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Vendetta slava

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Giovanni Prati

Olindo Malagodi 1843 Indice:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. I, 1916 – BEIC 1901289.djvu sonetti Vendetta slava Intestazione 23 luglio 2020 25% Da definire

Tra veglia e sonno Convegno degli spiriti
Questo testo fa parte della raccolta IV. Dalle 'Ballate'
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II

VENDETTA SLAVA

     — Dio! che perfida bufera
ci perseguita alle spalle!
— Via pei boschi e per la valle,
che tremendo lampeggiar!
5— L’aria è fatta tanto nera,
mugge e balza come un mar! —


     Cosí tornano i fratelli
come il turbine li manda;
posan taciti da banda
10carabine e yatagan;
e stridea per li cancelli
la corría dell’uragan.


     — Dio! che notte! Da lontano
mugge sempre la pianura.
15— Scompigliata è la natura,
quel che avvenga io non lo so.
Ma per certo il sangue umano
questa notte si versò.

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     — L’hai veduta?... a nero cinta,
20la reina degli spetri?
passò via traverso i vetri,
con un lampo è stata qui;
in quel lampo s’è dipinta
su pel muro, e poi sparí.


     25— Misco, Misco! è sempre amara
la sua visita, anche corta.
Senti. Battono alla porta:
sará qualche passeggier.
— Va’, Iubmiro; e tu prepara
30legne e fuoco e un buon bicchier.


     — Guarda, Ivano, a quelli appesi
vestimenti. Or via, rispondi.
Non ti par che il sangue grondi
come un vivido ruscel?
35— È il baglior dei lampi accesi;
sei fantastico, o fratel. —


     Il lor padre, onor di slavi,
indossò quel vestimento
nella notte che fu spento
40da un incognito kramar;
ed or pende dalle travi
la vendetta ad aspettar.


     — Entra pure, o viandante:
t’ha sorgiunto la tempesta.
45— Non è nova una tal festa
per chi nacque montanar.
— Bevi e scáldati le piante;
è ospitale il focolar.

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     Ma, per Dio! dal capo ai piedi
50polsi ed ossa un gel t’investe.
Perché guardi a quella veste
lá su in alto? Or via! fa’cor.
Sangue è ben quel che tu vedi;
ti dá il sangue assai terror?


     55— Quelle macchie antiche ed adre,
quella veste io la ravviso.
Che pallor vi copre il viso?
Su! cessate di stupir;
su! chiamate il vostro padre.
60S’io qui sono, ei dee venir... —


     Quel kramaro avea perduto
la sua figlia, la sua Lida;
ramingante ed omicida,
non sapeva in che sperar;
65e lá dentro era venuto
la sua tomba a dimandar.


     Strepitava allor piú forte
la bufera, a cupi schianti.
In sei destre fulminanti
70l’ór dell’elsa scintillò;
e lo spettro della morte
su quei vetri ancor passò.


     Ma il primo nato di quei fratelli
pose col guardo freno a’ coltelli,
75che giá brillavano mezzo nudati,
per avventarsi dell’uomo al cor.
— Fratelli, indietro! Sian rispettati
gli ordini estremi del genitor.

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     Non vi rammenta quel che ci ha detto,
80quando spirava lá su quel letto?
— Figli, se l’orma del pellegrino
alle mie soglie s’accosterá,
dategli il fuoco, dategli il vino,
dategli il pane che Dio vi dá.


     85E se anche fosse di membri snelli,
riccio di barba, fulvi i capelli,
e giú nel petto fonda la voce
(perch’egli è quello che mi atterrò),
figli, vi avviso, per questa croce,
90sacra è la testa che si ospitò. —


     Fratelli, il detto del moribondo
pesa due volte nell’altro mondo;
cosí è passato. Per leggi arcane
cosí gli eventi si maturâr.
95O viandante, mangia il mio pane,
va’ sul mio letto. Puoi riposar.


     — Buon giovinetto, sei generoso;
ma non vo’ pane, non vo’ riposo.
Queste tue mura mi pesan sopra,
100serrarmi in gola sento il respir.
Io vo’all’aperto. Se di qualch’opra
ti corre il debito... vienlo a compir.


     — Senti, kramaro: tu sei gagliardo,
mel dice il lampo c’hai nello sguardo.
105Ma veder lascia, mi ti avvicina...
Contro un inerme? mi guardi il ciel!
Tu non hai daga né carabina;
prenditi questa del mio fratel.

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     E, oltrepassati la siepe e il fosso,
110fischia, per dirmi ch’io venir posso.
C’è gran tumulto per l’aria nera,
ma acute orecchie stanotte io m’ho.
Tra i mille fischi della bufera,
il tuo, kramaro, distinguerò. —


     115Tacevan tutti. Con gesto amaro
scosse la testa, partí il kramaro.
— Yvan, ti cedo pecore e buoi.
— Casa e campagne ti cedo, Iván,
se a me il tuo colpo ceder tu vuoi.
120— Per Dio! fratelli, pregate invan.


     — Senti tu un fischio? — Fischio non sento;
è un rumor lieve fatto dal vento. —
Traverso i vetri la vòlta acuta
suonò repente d’altro rumor.
125— Addio, fratelli; l’ora è venuta;
il mio retaggio vado a raccôr. —


     E a’ suoi fratelli strinse la mano,
scese alla porta, calò nel piano.
Mesto il kramaro guardollo in volto:
130pensava al tempo de’ lieti dí!
E con un atto pietoso molto:
— Fanciul, sí presto? fanciul, sei qui?...


     Perdona: il fischio me l’ho scordato;
pensavo agli anni del mio passato.
135Oh, la mia Lida! la figlia mia,
cosí per tempo dovea mancar!
Ah! se una rosa trovi per via,
caro fanciullo, non la sfogliar.

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     — Non siam venuti qui per trastullo,
140kramar. Non darmi piú del fanciullo.
Tremendo è il voto che porto in petto;
raccogli l’arma che ti sta al piè.
— Prendimi in mira, buon giovinetto!
l’ora e la notte tutto è per te.


     145Gli occhi tuoi belli son rilucenti
come le stelle dei firmamenti.
Non sará detto che a figlie e spose
io tolsi il raggio di tanto amor!
Son le tue guance come due rose;
150fiorir pei baci devono ancor.


     Che se una donna figliuol t’appella,
se hai la ricchezza d’una sorella,
eternamente lor vivi accanto...
Ma compi il voto che in cor ti sta.
155— Ah!... dentro agli occhi m’hai messo il pianto:
crudel kramaro, non hai pietá!


     Prendi quell’arma! — Pensoso l’uomo
ristette alquanto: poi vide un pomo
lucente ai rami Da terra tolse
160l’arma; e piú motto non pronunciò.
Verso quel frutto la mira volse,
e di due colpi l’aria tremò.


     In quell’istante, serene e belle,
su pel convesso ridean le stelle.
165Il roseo pomo cadde colpito;
cadde il kramaro percosso al cor.
.    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    
.    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    
.    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    
E il giorno dopo fu seppellito
il vestimento del genitor.