Vestigi della Storia del Sonetto Italiano dall'anno MCC al MDCCC/Vestigi

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GUITTONE D’AREZZO


fioriva


intorno al mccxx



Quanto più mi distrugge il mio pensiero
     Che la durezza altrui produsse al mondo,
     Tanto ognor, lasso! in lui più mi profondo,
     E col fuggir della speranza, spero.

5Io parlo meco, e riconosco il vero,
     Chè mancherò sotto sì grave pondo
     Ma il mio fermo desio tanto è giocondo
     Ch’io bramo e seguo la cagion ch’io pero.

Ben forse alcun verrà dopo qualche anno,
     10Il qual leggendo i miei sospiri in rima,
     Si dolerà della mia dura sorte:

E chi sa! che colei che or non mi estima,
     Visto con il mio mal giunto il suo danno,
     Non deggia lagrimar della mia morte.

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GUIDO CAVALCANTI


morto


intorno al mccc



Chi è questa che vien che ogni uom la mira?
     Che fa tremar di caritate l’a’re?
     E mena seco Amor, sì che parlare
     Null’uom ne puote; ma ciascun sospira?

5Ahi Dio? che sembra quando gli occhi gira!
     Dicalo Amor, ch’io nol saprei contare:
     Cotanto d’umiltà donna mi pare,
     Che ciascun altra inver di lei chiam’ira.

Non si poria contar la sua piacenza;
     10Che a leî s’inchina ogni gentil virtute,
     E la Beltate per sua Dea la mostra.

Non è sì alta già la mente nostra,
     E non s’è posta in noi tanta salute
     Che propriamente n’abbiam conoscenza.

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DANTE ALIGHIERI


morto


nel mcccxxi



Negli occhi porta la mia donna amore,
     Perchè si fa gentil ciò ch’ella mira:
     Ov’ella passa ogni uom ver lei si gira
     E cui saluta fa tremar lo core,

Sì che bassando il viso tutto smuore,
     Ed ogni suo difetto allor sospira:
     Fugge dinanzi a lei superbia ed ira;
     Aiutatemi donne, a farle onore.

Ogni dolcezza, ogni pensiero umìle
     Nasce nel core a chi parlar la sente,
     Ond’è beato chi prima la vide:

Quel ch’ella par quando un poco sorride
     Non si può dire nè tenere a mente;
     Si è novo miracolo e gentile!

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CINO DA PISTOIA


morto


nel mcccxxxvi



Mille dubii in un dì, mille querele
     Al tribunal dell’alta imperatrice
     Amor contra me forma irato, e dice: —
     Giudica chi di noi sia più fedele:

Questi, solo per me spiega le vele
     Di fama al mondo ove saria infelice. —
     Anzi d’ogni mio mal sei la radice,
     Dico, e provai già del tuo dolce il fele. —

Ed egli; Ahi falso servo fuggitivo!
     È questo il merto che mi rendi, ingrato,
     Dandoti una a cui in terra egual non era? —

— Che val, grido, se tosto me n’hai privo? —
     Io no; risponde. — Ed ella: A sì gran piato
     Convien più tempo a dar sentenza vera.

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FRANCESCO PETRARCA


morto


nel al mccclxxiv.



In qual parte del Cielo in quale Idea
     Era l’esempio onde natura tolse
     Quel bel viso leggiadro in ch’ella volse
     Mostrar quaggiù quanto lassù potea?

5Qual ninfa in fonti, in selve mai qual Dea
     Chiome d’oro sì fine all’aura sciolse?
     Quando un cor tante in sè virtuti accolse?
     Benché la somma è di mia morte rea!

Per divina bellezza indarno mira,
     10Chi gli occhi di costei giammai non vide
     Come soavemente ella gli gira:

Non sa come Amor sana e come ancide,
     Chi non sa come dolce ella sospira
     E come dolce parla e dolce ride.

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GIUSTO DE’ CONTI


scriveva


verso il mcccc o poco dopo



Chi è costei che nostra etate adorna
     Di tante meraviglie e di valore?
     E in forma umana in compagnia d’Amore
     Fra noi mortali come Dea soggiorna?

5Di senno e di beltà dal ciel s’adorna
     Qual spirto ignudo e sciolto d’ogni errore;
     E per destin la degna a tanto onore
     Natura, che a mirarla pur ritorna.

In lei quel poco lume è tutto accolto
     10E quel poco splendor che a’ giorni nostri
     Sovra noi cade da benigne stelle.

Tal che ’l Maestro de’ stellati chiostri
     Si lauda, rimirando nel bel volto;
     Che fè già di sua man cose sì belle.

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LEONELLO D’ESTE


viveva


intorno al mccccxi.



