]tehzo I assiso. Alfonso levossi in piedi, e imponendo a tutti silenzio Ecco, disse, il maestro (De Serm, l 6, p 89)’ a^ro *uog° ancora ragiona de viaggi che avea dovuto intraprendere, e delle guerre alle quali era intervenuto. Cum interim, dice parlando de’ tre anni precedenti a quello in cui scrisse i libri De Aspiratione, che non sappiam bene qual fosse, omnis mihi vita sit acta aut in castris aut in peregrinaù'onibus pròcui non modo a libris, sed a litteratis omnibus (De Aspirat. l. 2, init). Niuna cosa però fu così al Pontano onorevole, come l'ambasciata affidatagli dal re Ferdinando I al pontef Innocenzo VIII per ottenere la pace l'anno i48(>. Molto gli costò essa di fatiche e di stenti: Miserati saepe sumus, così il Pontano introduce a ragionare il Sannazaro, senem languenti corporCj tnediis die bus, ardentissimo sole, per frequentissimos latrones, quibus itinera circumsessa erant, nunc ex urbe ad Alphonsum in castra, nunc e castris ad Innocentium Romam properare, ut qui illum sequebamur, de senis vita actum jam in singidas prope horas nobiscum ipsi dolentes quereremur (Asinus dial). E ben diede allora a vedere il pontefice quanto stimasse il Pontano. Perciocchè essendo già conclusi gli articoli della pace, e avvertendolo alcuni a non fidarsi troppo del re Ferdinando, egli, come narra lo stesso Pontano, atneutiquam, rispose loro,/alsosnos habuerit Jovianus Pontanus, quicum de concordia agi tur: ncque mini eum veritas destituet ac fides, qui ipse numquam veritatem deseruerit aut fidem (De Serm. l. 2. p. 30). Vuolsi che il Pontano si lusingasse di [p. 1426 modifica]t4a6 libro salire in tal occasione per mezzo del principe Alfonso suo scolaro al primo grado di autorità e d’onore presso il re Ferdinando; e che vedendosi in ciò deluso, scrivesse il leggiadro dialogo intitolato Asinus. in cui rappresenta sè stesso pazzamente impegnato nell’accarezzare in ogni possibil maniera un asino che al suo benefattore si mostra grato soltanto con morsicature e con caici (*). Ma lo stesso Pontano non diè gran pruova in se stesso di quella riconoscenza che desiderava in altri. Perciocché (*) Quando io scrivea questo tomo della mia Storia, non ave.i ancora veduta la Vita che del l’ontano ha scritta elegantemente in latino e stampata in Napoli nell’an 1761 il P. Roberto da Sarno della Congr dell’ Oratorio. Da essa io raccolgo che il Pontano fece in Perugia i primi suoi studj, e che v’ebbe a suo maestro un certo Guido Trasimeno, che il l’ontano dice uomo assai colto. Ma il P. de Sarno non fa menzione degli altri 3 maestri che’ ebbe il Pontano, e de’ quali non ebbe egli uguale stima. Dalla stessa Vita raccogliesi che il Pontano dalla sua patria passò al campo del re Alfonso, che allora combatteva coi’ Fiorentini, e ciò dovette accadere nel i447» c c^ie C°1 re medesimo passò poscia a Napoli; e che il motivo che indusse il l’ontano a scrivere il satirico dialogo intitolato Asinus, non fu già il non essere stato sollevato dal re Ferdinando al primo grado d" autorità, che anzi allora veramente l’ottenne, ma il non avere ottenuta una signoria ch’ egli chiedeva. Più altre circostanze intorno alla vita, a’ costumi e alle opere del l’ontano si possono ivi vedere minutamente spiegate, sulle quali a me non è lecito di trattenermi. Al fin del libro egli ha pubblicata una breve e non intera Vita, che già ne scrisse lo storico Tristano Caraccioli in questo tomo medesimo rammentato. Si può ancora vedere l' articolo che intorno al Pontano ci ha poi dato l'erudito sig. Francescantonio Soria (S'arici nap. 1.1. p. 490,ec.) ». [p. 1427 modifica]TF.KZO l/jaavendo il re Carlo VOI occupato il regno di Napoli, e prese solennemente le insegne reali, fece in quell’incontro un pubblico ragionamento il Pontano, alle laudi del quale, dice il Guicciardini (Stor. d Ital. l. 2), molto chiarissime, per eccellenza di dottrina e di azioni civili dette quest'anno non picciola nota, perchè essendo stato lungamente segretario de’ Re Aragonesi, e appresso a loro in grandissima autorità, parve, che o per salvare le parti proprie degli oratori, o per farsi più grato a Francesi, si distendesse troppo nella riputazione di quei Re, da’ quali era sì grandemente stato esaltato; tanto è qualche volta difficile osservare in sè stesso quella moderazione e quei precetti, co’ quali egli ripieno di tanta erudizione, scrivendo delle virtù morali, e facendosi per l’universalità dell ingegno suo in ogni specie di dottrina maraviglioso a ciascuno, avea ammaestrato tutti gli uomini. Non sappiamo se egli, partiti i Francesi da Napoli, e rientrativi gli Aragonesi, ricuperasse presso di loro l’antico grado di confidenza e d’onore. Egli finì di vivere in età di 77 anni nel 1503 come pruova Apostolo Zeno, presso il quale si posson vedere altre notizie appartenenti alPonlano, ad Adriana Sassonia di lui moglie, a’ figli che n’ebbe, cioè un