Un'escursione nei quartieri poveri di Londra/II

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II.


Il Principe di Danimarca; gli invitati pagano al caffè-danzante. — Pensione di marinai. — Dormitorio di operai. — La taverna dei ladri. — Un pick-pocket espansivo. — Locande ignobili. — Un prestigiatore che cangia l’argento in rame. — Quadri notturni. — Tre poverette. — Una prigione ben abitata. — Colpo d’occhio sul Tamigi. — Haymarket a mezza luce. — Londra miserabile ed i suoi visitatori. — Rimedii contro il pauperismo.


Il giorno appresso, all’ora fissata, noi eravamo alla stazione di polizia di Leman Street, dove l’ispettore Price ci aspettava. Egli aveva con sè due agenti vestiti alla borghese, ed un terzo coll’assisa ufficiale: cappello di tela cerata, abito nero a bottoni d’argento, calzoni neri, e sotto la manica dell’abito la bacchetta sacramentale, lo staff, che caratterizza il policemen. Ognuno di questi signori era inoltre munito di una di quelle lanterne cieche che si nascondono sotto i vestiti: arnese prezioso, senza del quale il constabile non cammina mai la notte a Londra.

Avendoci un amico accompagnato, noi eravamo otto persone contando il signor Price ed i suoi tre agenti. Eranvi dunque due occhi che vegliavano sopra ognuno di noi: potevamo essere tranquilli. Sfilammo silenziosamente due a due lungo il marciapiede. Ben presto, lasciando la via Leman, che è larga e ben [p. 76 modifica]tracciata, — considerazione da farsi, perchè nei più poveri quartieri di Londra si trovano alle volte grandi arterie che farebbero invidia a quartieri meno miserabili, — ci cacciammo in un dedalo di via strette e tortuose. Queste vie quasi deserte di giorno, erano ora molto animate.

Tutte le botteghe illuminate; le taverne piene fin sulla porta, dove spesso gli avventori stavano ad aspettare per poter entrare. Ad ogni passo incontriamo gruppi d’operai, di marinai mezzo ubbriachi, cantando o questionando. Agli svolti delle vie, bionde e pallide ragazze, la cui bellezza eguaglia qualche volta la gioventù, poverissimamente vestite, nudi i piedi e le gambe, la capigliatura in disordine, il petto appena coperto, avvicinavano i passanti con voce rauca. In tutto ciò era però un certo ordine, una certa calma; si comprendeva che l’ora degli ignobili saturnali non era ancora suonata, e che non si era ancora che sul principiare.

Il signor Price, per farci pazientare, ci conduce in Grace’s alley, al Principe di Danimarca, vasto stabilimento montato come un teatro. All’ingresso riconobbero la polizia e ci lasciarono passare senza biglietti. Il Principe di Danimarca è un caffè-cantante e danzante frequentatissimo; vi si mostrano anche cani e scimmie sapienti, e dei saltimbanchi vi fanno giuochi sul trapezio e sulla corda tesa. Tutto ciò ci divertì per un istante. Il pubblico del luogo pigliava grande interesse alla rappresentazione, e nulla notammo che ci sembrasse straordinario nei vestiti e nelle faccie degli spettatori. Decisivamente il signor Price voleva progredire a gradi. Non tardammo infatti ad entrare in diversi caffè-cantanti, dove alcuni marinai stranieri, mescolati a donne di bordello, componevano tutto il pubblico degli esecutori e degli spettatori.

In uno di questi caffè un ballerino dei più agili volle darci un saggio della gigue britannica. Era una meraviglia vedere questo ragazzaccio dimenarsi sulla scena fino a perdere il fiato. [p. 77 modifica]Il ballo (gigue) al caffè-danzante. [p. 78 modifica]Attorno a lui si faceva circolo: dei camerata, delle ragazze vestite da ballerine, delle donne più avanzate d’età, tutta quella gente infine non perdeva uno dei suoi scambietti. Noi dovemmo aspettare la fine; allora venne la sequela degli applausi, delle congratulazioni; ci fu quindi offerta della birra, del punch, e tanto graziosamente, che dovemmo accettare. «Col lupo bisogna urlare,» disse l’altro. Noi trincammo dunque con queste donne che per un momento erano venute a sedersi accanto a noi, senza che i loro compagni se ne fossero menomamente adontati, e noi non ne volemmo sembrare offesi davvantaggio. Nel ritirarci pagammo anzi le bibite che ci erano state offerte; il che dal lato delle nostre nuove conoscenze ci valse l’alto onore di essere accompagnati fino nella via e regalati dell’epiteto di gentlemen. Tuttavia non potevamo essere molto soddisfatti di tutte queste dimostrazioni di gentilezza, avuto riguardo alle persone che ce le facevano; ma bisognava fare di necessità virtù, cosa che il signor Price avea veduto ben altre volte. Del resto egli non volle nulla nasconderci e ci fece vedere le più ributtanti case di questi ignobili quartieri. Fummo sorpresi di trovarvi una calma ed una polizia generalmente sconosciuti in questi bassi luoghi. Trovammo anzi che le miserabili creature che abitano questi tristi recessi sembrano avere il sentimento dell’onta della loro posizione; esse si presentano ai loro visitatori inaspettati col rossore sulla fronte, la testa bassa, e rispondono con imbarazzo alle nostre domande.

La polizia, che vegliava sempre paternamente su noi, ci condusse quindi negli alberghi del quartiere. Cominciamo anzitutto dal visitare, in Well close Square, una pensione e casa mobiliata pei marinai. Non ho bisogno di dirvi che i signori pensionanti erano in questo momento tutti fuori di casa a festeggiare Bacco, malgrado l’ora tarda, che invitava al sonno. Il padrone della casa, John Seymour, non fu però meno orgoglioso di mostrarci le sue camere da cicerone bene istrutto. «Guardate come tutto è [p. 79 modifica]perfettamente disposto, ci diceva egli, come seppi trar partito dello spazio. In mare la mia gente non dorme che nelle amache; qui essi hanno delle vere cabine.» E ci mostrava delle specie di grandi cassettoni che aveano perduto il davanti dei loro cassetti: erano i letti dei marinai. «Guardate, guardate, continuava egli scoprendone parecchi per vantare la sua mercanzia, ognuno ha il suo pagliericcio, i suoi lenzuoli, la sua coperta. Uno di questi letti costa tre pence (trenta centesimi) per notte, ed ogni avventore ha un numero.» E difatti mastro John avea ragione: per il prezzo che pagavano i dormitori, la sua casa era veramente tenuta bene1.

