Un po' per celia e un po' per non morir.../Vienna
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VIENNA
Della Vienna del vecchio Impero, di quella che mi avevano messo in mente da ragazzino con Radeschi, Francesco Giuseppe, la vita brillante e gaudente degli ufficiali, i grandi caffè, le orchestre di dame ed i famosi valzer, c’è rimasto ben poco: quello che non è mutato è il carattere del viennese, non molto dissimile da quello latino.
Se avessi la penna facile, come ho facile la parola, ve ne potrei fare una bella ed esatta descrizione; ma come si fa?
Per scrivere bene, anzitutto bisognerebbe avere avuto un’apposita preparazione, e sarebbe necessario scrivere sempre per avere così una scorrevolezza naturale sulla punta della penna, altrimenti la penna s’impenna e qualche volta si spenna... e poi occorrerebbe avere il tempo di scrivere: io lavoro sempre; quando non lavoro vuol dire che sto male, e quando sto male scrivo... Dio mio, non proprio quando boccheggio, ma quando pregusto la gioia di una lunga convalescenza.
Adesso ritorniamo a Vienna, e non muoviamoci più da Vienna fino alla fine del capitolo, altrimenti c’è il caso di sentirsi dire che quando scrivo divago e divengo svagato.
Vienna, mi è apparsa bella in tutto e per tutto; il Danubio, non sempre completamente blu ma sempre bello, scorre placido e lambe le sponde, non avendo altro da fare da tanti secoli; Paolo Tosti e Di Giacomo hanno pensato ad immortalare «Mare chiaro» che è talmente bello che quando spunta la luna perfino i pesci ci si mettono ad amoreggiare e il napoletano canta... e se non canta muore, Johann Strauss con il «Danubio Blu» fa sentire gli stessi fremiti; solo ad accennarne il motivo, ogni viennese diventa napoletano.
In certi momenti a Vienna le melodie di Rossini, Mozart, Bellini e Schubert si fondono a tal punto che non capisco come mai Radeschi tanti anni or sono fosse così nervosino verso di noi.
A Vienna, come a Parigi, a Londra e a Berlino, quando mi è stato consigliato di andare a vedere qualche autentica celebrità ho trovato sempre i resti di un grande attore o di una grande attrice.
Gisella Werbezirk, una specie di deità archeologica, che avevo già ammirato a Norimberga e a Monaco di Baviera, la rividi a Vienna, sempre con piacere, al Raimund Theater: fui sempre più sbalordito della grande naturalezza di questa potente vecchia attrice e pensai: — ma perchè anche noi — artisti, pubblico e critica — non impariamo come si fa ad apprezzare e rispettare un’attrice, anche se ha passato da molto i sessant’anni? —
Quanto diversa è stata la sorte di Giacinta Pezzana, Italia Vitaliani, Elisa Severi!
Quando penso che il pubblico parigino, pur divertendosi a creare motti di spirito e barzellette sull’età di Cécile Sorel accorre poi festante ed amoroso a darle l’addio dalla Comédie Française per poi accoglierla trionfalmente alle Folies Bergères, e qualche anno fa al teatro Empire, il pubblico andava ancora in visibilio alle canzoni di Yvette Guilbert, artista pressochè ottuagenaria...
Per le recite a Vienna al Komödie Theater formai una compagnia ridotta ai soli elementi necessari a quelle poche produzioni già prestabilite ed anche perchè a girare il mondo a proprie spese... e non per divertimento è meglio essere in pochi...
Io non ho mai domandato sovvenzioni, raccomandazioni, facilitazioni od altri accessori di uso; ho girato mezzo mondo tutto a mio rischio, pagando i viaggi a tariffa intera per terra e per mare, pagando la compagnia nei molti giorni di riposo e, meno qualche contratto a percentuale, spesso ho pagato anche il teatro assumendone la impresa.
Di tutto questo sono soddisfattissimo ed arcicontento; ho avuto tante soddisfazioni da esserne compensato largamente.
L’esordio a Vienna fu molto facile anche perchè era preceduto dai magnifici ed entusiastici articoli del Berliner Tageblatt per le rappresentazioni al Kurfüstendamm di Berlino.
La prima sera il teatro Komödie era pieno di gente bella: S. E. il Ministro Preziosi col personale di Legazione, S. E. il Senatore Salata, il R. Console, il Segretario del Fascio, la stampa viennese al completo e quella nostra rappresentata dal simpatico e sereno Italo Zingarelli.
Cominciai lo spettacolo con «Agro di Limone» di Pirandello, che replicai, con grande consenso del pubblico, per una settimana, insieme al «Medico per forza» di Molière; ecco che cosa scrisse di questo spettacolo la Neue Freie Presse:
«... Il Medico suo malgrado, nel quale Molière esprime la sua opinione sui medici presuntuosi.
