Teoria degli errori e fondamenti di statistica/2.4

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2.4 Errori di misura

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2.4 Errori di misura

Come già accennato in relazione alla precisione di uno strumento, se si esegue una misura di una qualsiasi grandezza fisica si commettono inevitabilmente errori; conseguentemente il valore ottenuto per la grandezza misurata non è mai esattamente uguale al suo vero valore, che non ci potrà perciò mai essere noto con precisione arbitrariamente grande (diversamente da quanto accade con una costante matematica, come ad esempio ).

Quando si ripete la misura della stessa grandezza col medesimo strumento, nelle medesime condizioni e seguendo la medesima procedura, la presenza delle varie cause di errore (che andremo tra poco ad esaminare) produce delle differenze casuali tra il valore misurato ed il valore vero; differenze variabili da una misura all’altra, ed in modo imprevedibile singolarmente. In conseguenza di ciò, i risultati di queste misure ripetute (se lo strumento è abbastanza sensibile) fluttueranno apprezzabilmente in maniera casuale in un certo intervallo: la cui ampiezza definirà la precisione delle misure stesse. Gli errori di questo tipo si dicono errori casuali, e la loro esistenza è facilmente accertabile con l’uso di un qualsiasi strumento sensibile.

Tuttavia, certe cause di errore possono dar luogo a una discrepanza tra valore misurato e valore vero che si riproduce inalterata in una serie di misure ripetute: e la inosservabilità delle fluttuazioni non garantisce affatto che tale discrepanza sia inferiore all’incertezza di lettura dello strumento; né si può esser certi che essa sia contenuta entro l’intervallo di variabilità degli errori casuali (quando esso sia maggiore dell’incertezza di lettura).

Gli errori di questo secondo tipo si dicono errori sistematici e sono i più insidiosi, perché non risultano immediatamente identificabili. Cause di [p. 13 modifica]errori sistematici possono essere quelle elencate nel seguito (ma la lista non è necessariamente completa):

1. Difetti dello strumento, risalenti alla costruzione o conseguenti al suo deterioramento. Ad esempio, in una bilancia con bracci di lunghezza diversa, l’uguaglianza dei momenti applicati ai due bracci ed assicurata dall’equilibrio del giogo non implica l’uguaglianza delle masse ad essi sospese: perché una massa minore sospesa al braccio più lungo produrrà una azione atta ad equilibrare quella esercitata da una massa maggiore sospesa all’altro (questo errore si potrebbe anche classificare nel tipo 6, cioè come errore di interpretazione del risultato).

Un altro esempio è quello di un goniometro eccentrico, cioè avente la croce centrale o l’asse di rotazione in posizione diversa da quella del centro del cerchio recante la graduazione: ciò determina come conseguenza misure di angoli acuti sistematicamente errate per difetto o per eccesso a seconda della posizione del centro presunto rispetto agli assi 0°— 180° e 90°— 270° del goniometro.

Lo zero di una scala (ad esempio di un termometro) può essere spostato dalla posizione corretta di taratura, per cui tutte le letture saranno in difetto o in eccesso a seconda del verso di tale spostamento. Oppure la scala stessa dello strumento può essere difettosa: così, se il capillare di un termometro non ha sezione costante, anche se le posizioni corrispondenti a due punti fissi come 0° e 100°C fossero esatte, le temperature lette risulterebbero in difetto in un tratto della scala ed in eccesso in un altro tratto.

2. Uso dello strumento in condizioni errate, cioè diverse da quelle previste per il suo uso corretto. Tale è l’uso di regoli, calibri e simili strumenti per misurare le lunghezze, o di recipienti tarati per la misura dei volumi, a temperature diverse da quella di taratura (generalmente fissata a 20°C); infatti la dilatazione termica farà sì che lunghezze e volumi risultino alterati, in difetto o in eccesso a seconda che si operi a temperatura superiore o inferiore.

Si può naturalmente commettere un errore anche usando lo strumento a 20°C, quando ciò che interessa in realtà è conoscere il valore di una grandezza dipendente dalla temperatura (la lunghezza di un oggetto, il volume di un corpo, la resistenza elettrica di un filo o qualsiasi altra) ad una temperatura diversa da 20°C.

