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Un po' per celia e un po' per non morir.../Dal baraccone alla Comédie Française

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Dal baraccone alla Comédie Française

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Ove lo sguardo giro Crisimiro Londra
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DAL BARACCONE

ALLA COMÉDIE FRANÇAISE

[p. 75 modifica] Immagine dal testo cartaceo


Io provengo, e lo dico con orgoglio, da una piazza di pubblici spettacoli: Piazza Guglielmo Pepe, e da li nei piccoli caffè-concerto, dove in fondo a quei bottegoni c’era sempre un palcoscenico arrangiato alla meglio: poche tavole, molti chiodi, e quattro quinte, fondale di carta, con quasi sempre dipinto il Vesuvio (in eruzione, naturalmente), ed ecco l’elenco artistico: prima esce lei, poi esce lui, poi escono tutte e due insieme, ricomincia lei... e così via di seguito fino a mezzanotte: il tutto intercalato da uno sminfarolo al pianoforte.

La sofferenza più grande era per me quella di stare due o tre ore tra il fondale ed il muro [p. 76 modifica]sempre in attesa di uscire su quei due metri quadrati di tavole; ed è proprio in quella ristrettezza, dove pensavo che la mia meta non poteva restare così circoscritta in tutto e per tutto in uno spazio limitato; perciò sognavo di girare il mondo, vedevo nuovi orizzonti, e così, lasciandomi guidare dal mio istinto girovago appena ventenne ero a Buenos Ayres al teatro «Casino», scritturato da Carlo Seguin; e subito dopo nell’Uruguay e infine in Brasile.

Ritornato in Italia vi trascorsi un anno tra Roma, Torino, Genova, Milano; ma più che altro a Milano, dove sono stato apprezzato prima di ogni altra città dalla critica e dal pubblico: ed a Milano debbo molta riconoscenza. Al «Trianon» mi vide l’agente francese Raoul Pitau e mi scritturò per due importanti teatri di varietà di Avana e Messico dove trascorsi due anni; quindi tornai in Italia dove il varietà già cominciava a languire.


Io credo che non vi sia attore che abbia amato come me il varietà, ma cambiai il genere non appena lo vidi alleato col vincitore: il cinematografo.

Oggi, il povero varietà, dopo la disfatta, insiste tentando degli accomodamenti con la ri[p. 77 modifica]vista, l’operetta, la commediola, ma senza risultato — e tanto per tirare innanzi alla meglio è costretto a vivere sempre con l’oppressore, giacchè è dimostrato che uno spettacolo cinematografico può vivere da solo e benissimo — ma non più il varietà che unito all’operetta, alla rivista, ed alla piccola compagnia dialettale, deve adattarsi a funzionare da avanspettacolo.

E così, senza abbandonare il mio numero — a solo che eseguo tuttora — cominciai a rappresentare qualche rivista e qualche atto unico, e con questo nuovo genere partii ancora per il Sud America scritturato da Walter Mocchi. Iniziai le recite al Coliseum di Buenos Ayres, e poi di nuovo a Montevideo, San Paulo e Rio de Janeiro; vi rimasi più di un anno e ritornai in Italia, dove non mi mancò l’unanime consenso del pubblico del mio Paese.


Confesso che le recite in America non avevano soddisfatto in pieno il mio amor proprio di artista. Pure essendo lusingatissimo, desideravo di più: volevo riconosciuto il mio successo dalle grandi capitali d’Europa.

Con l’avvento del Fascismo, uniformandomi al chiaro desiderio del nostro DUCE espresso nelle parole: «IO AMO COLORO CHE PER [p. 78 modifica]LE ASPRE VIE DEL MONDO CONSERVAΝΟ LA FEDE DELLA PATRIA NEL CUORE E CERCANO DI CONQUISTARSI SOTTO OGNI ORIZZONTE IL LORO DESTINO», pieno di entusiasmo e di fiducia tentai Parigi che ritenevo la più ardua fatica. Mi limitai ad un piccolo teatro: La Potinière, esordii umilmente, senza strombazzamenti di réclame, riflettendo che in casa d’altri, almeno per la prima volta, bisogna entrare con tutte le dovute cautele. E questo modo semplice di presentarmi, forse mi valse.

