Trento e suoi contorni. Guida del viaggiatore/Suburbano di Trento

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Suburbano di Trento

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Gli edificii più ragguardevoli della città Peregrinazioni nel contado di Trento
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SUBURBANO DI TRENTO


Chi sorte da porta Bresciana o di S. Lorenzo, si conduca sul ponte nuovo, e si faccia a considerare da vicino l’antica parocchia che gli sta di fronte alla cui veneranda età tanti secoli perdonarono.

Il tempietto di Piedicastello se non fu ai tempi dei Romani, come avvisano alcuni (Mariani) dalla somiglianza del nome Apolline o Apollinare, alla memoria del quale è intitolato, è senza dubbio antichissimo, forse l’unico della nostra Diocesi che conservi le sembianze originali.

Il barone Giangiacomo Cresceri in una nota al suo dotto ragionamento intorno all’iscrizione d’Augusto addossata alle pareti di questa chiesa per essere di gusto gotico arguisce che l’epoca di sua fondazione non sorpassi il secolo VI, nè sia posteriore al XVI. Non ci è dato di precisare con istorica sicurezza il secolo in cui sorse, ma riflettendo che dove trovasi al presente Piedicastello, ivi probabilmente ebbe principio la città di Trento per la vicinanza del forte Verruca che da questo protetta avrebbe occupata in pari tempo una strategica situazione, e il titolo di S. Apollinare, coetaneo di S. Pietro, in quanto che si assumono a santi titolari quelli più recenti, la sua struttura semplice e le sdruscite pareti ci persuadono della sua prisca origine.

Da un documento del padre Bonelli apparisce che [p. 75 modifica]S. Apollinare [p. 77 modifica] questa chiesa in origine era pieve (plebis, parrocchia), e che in seguito divenne proprietà dei Benedettini di S. Lorenzo, de’ quali non si può accennare Abbate più antico di Lanfranco, ch’ebbe la conferma di quella proprietà da Papa Lucio III. Dal citato documento apparisce ancora che alla pieve di S. Apollinare apparteneva tutto quel tratto che da Piedicastello si distende fino a Romagnano (prata et praedia romaniana) e verso settentrione fino alla Vella.

Nel secolo XV per disposizione di Martino V questi beni dei Benedettini furono convertiti nella prebenda della Prepositura istituita dal medesimo pontefice nel Capitolo della nostra Cattedrale.

Abbelliscono tuttavia le pareti del tempio alcuni dipinti sul legno molto apprezzati dallo intelligente architetto A. Essenwein. In una sua dissertazione su questo tempietto encomia il sistema delle vôlte, e riprodusse illustrate con incisioni in legno le guarniture, i fregi e i capitelli. Riconosce molto merito di antichità e di scuola negli affreschi sulla facciata, e nota le proporzioni e le forme singolari del gigantesco S. Cristoforo. Nel 1760 in occasione che si alzò il pavimento della chiesa fu asportato nello interno della stessa un venerabile affresco rappresentante l’ imagine di Maria Vergine col bambino Gesù. Osservate quell’antico affresco e meditate quanti dei nostri predecessori confidarono a quella sacra reliquia risparmiata dal tempo i loro affanni, i loro voti, le loro speranze, quante spente generazioni benedissero quel bambino, e poi sentirete che vi piove qualche cosa di dolce nel cuore. Arde perenne davanti un lumicino acceso dalla Fede dei devoti, che traggono da lontani paesi a compiere il loro voto. Aceresce la religiosa commozione l’antichità di quelle pareti, la solitudine del luogo, il melanconico silenzio che vi circonda lo confesso di sentirmi più edificato avanti [p. 78 modifica] queste sacre imagini prodotte dai pennelli de’ nostri maggiori di quello sia dalle recenti quantunque elegantissime, perchè rapportandomi a quelle epoche lontane riconosco che v’era più fede, più virtù, e più carità di patria.

La struttura di questo tempietto spetta senza dubbio allo stile gotico, come lo dimostra l‘arco a sesto acuto delle bislunghe finestre e l’angolo acutissimo del tetto; e pare che ci ricordi d’essere stato contemporaneo alle mura di Trento. Le sue pareti sono istoriate di illustri ricordi dell’epoca romana; nei pilastri angolari si osservano incuneati molti fregi di classica scuola, come sarebbero grifoni, ruderi di colonne canalate, ornati di modanature, e i seguenti brani di lapidi romane.

La più ragguardevole di tutte è la lapide situata alla base del pilastro che guarda oriente, illustrata dal barone Giangiacomo Cresceri, dalla quale apparisce che Augusto impose al suo Legato M. Appulejo di fabbricare una rôcca sul dosso Verruca; è così concepita:

IMP. CAESAR. DIVI. F

AVGVSTVS. COS. XI. TRIB.

