Verona illustrata/Parte terza/Capo secondo

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CAPO SECONDO


ANTICHITÀ ROMANE





Poichè la prima curiosità de forastieri più colti suol cadere in Italia sopra le reliquie della magnificenza Romana; e poichè Verona in maggior copia ne ha conservato di qualunque altra città, eccettuando Roma; queste si anderanno prima d’altro additando, e procurando insieme di farle intendere alquanto meglio di quel che finora si sia fatto da chi n’ha scritto. I primi passi d’ogni straniero soglion esser con ragione all’Anfiteatro, ma di esso non si farà qui parola, essendosene trattato a parte nel susseguente volume1, a cui però si rimettono gli amatori dell’Antichità. [p. 65 modifica]


Campidoglio, Terme, Archi di ponte e Teatro.


La collina di S. Pietro è tutta sparsa di pezzi e di vestigj d’antica fabrica, de’ quali malagevol cosa è il render ragione a parte a parte. I varj disegni die stampati ne furono in altri tempi, e che in più libri sovente moltiplicarono, sontuosi prospetti e maravigliosi edifizj rappresentando, con nome principalmente di Naumachia, son tutti capricci ideali e mere invenzioni: così e stata trattata l’Antichità, e così pure continua in quest’età a trattarsi. L’aversi da conservate lapide con sicurezza che in Verona fu Campidoglio, e da uno Scrittore del 1300, che così chiamavasi ancora quel sito, c’insegna che dal nostro Campidoglio fu prima occupata la più alta parte del colle; vuol dir da edifizio che più cose e diverse anche in Roma comprendeva, come farebbe in oggi un Castello. Che nel piano della sommità fosse anche qui un Tempio, alcune lapide là su ritrovate hanno indicato. Nel sito medesimo fu poscia il Palazzo edificato a Verona ed abitato da Teodorico, primo fondatore del regno d’Italia. In esso fece parimente residenza Alboino primo Re de’ Longobardi, che nell’istesso luogo ucciso anche fu e sepolto. Quivi nell’anno 902 fu preso da’ soldati di Berengario l’Imperador Lodovico terzo, che altresì vi dimorava per l’amenità e fortezza del luogo, come scrive Liutprando (l. 3, c. 11). Ma ora gli antichi avanzi [p. 66 modifica]verremo osservando, sparsi dal basso all’alto, che sono senza dubbio tutti o del Campidoglio, o del Regio Palazzo. La costa a’ tempi Romani ebbe ancora sul sinistro fianco un sontuoso Teatro.

Deesi osservare in primo luogo dal ponte della Pietra l’ampiezza dello spazio in varj piani diviso, e l’incomparabil bellezza del sito; Ìjoichò il primo antico muro mette piè nel’ Adige, e l’ultimo ch’or si vegga, è quasi nella più alla cima sotto la muraglia del moderno Castello, per fare il recinto del quale molto di ciò che prima v’era, si atterrò e distrusse. La larghezza nel basso era dal ponte alla Chiesa del Redentore, o poco meno, vedendosi ancora per tutto quel tratto, o pezzi di parete, o massi di muro; quelli nel mezo bagnati dall’acqua, questi dall una e dall’altra parte in forma di piccoli scogli rovesciati nel fiume.

Trapassato il ponte, saranno da osservar prima da’ siti più opportuni lateralmente li due prossimi archi di esso, col principio del terzo, che son d’opera antica, essendo gli altri rifatti e suppliti poco più di due secoli fa. La volta del primo si vede interrotta sotto per alquanto spazio nel mezo, a fin d’aprire in occasion di guerra, e difficoltar col foro il passaggio; se non fors’anco per ingannare con falso pavimento, e far precipitare i nemici. Il secondo arco, che riesce alquanto più alto, è intatto da risarcimenti, e conservato intero, benchè molto sottile ne sia la pila, e benchè in quel sito con maggior forza urti il fiume. [p. 67 modifica]Nel secolo del 900 si riguardava come stupendo quest’edificio, chiamandolo Liutprando ponte marmoreo di mirabil lavoro e di maravigliosa grandezza (l. 2, c. 21: marmoreus miri operis miraeque magnitudinis pons). Nella chiave dell’arco dalla parte interna è una figura di bassorilevo che poco si distingue. Il Saraina disse rappresentar Nettuno; forse a suo tempo era più conservata. Le pietre son molto grandi, e ne’ fianchi delle pile si veggono incavi di parte e d’altra, che parrebbero fatti per attraversar, volendo, l’ingresso alle barche. Quel rotondo foro sopra la pila di mezo era parimente d’uso antico.

Dall’altra parte, quasi dirimpetto alla Chiesa del Redentore, affermano i nostri Scrittori che si vedeano già i vestigj delle pile d’altro simil ponte. Non trovasi di ciò veramente molto sicuro riscontro; ma se così è, avrebbe quel ponte accresciuta la bellezza di questo sito. Quindi è poi, che si sono immaginati tra l’uno e l’altro di questi ponti essersi celebrate le Naumachie, benchè con errore a tal loro immaginazione molto contrario credessero nell’istesso tempo che per qua allora non passasse l’Adige. Spettacoli e combattimenti navali poco si videro fuor di Roma; e della Naumachia di Roma ancora mera invenzione sono i disegni che vanno in giro. Il suo ponte non di pietra fu, ma di legno, come da Plinio s’impara (l. 16, c. 39), ove dice, ch’essendosi abbrugiato, ordinò Tiberio che si facessero venir dalla Rezia larici per rimetterlo. Di quella di [p. 68 modifica]Domiziano ciò ch’era di legno si abbrugiò, e ciò ch’era di pietra fu disfatto da Traiano.

Dopo gli archi antichi osservisi lungo la strada il muro, che per assai spazio sopravanza, e con una parte della sua larghezza vien a formar poggiuolo e riparo, e con l’altra serve di suolo e di lastrico a chi cammina. Non si potrebbe immaginare più bella pruova del maraviglioso effetto e consistenza incredibile dell’antiche malte, composte almeno come qui componeansi: perchè la sommità di questo muro esposta da tanti e tanti secoli, non solamente alle piogge ed al gelo, ma al perpetuo calpestio di chi passa, regge non pertanto ancora, e senza esser disfatta o logorata punto, assai più che se marmo fosse, o metallo, mantiensi.