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Giacchè avea cominciato a farci visitare degli appartamenti, il signor Price, volendo seguire nella nostra esplorazione quella regolarità che gli Inglesi cercano in tutto, ci condusse ad East London Chambers. Questo vasto stabilimento, che racchiude soltanto camere da operai, occupa cinque case di Wentwort Street. La sua disposizione è veramente notevole; nelle sale da pranzo sono posti separati come nelle trattorie della buona società, dove ognuno può prendere la sua refezione senza essere veduto dal suo vicino. È noto che gli Inglesi in certi luoghi pubblici amano d’essere separati gli uni dagli altri, come i cavalli nelle scuderie. L’Anglo-Sassone mette in pratica volentieri l’isolamento; egli è amico dell’io al disopra di ogni cosa. Contro i muri delle camere corrono delle file di letti numerizzati; ad ogni piano esiste un gabinetto da toilette. A pian terreno una cucina è a disposizione di quelli che vogliono farsi da mangiare da sè. Nella sala comune vi è un vasto camino sempre acceso. Qua e là sono appesi ai muri dei cartelli che raccomandano la decenza negli atti e nelle parole, ed ordinano ai pugillatori di andare altrove a praticare il pugillato. William Poole, il proprietario [p. 81 modifica]di questo stabilimento modello, ce lo mostrò con certo orgoglio. Resta a sapere se il contegno dei suoi ospiti corrisponda all’ordine che regna nella casa; il che è poco probabile, poichè nessuno dei locatari era ancora tornato a casa all’ora avanzata in cui noi visitammo lo stabilimento.

Mezzanotte era suonata da lunga pezza: le taverne e le vie si riempivano sempre più d’una folla pochissimo rassicurante. Alcuni mariuoli ci urtavano passando, ci osservavano freddamente colla coda dell’occhio, come per sapere di quale profitto noi potevamo essere per loro; ma ben presto, riconoscendo la polizia, affettavano maniere più disinteressate, alcuni arrivavano fino a salutare pulitamente il signor Price, chiamandolo pel suo nome.

In una taverna dove entrammo, taverna tutta piena di ladri, all thieves, mi disse l’ispettore: taverna rumorosa, animata da gruppi caratteristici; il signor Price fu di nuovo riconosciuto, salutato, festeggiato. Un ladro gli si presentò; lo vedo ancora: era un uomo piccolo, magro, schifoso, i capelli sparsi, la barba incolta, gli occhi senza ciglio, rossi, incerti, iniettati d’alcool; la faccia solcata di rughe, il naso schiacciato, senza dubbio, come quello di Michelangelo, da un pugno di un pugillatore; la pelle non aveva che il colore di una cartapecora sporca.

«Ah! mio caro signor Price, eccovi qui adunque, disse all’ispettore; come state, how do you feel?»

E gli prendeva la mano fra le sue e la baciava.

«Questo buon signor Price, il nostro ispettore, our dear inspector!» gridava egli mostrandolo ai suoi camerata, ed era quasi tentato di chiamarlo il padre dei ladri, la provvidenza dei pick-pockets

Il signor Price lo lasciava fare, calmo, impassibile, sempre dignitoso come conviene ad un Inglese, specialmente ad un ispettore di polizia; ma sembrava dire fra sè: «fanne qualche altra, mio caro, e vedrai se mi scappi. Ch’io ti colga colla mano nella [p. 82 modifica]tasca altrui, ed apprenderai se la polizia si lascia lusingare dalle tue carezze ipocrite.»

Gli altri ladri, quantunque meno espansivi, circondavano tuttavia il signor Price; e sembravano aver per lui una specie di deferenza, di rispetto filiale; alcuni alquanto alterati dal bere giungevano fino ad offrirgli un bicchier di wisky. E fra tutta quella gente non c’era forse un solo uomo che non avesse già avuto di che fare col signor Price o coi suoi agenti; tutti erano conosciuti come ladri matricolati, ma bisognava prenderli di nuovo in flagrante, ed intanto si lasciavano bere e lavorare colla loro industria, salvo ad arrestarli quando che fosse.

Lasciando la taverna prediletta dei pick-pockets, al cui paragone non regge la bettola del Coniglio Bianco, famosa non ha guari nella via delle Fave2, che i Misteri di Parigi resero tanto celebre, ci recammo a Flower and Dean Street, cioè nella via del Fiore e del Cigno. Questi nomi gentili contrastano singolarmente col luogo che stiamo per visitare. Era una locanda schifosa riservata specialmente ai vagabondi, ai mendicanti, alle donne dell’infima classe, ai ladri infine: lodging for tramps, beggars, prostitutes and thieves, mi susurrò all’orecchio il signor Price, sollevando con discrezione il battente della porta. Un vecchio portinaio venne barcollando ad aprirci; esso vegliava a quell’ora avanzata della notte, che questi quartieri fanno della notte giorno, e certamente non si fa pagare la multa che a quelli che entrano troppo presto. Pochi dormienti erano a letto nelle [p. 83 modifica]camere; nè si svegliarono al nostro avvicinarsi. Al rumore ansante delle loro respirazioni, al russare sonoro di uno di essi, ai movimenti bruschi e convulsivi che interrompevano il sonno d’un terzo, si capiva che ciascuno covava un’orgia recente. Da ogni lato era un riposo turbato da sogni, agitato dai fumi del gin, del brandy, dell’ale, o del porter, liquori ardenti tanto cari ai gorguzzoli britannici. La tenuta dello stabilimento era in relazione cogli ospiti che lo frequentavano: la scala era un vero trabocchetto; le muraglie schifosamente sucide, e di più un odore malsano, sui generis, esalava da per tutto dalle camere e dai corridoi: odore di abiti vecchi, sucidi, di vecchie scarpe, di cenci putridi, di tutto quanto si vorrà immaginare di più nauseante. Noi non potemmo resistere lunga pezza e domandammo di abbandonare quel luogo. Uscendo demmo un’occhiata al refettorio dove ammucchiati sulle panche e coricati per terra, a gruppi come i pidocchiosi di Murillo, dormivano poveri ragazzi appena coperti.

Questi piccoli vagabondi, i cui parenti a quell’ora erano certamente andati pei fatti loro, entravano così nella vita per la miseria, l’abbandono e l’ignoranza. Fanciulli predestinati al vizio ed alle prigioni, degni figli dei loro padri!... E come meravigliarsi, dopo aver veduto ciò, che il pauperismo estenda sempre più i suoi guasti a Londra, e che, malgrado tanti istituti di carità, il vagabondaggio, la mendicità, il furto, la depravazione, l’assassinio abbiano sempre sì numerosi proseliti nella moderna Babilonia?...

Se la via del Fiore e del Cigno presenta delle locande sì poco decenti, che dirò poi di quelle di Lower Keate Street frequentate dai più abili, dai più pericolosi ladri, thieves of the most expert class, come li qualifica l’ispettore Price che li conosce e bene? In questo luogo abitano quei pick-pockets dalla riputazione europea che mettono a contribuzione Londra e la gran Brettagna, preparando i loro colpi molto prima di eseguirli, al pari di veri [p. 84 modifica]

Un dormitorio in lodging house.

