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Un po' per celia e un po' per non morir.../Il mio teatro

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Il mio teatro

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Bosco Marengo Ove lo sguardo giro Crisimiro
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IL MIO TEATRO

[p. 37 modifica]Immagine dal testo cartaceo


Mi rivolgo a quella moltitudine di pubblico che viene al mio teatro.

A proposito di teatro, bisogna che ve lo dica subito: me ne sto fabbricando uno per mio uso e consumo.

Siccome intorno al mio maniero di Castel Gandolfo avevo una fazzolettata di terra libera così ho detto: facciamo qualche cosa di bello, su questo spiazzo; laonde mi è venuta l’idea di costruire un teatro che per ora è ancora allo stato vegetale.

Sul principio mi ero proposto di ammattonarlo con i copioni che mi arrivano da ogni parte, ma poi ho pensato che avrei avuto l’aria di co[p. 38 modifica]pionare gli amici ed il prossimo, ed allora mi son deciso per la posa della prima pietra... preziosa.

In mancanza di un autentico rubino ho preso un vero rubinetto: quello dello sciacquatore (vulgo lavandino) e l’ho murato nelle fondamenta dicendo: — a vo’ cannella! 一. Poi mi son servito della dinamite per far saltare in aria alcuni massi di roccia che m’intralciavano l’opera, e così ho costruito un teatro: il mio teatro.

Gli sgabelli sono in travertino: insomma un teatro all’aperto, ma non il palcoscenico all’aperto; gli attori al coperto sul palcoscenico.

Voi mi direte... e gli antichi? Gli antichi sbagliavano; d’altra parte tutti sanno che gli antichi «magnavano la coccia e buttaveno li fichi». Gli antichi molte volte davano degli spettacoli che non avevano nulla a che vedere col teatro.

L’attore ha bisogno del palcoscenico, con i lumi alla ribalta ed il fondale, con il mare od il bosco dipinto sulla carta, ma che deve dare l’illusione del mare vero e del bosco vero. Questo è il mio teatro.

Ma rappresentare una commedia dove l’azione si svolge al mare ed andarla a recitare davanti al mare è cretino, e così quando la didascalia di una commedia reclama il bosco si va a recitare nel bosco! Questa fusione della verità con la finzione scenica è in dissenso nel teatro, [p. 39 modifica]dove tutto sembra verosimile mentre tutto è lontanissimo dalla verità.

Quando in scena occorreva una scala, una botte, un albero ci voleva un pittore autentico che sapesse disegnare e poi dipingere una scala, una botte, un albero. Oggi è molto più facile dire al trovarobe: vammi a cercare una scala, ecc. Il regista moderno se la cava anche se non sa dipingere, ed ecco perchè nello scorcio di pochi anni ne sono saltati fuori un’infinità non si sa da dove, non si sa perchè, non si sa come, anche se bisogna riconoscere che ce n’è qualcuno degno di considerazione.

Il teatro in questi ultimi tempi ha fatto dei progressi, anche se non è tutto teatrale ciò che è stato applicato al teatro, ma la presunzione di questi famosi registi mi sembra sproporzionata perchè non si uniformano neanche a quel vecchio detto: «Vivi e lascia vivere». No, no! Cominciamo dal manifesto, vogliono il nome in grande: la vedetta, come la canzonettista numero di centro, prima loro e poi l’attore, ed io invece dico che la Ristori, la Duse, la Pezzana, Salvini, Rossi, Novelli, Zacconi, hanno girato e sbalordito il mondo senza registi con il loro genio, con le loro maschere da commediante.

Ma io voglio essere più umano e conciliante col regista e non lo butto a mare: anzi, ricono[p. 40 modifica]sco che, per trovarsi intonati ai tempi, l’opera del regista è utilissima per completare uno spettacolo. Ma pretendere di sostituirsi all’attore e cercare di diminuirlo è una presunzione, anzi dirò una coraggiosa buffoneria.