Si potrà da chi volesse scender per l’adito ch’è non lungi dal ponte, overo per una casa ch’è quasi a mezo della strada, riuscendo, dopo osservati nelle cantine i muri et aditi antichi, a una porta che mette nel letto del fiume; e quando l’acqua il permetta, rimirare i due pezzi che rimangono della parete, distinta con molta grazia in compartimenti uguali, e questi gentilmente lavorati con piccole pietre a opera reticolata usatissima a Roma, come Plinio scrive (l. 36, c. 22), con cornice sopra. Non è da curar di salire ove dalla parte del Redentore per la rottura del muro si vede incavato e sotterraneamente fabricato, poichè quivi nulla è d’antico, essendo volte in moderni tempi fatte per sostentar la strada. I grossi rottami d’antico muro che son [p. 69 modifica]nell’acqua, quinci al ponte e quinci all’orto del Monastero del Redentore, mostrano che le estremità da qualche cosa di più grande e di più solido si serrassero.

Ritornando sopra, guardisi nella muraglia di quella casa che forma angolo tra la strada e il campo di S. Libera, incorporato un pezzo di grossissimo muro, e qua e là lungo le case varj rimasugli d’antico. Ma salendo al Convento tenuto già da Gesuati, eri ora dal lerz’ordine di S. Francesco, si vedranno nel serraglio dell’orto più basso altri avanzi, e nella sommità degli orti loro una parete antica, per cui si sostiene il terreno contiguo alle mura del Castello. Questa parete, conservata per lungo tratto, stendevasi a linea retta quanto occupa tutta la fronte del Castello istesso, e forse proseguiva ancora piegando con la collina. La forma è la medesima che si osserva nella parte bassa, con ben intesi ripartimenti, e in essi opera reticolata molto ben eseguita, e cornice sopra. Il pavimento, ora altamente dalla terra coperto, era lastricato di marmo; e dopo esso seguiva quasi un altro grado, cioè nuova parete simile alla superiore, di cui apparisce ancora un buon pezzo a destra, quale avendo qualche parte più intera del rimanente, fa sospettare, per muri che si spingono innanzi, fossero quelle divisioni altrettante cellette. Questi sono i più considerabili avanzi di tal superba fabrica, perchè il Convento che viene appresso, e le case che susseguono, ogni aulica reliquia hanno coperta e distrutta. Frantumi di colonne e di stranieri marmi si son [p. 70 modifica]più volte qua e là pel colle disotterrati, e nella cima dentro il Castello pezzi di lapide Romane e di pietre grandi lavorate veggonsi ancora. Tra gli edifizj che occupavano il colle, non è inverisimile fossero Terme, cioè bagni publici: alcun fonticello sanissimo che ne zampilla ancora; il fiume vivo che scorre a piedi; alcuni tubi di metallo trovati già in poca distanza; l’apparenza accennata di camerette, e l’essersi letto in Giovanni Diacono dal Panvinio (v. Ant. Ver. l. 4, c. 18), che Teodorico fece Terme, e riparò in questo luogo un Acquedotto, possono fortificare tal congettura.

Ma Teatro fu ancora nella sinistra parte di questo colle, con la solita industria degli Antichi di valersi con molto risparmio di spesa del piè d’alcuna collina, collocandovi sopra la gradazione dell’uditorio. Di questo Teatro cadde una parte verso la fine del nono secolo; per la qual cosa il Re Berengario l’anno 895 rilasciò un Rescritto publicato dal Saraina, in cui si dice, ch’essendo precipitata per la gran vecchiezza una parte del mezo Circo, che soggiace al Castello, con morte di presso a 40 persone, e con ruina d’alquante case, si permette d’atterrar preventivamente e disfare quegli edifizj publici che fossero pericolanti, e con terror del popolo Veronese minacciasser ruina. Il nome di mezo Circo dato in quel tempo oscuro, indica il semicerchio de’ gradi per gli spettatori. Negli ultim’anni dell’istesso Berengario, Giovanni Vescovo di Pavia, cittadin Veronese, donò, come si può veder nell’Ughelli, all’Oratorio di S. Siro da lui quivi edificato [p. 71 modifica]alquanti Arcovali od Arcovoliti ad esso vicini, donati a lui dall’Imperador Berengario, con che intese archi e portici stati già del Teatro.

Per vederne i più considerabili avanzi, entri il curioso nella casa ch’è sulla piazzetta del Redentore, e troverà quivi pezzi grandi di tre archi simili in parte a quelli dell’Arena; per questi è che disse il Palladio parlando del Teatro di Verona, come nel basso fecero tanto grossi i pilastri, quanto era il vano. Contigua è un’altissima porta, che fa fronte verso il fiume: il materiale fu cavato sul luogo, e dall’istesso colle; ed essendo però pietra tenera, o vogliam dir tufo, non è maraviglia se l’edifizio non resse. Andito ancora assai capace, e formato da due muri altissimi può qui osservarsi. Passando poi sotto Santa Libera, e proseguendo dirittamente s’entri nel giardinetto del sig. Padovani, dove in sotterraneo veggonsi tre gran volte in pendenza, lavorate con assai maggior pulitezza di quelle dell’Anfiteatro: la prima va poco oltre, e termina in una porta. Entrisi poi nel prossimo orto de’ Padri, dove si rendono osservabili due archi assai conservati. Queste sono le più sensibili e cospicue reliquie del nostro stabil Teatro, dalle quali però per la gran trasformazione seguita in tutto il sito, è vanissima immaginazione il pretendere di poter ricavare la sua pianta e la precisa conformazione. Anche per considerazioni architettoniche troppo sfigurata è ogni cosa e detrita: tuttavia i dotti Autori Franzesi del Parallelo tra l’antica Architettura e la moderna, ove toccano che nelle più bell’opere dell’Antichità le colonne [p. 72 modifica]Doriche veggansi senza base, ne danno per esempio il Teatro di Marcello e quel di Verona.


