Sulle frontiere del Far-West/CAPITOLO XIX - Sioux contro Corvo

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CAPITOLO XIX - Sioux contro Corvo

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CAPITOLO XIX.


Sioux contro Corvo.


Nuvola Rossa riaccese per la terza volta il calumet, si accomodò sulla pelle di bisonte arrotolata che gli serviva di sedile, quindi prese una delle due tazze e si mise a centellinare il contenuto, facendo scoppiettare la lingua.

Yalla aveva lasciata piena la sua. Il volto della fiera donna a poco a poco assumeva un aspetto sempre più duro, sempre più feroce, mentre i suoi occhi diventavano quasi fosforescenti.

Una collera terribile doveva avvampare, in quel momento, nel cuore della sakem dei formidabili Sioux, collera che Nuvola Rossa indovinava, ma che lo lasciava perfettamente impassibile.

Fra quei due strani esseri durò un lungo silenzio, interrotto solo dal grido delle sentinelle vigilanti intorno al vastissimo campo.

Fu ancora Yalla che per la prima lo ruppe, poichè pareva che Nuvola Rossa avesse giurato di consumare tutta la provvista di moriche offertagli da Mano Sinistra, ed anche di asciugare completamente la fiasca, prima, d’incomodarsi a snodare la lingua.

— Dunque i figli del colonnello sono ancora liberi — disse.

— Mi pare di avertelo detto — rispose Nuvola Rossa — mentre tu ti sei dimenticata di dirmi se il colonnello è morto.

— Se l’ho scotennato!...

— Chi?

— Io — rispose Yalla, freddamente.

Nuvola Rossa la guardò con una certa ammirazione.

— Hai fatto bene — disse poi. — Io però ho i miei dubbi che tu l’abbia finito. Un uomo, anche scotennato, può sopravvivere se non ha ricevuto delle altre ferite.

Nella mia tribù vi sono parecchi guerrieri che hanno subìto quella poco piacevole tortura, e li ho veduti mangiare e bere con non minore appetito di me, pur dolendosi di provare, di tratto in tratto, specialmente durante i cambiamenti di tempo, degli intensi e talvolta insopportabili dolori al capo.

— È vero quello che mi dici? — chiese Yalla, mentre il suo viso manifestava una intensa gioia selvaggia. — Soffrono proprio molto?

— Sì.

[p. 190 modifica]— Così soffrirà anche lui.

— Chi?

— Il colonnello.

— Ah!... Non l’hai dunque finito? Credevo che tu gli avessi strappato il cuore.

— A Yalla non bastava la morte.

— Per tutti i cattivi genî della notte, sei una squaw che spaventi!... — esclamò Nuvola Rossa, il quale non aveva potuto frenare un brivido.

— Per te sono la tua squaw: per gli altri sono una guerriera — rispose Yalla orgogliosamente.

— Eri però la squaw anche del viso-pallido.

— E mi sono vendicata del suo abbandono. —

Un risolino incomprensibile agitò le labbra del Corvo.

Fra loro due vi fu un altro breve silenzio, poi Nuvola Rossa, il quale non cessava di fumare e di riattizzare il fuoco, riprese:

— Dove l’hai preso?

— Sulle ultime rocce della gola del Funerale — rispose Yalla. — Avevo giurato di vendicare il povero Uccello della Notte che egli aveva fatto fucilare...

— Ignorando probabilmente che era suo figlio — completò Nuvola Rossa.

— Non importa: era suo figlio e basta!...

— È vero che hai fatto rubare il cadavere dell’Uccello della Notte?

— Sono stata io a staccarlo dalla roccia alla quale era stato legato. Forse nessun altro avrebbe osato tanto, poichè i visi-pallidi vegliavano all’uscita del cañon.

— E dopo?

— Ho guidato i miei guerrieri alla carica ed abbiamo messo in fuga tutti gli uomini del colonnello.

— E quanti dei tuoi ne hai lasciati sul terreno? — chiese Nuvola Rossa, ironicamente.

— Io ho contato le capigliature dei visi-pallidi e non quelle dei miei guerrieri caduti nella gola, perchè erano rimaste sulle loro teste.

— E non hai risparmiato che il colonnello?

— Lui solo — rispose Yalla, con voce cupa.

— E l’hai scotennato?

— Ti ho mostrata la sua capigliatura. —

Nuvola Rossa riempì un altro bicchiere d’aguardiente e lo vuotò d’un sol fiato.

— Pel buon Manitou e per tutti i figli del Grande Spirito e dei bisonti delle praterie, tu sei una donna che fai paura! A quando la mia capigliatura?

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Farebbe una figura migliore di quella del colonnello, poichè e più lunga e sempre nerissima come la tua. —

Yalla scrollò le spalle e per non rispondere a quella terribile domanda, fatta dall’indiano con intenzione, si mise a centellinare a sua volta l’aguardiente, dicendo:

— Fa freddo in questo wigwam, quantunque il fuoco arda. —

Nuvola Rossa la guardò maliziosamente e prima di rispondere lanciò in aria tre o quattro grosse boccate di fumo, avvolgendosi interamente in una specie di nebbia assai acre.

— Ed ora, — disse qualche minuto dopo — dov’è?

— In mia mano, — rispose Yalla.

— Nei campi degli Sioux?

— No: in un luogo sicuro però, guardato da pochi fidati guerrieri.

— Deve fare una brutta figura senza la capigliatura.

— Non lo so.

Hug! — fece Nuvola Rossa, aumentando le aspirazioni della sua pipa. — E credi tu di conservarlo?