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3. Errori ai stima da parte dello sperimentatore: un esempio di questo tipo di errore si ha quando, nello stimare una certa frazione di divisione di una scala graduata, lo sperimentatore tende a valutarla sempre in difetto o sempre in eccesso; oppure quando, nel leggere la posizione di un indice mobile posto di fronte ad una scala graduata (non sullo stesso piano), lo sperimentatore tenga il proprio occhio sistematicamente alla sinistra o alla destra del piano passante per l’indice ed ortogonale alla scala stessa (errore di parallasse). Proprio per evitare questi errori di parallasse, dietro gli indici mobili degli strumenti più precisi si pone uno specchio che aiuta l’osservatore a posizionarsi esattamente davanti ad esso.

4. Perturbazioni esterne; un esempio di errori di questo tipo è la presenza di corpi estranei, come la polvere, interposti tra le ganasce di un calibro e l’oggetto da misurare: questo porta a sovrastimarne lo spessore.

Un altro esempio è la misura della profondità del fondo marino o fluviale con uno scandaglio (filo a piombo) in presenza di corrente; questa fa deviare il filo dalla verticale e porta sempre a sovrastimare la profondità se il fondo è approssimativamente orizzontale.

5. Perturbazione del fenomeno osservato da parte dell’operazione di misura. Tra gli errori di questo tipo si può citare la misura dello spessore di un oggetto con un calibro a cursore, o col più sensibile calibro a vite micrometrica (Palmer); l’operazione richiede l’accostament0 delle ganasce dello strumento all’oggetto, ed effettuandola si comprime inevitabilmente quest’ultim0 con una forza sia pur piccola: e se ne provoca perciò una deformazione, con leggera riduzione dello spessore.

6. Uso di formule errate o approssimate nelle misure indirette. Un esempio è offerto dalla misura indiretta dell’accelerazione di gravità g, ottenuta dalla misura della lunghezza (cosiddetta ridotta) l di un apposito tipo di pendolo (di Kater) e dalla misura del suo periodo di oscillazione ,utilizzando la formula

(2.1)

ottenuta dalla nota espressione del periodo

. (2.2)

Ma questa formula vale solo, al limite, per oscillazioni di ampiezza [p. 15 modifica]infinitesima; mentre una formula che meglio approssima la realtà è1

ed essa mostra come il periodo T sia una funzione leggermente crescente dell’ampiezza massima delle oscillazioni (qui espressa in radianti). L’uso della formula (2.1) di prima approssimazione per determinare g comporta dunque una sua sottostima, che diviene tanto più sensibile quanto maggiore è : questo in quanto si usa in luogo di la durata T di una oscillazione reale avente ampiezza non nulla — e perciò sempre superiore a .

La medesima misura è affetta anche da un’altra causa di errore sistematico, originata dal fatto che il pendolo non ruota oscillando attorno al filo orizzontale del coltello di sospensione; ma compie un moto in cui il profilo del taglio del coltello (che è approssimativamente un cilindro con raggio di curvatura minimo dell’ordine dei centesimi di millimetro) rotola sul piano di appoggio. A causa dell’impossibilità di una perfetta realizzazione meccanica dell’apparato, il fenomeno osservato è diverso da quello supposto che si intendeva produrre: e la sua errata interpretazione comporta una sovrastima di g.

Infatti la formula del periodo, corretta per questo solo effetto, risulta essere

(in cui r è il raggio di curvatura del filo del coltello ed a la distanza del centro di massa dal punto di appoggio) ed il T reale è sempre inferiore al definito nell’equazione (2.2).

Un modo per rivelare la presenza di errori sistematici insospettati può essere quello di misurare, se possibile, la stessa grandezza con strumenti e metodi diversi; questi presumibilmente sono affetti da errori aventi cause diverse e possono fornire perciò risultati differenti. Tuttavia neppure l’assenza di questo effetto dà la certezza che la misura sia esente da errori sistematici, ed essi sono generalmente individuati solo da una attenta e minuziosa analisi critica: sia dello strumento usato, sia della procedura seguita nella misura. [p. 16 modifica]

Una volta scoperto, un errore sistematico può essere eliminato: modificando o lo strumento o la procedura, oppure ancora apportando una opportuna correzione al risultato della misura (sebbene questo comporti generalmente un aumento dell’errore casuale: il fattore di correzione deve essere ricavato sperimentalmente, e quindi sarà affetto da un suo errore intrinseco).