Porta della città, e Mura.


A mezo il Corso antichità si vede molto singolare, cioè una Porta de’ tempi Romani bella e intera, d’ugual conservazione, alla quale non so s’altra in oggi possa mostrarsi. Ravvisasi qui l’uso di que’ tempi in far doppie le porte della città, ergendone due simili, e con uguale ornamento, l’una presso all’altra, con due ordini di piccole finestre sopra. Vedesi il disegno di questa ne’ libri del Caroto, del Saraina, del Panvinio e d’altri. Ma prima d’altro dirne, è necessario sgombrar l’error comune degli Antiquarj, Architetti e Scrittori di primo grido, i quali credono questa porta un Arco, e così la chiamano ne’ lor volumi. Meglio di essi parlano i documenti nostri d’ogni tempo, ne’ quali la prossima Chiesa si dice S. Michele ad portas; e meglio il nostro popolo, che servando ancora la tradizione antica, chiama questo edifizio Porta de’ Borsari. Per fuggir d’or innanzi sì fatto errore, abbiasi per indubitata regola, che dove son due i passaggi, o sia le aperture, quella è Porta, avendone gli Archi sempre una sola, o tre. Il far le porte così duplicate antichissimo fu, e assai general costume. Però Omero porte Scee, nel numero del più disse a una porta di Troia; e porte bipatenti disse quelle pur di Troia Virgilio (Æn. 2); la ragion di che così fu assegnata da Servio: perchè le porte son geminate. Appiano altresì (Civ. [p. 73 modifica]lib. 1) chiamò porte Colline quella che in Roma ebbe tal nome. Abbiam nelle Medaglie una porta di Emerita città di Spagna pur con due fori e con due mani di finestre sopra, talchè par la nostra. La ragione, anzi la necessità, di fare in tal guisa quelle porte, dove gran quantità di gente debba nell’istesso tempo andar dentro e fuori, si riconoscerà perfettamente da chi per sorte s’incontri a voler uscire in carrozza o in calesso la mattina per tempo da una città popolata, in quella stagione quando gran numero di carri e d’altri attrezzi concorre; poichè le ore intere dovrà pazientar qualche volta: là dove anticamente in qualunque scontro proseguiva ognuno il suo cammino; perchè doppia essendo la porta, e tenendosi ciascuno su la sua dritta, chi usciva non avea ostacolo da chi entrava, ed avrebbe potuto nell’istesso tempo entrare un esercito ed uscir l’altro. L’Architettura presso gli Antichi avea spesso mire così diverse dalle nostre, ed avvertenze tali, che per verità troppo siam lontani dal poterci porre in paragone. Lodò sommamente il Palladio (l. 3) tra le antiche strade quella da Roma ad Ostia, che per essere frequentatissima, fu, come osservò l’Alberti, divisa in due da un corso di pietre alquanto più alte dell’altre: per una si andava, per l’altra si veniva schivando l’incontrarsi.

Osservisi nel fregio delle due porte l’iscrizione talmente compartita, che i versi trapassano se bene interrotti dall’intervallo, come ben si rappresentano nella collezion del Grutero: nell’incavatura quadrata delle lettere si [p. 74 modifica]conosce che fu metallo. L’iscrizione è molto notabile, e per più ragioni importante, e fu scolpita nell’anno di nostra salute 265, imperando Gallieno. Dicesi in essa come furono allora fabricate le nostre mura; ma quanto alla porta si è già nell’Istoria considerato, come pare doversi credere ci fosse qualche tempo avanti, perchè i molti ed operosi intagli ed ornamenti che ha, non la mostrano lavorata in così gran fretta come fur le mura; ed altresì perchè pare ch’altra iscrizione fosse prima nel fregio, abbassato nel raderla per iscolpirvi la presente; quale non capendovi, si spianarono per essa le due fasce superiori dell’architrave, che possono osservarsi intatte nello spazio fra le due porte intermedio. Piacesse a Dio che si fosse fatto anche qui come nel Panteon d’Agrippa, dove per la seconda Iscrizione di Settimio Severo si pose bensì parimente in opera l’architrave, ma non si abolì la prima. L’Architettura di questa porta, benchè viziosa per l’eccesso degli ornamenti e per le licenze in essa usate, mostra l’arte già guasta, ma non perduta. Al Serlio dispiacque tanto, che non volle stamparla con l’altre anticaglie di questa città, dicendo non meritar di star con esse: e per verità la declinazione da i migliori tempi ben si ravvisa; ma con tutto ciò se ne disgustano forse gli occhi più del dovere per la deformità prodotta dall’abolizione della maggior parte dell’architrave posteriormente fatta, come si è detto, e dall’eccedente altezza, che vien però ad apparire nel fregio. Il tutto insieme è ben accordato, e meglio comparirebbe, se [p. 75 modifica]dalle case laterali non ne restasscr coperte l’estremità, come ancora se qualche parte non ne rimanesse sotterrata. L’opera è sontuosa e grande; l’ordine Corintio; le colonnette de’ due piani superiori canalate tortuosamente: mancano le sette del più alto, rimanendo però le basi o modiglioni, su cui posavano: il listello inferiore che resta dell’architrave è tutto intagliato. Dalla parte interiore nulla si ha di quanto è forza vi fosse annesso, per corrisponder con due piani alle dodici anguste fenestre, delle quali senza dubbio dovea farsi uso in occasion di difesa2.