[p. 86 modifica]giocatori di scacchi, malandrini costituiti in società coi loro capi e i loro statuti, che alle volte lasciano momentaneamente le città del Regno Unito, e vanno ad inquietare Parigi o Vienna coi loro furti audaci.

Gettiamo un velo sopra queste tane di malviventi, che la polizia autorizza e tollera soltanto per potervi tendere più facilmente le sue reti, e conduciamo d’un tratto il lettore a Montague Street, dove troviamo una serie di locande in apparenza più decenti e più oneste. Sono gli alberghi dove vanno ad alloggiare i prestigiatori, i ciarlatani, i saltimbanchi, gli zingari, i suonatori ambulanti, tutta questa gente di contrabbando che frequenta le fiere e le corse. Noi vi passammo un bel quarto d’ora, ed uno dei frequentatori del luogo, che si scaldava tranquillamente nella sala comune, invece di dormire nel suo letto, quantunque fossero le tre del mattino, volle darci un saggio della sua abilità. Egli eseguì in nostra presenza alcuni giuochi di carte, di bussolotti ed altro, che non erano senza un certo merito. Il più curioso di questi giuochi consisteva nel legare fortemente in un capo d’un fazzoletto uno scellino (1 fr. 25 cent.) che si faceva dare da uno di noi, e poi sciogliere il nodo mostrandoci in luogo della nostra moneta d’argento un grosso penny di rame di dieci centesimi, che ci presentava con quella gentilezza squisita particolare ai prestigiatori. Noi accettammo di buon grado questo tramutamento di metalli che fu riprodotto a più riprese a detrimento della nostra borsa, all’opposto del metodo degli alchimisti, che cercavano almeno di cambiare il rame in argento e il piombo in oro, i metalli ignobili nei metalli nobili, come si diceva ai tempi felici degli alchimisti. Cionullameno noi ce ne andammo soddisfatti del prestigiatore, ed il prestigiatore ancora più soddisfatto di noi.

E così frammischiando il comico al serio, noi andavamo per questi strani quartieri sotto l’occhio vigile della polizia, che non ci perdeva di vista. Con quali cure paterne ci guidavano quei [p. 87 modifica]buoni constabili!... con quanta intelligenza ci dirigevano attraverso viuzze impure, cortili oscuri, androni che sembravano senza uscita!... Si capiva che la nostra vita era loro affidata. Ed infatti senza la loro continua sorveglianza non solamente saremmo stati svaligiati perfino della camicia (domando perdono agli Inglesi di pronunciare questa parola, che qui è di circostanza), ma fors’anche maltrattati, se avessimo voluto difenderci. Le faccie che incontravamo si erano come rabbuiate. Abbeverati d’alcool, i pezzenti di cui percorrevamo le dimore, tornarono a casa a tastoni. Alcuni si coricavano lungi distesi a’ piedi d’un muro, per non più rialzarsi fino al mattino; altri si lasciavano andare sopra un mucchio d’immondizie, dove scomparivano per metà; altri ancora affondavano nel fango o sdrucciolavano nel ruscello della via, la cui acqua fresca, bagnando loro la faccia e le membra, li svegliava un momento; aprivano allora gli occhi incerti ed interpellavano i passanti in una lingua inintelligibile. Non tutti i passeggianti erano briachi; più d’uno di questi notturni lavoranti, dal temperamento di ferro, resisteva agli effetti d’una libazione più che prolungata. Gli uni sfilavano in drappelli rumorosi cantando delle canzoni oscene con quella voce così poco musicale ch’è propria della maggior parte degli Inglesi. Gli altri nascosti nei vani delle porte, parlavano a voce bassa, e sembravano progettare qualche brutto affare. All’avvicinarsi della polizia essi tacevano improvvisamente e fingevano di passeggiare.

Fra gli urti di tutta questa gente lurida arrivammo alla più sporca delle viuzze fino allora percorsa. Per una porta spalancata penetrammo in una topaia, le cui tavole sconnesse lasciavano passare liberamente l’aria. Non una lampada per illuminare la scala, sicchè ci prendemmo per un lembo dei nostri abiti e seguimmo il primo policemen, che rischiarato dalla sua lanterna apriva la marcia. Al primo piano in un bugigattolo ignobile colla porta socchiusa, due uomini erano coricati nello [p. 88 modifica]stesso letto, due faccia di banditi che ci gettavano delle occhiate feroci, borbottando e bestemmiando d’essere risvegliati dai french dogs, e mandando a tutti i diavoli la nostra impertinente curiosità. Montiamo al piano superiore, dove continua a regnare la più completa oscurità. Al rumore che noi facciamo, risponde un grugnito prolungato di due dormienti dalla faccia pochissimo rassicurante. Al secondo piano però l’uscio della stanza è chiuso, ed i policemen battono, gridano, declinano i loro nomi e qualità per farsi aprire; ma i locatari spaventati, temendo una sorpresa, rifiutansi di aprire. Noi restammo un momento sospesi gli uni sopra gli altri, vero grappolo umano, alla sbarra della scala. Io chiudeva la marcia e non ci vedeva lume; mi sembrava sempre di sentire uno dei due dormienti del pianerottolo sul quale mi trovavo, venirmi dietro e darmi una terribile tartassata per avere turbato sì mal a proposito il sonno dei galantuomini. Alla fine la porta della camera al secondo piano si apre, e di fronte all’assedio in piena regola della polizia, le persone che abitano questa camera acconsentono a darci accesso. I constabili tirano fuori tutti in una volta le loro lanterne e le rivolgono verso il letto per rischiararlo meglio. Noi, eccitati da non so quale curiosità inquieta, facciamo tutti insieme irruzione in questa povera soffitta. Quale miseria. Dio buono!... è mai possibile che vi siano creature abbandonate a tal punto!... Mancano i vetri alle finestre, dalle quali pende in guisa di tenda un sucido sciallo di tartano, che certamente coprì già molte spalle e fu appeso a molte finestre, sciallo di giorno e tenda di notte. Sul letto una cattiva coperta, un povero pagliericcio e tre ragazze che un momento prima dormivano abbracciate fra loro; tre ragazze sui sedici anni, pallide, e già affralite dalla miseria e dalla fame!... Come deve essere spaventoso l’inverno per queste infelici, e quando viene la stagione dei ghiacci, come possono esse resistere al freddo della notte ed a tutte le intemperie? Povere ragazze, che forse ebbero sempre fame dacchè sono al mondo! Io osservava le loro [p. 89 modifica]

Il prestigiatore di Montague Street.