POTESTATE. DEDIT

M. APPVLEIVS. SEX. F. LEG.

IVSSV. EIUS. FAC. CVRAVIT


In occasione che ora si ristaura la chiesa, collo scopo di rassodare e racconciare questo nobile monumento, non già di rifarlo, sarebbe desiderabile che questa lapide, una delle più ragguardevoli nella storia del Trentino fosse tolta di là, e trasferita nel palazzo municipale assieme alle sue sorelle, giacchè chi ben l’osserva si ac[p. 79 modifica]corge che le vicende atmosferiche alterarono la superficie, e non vorressimo che il tempo cancellasse le lettere. L’urna marmorea situata a fianco della chiesa che accoglie i resti di Giacomo Micheli, pittore trentino che‘ prometteva una fama imperitura, e tolto ai vivi sul mattino della vita, è lavoro del nostro Varner.

Di belle forme è pur la vicina chiesa di S. Lorenzo, ove in antico stanziavano i monaci Benedettini, che tenevano anche la chiesa di S. Apollinare, ai quali subentrarono poi i Domenicani. Quando vi si officiava l’adornavano varie pitture e ricche suppellettili. Si encomia il campanile per la vaga struttura. Ne’ chiostri giaciono sepolte persone ragguardevoli che intervennero al sacro Concilio, fra le quali Pietro de Soro (morto nel 1563). Negli anni andati, nel giorno di S. Loronzo v’era gran festa; il più de’ cittadini traevano fuori della città, e il ponte di legno sull’Adige serviva di Merceria.

Inoltrandosi nel sobborgo di Piedicastello si fa capo in un casino circondato di frondi e di poggetti al piede di una rupe scoscesa che sopra gli pende. In quel casino aperto ad uso di birraria si gode lo spettacolo d’una pittoresca veduta, una delle più belle posizioni in cui si presenta la città co’ suoi contorni.

Proseguendo la via lungo il vecchio tronco dell’Adige che porta a Ravina possiamo visitare la cascata di Sardagna alta 484 piedi di Parigi. Giunti alla villetta di Pisavaca, dove ne’ secoli andati v’era un castello dello stesso nome, si passa a Ravina, e di là al sito detto la Torre dell’Orco che mette in un luogo segregato ove sorge un edificio di singolare architettura. Più sale e camere di questa solitaria abitazione sono dipinte a fresco, e rappresentano fatti della sacra storia o avvenimenti de’ tempi di Carlo V. V’è il Borbone ferito sotto le mura di Roma; Francesco re de’ Francesi al cospetto di Carlo dopo la battaglia di Pavia. È mirabile [p. 80 modifica] la freschezza dei colori, che dopo tanti secoli non patirono alterazione di sorta. Chi li vuole di Giulio Romano, chi del Romanino. La quantità dei quadri conservati, le forme singolari ed antiche de’ mobili, l’aspetto severo dell’edificio comunicano allo insieme un non so che di strano, di romanzesco e di claustrale.

Se uscite da porta Aquileja (dell’Aquila) o da porta Nuova vi si apre davanti Piazza d’Armi, alla quale fanno ghirlanda i colli, i casini, le spalliere, gli orti; agiatissimo teatro a ogni maniera di feste popolari. La inchiudono il convento delle Suore della Carità, gli stabilimenti Cristellotti e Paor destinati ad uso di bagni, varii recenti fabbricati costruiti con buon gusto; verso settentrione qual fondo della scena si presenta la parte posteriore del castello, e spicca sul colle il convento dei frati cappuccini. Nel margine superiore la circonda con molta grazia la balaustrata a semicerchio che fiancheggia la via Nuova, simile a loggia sovrastante all’anfiteatro. Se vi ricreate di paesaggi e di situazioni romanzesche non trascurate d’internarvi nell’angusta via che porta ai mulini della città, e al convento dei frati minori riformati situato su amenissimo poggio. Compartiscono a quel romitaggio un non so che di soave e di melanconico i piramidali e fosco-verdi cipressi che l’attorniano sul monte. Sotto a quelle ombre silenziose respira la pace. Il convento è provveduto d’una ricca biblioteca, dove si conservano i pazienti lavori del P. Giangrisostomo da Avolano, e del P. Bonelli da Cavalese, il più diligente cronista del Trentino. Que’ buoni cenobiti vi faranno conoscere la sua imagine fra quelle d’altri benemeriti Padri, che pendono nel refettorio. Dechinando dalla comoda scalea del cenobio spalleggiata di annosi bagolari, a mezzo di un andito si riesce sulle grosse barriere che proteggono la città dai guasti del Fersina. In quel seno romito romoreggia il torrente [p. 81 modifica]Convento dei PP. Francescani. [p. 83 modifica] precipitando dalla serra sopra la quale s’inarca con ardita volta il ponte Cornichio che campeggia fra le macchie de’ boschetti. Passeggiando il viale ombreggiato da castagni d’India si giunge al ponte del Fersina, da dove fra lunga riga di pioppl si scende alla città.

Precedono allo ingresso varii fabbricati; il più notevole è il civico ospitale pressoché rifatto da capo a fondo. La costruzione è regolare, comoda e condotta con molta proprietà. I cronisti parlano d’un antico spedale di S. Croce (fra il 1173 al 1183) situato non lungi dall’attuale ex-convento de’ cappuccini, che ora trovasi aggregato a questa pia fondazione. A fianco dell’arco a tre porte per cui si discende al Camposanto sorgono due vasti edificii industriali, il filatoio de’ Ciani, e la filanda de’ baroni Salvadori.