Di qua si può passare a osservar le mura rifatte da Gallieno, e nel sito delle prime di nuovo erette. E avvenuto di esse per l’appunto ciò che osservò Dionigi (l. 11) delle più antiche di Roma, quali erano a suo tempo comprese parimente, e qua e là incorporate nelle case. Dalla parte destra un pezzo ne rimaneva nella casa de’ Conti Cossali, che procedeva all’Adige per linea retta, disfatto non ha molt’anni per occasion di fabrica. Le grandissime pietre state prima in opera, e depositate ancora nel vicolo di dietro, e fra queste un pezzo di grossa colonna Dorica canalata, possono cominciare a far conoscere qual sorte di materiale si usasse in queste mura. Si è avvertito nell’Istoria, come poco diverse furon le mura di Roma fabricate poco dopo da Aureliano; e [p. 76 modifica]come pare appunto nel riguardar questi avanzi, di veder le mura d’Atene fatte in tempo di Temistocle, delle quali scrisse Tucidide (lib. 2) ch’essendosi lavorate in fretta, vi si erano adoperate le pietre quali si presentavano, e postevi dentro colonne e marmi lavorati; anzi scrive Cornelio Nepote (in Themist.), ch’eran fatte di Tempietti e di monumenti. All’istesso modo si riconosce qui ancora ne gli avanzi che ne restano, come vi furono impiegati non solamente sassi e mattoni, ma pezzi di colonne e di bassi rilevi, e quantità di pietre grandi e lavorate, state prima in altri edifizj, e postevi alla rinfusa, ora per dritto, ora per traverso. L’altezza di queste mura, e la grossezza d’oltre a tre braccia, terribili rendevale e magnifiche insieme.

I pezzi maggiori, che ne siano visibili ancora, sono presso alla Corte del Farina, ov’anche porta è in esse, ma posteriormente fatta, e non della prima costruzione. Un vestigio ne rimane nel cortile di casa Carli, che basta a mostrar la continuazion della linea: proseguivano costeggiando l’Arena fin presso la strada che vien dalla Bra, e va verso i Leoni. Quinci faceano angolo, e voltavano a sinistra, come insegna l’avanzo ch’è nella seconda casa dopo quel canto. Due gran pezzi se ne veggono in casa Turca, nel cortile e nel giardino; quinci in casa Vilmercati; poi nel secondo cortile di casa Sagramosa, e finalmente l’ultimo in casa Maffei da i Leoni, dove la Cappella domestica è tutta incavata nella grossezza dell’antico muro. Mostra la direzion di esso, come proseguiva [p. 77 modifica]fino al fiume, e dovea piegare a destra, poichè la porta che fu in questo sito ne’ secoli di mezo, fu detta di S. Fermo. Vecchia tradizione fa che si creda essere stata di tal porta quell’antica pietra imposta alla chiavica, che nella via si vede co’ due Leoni, quali diedero fin d’antico il nome alla contrada. Antica è altresì la pietra del pozzo prossimo, che vestigio serva d’iscrizion Romana.

Si è provato nell’Istoria, come il secondo recinto di questa città fu opera di Teodorico. Di esso ampj tratti rimangono in piedi lungo l’Adigetto, quali si posson vedere camminando per di fuori. Di là dall’Adige, dove si serrava parimente con quelle mura un buon tratto del montuoso, varj pezzi ne appaiono, i primi de’ quali lungo il fianco del Monastero di Santa Maria in Organo. In alcuni luoghi di questo muro qualche pietra lavorata de’ tempi Romani si vede inserita, come presso S. Daniele un pilo sepolcrale.


Porta del Foro Giudiziale.


Nella via de’ Leoni, di cui poc’anzi.parlammo, insigne avanzo si vede, che per l’eccellenza dell’architettura è stato da maestri di essa computato tra quelli che hanno assai contribuito a rimetter l’arte: resta ora attaccato a una casa, cui serve di muro. Ne appare il prospetto ne’ libri de’ tre sopranominati Veronesi Scrittori, ma accresciuto arbitrariamente secondo l’uso di bassi rilevi e di varie statue. Poche anticaglie si trovano fuor di Roma che [p. 78 modifica]più di questa sien ricordate ne' libri degli Architetti, degli Antiquarj e de' Viaggiatori. Le sue parti architettoniche con le misure posson vedersi distintamente rappresentate nel terzo libro di Bastian Serbo. Di questa intese il Grutero nelle Iscrizioni (187. i), ove parla d’Arco marmoreo di singolar lavoro con perle, geminate, affermando che la sua incredibile altezza e maestà rende ancor maraviglia. Di questa intese lo Scamozio ove scrisse, essere in Verona parte d’un Arco trionfale d’ordine Dorico; e dove disse, le colonne Doriche di tal Arco laterizio esser senza base. Di questa Addison nell’Itinerario d’Italia in lingua Inglese, ove l’istesso osserva, e ad essa dà la preminenza sopra l’altre anticaglie di Verona dopo l’Anfiteatro, chiamandolo Arco trionfale eretto a non so qual Flaminio. Di questa il Cambray nel Parallelo dell’Architettura, ove replicando la detta osservazione sopra le colonne Doriche, la chiama Arco sommamente magnifico.

Osservi prima d’altro il forastiero avveduto, come del prospetto di quest’edifizio la metà solamente rimane; cioè una delle due porte con parte del piedestallo della colonna e del fondo della pilastrata spettante all’altra ch’era contigua. Così nell’alto si conosce tronca alla sua metà quell’ampia curvatura, che pare una spezie di nicchia, benchè poco entri nel muro. Da questo, per l’avvertimento poc’anzi dato, comprenderà subito come grandissimo sbaglio sia stalo finora il creder Arco quest’edilizio. Blondel nel suo corso d’Architettura, ove tratta degli Archi, insegna ch’altri hanno una sola [p. 79 modifica]apertura, altri due uguali; e ne cita questo in pruova, chiamandolo Arco di trionfo a due porte, e cita parimente la poc’anzi osservala Porta de’ Borsari, creduta pur Arco da tutti.