[p. 90 modifica]giovani teste bionde che avevano conservato ancora un’aria d’innocenza, ed innanzi a tanta miseria mi rammentai involontariamente quei bei versi del poeta: «Oh! non insultare mai una donna che cade! Chi sa sotto qual peso la povera anima soccombe? Chi sa quanti giorni la sua fame ha combattuto?»

Il signor Price volle proprio interrogare in nostra presenza quelle piccole mendicanti. Essi mostrarono le loro teste, che aveano sempre tentato di nascondere, non sotto le lenzuola, che non erano abbastanza lunghe, ma fra le loro mani. E poi mettendosi a sedere sul letto, incrociarono pudicamente le due braccia sul petto, e finalmente fissarono sopra di noi uno sguardo di estrema dolcezza. Vi si leggeva come una specie di sorpresa ingenua, e quei tre giovani volti riuscivano a tutti noi veramente simpatici.

«Come vi chiamate, signorine? domandò loro l’ispettore con gentilezza riservata che gli Inglesi hanno per la donna in ogni circostanza.

— Io, Mary, le mie amiche Betzy e Jenny, rispose una di esse più rassicurata delle sue compagne.

— Quanti anni avete?

— Sedici e diciassette.

— Avete ancora i vostri genitori?

— Non li abbiamo mai conosciuti.

— Perchè non lavorate?

— Avevamo del lavoro il mese scorso, ma ci fu tolto poi, a causa della stagione morta, e ne cercammo invano altrove.

— Dove lavoravate?

— In una bottega di cucitrici.

— Ed ora cosa fate?

A questo punto, un silenzio che ci fece male. Le poverette domandavano l’elemosina, cercavan fra le immondizie delle vie qualche cosa da rivendere, e soventi da mangiare, e la notte pel modico prezzo d’un penny venivano tutte tre in questo [p. 91 modifica]solaio immondo a riposare un momento sopra un orrendo canile quasi alla mercè dei malandrini, dei ladri, dei vagabondi della peggiore specie. Ci ritirammo col cuore straziato, lasciando alcune monete a quelle infelici ragazze che ci ringraziavano piangendo.

Queste catapecchie diroccate, dove i mendicanti vanno ad alloggiare in tal modo la notte, non sono sotto la sorveglianza della polizia, not under our supervision, mi diceva l’ispettore Price, ed il rispetto per la libertà individuale è tale in Inghilterra, che la polizia non vi penetra d’ordinario che con discrezione. In queste spaventose soffitte succedono molte cose degne di compassione e di pietà, e si racconta che in una di queste luride soffitte, dove i mendicanti e le ragazze abbandonate vanno a passare la notte, un povero diavolo morto di fame sopra un mucchio di cenci, dove s’era addormentato per terra, fu mezzo divorato dai sorci e dai cani. Il confronto è adunque in favore delle case che noi avevamo prima visitato. In queste infatti regna, come si vede, un certo ordine; la polizia, autorizzandole, se ne riserva l’ispezione, e le regole dell’igiene vi sono osservate, almeno fino ad un certo punto. La ventilazione vi è praticata, vi si accende del fuoco; nei dormitoi non può coricarsi che un certo numero di persone, i letti sono numerizzati, separati, ed i sessi distinti. Ma i solai, le soffitte riservate ai vagabondi, ai derelitti, ai disperati, destitute and desolate persons (così li indica la polizia inglese), come stringono il cuore a vederli, e come noi uscimmo col cuore straziato dalla soffitta dove Mary e le sue compagne passavano la notte!...

Erano le tre del mattino quando noi lasciammo questo luogo. Alla stazione di polizia dove ci condusse quindi il signor Price era la prigione dove si rinchiudono gli ubbriachi ed i lottatori raccolti sulla pubblica via. Ci furono aperte alcune di queste prigioni. Nell’una erano ammucchiati uomini che digerivano tranquillamente il loro vino, o che fasciavansi le recenti ferite. [p. 92 modifica]

Le poverette abbandonate di Flower and Deam street.

[p. 94 modifica]Alcuni tentarono reclamare contro la loro detenzione, vedendo l’ispettore Price, cui riconobbero attraverso i fumi bacchici, ma prudentemente fu chiusa la porta sul naso ai reclamanti. In un’altra prigione erano chiuse le donne, meno pacifiche degli uomini, e che si abbandonavano ad un cicaleggio sfrenato: è vero che aveano per iscusa le recenti libazioni. In un terzo recesso lo spettacolo era orribile: una donna, rinchiusa sola, perchè in preda ad un vero accesso di delirium tremens, coi capelli sciolti e sparsi sulle spalle, l’occhio torvo, la faccia insanguinata per le graffiature fatte colle proprie unghie nei momenti di furore, presentava la immagine di un’arpia. Quando intese che era arrivato il signor Price:

«Io voglio uscire, signor ispettore, gridava essa; io voglio andarmene, voglio tornare a casa mia; mio marito ed i miei figli mi aspettano!»

Il cuore di donna e di madre risvegliavasi nell’ubbriacona.

«Apritemi, voglio ritornare a casa!...»

E poi passando dal furore alla mansuetudine:

«E via, mio caro signor Price, mio buon amico, my good friend, diceva, mettetemi in libertà; vi prometto di essere buona.»

E vedendo che egli non l’ascoltava:

«Non è vero! esclamava, io non sono ubbriaca, è una viltà degli agenti; domani andrò a lagnarmi coi giudici.»

E dava della testa nei muri della sua prigione; scuoteva la porta sui cardini, e parole inintelligibili uscivano dalla sua bocca, rotolavasi per terra, colla schiuma alla bocca, e continuava a gridare. Ora si rivolgeva perfino a noi, ed ora chiamava in suo soccorso esseri immaginarii. Due volte attraverso il finestrino della porta tentai di fissare gli sguardi sopra di essa, e due volte indietreggiai quasi spaventato al cospetto di quella pazza furiosa, che voleva gettarsi sopra di me malgrado la porta che le sbarrava il passo. Un constabile aprì un momento la prigione, ed [p. 95 modifica]allora la povera pazza diventò calma, e domandava colla più dolce inflessione di voce di essere rimessa in libertà. «Si, in libertà domattina,» le diceva l’agente con dolcezza, e questa megera si taceva.

Gli spettacoli diversi dei quali eravamo successivamente stati testimoni nella notte sì stranamente impiegata, ci aveano singolarmente impressionati e come sbalorditi. Suonavano le quattro ed il giorno spuntava sopra Londra, dove, ad una latitudine di 52 gradi, il sole tramonta in estate quasi tanto tardi e sorge quasi tanto presto quanto a Pietroburgo. Avevamo bisogno d’aria, di luce. Ringraziando il compiacente ispettore ed i suoi agenti, ci affrettammo ad uscire da quei quartieri fangosi, dove avevamo passate sei lunghe ore. London Bridge, il ponte di Londra, non era lontano, e noi andammo a chiedere a questo ponte del Tamigi un po’ di frescura, di benessere.