“MENICUCCIO„ in «Agro di limone»
Il riduttore è in pari tempo primo attore, regista, direttore. Ettore Petrolini è un attore nato e da questa
commedia ne ha ricavato una stilizzata interpretazione. Non è possibile immaginarsi
un viso più espressivo, più fulmineamente mutevole, più soggetto ad ogni emozione. Sotto una fronte accartocciata in mille rughe, o levigata e sporgente, guatano i grandi occhi, in attesa dell’istante propizio; il naso obliquamente ricurvo è irregolare e capriccioso come il tempo; la bocca, dalle labbra sottili, che può sembrare una sciabolata e ferire, che può contorcersi e distendersi con una smorfia a sè, ma che può anche tacere e soffrire con insuperabile eloquenza, è lo strumento fondamentale di questa mimica prodigiosa. Essa dipana virtuosamente tutta la ottava della risata più pazza, fino al singhiozzo disperato, senza che, anche nel parossismo più acuto di essa, ne risulti mai interrotta la sua armoniosa continuità tragicomica. Come tutti gli artisti eminenti, Petrolini è un tragicomico. Ed è, come tutti gli attori italiani, un artefice che cerca ed abbina la passione all’effetto.
«Quando egli, nella prima produzione del Pirandello rispecchia un doppio imbarazzo ed insieme trangugia la cenetta elegante e per lui così insolita e le cattive notizie, eppur maneggia quella punta di coltello che gli fruga il cuore; rivela la padronanza assoluta di un’arte scenica, per la quale la ribalta non ha più segreti.
«Nel Medico suo malgrado di Molière il migliore attributo di Petrolini è quello di saper far ridere, non esitando affatto davanti all’impiego dei mezzi più rudi, riportando in onore la smorfia e lo sberleffo di Arlecchino, un paonazzo naso, le guancie imbiancate, una parrucca scarlatta e un costume variopinto. Questa arte comica, oscillando tra il grottesco e l’improvvisazione, rasenta i confini di Pallemberg. Ma tuttavia conserva la sua personalità grazie agl’inimitabili acrobatismi dialettici che essa sciorina briosamente sulla scena proprio nel momento in cui si profila la minaccia di una aridità di azione e di effetto; grazie al suo sarcasmo, frutto evidente di un profondo studio e di una acuta conoscenza dell’umanità.
«Quest’arte si sviluppa nella sua forma più efficace nelle scene finali, in cui Petrolini appare da solo. Si trasforma di colpo in un elegantissimo signore, dall’impeccabile frak. Entra questo signore, e tiene un breve discorso, o meglio, un monologo, il quale si compiace talvolta di ricordarsi di avere luogo davanti a degli ascoltatori. Parla della vita in generale e delle umane sciocchezze in particolare, a sè stesso. Dopo canta anche, un pochino, e balla: balla un tango, non per prodursi come ballerino, ma per dimostrare piuttosto come possa essere fondamentalmente comica una simile danza, giudicata dal punto di vista non di un ballerino ma, diremo così, di un filosofo danzante. Che una simile considerazione diventi poi finalmente una guida per osservare il mondo che ci circonda, per il buon senso e contro l’assurdità, così dice il signore nel corso del suo monologo. Ciò non lo dice neppure. Lo si nota appena. E un applauso di cuore saluta l’artista puro sangue. Ernest Lothar».
E la Wiener Zeitung in un articolo di due colonne così concludeva:
«... Il celebre attore italiano Ettore Petrolini che mezza Europa ha già portato in trionfo vuole ora cingersi anche della corona d’alloro di Vienna. La sua prima serata ha registrato un clamoroso successo. L’artista conquistò in un baleno il suo nuovo pubblico. Al termine dello spettacolo era il preferito di tutti ed unanimamente riconosciuto come un esponente della sua arte, che passa dal comico al tragico con la stessa inarrivabile sicurezza. Petrolini sa suscitare rapidamente l’umore di cui appunto ha bisogno e mantenerlo per quanto tempo gli piace. È un virtuoso, indubbiamente, ma un virtuoso nel senso buono: non per vanità di estro ma al servizio di più alti e di più artistici intendimenti. Mai supera i limiti anche nel tragico; mette sempre una punta di scherzosa malizia ed una tenue e fine nota umoristica. Il che è altrettanto difficile che pericoloso. Ma il rischio è superato da una maestria accompagnata da una sensibilità delicatissima, che non finisce mai, che ci fa ridere fra le lagrime, anzi ridere e piangere insieme.
«Nel Medico suo malgrado, celebre satira di Molière, Petrolini è un meraviglioso Sganarello. Tutte le classiche maschere comiche rivivono scintillanti in lui. Tutta la Commedia dell’Arte riappare. Petrolini ha interpretato questo suo Sganarello alla Comédie Française a Parigi, che gli dischiuse i suoi battenti, così duri e refrattari a scivolare sui cardini: sanzionò formalmente e festosamente il suo Molière italianizzato.
Poichè questo Sganarello è veramente un capolavoro. Qui Petrolini è effettivamente un Hugo Thimig italiano. Più alta lode non ci è possibile tributargli. La concediamo come gioconda ricompensa di un’ora lieta.
«Alla fine, presentandosi in frak, tenne un monologo, parlò di tutto e di nulla; come un improvvisatore disinvolto che esprima, così, tutto quello che gli passa per la mente; ma alla base di questa meravigliosa disinvoltura vi è lo studio attentissimo e profondo. Anche a Petrolini deve costare presumibilmente molto lavoro il far sì che il suo lavoro non debba apparire come tale. Conoscemmo con piacere un’altra delle tante qualità di quest’uomo prismatico, quando egli cantò delle canzoni con superba finezza ed eleganza di sfumature.
Petrolini, che proviene dal music-hall ha esordito in minuscoli teatri ed ora è un altro e un preferito a Londra, Roma, Parigi, Milano, Berlino, e da ieri anche a Vienna».