Ma tempo è ormai che da sì grosso errore lo studio dell’Antichità e dell’Architettura si depuri, mentre sei differenze, e tutte molto sensibili, osserviam noi correre tra gli Archi e le Porte. La prima, che le antiche Porte hanno una faccia sola, dove gli Archi fanno sempre fronte a due parti ugualmente, per lo che i’uron dotti Giani, come si può arguire da un passo di Cicerone (Nat. Deor. l. 2), e da due di Svetonio (Aug. 31, Dom. 13): seconda differenza è, che l’Arco ha sempre un’apertura sola, overo una grande, e due piccole, e le porte n’hanno due simili e uguali: terza, che lo Porte hanno sempre il frontispizio in alto, cioè quella cima triangolata, detta timpano da Vitruvio in latino; e gli Archi non3 l’hanno mai, ma sopra la cornice hanno un’Attica, o sia un accrescimento, che serviva principalmente per l’Iscrizione: quarta, che le Porte essendo parti d’un edifizio, o essendo ad altro attaccate, hanno in facciata uno o più ordini di finestre; il che non si vede negli Archi, ch’orano isolati: quinta, che nelle Porle l’Iscrizione era nel fregio, e talvolta anche nell’architrave, ma negli Archi Imperatorii è [p. 80 modifica]intagliata in gran tavola, che l’Attica forma nel mezo, e negli Archi privati soglion vedersi più nomi scolpiti in varie parti dell Attica parimente: la sesta per fine, che quella delle Porte è una parete, quale si congiungea con altro, e gli Archi erano edifizj da se, e però di fondo e di figura quadrilunga.

Curiosità spingerà subito il riguardante a ricercar con l’occhio coteste tanto nominate colonne Doriche, sopra le quali principalmente fondarono alcuni la regola di farle posar sul piano senza base, nè cinta sotto; ma ricercherà invano, perchè nulla di Dorico vedrà in tutta la facciata che comparisce, e in vano però altri talvolta le ha ricercate per la città tutta. Convieni dunque sapere, come dietro la fronte ch’or contempliamo, altra ne fu prima, non più distante d’un piede e mezo, parimente con due aperture, e poco men alta, ma di quella fragil pietra che si chiama da’ Veronesi mattone; anzi il corpo del muro fu di cotto. Or questa era d’ordine Dorico, e due frammenti, che ancor ne avanzano, ben vagliono l’incomodo d’entrar nella casa per osservargli. Salendo adunque fra l’uno e l’altro de gli antichi muri, si vedrà un pezzo di sopraornato Dorico molto ben inteso, delle cui parti diede il Serbo le misure per minuto; cornice con bei membri, e gocciolatoio largo, ma non incavato; fregio co’ trisolchi, e le solite metope; architrave in due fasce, il fondo delle quali [benchè si osservi anche nell’altr’opere antiche i membri non esser perpendicolari, ma alquanto a scarp] alza più dell’ordinario. La colonna mostrata nel suo [p. 81 modifica]libro dai Serlio, e per cui tutti hanno poi parlato di queste Doriche senza base, non è delle grandi del primo piano, come parrebbe nella stampa, ma una delle piccole del superiore, per le quali si divideva in quadri lo spazio. Si può veder questa colonnetta, benchè assai consumata, montando ancora, e dopo girato per una stanza, entrando fra i due muri dall’altro lato. Appar veramente che posavano sopra una fascia, qual veniva a servir di zoccolo continuato. Si veggono altresì più pezzi dell’antico muro, lavorato di quadri Romani, con la solita malta a sassetti: ma l’intera elevazione, che fu publicata dal Serlio e da’ nostri, è supplita di capriccio in gran parte, e spezialmente ne’ bassirilevi, che nè pur potean esservi.

Tornando fuori, l’altezza e la nobiltà di quest’opera, ricca e non ricca d’ornamenti, comparisce ancora, benchè il restarne non poca parte sepolta in terra levi assai della maestà e guasti la proporzione. Altra pilastrata, che pare cominciar su la dritta, e la cornice in alto, che si tronca, e non proseguisce nel fianco, fanno intendere che la fabrica non terminava così, ma continuava ancora, o era congiunta a qualch’altra cosa. L’ordine è Composito, ma con le proporzioni del Corintio, non deviando da esso se non nel capitello. Perrault ed altri per esempio del Composito che ci riman degli Antichi, soglion dare l’Arco di Tito e questa reliquia. Il Serlio nella prima Carta ben mostra i due capitelli del primo piano, che son molto belli, e l’altre parli di esso; se non che supplisce alquanto di fantasia la cornice e [p. 82 modifica]il frontone, di cui da secoli non riman che il vestigio, e non fa vedere il fiorame dell’erte. Nella seconda mostra fenestre, capitelli ed altro de’ piani superiori, ma altera alcune parti, e fa lisce le colonne della cima, quando sono canalate tortuosamente, anzi le pose in disegno il Blondel, per esempio della spirale perfetta. Ma da niuno si è fatta considerazione sopra una particolarità, che non credo vedersi altrove, e che se fosse stata avvertita, di gran ragionamenti avrebbe dato motivo a gli Architetti ne’ lor volumi; cioè che essendo Composti i capitelli delle colonne inferiori, son poi Corintii quei delle superiori. Trionfava molto con tal notizia lo Scamozio nella sua particolar opinione intorno all’Ordine Composto, che non vuole dal Corintio diverso; e che avanti d’essere da’ Moderni reso più svelto, potea veramente pretendersi non altro che una diversa modificazion del Corintio. Lodò molto il Serlilo quel capitello, che disse Corintio puro, e il non aver l’architrave se non due fasce in quell’altezza. Lodò singolarmente anche l’ordine di mezo, che potrebbe quasi chiamarsi Attica, essendo tanto minor degli altri: il lodò, dissi, per la cornice modesta e ben compartita, e con graziosa proiettura; e per aver l’Architetto accordate ingegnosamente le colonnette maggiori con le minori senza disunirle, e facendo che l’une e l’altre avessero convenevol base. Una cosa è in quest’opera che par molto strana, e che mi stupisco parimente non sia stata avvertita. Le due colonne di mezo del piano superiore sembrano posare in falso; [p. 83 modifica]perchè non solamente cadono nel vano della porta, ma sul pendio del frontispizio. Forse l’Architetto vi fu tratto dalla necessità impostagli di quello spazio che si vede in alto, e di cui parleremo or ora; e forse si credette salvo a bastanza dal framezare di quella giunta che disunisce un piano dall’altro.