I camini delle fabbriche che trovansi tra i ponti di Londra di Southwartsk e Blachfriars, sulla riva destra del fiume, cominciavano già a mandare in aria nugoli di fumo. Le fabbriche di macchine, le birrerie, le concie di questo quartiere industriale riprendevano il loro lavoro quotidiano, mentre sulla riva sinistra, al disotto della vecchia torre che domina questo punto della City, i bastimenti ancorati sembravano uscire dal sonno della notte. Alcune barche cominciavano a muoversi, e qua e là si sentiva già il rumore del martello sull’incudine ed il fischio stridente del vapore. Una nebbia leggera, che alzavasi dalla superficie del fiume, le cui pigre acque arrivano sì lentamente al mare, montava sull’una e l’altra sponda, e ravviluppava una parte della città, senza nasconderci però l’imponente facciata del palazzo Westminster che bagna i suoi piedi nel Tamigi, e la cupola ardita di San Paolo, chiesa metropolitana della vecchia Londra. Nessun pittore, nessun viaggiatore, passando sul ponte dove noi eravamo, avrà certamente tralasciato di fissare un momento i suoi sguardi sopra questa vista unica, che avrebbe fatto [p. 96 modifica]invidia al Canalazzo, poichè non ha l’eguale che a Venezia; e l’incantevole quadro che aprivasi sempre meglio ai nostri sguardi sotto gli splendori ognor più vivi dell’aurora, questa giovava a ristorare il nostro spirito dalle tristi emozioni della notte! Ma occorreva un’ombra a questo quadro, del quale avremmo voluto coprire il piano anteriore. Sopra una delle panchette di pietra di London Bridge due soldati l’uno accanto all’altro, e vicino una ragazza col cappellino slegato ed i capelli sciolti, dormivano profondamente, ad onta della frescura mattutina. Questa vista ci ricondusse alla memoria la corsa che avevamo appena fatta; e, malgrado il cambiamento di quartiere, simili spettacoli doveano succedersi altrove fino a casa nostra. Nello Strand, l’orgia notturna si prolungava malgrado l’aurora, e quando rientrammo in casa, le sale di Haymarket, ancora aperte, ancora illuminate, contenevano i loro eterni bevitori, coi gomiti appoggiati alle tavole di marmo. Una parte delle donne che percorrono questo brutto quartiere alle quattro del mattino erano pure restate nel caffè. Sulla via, nascosti nel vano delle porte, dormivano giovani mariuoli, accoccolati gli uni sugli altri; in mezzo alla strada, quattro policemen portavano via gravemente sopra una barella una donna ubbriaca fradicia.

Tali sono gli spettacoli desolanti che la notte dispiega agli occhi dei curiosi nei quartieri poveri di Londra. Io non ho caricate le tinte del quadro, e non ho scritto che ciò che vidi. Altri prima di me, testimoni delle stesse miserie, ne parlarono più eloquentemente. Chi non lesse quanto disse sopra questo soggetto Leone Faucher, una delle glorie dell’economia politica francese?... Chi non conosce gli articoli tanto toccanti di Alfonso Esquiros, che impiega sì nobilmente i lunghi ozii dell’esilio a studiare l’Inghilterra e la vita inglese?.... Bisogna leggere, bisogna citare in queste colonne e l’uno e l’altro di questi due maestri, poichè i loro racconti commoventi e tanto veri varranno a confermare il mio.

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Una donna ubbriaca in prigione.

[p. 98 modifica]«La strada ferrata di Blackwall, dice Leone Faucher, nei suoi studii sopra l'Inghilterra, traversa White Chapel in tutta la sua lunghezza. Dall’alto delle arcate sulle quali corre la strada ferrata, la vista si spinge comodamente nei segreti di questa miseria. Si veggono donne sparute che sporgonsi mezzo nude dalle finestre, fanciulli pallidi che si avvoltolano nel fango dei cortili coi porci, inseparabili compagni delle famiglie irlandesi, cenci appesi al disopra delle vie come per intercettare la luce ed il calore; qua e là negli spazii liberi mucchi di rottami e di immondizie; da ogni lato degli stagni fetidi, che attestano la mancanza di ogni regola per lo scolo delle acque. Ecco lo spettacolo che presenta White Chapel a volo d’uccello. Che sarebbe poi se si potesse con una magìa, che questa volta non avrebbe nulla di diabolico, levare i tetti dalle case e contare i gemiti e le imprecazioni che s’innalzano al cielo!»

Ed altrove, parlando degli immondi quartieri di Spitalfield e di Bethnal Green, dove formicolano più di 150,000 tessitori, la maggior parte irlandesi, «le case di questo distretto, ci dice il celebre economista, sono in uno stato di sfacelo tale, che a stento potrebbe farsene un’idea. Sono spesso fabbricate con tavole mal connesse, il che dà loro ben presto l’aspetto delle più immonde stalle. Quando queste catapecchie sono chiuse in causa del pericolo che vi sarebbe ad abitarle, poichè i locatari le abbandonano prima che sieno abbattute, si trova sempre qualche famiglia irlandese che non potendo pagare il prezzo d’affitto, va a cercarvi un ricovero a guisa di animali immondi. In un quartiere dove le vie quando piove formano degli stagni, la febbre non tarda ad esalare da queste macerie appestate.»

«Trasportate in questi quartieri, dice più lungi il signor Leone Faucher, una colonia di Olandesi che lava e pulisce da mane a sera, tanto amante dell’ordine e della pulitezza, quanto questi strani abitanti lo sono del disordine ignobile che sembra essere il loro elemento, e non avrete ancora fatto nulla. Questi [p. 99 modifica]quartieri, si potrebbero paragonare ad una di quelle città del medio evo, che i governi circondavano di mura per proteggerle contro il nemico esterno, ma che per incuria, nella loro ingenua ignoranza, abbandonavano all’azione mortifera delle epidemie. Le ultime case della città nascondono a guisa di bastioni le vie di White Chapel, dove non si penetra che attraverso gallerie tortuose praticate sotto le vôlte o tra i muri umidi dei cortili: è una città intiera riservata esclusivamente ai pedoni. Dopo che la febbre ebbe decimato la popolazione, si decise la costruzione di smaltitoi nelle vie principali, e quali vie! ma il trasporto delle immondizie non si fa ancora che una volta la settimana; per sette giorni le si ammucchiano sulla pubblica via, che di tal modo si copre d’uno strato permanente di letame.»