Immagine dal testo cartaceo

Tempo fa un regista, giovanissimo — senza che glielo avessi richiesto — mi mandò un plastico, una cosuccia da asilo infantile, per un mio atto unico; gli risposi gentilmente che ammiravo la sua opera, genialetta e giovanile, ma che non la ritenevo adatta per il mio teatro. Il [p. 41 modifica]regista s’impennò e mi rispose con quel tono di chi sopporta l’incomprensione: che io non ero perfettamente entrato nell’ordine delle sue idee e che in fondo capiva benissimo che Petrolini era l’iconoclasta di tutto ciò che si allontana dal suo teatro... Io risposi al giovanotto baldanzoso:

          — Credimi, sarò sempre iconoclasta
          di tutta l’arte tua di cartapesta. —

E concludo col dire che l’attore o meglio il commediante, quando merita questo nome, può girare tutto il mondo senza l’ausilio del regista: sfido il regista a fare la stessa cosa.

A meno che questi, oltre che alla semplice funzione del regista, disponga di altri mezzi tali da poter concludere e convincere, come lo potrebbe il genio di Duilio Cambellotti.

Sono certo che Bragaglia a queste mie battute quando gli salterà... il destro, di scrivere o favellar di me, metterà in funzione la pressatrice e me riduce na pizza!

Comunque sia, lui sa quanto entusiasmo ho avuto per quello che risolveva, in tempi più difficili, al Teatro di Via Avignonesi, quando, indipendentissimo, con quel suo, voluto o naturale, indifferentismo, talvolta, dal nulla faceva scaturire delle cose che avevano veramente del prodigioso. [p. 42 modifica]

Io ricordo, il geniale Antongiulio quando, senza cipiglio, dedicava a Ettore Petrolini:

          — Perchè non resti infine senza voce
          Il teatro, ormai strame al letterato,
          La Commedia dell’Arte prenda fiato!
          Scetate Caruli ’ca l’aria è ddoce... —

Se fosse ancora quell’epoca gli risponderei con tanta gioia:

          — Fior di giaggiolo
          L’angeli belli stanno a mille in cielo
          Bragaglia come te ce n’è uno solo... —

Ma riconosco che tutte queste riflessioni sono le inutilità del passato: oggi invece può disporre di vari giornali — dice quello che je capacita, fa le sue brave critiche col suo bravo cipiglio — tronca e stronca; insomma c’è in lui qualcosa di cambiato che deriva certo da un grado di maturazione. E va bene! Anzi sono convinto che, dato il suo talento, vedremo presto anche la sua opera d’arte ed io sarò il primo ad applaudirlo, pure se i miei applausi lui li considera cosa di poco conto.

Tutto questo è lontano da ogni ironia, ma con Anton Giulio Bragaglia non posso dividere le sue opinioni nei riguardi degli attori, anche se esse sono identiche a quelle di Ludovico Anto[p. 43 modifica]nio Muratori che funzionava da moderatore dei bassi istinti degli attori di quell’epoca.

Ma perchè proprio Bragaglia, letterato, regista ultra moderno, del 1936 XIV Era Fascista, vuole, con Ludovico Antonio Muratori, — erudito, archeologo, letterato del 1700 — incrudelire contro la bassa mentalità, la presunzione secolare di tanti attori, ignari, istrioni, mestieranti e peggio?

D’accordo! Che ce ne siano stati e che ce ne siano ancora, di attori simili, non discuto, ma ricordiamoci che siamo tutta povera umanità, e perciò le medesime constatazioni possiamo farle nel campo del regista: ci sono registi seri e d’ingegno, ci sono registi chiacchieroni, istrioni e di bassa mentalità.

A mio modo di vedere, un regista con talento e buon senso, dovrebbe introdursi amabilmente nel teatro per migliorarlo, ma senza insultare, senza aggredire, altrimenti non potrà insegnarci nulla. Se incomincia con vilipendere l’attore — del quale necessariamente ha bisogno — dove va a finire la sua alta missione di autore, maestro, interprete, educatore e talvolta ispiratore di opere sublimi? Come potrà amarlo l’attore se il regista — sia pure un genio — comincia col disistimarlo e soffocarlo ancora prima di creare l’opera? E credo infine che, per essere autentica[p. 44 modifica]mente moderno, un regista dovrebbe abbandonare ogni mosaico di opinioni altrui.