maschio, la cui morte egli pianse con una elegia (F.ridanor. I. 2, p. 134 >» e due femmine, le cui nozze celebrò pur co’ suoi versi (De Amor, conjug. l. 3, p. 59, 61). XXXI. Abbiamo altrove parlato delle opere storiche e filosofiche di questo dotto ed elegante scrittore. Quanto alle poesie latine grande ne è XXXI. ic «jMtre. [p. 1428 modifica]i4^8 i. liino il numero, e grande non meno la varietà degli argomenti: poesie amorose, epitaffi e iscrizion sepolcrali, endecasillabi, egloghe, inni ed altri componimenti di più diverse maniere. Egli andò ancora più oltre, e ardì con felice successo di darci un poema in cinque libri diviso intorno all'Astronomia, intitolato Urania, un altro intorno alle Meteore, e un altro intorno alla Colti vazion degli agrumi. In tutti egli è poeta elegante, colto e grazioso; degno perciò degli elogi di cui l'hanno onorato tutti gli scrittori di que’ tempi. Paolo Cortese gli attribuisce la lode di aver rinnovata la gravità e l’armonia del metro, e lo antipone a tutti i poeti di quell’età De Homin. doctis, p. 34). Rafaello Volterrano, benchè lodi in lui più l’arte che l’ingegno, dice però, che le poesie ne son così eleganti, che niun potea andargli del pari (Comm. Urbana, l. 38, p. 457, ed. Basil. 1530). Ma più ancor luminoso è l’elogio che ne ha fatto il Giraldi, benchè insieme ne rilevi giustamente qualche difetto. Le poesie, dic egli, e le prose del Pontano fanno che nella serie degli uomini illustri io l'annoveri fra i primi, e che anche lo paragoni a quasi tutti gli antichi. Egli, è vero, non è sempre uguale a sè stesso, par che talvolta trascorra troppo oltre, nè sempre osserva le leggi: il che non dee sembrare strano a chi sappia ch’ ei fu involto ne più gravi affari della corte, e che dovette attender non meno alla guerra e alla pace, che ad A polline e alle Muse. E nondimeno chi più di lui ha scritto, chi con più dottrina, con più eleganza, con più. finezza? Benchè alcuni al presente cerchino [p. 1429 modifica]TT.A7.0,43‘J di sminuirne la gloria, io non seguirò il loro parere, finchè essi non mi mostrin cose migliori scritte da essi, o da altri; il che non veggo che alcun finora abbia fatto (De Poet. suor, temp. p 528). Così avesse egli nelle sue poesie amorose usato di uno stil più modesto! Ma egli bramoso di ritrarre in sè stesso l’eleganza degli antichi poeti, ne ritrasse ancora le oscenità. E ch ei fosse uomo di non troppo onesti costumi, ne abbiamo ancora in pruova uno de’suoi dialogi, in cui egli introduce il suo figliuolino Lucio, che avendo udita sua madre confessarsi a un sacerdote, e invece delle sue colpe raccontargli le infedeltà usatele dal marito, con fanciullesca semplicità le riferisce ad altri (Antonius dial.). Oltre queste opere ne abbiamo ancora i sei libri De Sermone da lui composti in età di 73 anni, e i due De Aspiratione, cinque dialogi in prosa latina, in alcun dei’ quali ancora egli scrive con più libertà, che ad uomo onesto non si convenga. Delle quali, opere ci han dato un esatto catalogo il Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t. 6, p. 4) ec.), e in parte il Zeno, il quale ancora ne accenna i Comenti sopra Catullo non mai pubblicati, e l’edizione da lui procurata della Gramatica di Remnio Palemone, e il codice che prima d’ogni altro ei trovò delfiniera.sposizione di Donato sopra la’Eneide di V irgilio. XXXII. Al Pontano dovette Napoli la famosa sua Accademia, che già fondata dal Panormita, fu da lui sostenuta e condotta a stato sempre migliore. Ne abbiam già parlato a suo luogo; e si può vedere l’illustre catalogo di quegli [p. 1430 modifica]>43o Libito Accademici die ha pubblicalo ilGiannone (Stor. di Nap. I. a8, c. 3). Quindi questa Accademia vien dal Giraldi paragonata al cavallo di Troia (l. c. p. 529)) a cagione de’ dottissimi uomini e degli eleganti poeti che n erano usciti, Tra essi ei nomina in primo luogo il Sannazzaro, di cui ci riserbiamo a dire nel tomo seguente. Fa poscia menzione di Michele Marullo e di Manilio Hallo, amen due, dice egli, nati da genitori greci, ma allevati in Italia, meglio però versati nella lingua latina, amici tra loro, e amendue scrittori di epigrammi; il Marullo più ingegnoso del Rallo, ma il Rallo più del Marullo felice; perciocchè negli scorsi mesi è stato fatto da Leon X vescovo in Creta. Si hanno di amendue parecchi epigrammi di vario genere, e di Marullo innoltre certi inni detti Naturali, ne’ quali ho udito, e io lo dico solo per altrui relazione, ch ei sia stato molto aiutato da Pico suo zio. Per questi inni egli è salito presso alcuni in sì alta stima, che lo antipongono a tutti. Io non sono del parere di un certo Zoilo, di cui non vuò dire il nome, il quale scorge in ogni cosa del Marullo una cotal leggerezza greca, e crede che in esso vi sia molto a troncare. Ma confesso però, che vedesi in lui qualche arroganza. Non migliori sono le sue Istituzioni, ch’ ei non ha finite, e alle quali ha dato il nome di Principali. In qualche tratto però egli è eccellente, e imita assai bene Lucrezio, cui si era prefisso a modello. Uomo non degno veramente della morte che ha incontrato, sommerso in Toscana nel fiume Cecina, come ne’ suoi versi afferma il [p. 1431 modifica]TF.HZO l431 nostro Tibnldeo. Questa morte dell infelice Marullo si rammenta ancora da Rafaello Volterrano (Comm. Urbana, p. 457), che la dice avvenuta in quel giorno stesso in cui egli era partito dalla casa di lui medesimo ove abitava. Abbiam veduto altrove le nimicizie ch'egli ebbe col Poliziano per cagione di Alessandra Scala, che fu poi sua moglie. Ma di lui e del Rallo, che solo per abitazione furono italiani, basti l aver qui detto in breve. Soggiugne il Giraldi Gabriello Altilio, di cui dice di aver lette sol poche cose, ma che nell Epitalamio da lui composto nelle nozze d’isabella d’Aragona mostra dottrina ed eloquenza non ordinaria, benchè talvolta congiunta con affettazione, e che morì vescovo di Policastro. Dell’ Altilio più copiose notizie si troveranno presso il Tafuri (Scritt, del Regno di Nap. t. 2, par. 2, p. 294; t. 3, par. 4, p. 349), e il co Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 1, par. 1,p. 535, ec.), i quali accennano gli elogi che molti scrittori di que tempi, e il Pontano principalmente, ne han fatto, e pruovan ch’ egli verisimilmente morì non nell’anno 14^4 1 come ha creduto l’Ughelli, ma circa il 1501; e annoverano le Poesie latine che se ne hanno alle stampe (a). Gli ultimi due che dal Giraldi qui si rammentano, sono Pietro Gravina e Girolamo Carbone. Del primo dice che fu di patria siciliano; che (a) Fiù esatte notizie intorno all'Attilio ci ha poi date il eh. F. d’Afflitto, il quale conferma l'opinione qui accennala, ch’ei morisse circa il i5oi (Meni, itegli Scria, napoì. t. i, p. 246, ec.). [p. 1432 modifica]14^3 LltKO visse lungamente alla corte de’ re di Napoli; che scrisse molte poesie, delle quali alcune ancor si leggevano; che fu uomo assai colto della persona e di singolar robustezza, e che morì in età di 74 anni. Di lui parla più lungamente il Mongitore (Bibl. sicula., t 2, p. 140, ec.), il qual ancor ne annovera le opere e le loro edizioni. Le Lettere latine, le quali per altro non sono molto eleganti, ne sono state di nuovo stampate in Napoli nel 1748, alla quale edizione sarebbe stato opportuno il premettere una diligente Vita del loro autore. Del Carbone parla il Giraldi come d’uomo ancor vivo, ma dice solo che ne correvano per le mani di molti alcune poesie. Il Pontano ne fa menzione più volte, e lo dice uomo di soavissimo ingegno (De Semi. I. a. 10) (*). Membro della stessa Accademia fu Elisio Calenzio natio della Puglia, di cui il Giraldi fa in altro luogo menzione (dial. 2, p. 563), dicendolo uomo assai ben disposto alla poesia, ma avvolto in amori, amico del Pontano, dell Altilio, del Sannazzaro, e povero di sostanze. Oltre ciò che ne scrive il Tafuri (Scritt. del Regno di Nap), t. 2, par. 2, p. 3;)6; t. 3, par. 5, p. 343), il dotto P. Lyron Maurino, avendone vedute le opere stampate in Roma nel 1503, ci ha date alcune più minute notizie intorno a (■*) Di Girolamo Carbone e di Pietro Gravina ragiona con molta lode il Valeriano, e narra la loro morte seguita circa il tempo medesimo in Napoli all’occasion della peste che l’esercito di Carlo V passato in quel regno dopo il sacco di Roma vi sparse (De infelic. Lilter. p. 19). [p. 1433 modifica]TERZO 1433 questo poeta (Singular. hist. t. 3, p 4 1 f»), il quale i'u maestro del principe Federigo, che fu poi re di Napoli. Le dette opere sono per lo più poesie latine, alle quali si aggiungono tre libri di Lettere al detto principe, da lui appellato Jaraco, ed altri. A questi poeti dell’Accademia del Pontano, de’ quali ha fatta memoria il Giraldi, possiamo aggiugnere i nomi di alcuni altri che dallo stesso Pontano veggiam nominati. Tali sono Marino Tomaselli, Piero Summonte, Francesco Pucci (De Serrn. I \, c. 3) (a), Giovanni Pardo (ib. l 5, c. 1), Francesco Elio, Pietro da Fondi, Soardino Soardi bergamasco (ib. l. 6, c. 2), Francesco Poderigo (/.Egidius Dial), il Cariteo già da noi mentovato, Angiolo Colocci, di cui diremo nel secolo seguente, e più altri, a molti de’ (quali il Pontano medesimo fece in versi il funebre epitaffio, come all’ Elio, al Poderico, al Marullo, al Tomaselli, all’ Altilio (Carm. p. 67, ec). Io potrei stendermi a dire più lungamente di ciascheduno di essi: Ma l’ ampiezza della materia mi sforza a ristringermi, e ciò che ne ho detto quasi in compendio, pruova abbastanza che non v’ ebbe forse in questo secolo alcuna Accademia di belle lettere che colla napoletana potesse venire al confronto (*). (a) Alcune eleganti poesie latine di Francesco Pucci sono state pubblicate dopo quelle non rt.010 eleganti del sig. ab. Vito Maria Giovenazzi stampate