Da queste poche righe prese a caso negli Studii sopra l’Inghilterra si rileva che il quadro da noi fatto dell’aspetto dei quartieri poveri non è punto esagerato. Leone Faucher è certamente un testimonio degno di fede, economista prima di essere letterato, ed uno di quelli che non scrivono pel piacere di commuovere il lettore per mezzo di situazioni drammatiche, oppure con frasi sonore e periodi rimbombanti.

Passiamo ora ad un altro osservatore non meno esatto, non meno coscienzioso, e che col suo pennello sempre vero ci dipingerà gli abitanti di queste topaie orribili, di questi strani e tenebrosi recessi.

Chiunque visitò attentamente i quartieri popolosi e caratteristici della città di Londra, dice Esquiros nell’Inghilterra e la vita inglese, dovette incontrare queste parole scritte a mano o stampate sopra un cartello: «Buoni letti, — acqua calda in abbondanza, — gas tutta la notte.» La casa che porta questo cartello non si distingue punto, a dir vero, dalle altre case vicine, se non per carattere proprio di tristezza e di sporcizia. Qualche volta però la si riconosce ad un altro distintivo: le finestre, molto [p. 100 modifica]Un terzetto di dormienti. [p. 101 modifica]Quattro policemen in funzione. [p. 102 modifica]basse, hanno più carta che vetri. È un principio ammesso fra la gente di questi stabilimenti, che le finestre sono fatte non per lasciar passare la luce, ma per intercettare il freddo.

«.... Accompagnato da un policemen, sono entrato in parecchi di questi stabilimenti, ed a diverse ore del giorno o della notte. La più orrenda casa ch’io abbia visitata è in Fox Court, Gray's inn-Lane; essa non è abitata che da prostitute e da ladri. La prima volta che io feci appello alla compiacenza del policemen che era di servizio in questo quartiere, ci fu interdetto di passare la soglia di questo alloggio, perchè i pensionanti non erano alzati: erano le undici del mattino e regnava una folta nebbia. La mia guida mi disse che se quest’ultima circostanza fosse stata conosciuta dai dormienti, li avrebbe certamente attirati nella via, giacchè era una bella occasione per darsi alla loro industria.

«.... Questi alloggi di viaggiatori (è una parola decente) presenta un carattere lontano da ogni ordine e nettezza. Ve n’ha taluni dove regna il rumore e la confusione, e una sporcizia impossibile a descriversi; dove muri lividi e cadenti nascondono assai male certe faccie più livide ancora delle muraglie; dove si soffoca l’estate e si gela l’inverno. Un viaggiatore racconta aver dormito, alcuni anni sono, non lungi da Drury Lane, in una camera, il cui soffitto era di ardesie, che corrose dai colpi di vento, lasciavano vedere il cielo e contare le stelle.

Il personale che frequenta questi stabilimenti è molto vario, ma si recluta specialmente fra le industrie ambulanti. Gli uomini si riuniscono in tali stabilimenti in virtù di quella legge chimica: «I simili si cercano.» Coloro i cui costumi e le cui occupazioni sulla pubblica via durante il giorno presentano dei tratti d’analogia, vivono insieme sotto lo stesso tetto la notte.

«L’interno di queste case, eccettuati certi casi e certi quartieri, non presenta le scene di tumulto, alle quali dovrebbe dar [p. 103 modifica]luogo, secondo ogni apparenza, una riunione d’individui così chiassosa nelle vie e nei trivii. Il carattere dominante fra i membri di questa consorteria errante è invece il silenzio. Gli uni fumano, gli altri sonnecchiano, altri ancora preparano la loro cena. Tutti si affollano innanzi al camino: poichè ciò che cercano maggiormente questi uomini, esposti tutto il giorno alle intemperie, è il caldo. L’espressione taciturna dei volti mi colpì; ma fui ben sorpreso al trovare nella maggior parte dei lodging houses che visitai, almeno un giornale.

«La maggior parte dei moralisti inglesi considerano, e con ragione, il gran numero dei low lodging houses come scuole di vizio e antri di immoralità. Ed alcuni di loro credettero perfino vedere nell’esistenza di queste case un ostacolo invincibile allo sviluppo ed al miglioramento delle classi povere. L’agglomerazione di individui in camere prive d’aria, la confusione dei sessi, almeno nelle cucine, i cattivi esempi e i cattivi insegnamenti, esercitano certissimamente un’influenza perniciosa sulla salute e sul morale del viaggiatore.

«In questi recessi di coabitazione notturna, si trovano alla rinfusa delle ragazze di quindici anni e dei fanciulli divisi dalle loro famiglie. Sopprimere queste case sarebbe una misura incompatibile colle nozioni degli inglesi sul diritto di proprietà e sulla libertà individuale; non bisogna neppure pensarci. Tutto ciò che si potrebbe fare sarebbe di contrapporvi dei ricoveri notturni, dove il povero trovasse dei vantaggi notevoli. La carità britannica è già entrata in questa via; ma vi sono degli ostacoli da vincere, ed uno di questi ostacoli è la catena delle abitudini.»

Volete ora vedere come la penna realista di Teofilo Gautier, sempre così giusto osservatore, dipinge i pezzenti britannici? «Il popolo di Londra, ci dice l’illustre scrittore, si veste dal rigattiere, e di degradazione in degradazione il vestito del gentlemen finisce sulle spalle dello spazzafogne, ed i capellini di raso [p. 104 modifica]della duchessa sulla testa d’una ignobile serva. Perfino in Saint-Gilles, in questo triste quartiere degli Irlandesi che in povertà sorpassa tutto ciò che si può immaginare di orribile e di sporco, si vedono dei cappelli e dei vestiti neri portati per lo più senza camicia, e abbottonati sulla pelle che si vede attraverso gli squarci.

«Saint-Gilles è a due passi da Oxford Street, da Piccadilly, dice ancora Teofilo Gautier, e questo contrasto si presenta senza alcuna gradazione. Voi passate senza transizione dalla più smagliante opulenza alla più squallida miseria. Le carrozze non penetrano in questo viuzze sfondate, piene di pozzanghere, dove formicolano dei fanciulli mezzo nudi, ed ove grandi ragazze dai capelli arruffati, coi piedi nudi, nude le gambe, un lurido cencio sulle spalle, vi guardano con occhio torvo e feroce. Quante sofferenze! quanta fame si legge su quelle faccie magre, livide, terree e raggrinzate dal freddo! Ci sono dei poveri diavoli che ebbero sempre fame dal giorno in cui furono slattati.... A forza di privazioni, il sangue di questi infelici s’intristisce, e da rosso diventa giallo, come lo attestano i rapporti dei medici.»