Amor m’ha fatto cieco; e non ha tanto
     Di carità che mi conduca in via;
     Mi lascia per dispetto in mia balìa,
     E dice; Or va; tu che presumi tanto.

5Ed io perchè mi sento in forza alquanto,
     E spero di trovar chi man mi dia,
     Vado; ma poi non so dove mi sia:
     Sicché mi fermo ritto su d’un canto.

Amore allora, che mi sta guatando,
     10Mi mostra per disprezzo e mi ostenta,
     E mi va canzonando in alto metro:

Nè ’l dice così pian ch’io non lo senta,
     Ond io rispondo così borbottando:
     Mostrami almen la via ch’io torni indietro.

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LORENZO DE’ MEDICI


morto


nel mcdxc.



Belle fresche purpuree viole,
     Che quella candidissima man colse,
     Qual pioggia o qual puro aer produr volse
     Tanto più vaghi fior che far non suole?

Qual rugiada, qual terra, ovver qual Sole
     Tante vaghe bellezze in voi raccolse?
     Onde il soave odor Natura tolse,
     O il ciel ch’a tanto ben degnar ne vuole?

Care mie violette, quella mano
     Che v’elesse intra l’altre, ov’eri, in sorte,
     V’ha di tante eccellenze e pregio ornate;

Quella che il cor mi tolse e di villano
     Lo fè gentil, a cui siate consorte,
     Quella dunque, e non altri, ringraziate.

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PIETRO BEMBO


sonetto


scritto nel mdxxi.



Già donna, or Dea; nel cui virginal chiostro,
     Scendendo in terra a sentir caldo e gelo,
     S’armò per liberarne il Re del cielo
     Da l’empie man de l’avversario nostro.

I pensier tutti e l’uno e l’altro inchiostro,
     Cangiata veste, e con la mente il pelo,
     A te rivolgo: e, quel che agli altri celo,
     Le interne piaghe mie ti scopro e mostro:

Sanale; che puoi farlo: e dammi aita
     A salvar l’alma da l’eterno danno;
     La qual, se dal cammin dritto impedita,

Le Sirene gran tempo schernita hanno,
     Non tardar tu; che omai della mia vita
     Si volge il terzo e cinquantesim’anno.

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VITTORIA COLONNA


morta


nel mdxlvi.



Ahi quanto fu al mio Sol contrario il fato
     Che con l’alta virtù de’ raggi suoi
     Pria non v’accese; che mill’anni e poi,
     Voi sareste più chiaro, ei più lodato!

5Il nome suo col vostro stile ornato
     Che fa scorno agli antichi invidia a noi,
     A mal grado del tempo avreste voi
     Dal secondo morir sempre guardato.

Potess’io almen mandar nel vostro petto
     10L’ardor ch’io sento, o voi nel mio l’ingegno
     Per far la rima a quel gran merto eguale!

Che così temo il ciel non prenda a sdegno
     Voi, perchè preso avete altro soggetto;
     Me, che ardisco parlar di un lume tale.

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VERONICA GAMBARA


morta


nel mdl.



Altri boschi, altri prati ed altri monti,
     Felice e lieto Bardo, or godi e miri;
     Ed altre ninfe vedi in vaghi giri
     Danzar cantando intorno a fresche fonti:

5E ad altri che a mortali ora racconti
     I moderati tuoi santi desiri;
     Ne più fuor del tuo petto escon sospiri
     Di dolor segni manifesti e conti:

Ma beato dal ciel nascer l’aurora,
     10E sotto i piedi tuoi vedi le stelle
     Produr girando i vari effetti suoi;

E vedi che i pastor, d’erbe novelle
     Sacrificio li fanno; e dicon poi:
     Sii propizio a chi t’ama e a chi t’onora.

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GALEAZZO DI TARSIA


morto


intorno al mdlx.



Già corsi l’Alpi gelide e canute,
     Malfida siepe alle tue rive amate,
     Or sento, Italia mia, l’aure odorate
     E l’aere pien di vita e di salute.

5Quante mi deste al cor, lasso! ferute,
     Membrando la fatal vostra beltate,
     Culti poggi, antri verdi, ed ombre grate,
     Da’ ciechi figli tuoi mal conosciute!

Oh felice colui che un breve e colto
     10Terren fra voi possiede, un antro, un rivo,
     Sua cara donna, e di fortuna un volto!

Ebbi i miei tetti e le mie paci a schivo;
     Ahi giovenil desìo fallace e stolto!
     Or vo piangendo che di lor son privo.

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GIO. DELLA CASA


morto


nel mdlxvi.



O sonno! o, della queta umida ombrosa
     Notte, placido figlio! o de’ mortali
     Egregi, conforto; oblio dolce de’ mali
     Sì gravi, ond’è in vita aspra e noiosa!