Io credo moltissimo ai vantaggi della vera modestia, ma non di quella modestia a parole di cui non c’è spudorato, che non abbia il finto pudore d’intercalare nei suoi ampollosi discorsi questa frase che è passata anche attraverso li buci della grattacacio: «modestia a parte» frase che sembra un giulebbe e che invece molte volte serve solamente a mascherare tanta vanità: «Io, modestia a parte... modestia a parte, IO».

«Io, modestia a parte», l’ho appiccicato come titolo ad un mio libro. Capisco che questo non c’entra niente, ma è perchè volevo dirvi, senza darmi le arie di sentimentale o di romantico, che quando arrivai a Parigi e mi fu mostrato l’Intransigeant, che aveva pubblicato una colonna di lodi a mio riguardo, fui più disorientato che lusingato, ebbi l’impressione di [p. 79 modifica]trovarmi di fronte al pubblico parigino in uno stato d’inferiorità. Confesso un mio debole: sono molto superstizioso; e non fui gran che soddisfatto di questi laudativi anticipati, pensando, che se non avessi ottenuto un buon successo, tutti gli inni intonati in mio onore si sarebbero risolti in marcie funebri. Avrei preferito fare un ingresso in perfetto incognito, che mi desse così agio di dar prova, al momento opportuno, della mia capacità. Ma il fatto di esaltarmi in anticipo mi fece capire che per me non era più questione di farmi rilasciare un semplice passaporto, ma che era indispensabile un vero e proprio trionfo.


CÉCILE SOREL

Allora lanciai un appello a tutte le cellule del mio cervello, a tutte le mie forze fisiche e, con l’anima piena di speranza e di buona volontà, mi misi al lavoro: feci cambiamenti, tagli e modifiche al mio repertorio e al mio «teatro» e, con serenità di spirito, mi preparai alla prova generale.

Confesso che quella sera, pur sapendo che grandi personalità francesi, fra le quali il Ministro dell’Educazione Nazionale De Monzie, i critici dei grandi quotidiani di Parigi e grandi ar[p. 80 modifica]tiste quali Cécile Sorel, Madame Simone e Rachel Boyer, assistevano allo spettacolo, non fui per nulla preoccupato, al contrario, questo mi infuse più coraggio.

Dopo gli applausi clamorosi del primo atto, tutti i miei timori scomparvero; ero così calmo e sicuro che potei indirizzare un saluto cordiale ed affettuoso all’incomparabile Cécile Sorel che fu per me, quella sera, di una commovente fraternità, ed in mezzo agli innumerevoli bravò bravò mi venne offerto un enorme cesto di fiori con nastri dai colori italo-francesi, dove era scritto: «A mon frère d’art Hector Petrolini - Cécile Sorel» e rivolgendomi al suo palco le dissi: — Brava... Sei stata più sorella che Cecilia!... — Sono convinto che tutti compresero questa espressione italiana...

Che soddisfazione, quando in un paese straniero da un pubblico che non ti conosceva, ti arriva un uragano di applausi!

Quella sera ero proprio contento, ma contento de core. Sarei andato giù in platea per stringere la mano — a uno a uno — a tutti gli spettatori, li avrei abbracciati tutti. Ma non era possibile, e allora — dato che sono di facile contentatura — abbracciai il pompiere che stava fra le quinte. Ebbi l’impressione di avere abbracciato tutta la Francia! [p. 81 modifica]


IN CAMERINO

Rientrando in camerino pensavo: ora bisognerà mantenere vivo il successo con quelli che verranno a trovarmi.