Il camposanto di Trento è un opera magnifica che veramente onora la nostra età. Chi di noi ricorda quel desolato campo di croci ove non penetrava pensiero gentile e l’animo si aggelava sulla soglia offeso dal nudo squallore della morte, osservando ora la fuga delle colonne che sorreggono il maestoso porticato di cinta, e tutto l’aspetto del cimitero mitigare colla pietosa ricordanza dei viventi il dolor degli estinti, non può a meno di congratularsi colla patria. Le colonne che sopportano il portico sono di marmo bianco, d’un solo pezzo, d’ordine dorico. Il buon gusto delle prime lapidi apposte sopra le edicole servì d’esempio a non deturpare lo stile del tutto, e sono di buona scuola le membrature ornate d’ovoli, i festoncini ed i fregi sparsi sulle lapidi. Molte ne scolpirono il Barelli e lo Spiera, ed è del Varner la lapide di marmo di Carrara dedicata alla famiglia de’ baroni Bertolini di stile bramantesco, rappresentante nella parte inferiore due diramazioni di foglie d’acanto, dal seno delle quali escono due cornucopie. La decorazione circoscrive lo stemma [p. 84 modifica] della famiglia, e fregia in pari tempo il contorno. Riuscì felicemente l’artista nello svolgere, aggruppare e ammorbidire la mossa del fogliame, talchè pare che l’aria lo agiti. L’oratorio compito nel 1858, alla forma grave e austera d’un panteon unisce la semplicità e l’eleganza. Fu costruito dai fratelli Domenico e Celso Barelli dietro disegno di Pietro Dalbosco. Si ascende al tempietto per un’agevole gradinata che mette nell’atrio sostenuto da quattro colonne di marmo bianco. Il pavimento è un aggregato di pietruzze nere e bianche combinate con diligente magistero e disposte a segmenti concentrici. Sottostanno al pavimento le vôlte massiccie sostenute da sedici pilastri, in mezzo alle quali sorge un perno centrale. Poggia la vôlta della cupola su sedici colonne di marmo bianco levigate, coi capitelli intagliati nel fregio. Il diametro interno dell’oratorio tocca i quarantacinque piedi viennesi.

Presso il cimitero, proseguendo la via verso occidente, si scopre il palazzo delle Albere, che vuolsi architettato o dal Sanmicheli, o dal Serlio, di bell’aspetto, che quantunque abbandonato conserva ancora le impronte della primiera magnificenza. Fu costrutto per cura d’un Madruzzo vescovo principe, forse allo scopo d’accogliere ed onorare il giovane figlio di Carlo V imperatore, che poi fu Filippo II di Spagna. In questo palazzo ai tempi del Concilio soggiornava monsignor Vida, l’illustre poeta laureato cremonese. Qui ristoravasi negli estivi calori. Nei boschetti Madrucciani (in topiario opacissimo) conversava col Flaminio, coi cardinali Polo, del Monte, Madruzzo ai quali soleva leggere i suoi leggiadri versi; sotto queste ombre meditò l’opera dei Dialoghi sulla dignità della Repubblica. La via e le adiacenze erano una volta ombreggiate da pioppe, donde venne il nome al palazzo situato in un isola artificiale di forma quadrata, in ogni angolo guardato da torri. [p. 85 modifica]Cimitero. [p. 87 modifica] Le pitture che lo fregiavano, parte guastate dall’incendio, parte cancellate dalle intemperie, erano dei primi affrescanti di quel tempo; le scale, le sale, le peschiere, il giardino tutto spirava grazia, eleganza e grandezza; ora non si vedono che nudi rottami, solo restano le onorate memorie d’un secolo d’oro che trovava nei principi i patrocinatori del genio e delle arti. Restano ancora le amenità della situazione romita, ma pur deliziosa. Il corso dell’Adige fra le rupi scoscese e i campi ridenti, la roggia di Sardagna che ricorda le cascate di Tivoli romoreggiando e tempestando pel dirupato fianco, la vista della villa Catturani in grembo alle macchie, verso oriente le ville e i paeselli sparsi sui colli, la quiete creata per la meditazione rendevano questo solitario ridotto degno d’un Vida.

Ripigliando il cammino verso la città si affaccia un torrione costruito di marmo rosso a difesa della porta di Verona dal cardinale Lodovico Madruzzo, ora ridotto ad elegante caffè. Si spiana davanti la piazza di Fiera, opportuna palestra pei giuochi di palla e pallone. Offre una gradevole prospettiva il palazzo già abitato dall’illustre Canella, nome caro ai Trentini e conosciuto in Italia. Verso oriente si apre un breve ma ameno passeggio nella stagione primaverile e anche invernale in grazia dei tepidi soli ai quali è esposta quella situazione. Questo viale si chiama ancora S. Bernardino Vecchio dal convento eretto nel secolo XV, che più non esiste. Si osserva la filanda Ciani vasta e di recente costruzione, alla quale stà a lato un piacevole casino. Qui sospendiamo i passeggi al piano per disporci a visitare i vicini colli.