in.Napoli «ci 1786. (*) Tra’ poeti che sulla line del secolo tioriron nel regno di Napoli, possiamo annoverare uu vescovo di Tiuaiìoscui, Voi. IX. «4 [p. 1434 modifica]l434 LIBRO XXXIU. Tra1 più colti poeti di questo secolo deesi ancor nominare Pietro Apollonio Collatio, o, come altri scrivono, Collatino prete novarese (a). Cosi egli s’intitola innanzi alle sue opere forse per seguire il costume dei' letterati di questo secolo di cambiar nome. Chi egli fosse, niuno cel dice; e della vita da lui condotta nulla ci è giunto a notizia. Il Cotta afferma ch ei fu della nobil famiglia novarese Cattanea, ma non ne reca alcuna pruova (Museo Novar. p. 245 ec.). Chiunque egli fosse, ei fu poeta elegante, come ben ci dimostrano e il poema intitolato Hierosolyma, in cui tratta dello sterminio di quella città, che fu stampato la prima volta in Milano nel 1481, e il libro dei Fasti stampato nella stessa città l’a.ino 1492, tessuto di ode e di elegie, e il poemetto sul ComAcerno. Nella librerìa di S. Salvadore in Bologna conservasi un codic e che ha per titolo: Fusci Paracleti Cornctani Episcopi Acernensis Tarcntina feliciUr incipit; ed è un poema in verso eroico, al cui line si legge: Scripsit Joannes Rimaldus Surrentinus /inno d. <4^5. Tra’ vescovi di Acerno di questi lein|>i col nome di Paraclito io non trovo presso l’Ughelli (hai. sacra, t. 7, p. 4 18) che Paraclito Malvezzi bolognese dello nel 1460, e morto nel 1487. Ma se il poeta era natio di Comete, come potea egli essere bolognese e della famiglia Malvezzi? lo confesso che non ho lumi a sciogliere questo eniimna. (ri) Presso il eh. sig. abate Gio. Crislofano Amaduzzi conservatisi in un codice ms. in pergamena cinque Lettere elegiache ad Pium li Pontiftcem Maximum de exhortatione in Turchot scrìtte a P. Maxiaio Collatino. li benché il nome di Massimo non seggasi, ch'io sappia, altrove dato al Collatino, par certo nondimeno eli’ esse sieno opera del medesimo autore. [p. 1435 modifica]TERZO l435 battimento ih Davide con Golia insiem con altri epigrammi stampato pure in Milano nel 1692. Que’ nomi di Appollonio Collatio fecer creder ad alcuni ch’ ei fosse un autore vissuto circa il vii secolo; e perciò il primo de mentovati poemi fu inserito nella Biblioteca de' Padri. Ma la sola eleganza con cui esso è scritto, bastar poteva a provare ch’ egli era ben lungi da que’ barbari secoli. Infatti, oltre mille altre pruove, egli all’ultima delle opere mentovate premise la dedica a Lorenzo de’ Medici, e i Fasti furon da lui dedicati al card Ardicino della Porta onorato della porpora nel x Al* cuni altri più brevi componimenti di questo poeta si accennan! dal Sassi (Hist typogr. mediol. p. 232), il quale, come pure il Cotta, rammenta altre edizioni che delle Poesie del medesimo furon poi fatte. XXXIV. Poniam fine alle serie de’ poeti latini col ragionare di uno il quale per varietà di vicende e per estension di sapere non fu inferior ad alcun de’ suoi tempi, ma le cui opere appena note a pochissimi ne han quasi fatto cadere in dimenticanza il nome. Parlo di Pontico Virunio, intorno al quale io non ho molto ad affaticarmi, perchè ne ha già illustrata la Vita con grande esattezza il ch. Apostolo Zeno (Diss. voss. t. 2, p. 293, ec.), valendosi di quella che già ne scrisse Andrea Ubaldo reggiano fratello della moglie del medesimo Pontico. Io dunque non farò che accennare ciò ch’ei narra ili'tesamente, e rimetterò chi legge alle pruove che quel dotto scrittore ne adduce. Lodovico Pontico, ossia da Ponte, [p. 1436 modifica]1^36 LIBRO orìondo da Mcndrisio nel contado di Como, ma nato circa l’an 1467 in Belluno, ove i suoi maggiori eransi ritirati, con altro nome non volle esser chiamalo clie di Politico \ irtìnio, alludendo alla tradizion di que’ tempi, or rigettata, che Belluno fosse l’antico Vii uno. Ebbe a sua madre Cattinia figlia di Radichio principe di Macedonia, e da essa, e poi da Niccolò da S Maura, uno de’Greci rifugiati in Italia, apprese la lingua greca; nella latina fu istruito da Giorgio Valla in Venezia, e da Battista Guarino in Ferrara, la cui scuola fu per dieci anni da lui frequentata. Altri celebri professori in ogni sorta di scienza furono ivi uditi dal Pontico, il quale poi prese a tenere scuola egli stesso, e in molte città d’ Italia insegnò con applauso. Chiamato a Milano per ammaestrare i figliuoli del duca Lodovico il Moro, nelle disgrazie di questo principe fu egli ancora esposto a pericoli, e campò a gran pena, cambiando abito, dalle mani de’ vincitori Francesi. Trasferitosi a Reggio, nella sala del Consiglio prese pubblicamente a spiegar Claudiano, concorrendo ad udirlo grandissimo numero di cittadini. Ma quanti eran gli applausi ch’ ei riscoteva col suo sapere, altrettanti erano ancora i motteggi co’ quali egli udivasi dileggiare pei’ suoi poco onesti costumi. Il matrimonio che ivi strinse con Gerantina Ubalda sorella