Le prime cinque categorie sopra citate come possibili cause di errori sistematici, possono produrre anche errori casuali: così, per il primo tipo, gli inevitabili giochi meccanici e gli attriti tra parti dello strumento in moto relativo possono dar luogo a risultati fluttuanti; per quanto riguarda il secondo tipo, condizioni ambientali variabili e non del tutto controllabili (come temperatura e pressione) possono produrre variazioni imprevedibili del risultato.

Lo sperimentatore non ha un comportamento fisso e costante sia nelle valutazioni che nelle azioni compiute durante l’operazione di misura; come un esempio di questo terzo tipo di errori si consideri l’imprevedibile variabilità del tempo di reazione nell’avvio e nell’arresto di un cronometro a comando manuale.

Anche i disturbi esterni (quarto tipo), potendo essere di natura e intensità variabile, produrranno errori di un segno determinato (sistematici), ma di entità variabile ed imprevedibile; dunque, in parte, anche casuali.

Si aggiunga a ciò che disturbi casuali possono essere presenti nello strumento stesso per la costituzione corpuscolare della materia e per la natura fondamentalmente statistica di certe grandezze fisiche. Così l’equipaggio mobile, sospeso ad un filo lungo e sottile, di una bilancia a torsione di estrema sensibilità, avrà posizioni fluttuanti attorno a quella di equilibrio: non solo a causa del bombardamento incessante cui esso è sottoposto da parte delle molecole del gas circostante; ma anche nel vuoto assoluto, per l’agitazione termica dei suoi stessi costituenti.

Infine, anche le cause del quinto tipo possono dar luogo ad errori casuali se il disturbo del fenomeno o dell’oggetto prodotto dall’operazione di misura è di entità variabile e non controllata.

Alle cause comuni con gli errori sistematici si deve qui aggiungerne una ulteriore e tipica degli errori casuali, e consistente nella imperfetta definizione della grandezza che si intende misurare. Anche restando nell’ambito della fisica classica (e come accennato in relazione ai disturbi delle misure), certe grandezze, quali la pressione e la temperatura, sono in realtà legate a delle medie statistiche, come l’energia cinetica media molecolare; in quanto tali esse hanno un’indeterminazione intrinseca, che tuttavia non si manifesta nelle misure relative ad oggetti e fenomeni macroscopici se non in casi eccezionali. [p. 17 modifica]

Ad un livello meno fondamentale, se si misura più volte con un calibro il diametro di un oggetto sferico può avvenire che i risultati siano leggermente diversi di misura in misura; questo perché l’oggetto non può essere perfettamente sferico, ed ogni suo diametro ha una lunghezza generalmente diversa da quella di un altro.

Per concludere, gli errori casuali:

  • Sono osservabili solo con uno strumento sufficientemente sensibile, cioè quando sono di entità maggiore dell’incertezza di lettura della scala.
  • Possono essere ridotti; ad esempio migliorando le caratteristiche dello strumento, o controllando più strettamente le condizioni del suo uso e dell’ambiente e precisando meglio la procedura di esecuzione della misura: ma ciò con difficoltà crescente sempre più con la precisione. Non possono quindi mai essere eliminati.
  • Posseggono tuttavia certe proprietà statistiche, che studieremo nell’ambito di una teoria matematica che verrà affrontata nei prossimi capitoli; la loro entità può pertanto essere stimata.

Compito della teoria dell’errore è appunto quello di stimare l’errore presumibilmente commesso nell’atto della misura, a partire dai dati sperimentali stessi. Riassumendo:

Scopo della misura di una grandezza fisica e il valutare sia il rapporto della grandezza stessa con una certa unita di misura, sia l’errore da cui tale rapporto e presumibilmente affetto.

Il risultato delle misure dovrà quindi sempre essere espresso in una forma del tipo

m

in cui compaiano le tre parti valore, errore ed unità di misura.

Note

  1. Riguardo a questo punto ed al successivo, per una discussione approfondita del moto del pendolo si può consultare: G. Bruhat - Cours de Mecanique Physique - Ed. Masson, pagg. 311-321.