Non è facile trovarsi a contatto di tante persone e conversare con tutti, contemporaneamente; amici, visitatori, curiosi e pettegoli, e fra questi vi capita la persona di genio, l’eccellenza e l’operaio, ed è necessario che tutti portino via la stessa buona impressione e perciò devi apparire gaio, profondo, cordiale, giocondo, dominatore nella conversazione e nel frattempo cercare di far presto a struccarmi, ritruccarmi, vestirmi di nuovo mentre vengono all’orecchio lo scricchiolio dei fondali rimossi dai macchinisti sul palcoscenico, il mormorio, l’insofferenza del pubblico del loggione. Si avvicina il momento di alzare il sipario: ho sempre bisogno di dire qualche cosa ad un mio attore, una parola all’impresario, un’altra al maestro di musica o anche al rappresentante della Società degli Autori; insomma accudire tutti, stare con tutti, è una discreta fatica.

Quella sera, nel camerino de La Potinière ebbi l’onore della visita di Cécil Sorel, la contessa Pecci Blunt, la contessa de Piccolelli Berley, la celebre attrice madame Simone e poi [p. 82 modifica]Jean Giraudoux, De Monzie Ministro dell’Educazione Nazionale, François Porchè, Edmond Sée, Maurice Rostand che nel mio album scrisse:

«A Petrolini, dont le génie Italien a embelli pour moi une soirée parisienne».

Ed il celebre attore Harry Baur aggiunse:

«Pour Petrolini mon admiration sans réserve pour cette soirée pleine d’émotion, éxempte de littérature inutile».

E fra gli italiani Lina Cavalieri, G. A. Traversi, Sepo, Garretto, Brunelleschi, Dal Padulo, Gustavo Traglia, Del Drago, Celani, San Giusto e fra tanti il solito entusiasta sconosciuto che non parla e guarda.

Gli stendo la mano:

— Come va? — non l’avevo mai visto; mi risponde:

— Non c’è male! Non mi riconosce? —

— Ma sì, lei si chiama... si chiama... —

— De Alberti. —

— Va bene De Alberti lo sapevo, che vuoi che non mi ricordi che ti chiami De Alberti! Volevo dire il nome... —

— Antonio... —

— Oh Totarello mio, come va? Ma guarda un po’ chi me l’avesse detto de trovà Toto mio a Parigi?[p. 83 modifica]

Non sempre però tutte le palle vanno in buca. Proprio quella sera, neanche a farlo apposta, mi vedo spuntare nel camerino un’elegantissima signora, dotata di un erre francese da potecce arrotà li cortelli.

— Buona sera, Petrolini, posso stringervi la mano? —

— Ma mi stringa tutto quello che vuole, adorabile signora. Come state? —

— Vi ricordate di me? —

— E come posso non ricordarmi di voi? ci siamo visti ultimamente a... a... —

— Al Lyceum di Firenze, in un concerto vocale... siete stato così gentile per l’arte mia! —

— Merito vostro. Cantavate divinamente. —

— No, io suonavo... —

— Dicevo: suonavate divinamente il piano. —

— No, suonavo l’arpa. —

Guardai tutti atterrito e dissi:

Non me n’è ita una bona! -: baciai a lungo la mano alla signora dicendole:

— Vi chiedo perdono se sono smemorato, da bambino ho avuto un po’ di meningite, però vi giuro che mi sono sempre ricordato di voi. —

In quel frattempo, fortunatamente, intervenne il direttore rappresentante amministratore comm. Giorgio Ricci che, con l’austerità delle occasioni, mi levò dall’impaccio dicendomi: [p. 84 modifica]— Adesso bisogna ricordarsi del pubblico: è circa mezz’ora che attende. —

— Hai ragione; scusate signori — , e mi precipitai sul palcoscenico. Non avevo finito di dire la parola «andiamo» che Tamberlani aveva ordinato di dare i tre sacramentali colpi di bastone prima dell’alzarsi della tela. Feci appena tempo di voltarmi verso al mio camerino e dire «a rivederci a tutti».