Resta da ricercare a che servisse questa doppia porta. Il vederla geminata me la fece già credere della città; ma le mura, se ben non molto lontane, non poteano capitare a quel sito, anzi non piegavano a quella parte; e il vedere come la facciata è nel di dentro, non nel di fuori, ci fa sicuri che porta della città non era. La larghezza dell’apertura non è di piedi undici, come si legge nel Serlio, ma poco più di nove; ben crescono alcune oncie delle dieci le già considerate, che fur porta della città. Avend’io però osservato in una Medaglia di Claudio, come similmente duplicata era la porta degli Alloggiamenti Pretoriani, ne ho appreso ch’altre porte ancora, dove gran numero di gente dovesse nell’istesso tempo andar dentro e fuori, si fecero in tal guisa. E siccome nelle città molto popolate niun luogo suol essere più frequentato del Foro, così a niun altro crediamo adattarsi più la doppia porta4: nè però sarebbe da acquietarsi in tal congettura, se il chiaro indizio dell’iscrizione [p. 84 modifica]che in fronte si legge, nol persuadesse, essendo a bellissime lettere scolpito sopra la porta, che sussiste, il nome di Tiberio Flavio Norico Quartumviro per giudicare. A tempo del Saraina anche nell’altro più antico muro vedeansi fra l’una porta e l’altra quattro nomi, quali molto è probabile fossero de’ Quadrumviri di quel tempo, cioè de’ quattro supremi Giudici, ridicole essendo le congetture enunziate sotto i detti nomi in alcuni libri (v. Grut. 178, 2). Il sito, ch’era allora vicino ad una porta della città, fa sovvenire dell’uso Ebraico di tener ragione nelle città appunto a una porta di esse, come appar nel Deuteronomio (XXV, 7, ec.), in più luoghi, ed in Giosuè (XX, 4), e ci s’allude nell’Epistola di S. Giacopo (V, g). Quindi è, che nella riedificazion di Gerusalemme narrata nel secondo d’Esdra (III, 3i ), si nomina tra le porte la Giudiziale: a più porte pare ancora in Zaccaria (c. 8) che si tenesse ragione, e S. Gerolamo ne assegna per motivo il comodo de’ territoriali. Deesi notare, come dinanzi all’incavatura che si vede nel mezo in alto, non solamente c’è piano d’un piede in circa, ma discendendo su la cornice dell’ordine secondo, ci resta spazio assai maggiore, e nel quale poteano star più persone. E probabile che la sponda fosse balaustrata, con ciò formandosi una ringhiera, dalla qual forse i Preconi, o sia banditori publicasser sentenze o decreti, overo prestassero l’opera loro nelle vendite secondo l’uso antico: che montassero 1 Preconi sopra una pietra, e per conseguenza [p. 85 modifica]in alto, l’argomento da un passo di Plauto (Bac. 4, 7, 17). Sarà chiesto perchè mai fossero qui due simili coppie di porte, una addossata all’altra. Par credibile, ch’essendo la più antica mal ridotta, o volendosi al Palagio publico fare un più sontuoso prospetto, e più ornato, e più durevole, senza atterrar l’anteriore, altra facciata ci si costruisse dinanzi; vedendosi in fatti nel di dentro alcune pietre della seconda, che arrivano ad unirsi con la prima, e quasi a serrarla, e a collegarsi con essa.


Arco de’ Gavii.


Presso al Castel vecchio troverà il forastiero parte dello scheletro d’un Arco celebratissimo parimente dagli Architetti. Serlio ne parlò a lungo, e lo disse d’opera Composita e molto ornata, e ne diede misure e parti con molta distinzione e diligenza. Daniel Barbaro lo disse d’opera Corintia sommamente lodata. Il Serlio tornò a parlarne nel libro quarto, e ne disegnò il capitello delle colonne, e quello delle pilastrate dell’Arco per esemplare dell’ordine Composito: dal Barbaro fu detto Corintio per la ragione da noi poco fa accennata, e perchè tali ne sono le proporzioni. Il fiorame delle pilastrate, ch’è molto ben condotto, fu rapresentato dal Saraina. Bellissimo chiamò quest’Arco il Palladio e non esser di Vitruvio, come alcuni credeano, ma di tempi ancor migliori [cioè alquanto posteriori], scrisse lo Scamozio.

Questo è veramente Arco, perchè ha [p. 86 modifica]un’apertura sola, e la ugual fronte a due parti, avendo di qua e di là tulli gl’istessi ornamenti e non una semplice parete, come la Porta de’ Borsari, ma tiene dieciotto piedi di grossezza, o sia di fondo e di fianco, avendone trenta di lunghezza, o sia di prospetto e di fronte. Chi ne riguarderà le stampe fatte dal Serlio e da’ nostri, crederà che manchi qui un de’ sei contrasegni, dati poco avanti da noi per conoscer gli Archi, poichè ci vedrà il frontispizio. Ma questo può servir di documento della confusione che ha prodotta nello studio dell’Antichità, la licenza del non darle come stanno, ma volerle supplire ad arbitrio, poichè frontispizio qui non fu mai, nè vestigio di esso, nient’altro da più e più secoli sopravanzando d’antico nell’alto, se non nella parte di fuori un pezzo di cornice orizontale, ch’era il termine dell’ordine, e sopra il quiale altro non potea essere, che quell’aggiunta, qual si suol chiamar Attica da’ professori5. Lo stesso dicasi ove nel gran corpo, intitolato Antichità Spiegata (t. 4, par. 1), si mette alla testa di tutti gli Archi quel d’Oranges, e si mostra col frontispizio; il che tanto sarà vero, quanto che fosse eretto a Mario dopo vinti i Cimbri.