del detto Andrea, fece cessare alquanto le dicerie. Partito poscia da Reggio affin di vedere i paesi da’ poeti descritti, fu trattenuto in Forlì a insegnare le lingue greca e latina. Ma poco appresso caduto in sospetto a chi governava quella città [p. 1437 modifica]TERZO »43^ in nome del Papa, fu stretto in carcere l’an 1506. Liberatone ad istanza del card Ippolito da Este, dopo essere stato cinque mesi in Bagnacavallo, tornò a Reggio, ove comperati torchi e caratteri greci e latini, cominciò a stampare alcune delle sue opere. Quando, venuta a Reggio la duchessa di Ferrara insiem col suo medico Lodovico Bonaccioli, questi con grandi promesse il trasse a Ferrara, ed involatigli i caratteri e i torchi, raggirò ancora le cose per modo, che l’infelice Pontico, non potendo dir sue ragioni, ri li rossi a Lugo. Ivi condotto a tener pubblica scuola con ampio stipendio, scrisse un libro d’invettive contro il Bonaccioni. Ma caduto infermo, e ridotto a stato assai infelice, passò a Bologna, indi a Jesi, e poscia a Macerata, ove il Cardinal legato Sigismondo Gonzaga gli diè ad istruire nell’ astronomia e nel greco il march Federico suo nipote. Finalmente, se crediamo a Leandro Alberti, morì in Bologna nel 1520, ed ebbe sepoltura nella chiesa di S. Francesco. Passa indi il Zeno a tessere un diligente catalogo di tutte l’ opere del Pontico, avvertendo però, che l edizioni di esse sono rarissime a segno tale che non si può accertare, trattene alcune poche, quali sieno le stampate, quali le inedite. Comenti sopra moltissimi autori greci e latini, opuscoli gramaticali, trattati di antichità e di filologia, orazioni, dialogi, invettive, storie, traduzioni di molti antichi scrittori greci, e altre opere scritte nella medesima lingua, elegie, epigrammi, due libri in verso eroico sulla miseria de’ letterati, quattro delle lodi di [p. 1438 modifica]» 438 LIBRO Beatrice moglie di Lodovico il Moro, ed altre non poche poesie latine, libri in somma di ogni genere, e in numero tale che reca gran maraviglia, trattandosi singolarmente di un uomo che visse soli 53 anni, ed in continue tra\ ersie. A me basta accennar queste opere di passaggio, anche perchè, non avendone veduta alcuna, non posso per me stesso decidere qual ne sia il pregio. Oltrecchè nulla ci lascia a bramare su questo punto il sopraccitato scrittore, il quale ancora ragiona delle medaglie coniate in onor del Pontico, e di altre testimonianze di stima ch’ egli ebbe da’ principi e da’ letterati di quella età, le quali sempre più ad evidenza ci pruovano ch’ ei giunse ad ottener nome non ordinario fra’ dotti. XXXV. Nel tessere fin qui la serie degli scrittori di poesia latina ne abbiamo incontrati non pochi a’ quali fu conceduto l’ onore della corona. Ma or ci conviene per ultimo unirli insieme, e schierar quasi in buon ordine tutti i poeti cinti d’alloro. Il che gioverà a mostrarci, come si è già accennato, che questo onore degenerò presto dalla prima sua istituzione, e che fu conceduto non rare volte più che al merito de’ poeti alle lor brighe e anche al loro denaro; benchè pure se ne incontrino alcuni a cui la corona fu troppo tenue ricompensa de’ lor talenti e de’ loro studj. Sigismondo l'n il primo tra gl imperadori di questo secolo, che la concedesse ad alcuni. Antonio Panormita e Tommaso Cambiatore da Reggio, già da noi nominati, tra gli storici il primo, il secondo tra’ poeti italiani, ebbero da lui questo onore [p. 1439 modifica]TERZO l43g nel 1432, come abbiamo già detto. E il Cambiatore è il primo a cui esso si vegga accordato pel valore nella poesia italiana, in cui pure non era molto eccellente; poichè non sappiamo ch’ei coltivasse mai la latina. Federigo III fu ancora più liberale nel donare il poetico alloro. L’ an 1442 ei lo accordò a Enea Silvio Piccolomini, come si è detto parlando di questo scrittore, e a Niccolò Perotti nel 1452, come vedremo nel trattar de’ gramatici. Lo stesso onore fu da lui conceduto ad Agostino Geronimiano udinese, che prese il nome di Publio Augusto Graziano, professore di belle lettere in Trieste e poscia in Udine, intorno a cui, e alle poesie latine da lui composte, delle quali assai poche si hanno alle stampe, ragiona eruditamente il ch. sig Liruti (De Letter. del Friuli, t. 1, p. 397); a Quinzio Emiliano Cimbriaco e a Girolamo Bologni, de quali abbiam detto in questo capo medesimo, e, secondo alcuni, ad Ermolao Barbaro il giovane, da noi rammentato nel parlare de’ coltivatori della lingua greca; e ad Antonio Tibaldeo, intorno al quale però abbiamo veduto, trattando de poeti italiani, che vi son ragioni di non leggier peso per dubitarne. L’eruditiss sig. co. can Rambaldo degli Azzoni Avogaro fa menzione di un cotal Rolandello poeta trivigiano, che dal medesimo imp Federigo riportò la corona (Mem. del B. Enrico, par. 1, p. 99) (*). Gregorio e Girolamo (*) Di Francesco Rolandello poeta coronato abbiam fatta inenzioue in <|iiestc giunte medesime, rammen* [p. 1440 modifica]144° LIBRO Fratelli Amasei, padre il primo, il secondo zio del celebre Romolo, ebbero lo stesso onore dal sovrano medesimo a’ 2 di settembre del 1489 in Duino terra posta tra l’Istria e ’il Friuli come pruovasi co’ monumenti pubblicati dall'eruditissimo sig. ab Flaminio Scarselli, ove ancora si potranno vedere più altre notizie di questi due fratelli, tra’ quali Gregorio singolarmente ci lasciò non pochi saggi del suo sapere (Vita Rom. Amas. />. 