La signora dell’erre tosto mi fece un mezzo salutino che sapeva di rimprovero ed allora io, per raddolcire la pillola, la salutai baciandole ancora una volta la mano con ardente entusiasmo, ma non mi ricordai che ero truccato da Mustafà e così le lasciai stampato su la mano il marchio del trucco. Risate di tutti che naturalmente contribuirono maggiormente ad irritare la signora, che questa volta mi guardò in modo di non nascondere il suo dispetto e mentre si puliva col fazzoletto mi disse: — Questo non è molto gentile e neanche molto spiritoso... — : aveva ragione, rimasi mortificatissimo, eppure avevo fatto del tutto per essere gentile e galante, ma nessuno, son certo, si avvide che in quel momento ero candido e sincero.

Entrai in scena furente contro me stesso ma quella eccitazione nervosa forse mi valse a rendere più vera l’ambigua figura di Mustafà. [p. 85 modifica]

In Francia, non è come in Italia, dove il mattino seguente la prima rappresentazione, si può leggere la critica nei giornali. In Francia, data la consuetudine delle repliche, il critico può fare la recensione con comodo e, se crede, anche dopo qualche recita. Io questo non lo sapevo e perciò rimasi un po’ maluccio quando al mattino, guardando i giornali francesi trovai una critica di Edmond Sée su l’Oeuvre e l’altra di Mario Fralie nel Paris-Soir. I giudizi erano tutte e due favorevolissimi, e tutti gli altri giornali francesi portavano soltanto la cronaca della serata. Ma, in seguito, lessi critiche veramente lusinghiere per circa quindici giorni.

Si occuparono di me, senza economia di lodi, Pierre Brisson e Guy Laborde del Temps, Gérard D’Houville del Figaro, Lucien Dubech del Candide, Benjamin Crémieux del Je suis partout, Antoine de L’Information.

Qualche giorno dopo, con mia grande sorpresa, ricevetti l’invito per un banchetto da Edmond Sée, Presidente dell’Associazione Professionale della Critica Drammatica e Musicale.

Questo banchetto offertomi dalla critica drammatica e dagli impresari, con l’intervento dei maggiori artisti della Comédie Française fra i quali Cécile Sorel, Mary Marquet e tanti altri che non posso rammentare, costituisce per me [p. 86 modifica]un titolo di grande orgoglio: a tavola io ero tra Mary Marquet e Christe Mecher.

Edmond Sée a fine banchetto prese la parola e con tanto garbo parlò del mio successo e della mia arte; allora io presi il coraggio a due mani — per quanto non sia mai riuscito a capire come si faccia a prendere il coraggio a due mani — mi alzai ed in francese — siccome lo prevedevo mi ero scritto e studiato a memoria — dissi:

«Je remercie toute la critique des quotidiens de Paris qui exaltèrent mon art avec des expressions si élogieuses qu’elles constituent pour moi un titre d’orgueil'.

«Je présente mon affecteux hommage à l’Association de la Critique dramatique e musicale, qui eut la délicate pensée de m’inviter à son banquet et je n’oublierai jamais les belles et cordiales paroles qu’adressa à mon pays et à moi l’illustre directeur des Beaux-Arts, M. Bollaërt et l’ami fraternel Edmond Sée, ainsi qu’Henry Kistemaeckers, l’éminent président de la Société des Auteurs, et notre grand patron à tous, André Antoine, qui tint à honorer de sa présence mes spectacles.

«Je quitterai Paris convaincu qu’il n’existe en aucune partie du monde une nation plus hospitalière que la France pour l’art de tous les pays». [p. 87 modifica]

Fui applaudito ed elogiato per la padronanza della lingua ed allora mi convinsi che io so parlare il francese come nient foss.

Sono certo che anche in Italia la critica geme dalla volontà di darmi un banchetto, ma i critici sono troppo distanti l’uno dall’altro: uno a Roma, l’altro a Milano, Genova, Firenze, Venezia, eccetera, a Parigi, invece, sono tutti lì e basta un fischio per riunirli.

In Italia come si fa a riavvicinarli per darmi un banchetto? Solo al pensiero di pagare il viaggio ed accessori, qualcuno, il banchetto, me lo potrebbe rompere in testa.

Per la verità, anche la Stampa italiana mi ha tributato elogi senza riserve: Antonelli, Simoni, Bertuetti, Bassano, D’Amico, e tanti altri cari amici hanno scritto di me cose veramente lusinghiere, su tutti i grandi quotidiani d’Italia.