Il pezzo di cornice che sopravanza ha modiglioni e dentelli, ed è ornato d’intaglio tutto anche in ogni lato dei modiglioni. Vien lodata tutta l’opera singolarmente per la bellezza e [p. 87 modifica]consenso delle parti; ma la sua proporzione non si può godere, perchè ne resta sepolta gran parte; cioè tutto il piedestallo, ch’era il terzo dell’altezza delle colonne, come può vedersi in quello che sopra il fosso del Castello resta scoperto, e come han notato ne’ lor volumi i maestri in Architettura. L’altezza però dell’apertura dell’Arco crcscea di due larghezze, essendo la larghezza di piedi 11, e l’altezza considerata dal piede quasi di 24. Le due nicchie adunque, che da ogni parte si veggono, e nelle quali posavano altrettante statue, rimanevano in giusta altezza. Fu in quest’edilizio singolarmente, e anche in alcun altro de’ nostri, che parve al Palladio di scoprire, come gli Antichi per congiunger sì ben le pietre, che appena ne apparissero le comissure, usassero di non lavorare interamente, nè squadrare l’esterna lor faccia, se non dopo messe in opera. È osservabile che una porta non molto grande era nel fianco, e di altra simile nell’altro vedesi il segno interiormente: le colonne angolari parimente venivano a far faccia anche su i lati. Potrebbe però sospettarsi che l’Arco avesse formato un quadrivio, e avesse dato passaggio da ogni parte, come quadrifronte facessi Giano talvolta, e chiamavasi gemino, il che si ha da Macrobio (l. i, c. 9), e da Isidoro (l. 8, c. 12): ma piccola essendo e bassa rispetto alle due principali aperture tal porta, è più tosto da credere che per essa si entrasse in cameretta, della quale di qua e di là pur rimane il vacuo, indi per gradini a chiocciola si salisse in altra, della cui fenestra vestigio in fatti si vede [p. 88 modifica]sopra la porta. Camerette incavate in altri Archi ha spezialmente osservate e rappresentate il Desgodetz. Altre riflessioni pare dovesser l’arsi sopra le parti architettoniche di quest’edilizio ma per verità ne riman sì poco, e quel poco sì corroso e guasto, e tanto coperto e trasformato per la terra da piede, per li muri fabricativi in cima posteriormente, e per altre ingiurie, che nulla più si può dirne.

Rarissima particolarità è in quest’Arco, cioè il nome del suo architetto Lucio Vitruvio Cerdone scolpito sotto dalle parti. Si è già dimostrato, trattando de gli Scrittori, come l’Iscrizione è antica e sincera, e come liberto e discepolo del gran Vitruvio convenga credere il nostro Cerdone6. Niente osta a ciò il vedere nel piccol pezzo che riman di cornice modiglioni e dentelli, il che fu riprovato da Vitruvio; perchè dopo lui fu posto in uso comunemente. Aggiungasi che Vitruvio non tanto ordina di astenersi da ciò, quanto dice, essersene astenuti i Greci, anzi non essersi usato in nissun modo da’ più antichi dentello ne’ fastigii, ma cornici pure: la ragione per altro assegnatane può dirsi superstiziosa e troppo sottile. Vilruvio non avrebbe nè pure certamente ammesso il far nell’istesso capitello foglie che son del Corintio, e fascia lavorata tra le volute, ch’è dell’Jonico, perchè a suo tempo il Composito non era in uso ancora; e non per [p. 89 modifica]questo l’avranno rifiutato poi quelli della sua scuola: anzi secondo tal ordine appunto veggonsi lavorati i più degli Archi. Oppongono che non era permesso anticamente di mettere il nome degli Architetti: ma ciò vuole intendersi nell’Iscrizion nobile e grande, come non sarebbe parimente permesso in oggi di metterlo in fronte de’ grandi edifizj: ma siccome modernamente i nomi del Falconetto e del Sanmicheli vedremo a suo luogo essere stati non pertanto con modestia incisi, così non era vietato allora il far noto l’Architetto con minori lettere, e in sito men cospicuo; il che abbiam provato con altro simile antico esempio trattando de gli Scrittori.

Dell’uso e fine di quest’edifizio è ora necessario dir qualche cosa, per isgombrare un altro comune errore degli Antiquarii e degli Architetti, che ogn’Arco chiamano trionfale, e credono esser tutti stati eretti per occasion di trionfare: il che se fosse, per qual cagione vedressimo tuttora un Arco di Traiano a Benevento, e un d’Augusto ad Ancona? anzi quest’ultimo insegna e dichiara l’Iscrizione, che non per vittorie gli fu inalzato, ma per aver fatto fare col suo denaro quel porto. Domiziano ne fece alzar molti qua e là per Roma senza motivo alcuno (Svet. c. 13). Or bisogna in oltre avvertire che non per Imperadori solamente, o per congiunti loro, Archi si fabricarono, come prima forse d’ogn’altro, per decreto del Senato, uno se ne fece dopo morte a Druso figliuolo di Livia e d’Augusto e padre di Claudio Le iscrizioni che in questo nostro a bellissime lettere [p. 90 modifica]sollo alle nicchie fur poste, mostrano che le statue erano di quattro Gavii, onde per loro, e non per Imperadore alcuno, fu fatto. Panvinio lo attribuì a quel Gavio che fu Console nell’anno 145 di Cristo; ma più cose ripugnano, e l’onore non fu fatto a un Personaggio solo, ma a quattro di una famiglia, compresavi anche una donna, il nome della quale fu letto dal Saraina, benchè al presente resti occultato. Così il bellissimo Arco Corintio di Pola ha nell’Attica i nomi di tre Sergii, e nel fregio quel della moglie dell’un di essi, che fece la spesa. Dirò in oltre, che sì fatti edifizj non Archi di trionfo, come chiama quel di Pola anche lo Sponio, ma erano per lo più sepolcri o almen cenolafj, cioè depositi onorarii; e molto probabil si è, che tali fossero e quel di Pola e il nostro; però erano allora fuor di città, e si vedea nell’uno la statua anche d’una donna, e nell’altro il nome di colei che tal monumento al marito e ad altri di sua famiglia avea fatto.

Perchè ciò paia meno strano, osservisi nel Teatro degli Stati di Savoia, come un Arco si conserva ad Aix, in cui si legge essere stato eretto da Pompeo Campano ancor vivente, e vi si veggono in alto i titoli e le cellette per le ceneri di diversi. Marcanova, Feliciano e Ciriaco nelle lor raccolte a penna adducono una lapida di Zara, ove si vede che Melia Anniana in memoria del defonto marito fece fare un Arco e sopraporvi le statue (v. Grut. 1599: Arcuai fieri). Anche gli Archi, quali ricavo da Claudiano (De VI. Cons. Hon. v. 520) si trovano su la via, prima d’arrivare alla porta di [p. 91 modifica]Roma, è credibil fossero dell’istesso genere: nell’istessa situazione era questo nostro.

