Versi editi ed inediti di Giuseppe Giusti/L'Incoronazione

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L’Incoronazione

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Il Sospiro dell'anima A un Amico
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L’INCORONAZIONE.



Al Re dei Re che schiavi ci conserva,
     Mantenga Dio lo stomaco e gli artigli:
     Di coronate Volpi e di Conigli
                                        Minor caterva

Intorno a lui s’agglomera, e le chiome
     Porgendo, grida al tosator sovrano:
     Noi toseremo di seconda mano,
                                        Babbo, in tuo nome.

Vedi i ginocchi insudiciar primiero
     Il Savoiardo di rimorsi giallo,
     Quei che purgò di gloria un breve fallo
                                        Al Trocadero.

O Carbonari, è il Duca vostro, è desso
     Che al palco e al duro carcere v’ha tratti;
     Ei regalmente del ventuno i patti
                                        Mantiene adesso.

Colla clamide il suol dietro gli spazza
     Il Lazzarone paladino infermo:
     Non volge l’anno, in lui sentì Palermo
                                        La vecchia razza.

Di tant’armi che fai, re Sacripante?
     Sfondar ti pensi il cielo con un pugno?
     Smetti, scimmia d’eroi; t’accusa il grugno
                                        Di Zoccolante.

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Il Toscano Morfeo vien lemme lemme
     Di papaveri cinto e di lattuga,
     Che per la smania d’eternarsi asciuga
                                        Tasche e Maremme.

Co’ Tribunali e co’ Catasti annaspa;
     E benchè snervi i popoli col sonno,
     Quando si sogna d’imitare il nonno,
                                        Qualcosa raspa.

Sfacciatamente degradata torna
     Alle fischiate di sì reo concorso,
     Lei che l’esilio consolò del Côrso
                                        D’austriache corna.

Ilare in tanta serietà si mesce
     Di Lucca il protestante Don Giovanni,
     Che non è nella lista de’ tiranni
                                        Carne nè pesce.

Nè il Rogantin dì Modena vi manca,
     Che avendo a trono un guscio di castagna,
     Come se fosse il Conte di Culagna,
                                        Tra i Re s’imbranca.

Roghi e mannaie macchinando, vuole
     Con derise polemiche indigeste,
     Sguaiato Giosuè di casa d’Este,
                                        Fermare il sole.

Solo a Roma riman Papa Gregorio,
     Fatto zimbello delle genti ausonie.
     Il turbin dell’età, nelle colonie
                                        Del Purgatorio,

Dell’indulgenze insterilì la zolla
     Che già produsse il fior dello zecchino:
     Or la bara infruttifera il becchino
                                        Neppur satolla.

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D’Arpie poi scese una diversa pêste
     Nel santuario a dar l’ultimo sacco:
     O vendetta d’Iddio! pesta il Cosacco
                                        Di Pier la veste.

O destinato a mantener vivace
     Dell’albero di Cristo il santo stelo,
     La ricca povertà dell’Evangelo
                                        Riprendi in pace.

Strazii altri il corpo; non voler tu l’alma
     Calcarci a terra col tuo doppio giogo:
     Se muor la speme che al di là del rogo
                                        S’affisa in calma,

Vedi sgomento ruinare al fondo
     D’ogni miseria l’uom che più non crede;
     Ahi! vedi in traccia di novella fede
                                        Smarrirsi il mondo.

Tu sotto l’ombra di modesti panni
     I dubitanti miseri raccogli:
     Prima a te stesso la maschera togli,
                                        Quindi ai tiranni.

Che se pur badi a vender l’anatema,
     E il labbro accosti al vaso dei potenti,
     Ben altra voce all’affollate genti:
                                        « Quel diadema

» Non è, non è, (dirà) de’ santi chiodi,
     » Come diffuse popolar delirio:
     » Cristo l’armi non dà del suo martirio
                                        » Per tesser frodi.

» Del vomere non è per cui risuona
     » Alta la fama degli antichi Padri:
     » È settentrïonal spada di ladri,
                                        » Tôrta in corona.

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» O latin seme, a chi stai genuflesso?
     » Quei che ti schiaccia è di color l’erede;
     » È la catena che ti suona al piede
                                        » Del ferro istesso.

» Or via, poichè accorreste in tanta schiera,
     » Piombate addosso al mercenario sgherro;
     » Sugli occhi all’oppressor baleni un ferro
                                        » D’altra miniera;

» Della miniera che vi diè le spade
     » Quando nell’ira mieteste a Legnano
     » Barbare torme, come falce al piano
                                        » Campo di biade.»

Ahi che mi guarda il popolo in cagnesco,
     Mentre, alle pugne simulate vôlto,
     Stolidi viva prodiga al raccolto
                                        Stormo tedesco!

Il popol no: la rea ciurma briaca
     D’ozio, imbestiata in leggiadrie bastarde,
     Che cola, ingombro, alle città lombarde
                                        Fatte cloaca:

Per falsi allori e per servil tiara
     Comprati mimi; e ciondoli e livree
     Patrizie, diplomatiche e plebee,
                                        Lordate a gara;

E d’ambo i sessi adulteri vaganti,
     Frollati per canizie anticipata;
     E con foia d’amor galvanizzata
                                        Nonni eleganti;

Simili al pazzo che col pugno uccide
     Chi lo soccorre di pietà commosso,
     E della veste che gli brucia addosso
                                        Festeggia e ride.