Molti anni or sono — ero al teatro Quirino — Gordon Craig, che già godeva fama in tutto il mondo di grande regista e dal quale tutti, nessuno escluso, hanno attinto qualche cosa, mi domandò seriamente se volevo assumerlo nella mia compagnia come regista... aggiungendo che non voleva neanche essere pagato, purchè l’avessi lasciato libero di fare degli esperimenti scenici in certe mie commedie; io gli risposi — forse a torto — che ero dispiacentissimo, ma che, venendo dal varietà, ero abituato a fare da solo e da solo mi ero tracciato la mia via. Gordon Craig non se n’ebbe a male, m’è rimasto amico, non mi ha mai tacciato da «matator» presuntuoso ed in molte occasioni non ha dimenticato l’opera mia.

Sul Corriere della Sera, Renato Simoni scriveva:

«... A Roma, al Congresso Volta, tutti gli uomini di teatro venuti da paesi stranieri: inglesi, tedeschi, russi, hanno continuamente inneggiato a Petrolini. E questo fervore d’ammirazione, il nostro attore l’ha conquistato appunto con la prepotenza delle sue immaginose [p. 45 modifica]sopraffazioni, della Commedia, e i suoi ritorni risoluti e incisivi nella Commedia; per quell’inventarla quasi, recitandola, e poi svelarci come e perchè ci ha illuso, e, subito dopo illuderci ancora...».

Primo fra tutti era sempre Gordon Craig che, anche prima della mia partenza per Berlino, venne da me per presentarmi l’illustre critico russo Tairoff, che mi aveva già visto lavorare a Parigi e poi qui a Roma al teatro Quirino. Giorni or sono il Tairoff mi scrisse invitandomi a dare delle rappresentazioni al suo teatro di Mosca.

Ultimamente a Vienna, al teatro Komödie, mentre recitavo, vidi in platea l’artistica testa di Gordon Craig che m’indicava e «spiegava» a Ernest Lothar il critico più autorevole di Vienna. La mattina dopo lessi su la Freie Presse un articolo dove l’intervento di Gordon Craig era chiaro.

Perciò, in tutte le cose del mondo, vi sono qualità di:

registi e registi,
critici e critici,
attori e attori,
fascine e fascine,

come dice Sganarello boscaiolo nel «Medico per forza» di Molière, quando contratta la sua mer[p. 46 modifica]ce e dice: — Le mie fascine sono di una qualità che non posso cederle a meno di centodieci soldi al cento. —


Ma si capisce bene che tutte queste cosuccie che si dicono non hanno nessuna importanza... più che altro si dicono per restar fedeli al titolo di questo libricciattolo: — Un po’ per celia e un po’ per non morir.. —


Ed ora, ritornando all’altro mio teatro in costruzione, vi confesso che sono lietissimo di dotare Castel Gandolfo di un teatro perchè, credetemi, gli abitanti meritano tutto, specie gli adolescenti che hanno un’educazione che levete! I castellani, dico castellani per comprendere tutte le popolazioni dei Castelli Romani, si affezionano al forestiero in modo commovente; per esempio: se, putacaso, lasci fuori l’automobile in qualche posto, magari la ritrovi tutta graffiata e per dimostrare che non sono analfabeti ci scrivono sul parafango: — Viva la stazione! — oppure — Viva Petrolini! — Domandai a un ragazzino perchè mi aveva segnata la macchina, mi rispose: — Per riconoscerla, caso mai gliela rubassero! —

Insomma tutta gente veramente cordiale, smorfiosa con l’ospite, direi quasi lasciva e non [p. 47 modifica]per nulla ho cantato su tutte le ribalte del mondo la mia canzone «Una gita a li castelli»:

     — Guarda che sole ch’è sortito, Nannì;
     che profumo de’ rose, de garofoli e pansè.
     Come tutto un paradiso
     li Castelli so’ accosì. —

Come vedete amo questi luoghi e ci sto deliziosamente bene, specialmente durante la settimana; la domenica, poi, per divertirmi un po’ me ne vado a Roma.

Nel periodo estivo Castel Gandolfo diventa la zona prediletta dei romani diciotto carati, anzi ventidue. Non si fa in tempo a restituire visite e contraccambiare pranzi e cene.