5Soccorri al core omai che langue; e posa
     Non ave; e queste membra stanche e frali
     Solleva: a me ten vieni, o sonno! e l’ali
     Tue brune sovra me distendi e posa.

Ov’è il silenzio che il dì fugge e il lume?
     10E i lievi sogni che con non secure
     Vesti già di seguirti han per costume?

Lasso! che in van te chiamo; e queste oscure
     E gelide ombre invan lusingo. Ahi piume
     D’asprezza colme! ahi notti acerbe e dure!

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ANGELO DI COSTANZO


morto


verso l’anno mdxc.



Quella cetra gentil che in su la riva
     Cantò di Mincio, Dafni e Melibeo,
     Sì che non so, se in Menalo o in Liceo,
     In quella o iu altra età, simil s’udiva;

5Poi che con voce più canora e viva
     Celebrato ebbe Pale ed Aristeo,
     E le grand’opre che in esilio feo
     Il gran figliuol d’Anchise e della Diva;

Dal suo Pastore in una quercia ombrosa
     10Sacrata pende; e se la move il vento,
     Par che dica superba e disdegnosa;

Non sia chi di toccarmi abbia ardimento;
     Che se non spero aver man sì famosa,
     Del gran Tiliro mio sol mi contento.

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TORQUATO TASSO


morto


nel mdxcv.



Amore alma è del Mondo; Amore è mente
     Che volge in Ciel per corso obliquo il Sole,
     E degli erranti Dei l’alte carole
     Rende al celeste suon veloci e lente:

5L’aria, l’acqua, la terra, il fuoco ardente,
     Misto a’ gran membri dell’immensa mole
     Nudre il suo spirto; e s’uom s’allegra e duole
     Ei n’è cagione, o speri anco e pavente.

Pur, benchè tutto crei, tutto governi,
     10E per tutto risplenda e in tutto spiri,
     Più spiega in noi di sua possanza amore:

E disdegnando i cerchi alti e superni
     Posto ha la sede sua ne’ dolci giri
     De’ be’ vostr’occhi,e il tempio ha nel mio core.

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ALESSANDRO TASSONI


morto


nel mdclxxv.



Questa Mummia col fiato in cui Natura
     L’arte imitò d’un uom di carta pesta
     Che par mover le mani e i piedi a sesta
     Per forza d’ingegnosa architettura;

5Di Filippo da Narni è la figura,
     Che non portò giammai scarpa, nè vesta
     Che fosser nuove, o cappel nuovo in testa;
     E cento mila scudi ha su l’usura.

Vedilo col mantel spelato e rotto
     10Ch’ei stesso ha di fil bianco ricucito,
     E la gonnella del piovano Arlotto.

Chi volesse saper, di ch’è il vestito
     Che già quattordici anni e’ porta sotto.
     Non troveria del primo drappo un dito.

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FRANCESCO REDI


morto


nel mdcxcviii.



Lunga è l’arte d’Amor, la vita è breve;
     Perigliosa la prova, aspro il cimento,
     Difficile il giudizio: e al par del vento
     Precipitosa l’occasione e lieve.

5Siede in la scuola il fero mastro, e greve
     Flagello impugna al crudo ufficio intento;
     Non per via del piacer, ma del tormento
     Ogni discepol suo vuol che s’alleve.

Mesce i premi al castigo; e sempre amari
     10I premi sono, e tra le pene involti,
     E tra gli stenti, e sempre scarsi e rari.

Eppur fiorita è l’empia scuola, e molti
     Già vi son vecchi; eppur non v’è chi impari:
     Anzi imparano tutti a farsi stolti.

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BENEDETTO MENZINI


morto


nel mdcciv.



Mentr’io dormia sotto quell’elce ombrosa
     Parvemi, disse Alcon, per l’onde chiare
     Gir navigando donde il Sole appare
     Sin dove stanco in grembo al mar si posa.

5E a me, soggiunse Elpin, nella fumosa
     Fucina di Vulcan parve d’entrare,
     E prender armi d’artificio rare
     Grand’elmo e spada ardente e fulminosa.

Sorrise Uranio, che per entro vede
     10Gli altrui pensier col senno; e in questi accenti
     Proruppe e s’acquistò credenza e fede.

Siate, o pastori, a quella cura intenti
     Che giusto il Ciel dispensator vi diede,
     E sognerete sol greggi ed armenti.

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ALESSANDRO GUIDI


morto


nel mdccxii.



Non è costei della più bella Idea
     Che lassù splenda a noi discesa in terra;
     Ma tutto il bel che nel suo volto serra
     Sol dal mio forte immaginar si crea.

5Io la cinsi di gloria e fatta ho Dea,
     E in guiderdon le mie speranze atterra;
     Lei posi in regno, e me rivolge in guerra,
     E di mio pianto e di mia morte è rea.

