Un po' per celia e un po' per non morir.../Salute cagionevole
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SALUTE CAGIONEVOLE
Questo libro l’ho scritto un poco a strascinone, cioè trascinandomi da un divano all’altro.
Per chi non lo sapesse, purtroppo sono in disordine con la salute, perchè altrimenti, e sono certo, ora mi sarei trovato nell’Africa Orientale in quanto fin dal marzo 1935 rispondendo all’appello del Duce inoltrai domanda a S. E. Teruzzi per l’arruolamento volontario, ma poi il colpetto anginoso mi ha messo in quarantena.
Niente di nuovo: il solito malanno che, ogni due o tre anni, viene a farmi una visitina: ma questa volta è un po’ lunghetta.
Questa signora malattia, quando ebbi l’onore di conoscerla, tre anni or sono, si chiamava Embolia Flebite.
Allora mi feci visitare da un illustre professore il quale mi assicurò che, di questa malattia, quando non si muore si guarisce.
Oltre l’illustre professore mi curava un altro medico che, a mie spese, mi dava queste ricette:
— Non si agiti, per amore di Dio... stia fermo... con la calma, con la pazienza, con la rassegnazione supereremo tutto... —
Il medico, bravo e buono, dice supereremo, perchè anche lui concorre ai dolori del malato...
Aggiungeva poi:
— Mi raccomando... immobilità assoluta... non si muova... ne va della sua vita... —
Non mi sono mosso: la notte, dalla finestra, entrò un ladro mascherato e, rivoltella alla mano, mi gridò:
— Se lei si muove è morto!...
— Lo so — gli risposi — me lo ha detto anche il dottore... —
La cosa naturalmente, finì lì: certe cose non posson finire se non lì... io non mi mossi, rimasi a letto, umiliato più che malato...
Calma e rassegnazione, immobilità e pazienza son sentimenti bellissimi ma mortificativi, come la mia malattia: degna forse d’una serva partoriente, ma non di me!
Un dottore mi spiegò, con l’abbondante terminologia del caso, che, messa alla porta Embolia, è sperabile metterci Flebite: come spero fare per la signora Anginetta che da otto mesi circa si diverte a farmi compagnia...
Io dico con Galeno:
— Il problema è non di guarire ma di vivere ed abituarsi a vivere coi propri mali — ... ma sarà stato proprio Galeno a dirlo?
Un giorno che il male infieriva e mi tormentava l’affanno presi il telefono che avevo a portata di mano:
— Pronto? —
— Pronto? —
— Sei tu, Alcibiade amico? Senti, io non ho più nessuna fiducia nei medici che mi curano... mandami il tuo... quello d’un altro... non importa quale... voglio sentire che cosa mi dice... voglio vedere una faccia nuova... —
— Va benissimo — Alcibiade rispose — te lo vedrai arrivare fra mezz’ora. —
Affannatissimo sempre, attesi.
Dopo mezz’ora e pochi minuti l’illustre professore Serafino Tenore arrivò.
Appena scambiati i dolci sorrisi d’uso gli chiesi, sempre col mio affanno:
— Adesso, caro professore, voglio sentire che cosa mi conta...
— Lei vorrà dire che cosa le canto... —
E attaccò:
«Dei dolci affanni
Compenso avrai,
Dei dolci affanni
Compenso avrai
La tua salute rifiorirà...»
Sparì come una nuvola: ma per qualche giorno mi sentii meglio...
Volete qualche notizia dei miei allegri e diversi malanni, che si presentano nei modi più eccentrici e brillanti?
— Anginali e pettorali, embolitici e flebitici, venali e non venali... —
Ora frequento un corso di malato saggio, ma da parecchi anni ne seguo un altro, per esser promosso defunto effettivo: sembra impossibile, ma non ancora ci riesco...
Con me però c’è il signor D’Aspetto che gode ottima salute: non c’è uno che venga a farmi visita e non mi dica:
— Ma sa che D’Aspetto sta proprio bene? —
Purtroppo, D’Aspetto sta bene, ma sto male io.
Adesso mi convalescenzio: ho ancora bisogno di qualche mese di riposo e così durante il convalescenziario seguiterò a scrivere di queste cosuccie: dalle quali trasparirà il succo del mio ingegno...
Niente di grave, niente di solenne: come tutto il lavoro: «un po’ per celia, un po’ per non morir»...