Nè dimenticherò l’affetto di G. A. Traversi e G. Traglia durante la mia permanenza a Parigi, e la tenerezza di quella brunettina di Peppinella Baker che mi volle ospite nella sua sontuosa villa dove mi feci certe pappate de spaghetti a la matriciana come li sanno fare soltanto a Saint-Louis sul Mississipì.

Da Roma ebbi telegrammi di augurio da tutte le più alte gerarchie del Regime. [p. 88 modifica]

La mattina del 7 giugno mi pervenne un biglietto di S. E. Pignatti di Morano di Custoza, Ambasciatore d’Italia a Parigi, che m’invitava ad una colazione all’Ambasciata. Non so descrivervi la signorile e spontanea cordialità di Sua Eccellenza l’Ambasciatore, dell’Ambasciatrice e dei loro figliuoli che divennero subito miei buoni amici.

Una sera, tra un atto e l’altro, l’amico Paul Teglio mi comunica che Cécile Sorel, da parte di Edmond Sée, m’invitava a prendere parte al suo spettacolo d’addio alla Comédie Française, aggiungendo che sarebbe stata la prima volta che un attore italiano vi recitava.

La Comédie Française non è semplicemente un teatro: è un’istituzione nazionale, un museo ed un conservatorio delle glorie teatrali francesi; ma, molto meglio di un museo, perchè nei musei tutto è morto: alla Comédie si recita seralmente e così, a differenza di tutti i musei, si ravviva e si rianima anche il passato per farlo aderire alla sensibilità d’oggi; indubbiamente si sente che tra quelle mura sono celebrati i riti austeri di una religione che, in questi tempi d’indifferentismo per tante cose, è riuscita miracolosamente a conservare i suoi fedeli. [p. 89 modifica]

Se nell’intervallo vi avventurate per i corridoi, per i saloni adiacenti al teatro, li vedrete adorni di quadri, di marmi evocatori di un grande passato artistico; se scendete nell’atrio, popolato di statue di illustri autori ed attori, sarete costretti ad ammettere che quelli non sono vani e semplici ricordi, ma cose ammirevoli e vivissime. Là c’è Molière accanto a Racine, Corneille di fronte a Beaurmarchais, Balzac sembra che guardi Dumas e Coquelin che sorrida ad Edmond Rostand.

E così mi auguro di vedere un giorno negli atri del Teatro Nazionale Italiano, a Roma, tele e marmi rappresentanti la Ristori, la Duse, la Pezzana, Metastasio, Alfieri, Goldoni, Ferrari, Giacometti, Gallina, Modena, Morelli, Benini, Novelli ed altri nomi che ci ricordano la gloria del nostro Teatro, non inferiore a quello francese: ma a questo, sono certo, provvederà a suo tempo, l’Ispettorato del Teatro Italiano.

Non avrei mai creduto che Cécile Sorel mi facesse l’insperato onore di offrirmi di lavorare alla Commedia Francese, in occasione del suo addio dalla Maison de Molière, ed inoltre interpretare, in omaggio alla grande artista, un quadro del mio «Medico per forza» accolto con successo veramente significativo in quanto la [p. 90 modifica]sala era affollata da un pubblico d’eccezione, e l’interpretazione era necessariamente soggetta al vaglio di confronti celebri.

E quel programma! quei nomi! René Dorin, Dranem, Albert Lamberte, Mary Garden e Immagine dal testo cartaceo Fedor Chaliapin, che poche sere prima era venuto nel mio camerino alla Potinière e sapendo che anche io ero stato invitato alla Commedia Francese mi aveva detto in un italiano [p. 91 modifica]parlato alla russa ordinario: «Garo amigo dell’anima mia, sei un travailleur unico al mondo, avrai un grande successo», e poi Georges Thill, Paul Reumerte, e tanti altri noti attori adorati dal pubblico parigino.