4, 166, 174, cc.) (a). landa lo studio con cui egli si adoperò ad emendare e correggere le edizioni che allor facevansi degli scrittori. Ei fu uomo ben istruito net greco; e abbiamo alcune orazioni di S. Basilio e di S. Giovanni Crisostomo da lui tradotte in latino, e stampate in Trevigi nel i4/6. Ei fu ancora pubblico professore di belle lettere in Venez.ia; e la corona d’alloro non fu il solo titolo che avesse ad ottener qualche nome tra’ coltivatori de’ buoni studi. Molte poesie latine se ne conservano nella libreria di S. Michel di Minano, nel cui Catalogo se n1 ò dato ancor qualche saggio (p. 1014). Ei fu veramente natio di Asolo, ma passò poi ad abitare in Trevigi; e più copiose notizie re ne ha poi date il eh. sig. co. l’ie— Irò Trieste de’ Pellegrini nel suo saggio di Memorie degli Uomini illustri di Asolo (p. io3, ec.). 104) Di Gregorio Amaseo, e della scuola da lui per qualche tempo tenuta in Udine, io ho alla mano alcuni pregevoli documenti trasmessimi dal più volte mentovato signor ab Ongaro. Ei fu eletto a maestro di grammatica in Udine l’ an 1483, quando ne partì il Sabellico, che gli era stato maestro; e sembra che l’Amaseo avesse non picciola parte nel fargli soffrir que’ disgusti che finalmente lo costrinsero a partire. Benché 1’ Atriaseo ancora fosse uomo dotto, era nondimeno accusato di non lieve trascuratezza nell'esercizio del suo impiego, e fu più volte sull' orlo di essere congedato. Ma sostenuto da personaggi potenti, tenne la cattedra, finché il delitto commesso con una monaca di Udine, [p. 1441 modifica]TERZO | 44 | Di essi parla ancora il co. Mazzucchelli, a cui però non è stata nota la loro coronazione (Scritt. it par. 1, t. 1, p. 576). Da Federigo parimente fu l' onor medesimo conferito a Lodovico Lazzarelli nato nel 1450 in Sanseverino nella Marca, e morto a’ 23 di giugno del 1500. Il ch. sig. ab Gianfrancesco Lancellotti ne ha pubblicato nel 1765 colle stampe di Jesi un poema latino sul Baco da seta, il quale, benchè sia di molto inferiore a quello che sull’argomento medesimo scrisse poi il Vida, non è nondimeno senza qualche eleganza, L’erudito suo editore vi ha premessa la Vita del Lazzarelli, in cui con molta diligenza ha raccolte le più importanti notizie intorno ad esso e alle opere da lui composte, e tra queste dee ricordarsi singolarmente quella inedita de’ Fasti che il fece padre di Romolo, obbligollo n fuggire. Rondilo nacque a’ 24 di giugno del 1489, e circa un mese prima doven esser fuggito Gregorio; poiché a’ a5 di maggio fu preso il partito per la condotta di un nuovo maestro; c il partito vedesi steso in maniera ambigua e confusa, come se si volesse occultare il vero motivo: Quali ter f>rout omnibus notum est, et quia nostra Conimunitas et Terra indiget Magistro. cc. Anzi da un altro Atto de’ 12 di maggio del 1490 raccogliesi circi fu condennato a pagar cento lire pel selciato della maggior chiesa di Udine in ammenda probabilmente del commesso delitto. E vuoisi qui riflettere che l’incoronazion poetica dell’Amaseo segui a’2 di settembre dell’anno stesso i4Bi), come se egli con questo onore cercasse di ricoprire I1 infamia col suo reato contratta. Ei tornò poscia alcuni »uni dopo a Udine per recitare l’orazion funebre del patriarca Grimani, e nel secol seguente, cioè nel i5ìi, vi ebbe di nuovo In cattedra stessa che con poco suo ouore avea già abbandonala. [p. 1442 modifica]

  • 442 LIBRO

sacri, di cui un bel codice io vidi già nella biblioteca che i Gesuiti aveano nel loro collegio di Brera in Milano. Io non trovo nondimeno nel corso di questo secolo alcuna descrizion della pompa con cui soleano coronarsi i poeti, somigliante a quella con cui nel secolo precedente abbiam veduti cinti d’alloro il Petrarca, Zanobi da Strada, Albertino Mussato ed altri, trattane quella del Panteo, di cui ora diremo. Gli storici di questi tempi ci dicono semplicemente che il tale e tale altro poeta furono coronati, e non ce ne raccontano il modo. E forse talvolta senza cirimonie di sorta alcuna davasi la patente di poeta coronato; ed essa bastava per prender quel nome. Non furon però i soli imperadori arbitri di questo onore. Francesco Filelfo, di cui direm tra’ gramatici, lo ebbe da Alfonso I re di Napoli, Giammario di lui figliuolo dal re Renato. Benedetto da Cesena, del quale abbiamo fatto un cenno parlando dei’ poeti