Tal forza acquista un amoroso inganno;
     10E amar convienimi, ed odiar dovrei
     Come il popolo oppresso odia il tiranno.

Tutta mia colpa è il crudo oprar di lei;
     Or conosco Terrore e piango il danno.
     Arte infelice è il fabbricarsi i Dei!

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GIO. BATTISTA ZAPPI.


morto


intorno al mdccxx.



In quella età ch’io misurar solea
     Me col mio capro, e il capro era maggiore.
     Io amava Clori, che insin da quell’ore
     Maraviglia, e non donna a me parea.

5Un dì le dissi, io t’amo; e il disse il core,
     Poichè tanto la lingua non sapea;
     Ed ella un bacio diemmi e mi dicea:
     Pargoletto, ah non sai che cosa è amore!

Ella d’altri s’accese, altri di lei;
     10Io poi giunsi all’età ch’uom s’innamora,
     L’età degl’infelici affanni miei:

Ciori or mi sprezza, io l’amo insin d’allora:
     Non si ricorda del mio amor costei;
     Io mi ricordo di quel bacio ancora.

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CORNELIO BENTIVOGLIO


morto


nel mdccxxxv.



Vidi; ahi memoria rea delle mie pene!
     In abito mentito io vidi Amore
     Ampio gregge guidar, fatto pastore,
     Al dolce suon delle cerate avene:

E il riconobbi all’aspre sue catene
     Ch’usciano un poco al rozzo manto fuore;
     E l’arco vidi che il crudel signore
     Indivisibilmente al fianco tiene.

Onde gridai; Povere greggi! ascoso
     È il lupo in vesta pastoral; fuggite,
     Pastor, fuggite il suono insidìoso.

Allora Amor: Tu che le insidie ordite
     Scopristi, ed ami si l’altrui riposo.
     Tutte prova in te sol le mie ferite.

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QUIRICO ROSSI


morto


intorno al mdcclx.



Io nol vedrò; poichè il cangiato aspetto
     E la vita che sento venir meno,
     Mi diparte dal dolce aer sereno,
     Nè mi riserba al sanguinoso obbietto

5Ma tu, Donna, il vedrai questo diletto
     Figlio, che stringi vezzeggiando al seno,
     D onta, di strazi, e d’amarezza pieno,
     Barbaramente lacerato il petto.

Che fia allor, che fia? e qual mai frutto
     10Corrai dall’arbor trionfale? Oh quanto
     Si prepara per te dolore e lutto!

Così largo versando amaro pianto
     Il buon vecchio dicea. Con ciglio asciutto
     Maria si stava ad ascoltarlo intanto.

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ONOFRIO MINZONI


sonetto


scritto verso il mdcclxxx.



Quando Gesù con l’ultimo lamento
     Schiuse le tombe e la montagna scosse,
     Adamo rabuffato e sonnolento
     Levò la testa, e sovra i piè rizzosse.

5Le torbide pupille intorno mosse
     Piene di meraviglia e di spavento;
     E palpitando addimandò chi fosse
     Quei che pendeva insanguinato e spento.

Come lo seppe, alla rugosa fronte
     10Al crin canuto, ed alle guance smorte
     Con la pentita man fè danni ed onte:

Poi volto lagrimoso alla consorte,
     Ei gridò sì che rimbombonne il monte;
     Io per te diedi al mio Signor la morte.

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GIUSEPPE PARINI


morto


nel mdccxcix.


Quell’io che già con lungo amaro carme
     Amor derisi e il suo regno potente;
     E chiamai dietro me l’Itala gente.
     Col mio riso maligno, ad ascoltarme;

5Or sento anch’io sotto l’indomite arme,
     Fra la folla del popolo imminente,
     Dietro le rote del gran carro lente
     Dall’offeso tiranno strascinarme.

Ognuno per veder la infame multa.
     10Corre, urta, grida al suo propinquo: È quei;
     E il beffator comun beffa ed insulta.

Io scornato abbassando gli occhi rei,
     Seguo il mio fato; e il mio nemico esulta —
     Imparate a deridere gli Dei!

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VITTORIO ALFIERI


morto


nel mdccciii.



O cameretta, che già in te chiudesti
     Quel grande alla cui fama è angusto il mondo.
     Quel gentile d’amor mastro profondo
     Per cui Laura ebbe in terra onor celesti;

5O di pensier soavemente mesti
     Solitario ricovero giocondo!
     Di che lagrime amare il petto inondo
     Nel veder che ora inonorato resti!

Prezioso diaspro, agata, ed oro
     10Foran debito fregio e appena degno
     Di rivestir sì nobile tesoro.

Ma no: tomba fregiar d’uom ch’ebbe regno
     Vuolsi; e por gemme ove disdice alloro:
     Qui basta il nome di quel divo ingegno.