Eppure io ero tranquillissimo; l’unica cosa che mi preoccupava era l’ora tarda, certo di trovare un pubblico nervoso, fiaccato di spirito; avevamo terminato lo spettacolo a mezzanotte alla Potinière e a mezzanotte ed un quarto ero alla Comédie dove appresi, meravigliato, che c’era una buona oretta di tempo ed inoltre dopo di noi, v’erano altri tre numeri del programma; compresi subito che avrei dovuto lavorare in condizioni sfavorevoli, ma non c’era rimedio. Mi misi d’accordo con Montefameglio e il maestro Burli per fare ancora dei tagli onde rendere più rapido possibile il quadro e con l’animo in pace, mi affidai a quel che so fare, ripensando alle parole di Pierre Brisson che avendomi visto solamente provare «Medico per forza» alla Potinière mi disse che potevo andar tranquillo a recitare alla Comédie Française e la mia interpretazione sarebbe stata molto apprezzata perchè completamente diversa da quella dei comici francesi. Io ero tranquillissimo perchè sentivo di non aver imbrogliato [p. 92 modifica]nessuno e perchè me ne ero venuto a Parigi sereno, senza diffidenza, come chi va a giocare una posta, ed è sicuro di vincere o di rimanere pari. A perdere, proprio non avevo mai pensato. Ed infatti quella sera, nonostante l’ora tardissima ed i numeri che mi avevano preceduto, ebbi tre applausi a scena aperta.

Per esprimerle la mia sincera gratitudine inviai un cesto di fiori a Cécile Sorel che subito mi rispose con il seguente telegramma: «En attendant la joie d’aller vous voir mon coeur vous crie merci de toute mon admiration. Ces fleurs me parlent de vous et de votre pays que j’adore. Cécile Sorel».

Vi lascio immaginare la mia contentezza quando il giorno dopo lessi su L’Intransigeant la recensione sulla Comédie Française dove, fra altro, diceva: «che solo il mio atto valeva la serata» ed infine Claude Francoigne su l’Action Française così terminava l’articolo: ... «la troupe de Signor Petrolini sur laquelle les pensionnaires de la maison pourraient se modeler quand ils jouent Le Médecin malgré lui».

La mattina del 27 marzo durante la mia recita al Teatro Goldoni di Venezia guardando la Stampa di Torino lessi:

«Il Governo della Repubblica Francese, a mezzo del suo Ambasciatore presso il Quirinale, [p. 93 modifica]conte de Chambrun, ha conferito a Ettore Petrolini la croce della Legion d’Onore in riconoscimento dei suoi meriti artistici per le recite date lo scorso anno a Parigi e in special modo per aver interpretato Molière alla Comédie Française».

A teatro trovai un telegramma affettuosissimo di Henry De Jouvenel e una lettera di S. E. Boncompagni Ludovisi, Governatore di Roma, che mi annunziava la nomina.

Mentre scrivo, penso che a molti può sembrare vanagloria e poi non è bello raccontare le proprie cose; ma d’altra parte quando si è contenti bisogna bene comunicare a qualcuno questa nostra gioia, altrimenti tutto rimane a disco chiuso. Sono fortune che capitano e bisogna goderle in pieno anche se tutto ciò che mi è stato tributato è molto, molto superiore ai miei meriti.

Mi auguro di tornare al più presto a Parigi e migliorato per meritarmi maggiormente la loro stima, ma c’è tempo, sono tanto giovane... a Parigi, dove non mi seguiva la gobba della mia carriera artistica, sembravo ancora più giovane. Oh!... Che cosa credete? Dicevo a tutti che avevo compito ben trentadue anni: ma invece, a voi italiani, che siete così indulgenti con l’età [p. 94 modifica]degli attori, lo posso dire: ne ho trentotto e quattro mesi. Questo per sfatare certe dicerie... Capito?!

A Parigi, tutti si meravigliavano della mia esagerata adolescenza perchè loro sono assuefatti ad apprezzare soltanto gli attori che hanno varcato la sessantina, un attore che non ha almeno sessanta anni è un regazzino; e non lo pigliano sul serio.


Immagine dal testo cartaceo