Si è narrato nella Storia, come il Re Teodorico fece cambiar uso a quest’Arco, avendolo compreso e inserito nel secondo recinto, e fatto diventare una porta di esso. Osservisi però la contigua torre dell’orologio, che non fabrica Scaligera, come vien creduto, se non nella parte alta, ch’è di mattoni, ma fu una delle Torri di quel recinto, e fu qui inalzata per difesa di questa Porta. Pietre vive e grandissime state prima dell’Anfiteatro e d’altri edifizj vi si possono osservare, in alquante delle quali appar l’uso antico di lasciar rozo il mezo. Ve n’ha ancora di lavorate: pezzo di gran fregio Corintio a fiorami; altro d’architrave e fregio con grifi alati e vaso tra loro, appunto come si vede al Tempio d’Antonino e Faustina; un pezzo d’architrave del terzo piano dell’Arena in quattro membri. Per sicurezza che questa Torre spetti a quel tempo, osservisi tra le dette pietre, e il cotto aggiunto sopra dagli Scaligeri, alquanti piedi delle piccole pietre, e del lavoro usato in tutto il secondo recinto. Anzi passando nel Castello, potrà vedersi continuare il detto muro anche dentro, e nella cima di esso lastre di pietra viva, che vengono di qua e di là d’un piede in fuori: sopra esse era qualche cosa ancora, forse merli. Altro pezzo grande di quel muro si vede verso il ponte, e presso la riva del fiume, dov’era il suo termine.

Altro Arco era nel quadrivio del Corso venendo da Sant’Eufemia, gli avanzi del quale [p. 92 modifica]furono a tempo de’ padri nostri miseramente distrutti per far luogo a un’osteria che taglia e rompe la strada. Ma più altre reliquie veggonsi qua e là per le strade, spezialmente di colonne canalate, o di capitelli. Nella piazza dell’Erbe una statua trasportata per ordine del Consolare della Venezia a tempi di Teodosio dal Campidoglio nel Foro. Incastrate nel muro di S. Zenone in Oratorio7 tavole di bassorilevo, publicate nel Panvinio con Baccanti armati di tirso e Genii che scherzano, ed altre pietre co’ Fasci Consolari, veggonsi anche in quella pietra, che diede a una contrada nome della Cadrega7. Ad altre ancora hanno dato il nome frammenti d’antichità, che quivi si veggono, come i due Leoni, e la Pina, ch’era a tempi Romani ornamento assai usato ne’ fastigii; onde fu creduta per alcuni arme antica, ed impresa della città d’Augusta. Al Duomo fuor della porta laterale interna8 due grandissimi pezzi di marmo Greco lavorati molto operosamente, che paiono esser già stali parte di fregio, o di pilastrata, ma in edifizio certamente superbo e magnifico. In casa Cosmi colonna di Verde antico alta piedi 128. Innanzi alla Chiesa di Sant’Anastagia pezzo di colonna d’Africano in diametro di tre piedi. Sopra la porta del prossimo albergo stette gran tempo un’Aquila antica d’ottima maniera, levata e fatta in pezzi pochi anni sono per dare in [p. 93 modifica]cambio un bel bianco al muro. Nella muraglia del Castel vecchio presso l’Arco, nel cortile de1 Cappuccini, in Castel S. Pietro, in una bottega presso S. Tomaso alla piazza, e in moltissimi altri luoghi per la strada, e nelle muraglie, antiche pietre figurate o scritte ravviserà chi abbia l’occhio perito: lasciando per ora le molte anticaglie che son raccolte ne’ Musei, delle quali si darà notizia ove di essi. Mentre si sta attualmente mettendo insieme queste notizie, volendosi nella casa de’ Conti Maffei di piazza profondar maggiormente una sotterranea cantina, si è urtato in grandissimo pezzo di marmo Pario, cioè in base ben lavorata con suo zoccolo di terribil colonna, che dovea accostarsi a tre piè e mezo Veronesi di diametro. Veggasi di quai colonnati era adorna la nostra piazza, che fu pur sempre nell’istesso sito; e veggasi, benchè sì bei marmi fossero nel paese, quanto uso si facesse de’ più preziosi ed oltramarini. Sotto il sudetto altri gran pezzi di marino si son discoperti, che non è stato possibil muovere, perchè s’internan ne’ fondamenti: e così avvien sempre, quando dentro il primo recinto della città avvien di scavare molto a fondo.





Note

  1. Nella Parte IV dell’Opera, o sia nell’ultimo volume della presente edizione.
  2. . . . . . Troes contra defendere saxis,
    Perque cavas densi tela intorquere fenestras.

    Virg. l. 9, 534

  3. Nell’esemplare del Maffei si trovano cancellate queste parole, e ad emendazione del passo aggiunta in margine la seguente postilla: Medaglie. — L’Arco in Traiano ha il frontone, e così in alcune altre; e l’ha quel d’Oranges. — (Gli Editori)
  4. I Turchi lo hanno ancora: e quinci Porla Ottomana, che è come dire il gran Divano.
  5. Vedi il disegno (Tav. I); ha veramente il frontispizio; ma vedine la ragione ove ne parlo nella lettera sopra il Teatro d’Oranges.
  6. Plin. l. 36, 5. Saurone e Batrachus non poterono ottenere di far la loro iscrizione in un Tempio. — Plin. 36, 12. Tolomeo permise a Sostrato di mettere il suo nome su la torre del Faro.
  7. 7,0 7,1 Dicontro a questo passo cancellato nel corpo del testo leggesi: trasportate al Museo. — (Gli Editori).
  8. 8,0 8,1 Anche questo brano è segnato con due linee obblique, ed è scritto in margine: trasportino al Museo. — (Gli Editori).