italiani, vuolsi che il ricevesse dal pontef Niccolò V; e da Lodovico il Moro raccontano alcuni ch’ esso fosse conceduto a Bernardo Bellincioni; il che però, come nello stesso luogo abbiam detto, è assai dubbioso. Le città ancora onorarono in tal maniera coloro che ne furono creduti degni. Così abbiamo veduto che i Fiorentini coronaron d’ alloro Ciriaco d'Ancona; e chela medesima distinzione usarono a Leonardo Bruni, benchè sol dopo morte. Solennissima fu la pompa con cui l an 1484 fu coronato in Verona Giovanni Panteo; ed essa venne descritta dal co Jacopo Giuliari in un libro intitolato Actio Panthea [p. 1443 modifica]TERZO - 1 443 stampalo in quell’ anno medesimo. Del Panteo uomo assai dotto in diverse materie, e versato anche nel greco, parla il march Maffei (Ver. illustr. par. 2, p. 210), a cui deesi aggiugnere ciò che ne ha scritto il P. degli Agostini (Scritt. venez. t 1, p. 243), il quale descrive un codice di Poesie latine del Panteo non conosciuto dal suddetto scrittore. Anche l’ Accademia romana si attribuì il privilegio di conferire la corona d’ alloro, come vedremo nel ragionare di Publio Fausto Andrelini, ove diremo dei professori di belle lettere. In Roma pure ebbe il medesimo onore Giammichele Pingonio, come raccogliesi da un codice della real biblioteca di Torino (Cat. MSS. Bibl. reg. Taurin. t 2, p. 112), ove si contiene un poema da lui composto per le nozze da Filiberto duca di Savoja celebrate P anno i5oi con Margarita d’Austria. Al fine del qual codice si aggiungono alcune notizie intorno a questo poeta, cioè ch’egli era nato in Cambery nel 14^ 1; che visse lungo tempo in Roma caro a molti pontefici e ad altri ragguardevoli personaggi; che ottenne ivi la laurea e la romana cittadinanza, e che ivi morì nel i5o5 (*). In questa biblio(*) Nel codice della biblioteca dell’ università di Torino non è certamente corso errore nel nome del poeta Giammichele Pingone, perchè cos'i chiamossi ei veramente, e fu di lui pronipote il celebre storico Emanuel Filiberto. Quindi, se non è corso errore nel nome di quel Giammichele Nagonio, di cui si hanno le Poesie in questa biblioteca Estense, convien dire che fossero due personaggi diversi. Nel codice torinese, oltre il Panegirico accennato, ch è diviso in cinque libri, i primi tre de’ [p. 1444 modifica]i 444 LIBRO leca Estense abbiamo un codice di molte poesie latine di Giammichele Nagonio cittadino romano, e poeta laureato, in lode di Ercole I duca di Ferrara. L’identità de’ due prenomi, la somiglianza del cognome, i titoli ad esso aggiunti e l’età di amendue, mi fan credere per certo ch’essi non sieno che un sol poeta, in un codice detto Pingonio, nell’altro Nagonio. Ma qual sia il vero cognome, e in qual de’ due codici sia corso errore, non ho lumi a deciderlo. Poeta laureato ancora vien detto Lodovico Bruni astigiano, di cui si hanno alle stampe due poemi in lode dell’ imp Massimiliano (Mazzucch. Scritt. it. t 2, par. 4, p. 2219), ed è probabile che per ricompensa di essi ei ricevesse da Cesare l’onore della corona. Troviam per ultimo molti a’ quali si dà dagli scrittori di que’ tempi il nome di poeta laureato, senza sapersi onde e come l'avessero. Così abbiam veduti distinti con esso il Porcellio, Francesco Rococciolo, Angelo Sabino, Lodovico Carbone. In uno de’ componimenti poetici di Gasparo Tribraco accennati negli Annali letterarj d’Italia, veggiamo ch’ei dice poeta laureato Tito Strozzi (t. 3, p. (yj 1). Francesco Brusoni da Legnago, di cui si ha alle stampe qualche componimento poetico, nel frontespizio di esso quali sono in verso eroico, gli altri due contengono diversi componimenti lirici, si leggono alcune altre poesie del Pingoue, come mi ha avvertito il sig. barone \ ernazza, il quale ancora ha osservato che il codice non è autografo, ma è scritto di mano del sopraddetto Emanuel Filiberto, che vi aggiunse ancora le notizie intorno al poeta. [p. 1445 modifica]teuzo 1445 vil*» (listinto col medesimo nome (Maffei, l. c. p. 302). t)i un altro poeta laureato io debbo la notizia al ch. sig. bar Vernazza, versatissimo nella storia letteraria del Piemonte, il quale con singolar gentilezza ne ha meco comunicati quei’ monumenti ch’ egli con l’indefesso suo studio ha raccolti, e da’ quali io spero che il pubblico trarrà un giorno copioso frutto. Egli è Filippo Vagnone de’ signori di Castelvecchio e maggiordomo della corte di Savoja, morto nel 1499) e sepolto nella chiesa de’ Francescani in Moncalieri (*). Una lunga elegia di 184 versi se ne ha nell'opera di Giovanni Nevizzano intitolata Silva Nuptialis; e un’ altra tra le Lettere di Pietro Cara (p. 108 ed. Taurin. 