Una cosa che rattrista quando si studia la miseria a Londra, si è che questa miseria è un po’ da per tutto. Noi l’abbiamo ora visitata nei suoi quartieri classici, quelli che attirano sempre di preferenza l’attenzione del moralista, dell’economista, del viaggiatore; ma essa esiste anche altrove, ed ecco che il West-End, uno dei quartieri più aristocratici e più eleganti, posto all’estremità occidentale di Londra nuova, va a presentarci esso pure dei tristi e cupi recessi. «Nel superbo quartiere di Kensington, non lungi dagli splendidi giardini della regina, ci dice uno scrittore inglese, si trovano delle vie intiere formate da orrendi bugigattoli scavati in un terreno tutto pregno d’immondizie. Una parte della popolazione miserabile di Kensington abita queste buche infette; un’altra parte si è rifugiata sopra carri di zingari mezzo sprofondati nel fango; altri non ha per dimora [p. 106 modifica]che alcune vecchie casse di carrozze pubbliche smontate, per le quali pagano un affitto di sei pence (sessanta centesimi di franco) alla settimana.

«Ma i più disgraziati, dice citando queste righe il signor Reclus nella sua Guida di Londra, sono quelli che non hanno neppure una cassa di carrozza, e che duranti le notti di nebbia e di neve non hanno altro vantaggio che di passeggiare nelle vie o nei larghi viali che circondano certi parchi. Quantunque a Londra non manchino delle locande dove si dorme a due pence per notte, tuttavia vi sono alle volte migliaia di persone che non hanno neppure questo poco danaro per procurarsi un sì abbietto asilo. Sotto le arcate della piazza di Covent-Garden passeggiano, tutte le notti, poveri affamati aspettando con ansietà lo spuntare del giorno. Nei periodi di miseria, sì frequenti per mancanza di lavoro in diversi rami d’industria, dalle quattro alle cinque di sera, si vedono dei miserabili prendere posto sui banchi di Pall-Mall e del Bird-Cage-Walk, attorno a Saint-James’s Parck; qualche volta la gente si affolla e si urta per avere un posto; giacchè è meglio essere almeno seduti sopra una panchetta di legno che coricarsi per terra ai piedi di un albero. La notte, il policemen che deve far eseguire la sua consegna, sveglia i dormienti per avvertirli essere proibito di dormire sulle panchette dei passeggi. «Noi non dormiamo, passeggiamo,» rispondono quei liberi cittadini inglesi, ed il policemen continua la sua strada. Nelle notti dal sabbato alla domenica, i dormienti sono più rari sulle panchette di Saint-James’s Park e sotto le arcate di Covent-Garden: i miserabili in tali notti passeggiano attorno ai gin-palaces, nella speranza di trovare in terra delle monete di rame o d’argento perdute dagli ubbriachi.»

A tutti gli autori, dai quali ho preso sì numerosi estratti, bisognerebbe aggiungere Mayhew, tanto popolare nella Gran Brettagna e la cui opera interessante è notevolissima: London [p. 107 modifica]labour and London poor. Londra operaia e Londra povera, denuncia senza riguardo agli abitanti della ricca metropoli tutte le vergogne delle loro piaghe sociali.

Ma quali palliativi si potrebbero applicare a tanta miseria? Il pauperismo è desso un vizio irrimediabile, una piaga che le società moderne devono accettare senza speranza di esserne mai liberate? Le grandi città sono forse invariabilmente condannate ai tristi spettacoli di cui Londra ci presentò or ora un saggio? Ecco ciò ch’io domandava a me stesso ritornando dalla mia escursione notturna in White Chapel, e mi sembra che, per poco si preoccupi del movimento sociale e della vita morale dei popoli della nostra epoca, ciascheduno dei nostri lettori deve farsi la stessa domanda. Qual è dunque il più sicuro mezzo di arrivare alla rigenerazione delle classi povere? Io ne vedo uno soltanto che sia incontrastabile: l’istruzione, l’educazione! Gli Inglesi fecero molto in questo senso, ma meno ancora della Svizzera e della Germania. Nella Svizzera ci sono perfino dei cantoni dove non esistono poveri. Le istituzioni pie, come le sale d’asilo, i work houses, i ricoveri di mendicità, le società di beneficenza, non possono che apportare un rimedio al male; ma non lo arrestano alla sua sorgente; e poi non giovano ai poveri vergognosi, che arrossiscono di mettere in mostra la loro miseria, d’implorare apertamente il soccorso altrui. Le società di temperanza non correggono mai che la minima parte dei beoni; le società bibliche, i sermoni a cielo aperto, che sono tanto in uso a Londra3, non restituiscono punto il sentimento [p. 108 modifica]religioso all’uomo degradato che ne ha perduto l’istinto. Certe ordinanze municipali non fanno che aumentare il male. Che giova esigere il riposo della domenica se dopo l’ora degli uffici le bettole, le taverne, chiuse per un momento, si riaprono, e se il robinetto che versa birra non si chiude un momento in tutto il giorno? I bevitori si accalcano alla porta ed aspettano di potere entrare, occupazione che ne vale bene un’altra, ed i vostri regolamenti di Polizia non tendono che a provocare nella via dei tumulti.

La predica all’aria aperta a Londra.

Per combattere utilmente il pauperismo e tutto il corteo di vizii ch’e’ trae seco, bisogna ad ogni costo spargere l’educazione; è questo il modo migliore ed il più certo di rialzare il livello morale ed intellettuale delle masse, e di infondere loro l’abitudine del risparmio, la sola che possa condurle al benessere. Sotto questo rapporto un curioso tentativo fu fatto a Londra nell’organamento dei piccoli lustrascarpe e spazzacamini. Alcune persone caritatevoli formarono un reggimento di poveri ragazzi abbandonati, senza genitori, diedero loro un’educazione ed uno stato, invece di lasciarli vagabondare nelle vie, abbandonati al loro solo capriccio. Ci sono molti motivi per isperare che essi saranno un giorno buoni cittadini; intanto essi lavorano, imparano, risparmiano un piccolo peculio, e sono altrettante vittime strappate ad una miseria certa, e forse al vizio più abbietto. L’educazione! l’educazione! e coll’educazione il lavoro, ed il [p. 109 modifica]pauperismo scomparirà, e non si dirà più esservi come al presente in Londra centoventi mila individui senza letto, ladri, truffatori, pick-pockets, vagabondi o mendicanti; e che ogni anno nei tre regni si contano fino al di là di dieci mila fanciulli al disotto di dieci anni condannati per crimini o delitti. Qual bosco di banditi diventerebbe il Regno Unito, e quale incessante minaccia sarebbero per la società europea queste classi abbiette, se non esistessero le colonie, questo immenso scolatoio della Gran Brettagna! Soltanto l’emigrazione irlandese per gli Stati Uniti, l’Australia e le Indie trasporta ogni anno al di là dei mari cento mila poveri; ma le colonie non possono bastare, giacchè non tutti, anche fra la gente disperata, acconsentono ad espatriare al di là dei mari. E d’altro lato noi vedemmo la poca efficacia degli altri palliativi adoperati contro il pauperismo. Le casse d’assistenza, di risparmio, di soccorso, non rimedierebbero esse stesse che incompletissimamente al male. Bisogna tagliarlo alla radice; bisogna impartire l’educazione al povero fino dalla sua più tenera infanzia. Si elevino nella gran città delle scuole, scuole gratuite, scuole della domenica, scuole dei poveri (ragged schools), le si chiamano come si vuole; e mentre si insegna gratuitamente ai fanciulli, si aprano anche delle scuole serali gratuite per gli adulti, uomini e donne, e non si tarderà a provare i benefici effetti dell’istruzione così liberamente, così largamente sparsa nel popolo! Un gran passo fu fatto, senza dubbio, ma resta a farne uno più grande, e non saranno certo gli Inglesi, che non si fermano mai, una volta che si son messi sopra una buona strada; non saranno essi che esiteranno di andare fino alla meta.