― Avrò sempre il mio tomahawah per finirlo, — rispose la crudele donna.

— Perchè io sono un uomo da non tollerare dei rivali, mi hai capito, Yalla? —

Un riso crudele contorse le labbra della sioux.

— Di che cosa avresti paura tu? Di un uomo scotennato? Quelle teste fanno troppo ribrezzo!... — disse — E poi fra me e lui vi è di mezzo il sangue dell’Uccello della Notte!...

— Eh, chissà!... Le donne della nostra razza hanno sempre preferito i visi-pallidi a quelli rossi, — disse il sakem.

— Tu vorresti indurmi ad ucciderlo.

— Sarebbe meglio che scomparisse per sempre, ora che lo hai ridotto in quello stato.

— Tu non conosci tutte le raffinatezze d’una vendetta lungamente pensata e lungamente attesa.

Voglio godere ancora, mio sakem. Aspetta che io abbia nelle mie mani anche i suoi figli e vedrai.

— Vorresti scotennare anche quelli?

— Non lo so, — rispose seccamente Yalla. — È un affare che riguarda me sola.

— Tu sei più crudele delle femmine dei giaguari.

— Sono una sioux.

— Lo so da molto tempo, — disse Nuvola Rossa, un po’ beffardamente. — Si dice però che anche le femmine dei giaguari si ricordino dei loro figli.

— Che cosa vorresti dire? — chiese Yalla.

— Che è un po’ di tempo che tu sei qui e che parli e che non mi hai ancora chiesto se Minnehaha, la nostra figlia, sia viva o morta.

[p. 192 modifica]Hai trovato il suo cadavere nel cañon del Funerale? Io credo di no.

— Infatti non ho raccolto che quello dell’Uccello della Notte, — rispose Yalla. — Che sia caduta durante il combattimento?

— No: è viva perchè io l’ho salvata.

— Tu!...

— Ti stupisci? È vero che io sono un Corvo, io!...

— E dove si trova ora? — chiese Yalla, senza manifestare alcuna commozione.

— L’ho lasciata insieme a tre visi-pallidi che il colonnello ha mandato in soccorso dei suoi figli.

Non inquietarti per Minnehaha perchè vale te per astuzia, per audacia ed anche per crudeltà.

— Non la uccideranno?

— Non sono dei veri banditi per prendersela con una fanciulla che apparentemente sembra innocua.

— E che accoltella quando le si presenta l’occasione, — disse Yalla. — Sai che il colonnello non è ancora guarito dalla ferita che ha ricevuto da Minnehaha?

— Chi ti ha detto che nostra figlia aveva tentato di ucciderlo?

— Lui stesso.

— È grave la ferita?

— Profonda, ed i miei guerrieri devono essere riconoscenti a Minnehaha, poichè non essendo il colonnello più in grado di guidare i suoi uomini, il nostro attacco fu reso più facile.

— Quando vuoi che partiamo per sorprendere l’hacienda?

— Prima della fattoria occupiamoci dei tre visi-pallidi che tengono Minnehaha. Saranno tre rifles di meno che difenderanno i figli del colonnello.

— Io avevo pensato diversamente, tuttavia farò quello che vorrai, — rispose Nuvola Rossa. — Forse tu hai ragione più di me, quantunque Minnehaha avrebbe potuto esserci più utile nell’hacienda che con noi.

Hug!... Una fanciulla!... — esclamò Yalla, quasi con disprezzo. — Avrà del tempo prima di raggiungere sua madre.

Dove hai lasciati i visi-pallidi?

— A quattro o cinque miglia da qui.

— Li sorprenderemo prima che si rimettano in marcia. Va’ a cercare Caldaia Nera, mettiti d’accordo con lui, scegli duecento guerrieri fra sioux ed arrapahoes, numero sufficiente per assalire ed espugnare l’hacienda, e lasciami riposare qualche ora.

È da ieri mattina che non scendo da cavallo.

— La mia squaw comanda come un sakem, — disse Nuvola Rossa con malumore.

— Forse che tutti gli Sioux non mi ubbidiscono?

— Ma io sono tuo marito, il tuo padrone. —

[p. 195 modifica]Yalla fece un gesto d’impazienza e andò a raccogliere il suo mantellone, gettandoselo sulle spalle.

— Mi hai capito? — chiese Nuvola Rossa.

— E che cosa vorresti dire? — domandò a sua volta la terribile donna lanciandogli uno sguardo quasi di sfida.

— Che sono anch’io un sakem.

— Va’ a farti obbedire dai miei guerrieri allora, — disse Yalla. — Essi non si occupavano nemmeno del colonnello.

— Quello era un viso-pallido, un nemico della razza rossa, mentre io sono un Corvo.

— Mi annoi, mio sakem, — soggiunse la donna — e ci farai perdere del tempo senza alcun profitto.

Non è con delle chiacchiere che si fa la guerra. Va’ a trovare Caldaia Nera, e lasciami in pace per qualche ora.

Ho anch’io il diritto di riposarmi.

— Una Yalla e sioux per di più, — osservò Nuvola Rossa, il quale pareva che fosse deciso a provocarla.

— Vattene!... Vi è nostra figlia da salvare.

— Ti ho detto che non corre alcun pericolo.

Hug!... Il mio sakem ha bevuto e fumato troppo questa notte.

Si riavvolse nel suo mantellone e si coricò accanto al fuoco, su una pelle di bisonte, chiudendo subito gli occhi.

Nuvola Rossa spezzò contro il suolo il calumet, prese il suo rifle e se ne andò, brontolando e minacciando, in cerca di Caldaia Nera.