15 20), ove ancora si legge una lettera del Vagnone al Cara medesimo (ib. p. 86). Frequente menzione di esso si fa in dette Lettere, e vi si parla singolarmente di un’opera (■*) A Piobese presso Torino trovasi ora l'urna in mi clicosi die fosser chiuse le ossa del poeta Filippo Vagnone, ed essa è presso i Minori Riformati, che se ne servono a lavare i loro panni. In un lato si veggono scolpite le nove Muse, c Apollo tra esse. Veli' altro si vede il combattimento di Perseo e di Medusa v indi Perseo a cavallo del Pegaso col teschio della Gorgone sullo scudo in atto di volare sopra il Parnaso: poscia lo stesso Perseo in atto d’impietrire il mostro marino che stava per divorare Andromeda, e Cefco che in lontananza rimira il fatto. All'un de’ capi veggonsi le arme gentilizie; nell' altro leggevansi alenili versi t ma esso è conficcato ne) muro pel nobil uso a cui l’urna'fu destinata. Di questa notizia 10 son debitore al più volte e non mai abbastanza da me lodato sig. barone Vernar za [p. 1446 modifica]• 446 LIBRO in poesia, eli’ ci pensava di pubblicare, intitolata Delie iae, di cui scrivendo il Cara a Domenico Macaneo, Cura igitur, gli dice, ut hoc non triviale delitiarum opus per te recognitum in lucem veniat; quod ejus est salis, ejus elegantiae, et eruditionis, ut inventione, dispositione, elocutione elegiographos ipsos priscos Poetas non modo aequiparare, sed etiam superare videa tur; e siegue ancor lungamente con molti encomj a lodare l’eleganza di quel poema, il quale però non credo che sia stato stampalo j ma il saggio de’ talenti poetici del Vagnone, che abbia ne’ citati componimenti, ci mostra ch’ egli avea più facilità che eleganza. E così appunto ne giudicò Giorgio Floro in una sua lettera allo stesso Cara de’ 20 di aprile del 1498: Promptus sane est Philippus et facilis ad facienda carmina, sed laboris impatiens ad elimandum. Forse questa impazienza fu effetto de pubblici affari, ne’ quali e in pace e in guerra fu continuamente occupato. Ch’ ei fosse poeta laureato, raccogliesi da una Cronaca ms. di Giambernardo Miolo di Lombriasco, che conservasi presso il suddetto sig. bar Vernazza: Anno 1531 14 Aprilis Carlotta Ill. Philip. Vagnoni aureati equitis laureatique poetae filia unica, et olim Philippi de Valpergia uxor Ill. Henrico Valperge Domino Cercenasci desponsatur. Finalmente alcuni moderni scrittori, citati da Apostolo Zeno (Diss. voss. t. 2,p. 228), affermano che in età di soli 22 anni ebbe l'onore della corona Antonio Geraldini natio di Amelia nell’Umbria, che mandato da Innocenzo VIII nunzio in Ispagna fu in gran favore [p. 1447 modifica]TERZO »447 presso qtte' principi, e ne riportò grandi testimonianze di onore e di stima, ma fu da morte immatura rapito in età di soli 32 anni nel 1489 i'i Marchetta nell’Andaluzia. Il Zeno parla esattamente delle opere da lui composte, fra le quali si hanno alle stampe dodici Elegie sulla Vita di Cristo (a). Ei reca ancora gli elogi che ce ne han lasciato gli scrittori di que’ tempi, e parla per ultimo di Alessandro di lui fratello, e delle opere di esso, fra le quali però appena vi è cosa che abbia veduta la luce. Questi sono i poeti a’ quali leggiamo che fu conceduto l’onor dell’alloro; e la serie che ne abbiamo tessuta, ci fa vedere senz’altro, che avvenne della poetica laurea ciò che suole spesso avvenire di tutti i contrassegni di stima accordati al merito ed al talento; cioè, che la brama di ottenerli in quelli che non ne son meritevoli, ne avvilisca il pregio presso coloro che ne sarebbon più degni. In fatti non veggiamo che si curasser punto della corona nè il Poliziano, nè il l’ontano, nè altri più eleganti poeti; e fin da’ tempi di Federigo, che fu il più prodigo di questo onore, Mario Filelfo, benchè egli ancor laureato, se ne sdegnò per tal modo, che scrisse una lunga Satira in versi con questo titolo: Jo. Marii Philelp. Artium et utriusque Juris Doctoris Equitis Aureati et Poelae (a) Alle cose che Apostolo Zeno ha dette di Antonio Gei-aldini, conviene aggiugnere che l’opera intitolata Jlucolùa Sacra fu la prima volta stampata in Koma 1 anno GH5, come dopo inousignor Mansi lia avvedilo il 1\ Auiiitfcdi (Cai. ioin. E dii..tace, ir, p. atiq). [p. 1448 modifica]i448 unno Laureati, Sati ra in vulgus Equi timi auro notatorum, Doctorumque faculta!uni omnium, co~ mitumquc Palafinorimi, et Poetarurn laureatoni m, quos paulo ante Jmperator Feiler'ccus insignivit. Essa conservasi in un codice a penna della libreria Saibante in Verona, e mi è stalo genti luiente conceduto di trarne copia. Io non ne produrrò che pochi de’ primi versi, co’ quali conchiuderò questo capo: Tb'ira litote Jovi pueri: spargantur ubique Laurea serta domi: decrescat! laurus; et omnis Porta coronetur festa sine murmure fronde. Te •npus adirne ntillis concessum Regibus aevo Accidit ecce novo: Doctorum turba Poetas Alque Equitesseqiiìlur,Coiuitumque pie) quos aula Palati Nominat, hos referunt turmatim lustra catervis. Undique convenias plebejo sanguine cretos. Horum alius remo pelagus sulcaverat acer, Et secuit pontum longis modo navibus; illum Et tabulis vidi longis componere silvas, ec.