Bisogna aggiungere che un altro buon mezzo per moralizzare le classi miserabili è pur quello di procurar loro dei divertimenti innocenti e morali allo stesso prezzo di quelli forniti dai perniciosi stabilimenti che essi frequentano. Mayhew insiste sopra questo punto. Si moralizzi dunque il popolo istruendolo e [p. 110 modifica]divertendolo, ma lo si moralizzi; altrimenti questa schifosa piaga sociale che si chiama pauperismo, e che estende sempre più i suoi guasti negli Stati moderni, non scomparirà giammai. L’Inghilterra, più di alcun’altra nazione, forse appunto perchè è una delle più potenti, va soggetta a questo male. Dia essa l’esempio di tentare di estirparlo, combatta questo mostro; perseguiti fino nei loro ultimi recessi la miseria, l’ignoranza, il vizio; e tutti quei mali, che sono per essa una vera onta nazionale, svaniranno per sempre.



FINE.

Note

  1. Era ben tenuta, ma la notte vi costava ben più cara che alla Casa delle penne di gallina di Pekino, di cui parla il padre Huc nel suo Impero Cinese. Là gli operai non pagano, secondo il celebre e spiritoso missionario, che mezzo centesimo per notte e sono coricati al caldo e sulla piuma. «Una sala grandiosa è coperta in tutta l’estensione del suo pavimento di un alto strato di piuma di gallina. I mendicanti ed i vagabondi che non hanno casa, vanno a passare la notte in questo immenso dormitorio. Uomini, donne, fanciulli, giovani e vecchi, tutti vi sono ammessi. V’ha del comunismo in tutta la forza ed il rigore della parola. Ognuno si fa il suo nido e si accomoda alla sua maniera in questo oceano di piume e dorme come può. Quando vien giorno bisogna battersela, ed un incaricato dell’impresa riceve alla porta il sapecco fissato dalla tariffa. Per fare omaggio, senza dubbio, al principio d’eguaglianza, non si ammette il sistema dei mezzi posti, ed i ragazzi sono obbligati a pagare come i grandi.
    «Nei primi tempi della fondazione di quest’opera eminentemente filantropica e morale, l’amministrazione della casa delle penne di gallina forniva una piccola coperta a ciascheduno dei suoi ospiti, ma non si tardò molto a modificare questo punto del regolamento. Avendo i comunisti dello stabilimento contratta l’abitudine di portar via le coperte per venderle o farne un vestito supplementario durante i freddi rigorosi dell’inverno, gli azionisti s’accorsero che correvano rapidamente ad una rovina completa ed inevitabile. Sopprimere intieramente la coperta sarebbe stato troppo crudele e poco decente; bisognava dunque cercare un mezzo capace di conciliare gli interessi dello stabilimento col buon trattamento dei dormienti. Ecco in qual modo si pervenne alla soluzione di questo problema sociale. Si fece fare un’immensa coperta di feltro, di una dimensione talmente prodigiosa, che potesse coprire tutt’intero il dormitorio. Durante il giorno essa è sospesa al soffitto come un baldacchino gigantesco. Quando tutti sono coricati e bene accomodati nella piuma, la si fa discendere col mezzo di diverse carruccole. È bene notare che si ebbe cura di praticare in questa coperta una infinità di buchi, dai quali i dormienti possono metter fuori la testa per non asfissiarsi, appena giorno si alza la coperta falansteriana; ma prima si ha la precauzione di dare un segnale a colpi di tam-tam per isvegliare quelli che dormono profondamente, ed invitarli a ritirare la loro testa, onde non essere presi pel collo, ed alzati in aria colla coperta. Si vede allora quella immensa nidiata di mendicanti brulicare e sprofondarsi in mezzo ai fiotti di quella piuma immonda, mettersi indosso in un attimo i loro miserabili cenci, e spargersi quindi in numerose bande nei quartieri della città per cercarvi in un modo più o meno lecito mezzi di sussistenza.» (Huc. L’Impero Cinese, 1862.)
  2. In fatto di quartieri poveri non può esister confronto tra Londra e Parigi. Gli oscuri recessi della City, oggidì fortunatamente scomparsi, le più luride viuzze dei quartieri Mouffetard, San Vittore, San Marcello, non sono tanto stomachevoli, e non nascondono tante miserie e tanti vizii, quanto i quartieri di Londra di cui parliamo. Bisogna scorgere una ragione di questo fatto nella differenza di carattere dei due popoli, nella diversità dei loro costumi, delle loro leggi; e poi Parigi è molto meno popolato di Londra, e non è come questa il porto metropolitano del mondo intiero.
  3. I sermoni all’aria aperta sono uno degli spettacoli che sorprendono maggiormente il forestiero di fresco arrivato a Londra. Tutte le sere, e soventi durante il giorno alla domenica, sui passeggi, sulle piazze più frequentate, nelle vicinanze degli squares, certi uomini dal volto austero, vestiti di nero, in cravatta bianca, il capo scoperto, una Bibbia sotto il braccio si mettono a leggere ed a predicare. In sulle prime li ascolta un passaggiero, poi due, infine la folla si accalca, le carrozze si fermano, uomini e donne, soldati e civilians, grandi e piccoli circondano gravemente il predicatore. Con una voce, lenta, sorda, misurata ai pari di molti ministri protestanti quando predicano o spiegano la Bibbia, uno di questi predicatori recita imperturbabilmente la sua arringa; non una parola, non un grido beffardo dall’uditorio. Questa calma che non si smentisce mai, è uno dei tratti caratteristici della nazione inglese. A Parigi se la polizia permettesse al primo venuto di predicare all’aria aperta, non resisterebbe questi due minuti contro i lazzi, i motteggi, e fors’anche contro i proiettili, non foss’altro, dei biricchini.