Abbondano le visite da Roma e se non vengono da me, vanno da Peppino Ceccarelli romano autentico — non romanesco — romano di quella romanità che una volta descrisse Silvio D’Amico sul Corriere della Sera, dicendo più o meno così: «Se salite su di un grattacielo di New York, vedete l’America; se salite sulla Torre Eiffel di Parigi, vedete la Francia; se salite sulla cupola di San Pietro a Roma vedete il mondo». — Beccateve sta sorba!

Chi scorrazza in ogni parte del mondo e poi fa sosta a Castel Gandolfo, è Romolo Vaselli, mai [p. 48 modifica]disgiunto da tutto l’infrangibile vasellame di figli, nipoti e pronipoti; e Guido De Cupis colla Villa Cardinale a Palazzolo — la più bella della regione — che tiene spalancata a tutte le ore, alle laute masticazioni degli amici famelici, e la bella e buona signora Tina, che abbonda in generosità nel fornire leccornie e simili gargarozzoni. Tutti generosi, è un vigliacco chi non offre un pranzo. Raffaelli, Ceccarelli, Garinei, Cappelletto, Vaselli, Ribolla e quel bambinone di Carletto Montani a Rocca di Papa; l’ospitalità cordiale di S. E. Peppino Bottai a Villa Torlonia a Frascati; le delizie gastronomiche di Villa Capri Cruciani a Marino, sempre accompagnate dall’amabilità innata dell’onorevole e dai sorrisi beati e radiosi della contessa Sara; e non finirei più. Naturalmente a tutta questa gente bisogna andargli a genio, altrimenti non ti guardano in faccia manco si t’ammazzi.

Graditissime le visite del placido amico dottor Gioacchini, del serenissimo parroco di Castello e di un romanissimo Monsignore che mi onorò una volta di una sua visita e che rimase un po’ disorientato quando gli dissi:

— Non le sembra, Monsignore, che da questa mia villa si vede qualcosa di grandioso che non è possibile vedere dalla villa Papale?

Mi domandò il perchè e allora gli risposi: [p. 49 modifica]

— Pensi che io da qui vedo ed ammiro la magnifica residenza Papale e dalla residenza, guardando qui si vede una modesta cosa.. — (sorrisi a piacere).


Quando poi voglio trascorrere un’ora di pace e di serenità me ne vado al convento dei frati di Albano, che mi accolgono con una festosità spontanea e sincera. Vi ho condotto anche gli amici Jandolo, Apolloni, Bonnard, Bontempelli e una volta anche Leopoldo Fregoli che, con immensa gioia, riconobbe in Fra Cristoforo un vecchio e caro amico col quale aveva fatto la guerra d’Africa nel 1896.

In queste visite il Padre Guardiano, spesso si compiaceva di trattenerci a mangiare con loro e sembrava che ognuno di noi fosse abituato a trovarsi in refettorio, a conversare con lo spirito sereno e la sicurezza della fede con i buoni frati Cappuccini.


Non vi ho però detto che a Castello ricevo anche parecchie visite femminili, e le donne già sanno che, per piacermi, debbono prima di ogni cosa dirmi che mi trovano simpaticamente brutto e deliziosamente maleducato. Perchè io opino che [p. 50 modifica]la maleducazione seppellisce il ridicolo all’istante. Io nella mia villa coltivo fiori di ogni specie, ma non sono capace di offrirne uno con le mie mani. Ad una visitatrice, quanto mai celebre come attrice e come donna di mondo, feci l’omaggio di un bel broccolo; ma non per beffa, per prudenza, anzi dirò di più, per una specie di eleganza all’incontrario.

La donna in questione, che era veramente intelligente, accettò l’omaggio e mi disse: — Domani l’attendo al tè, se vorrà accettare anche due paste, — ed io: — Due paste e... broccoli... —


Immagine dal testo cartaceo


Tre maschere

[p. - modifica]Immagine dal testo cartaceo [p. - modifica] alt=Tunisi - Teatro Municipale Cairo - Teatro de L’Ezbekieh “Il Medico per forza„ alla Comédie Française Nizza - La compagnia davanti al “Nuovo Casino„ Parigi - Serata [...] a “La Potinière„