Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino/Capitolo III
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CAPITOLO III.
la grotta del cane.
Si rilevano alcuni sbagli presi dal Ferber nell'osservare questa celebre Grotta. Saggi di esperienze da farsi in comune intorno a questa mortifera mofeta dall'Autore, e dall'Abbate Breislak, ma che il primo per mancanza di tempo non potè recare ad effetto. Si riferiscono quelli del secondo. Descrizione di questa Grotta. Fondati sospetti che tal mofeta fosse anticamente molto più estesa. Altezza media della medesima. Suo calorico maggiore di quello dell'atmosfera. Questa mofeta è gaz acido carbonico mescolato all'aria atmosferica, e al gaz azoto. Questo acido carbonico, secondo l'Abbate Breislak è un prodotto del carburo di ferro contenuto nelle sostanze vulcaniche, e combinato con l'ossigeno. Tale mofeta non dà segno alcuno di magnetismo, nè di elettricità. Fenomeni che accompagnano l'accensione di alcune sostanze collocate dentro la sfera della mofeta. Considerazioni dell'Autore intorno ai saggi sperimentali dell'Abbate Breislak; e sue congetture su l'origine di questo acido carbonico.
Veduta la Solfatara, e le rupi, che le fanno corona, e continuata la mia direzione all'ouest, non mi fu d'uopo di lungo viaggio, per giungere alla Grotta del Cane. Non evvi erudito che ignori, così denominarsi una picciola caverna, posta tra Napoli, e Pozzuolo, perchè fattovi entrare un cane, e forzatolo a starsi col muso rasente terra, comincia a respirar con affanno, indi tramortisce, e ancora lascia di vivere, se sollecitamente levatolo da quel luogo, non venga trasferito all'aria aperta, e sfogata. Sebbene cotesta Grotta, tanto rinomata dagli antichi, e dai moderni, divide la sua fama con infiniti altri luogi dotati di somigliantissime ree qualità, non essendo ella che una delle innumerabili mofete disseminate nel Globo, specialmente nelle contrade vulcaniche, le quali colla possente loro efficacia sono fatali agli animali non meno, che all'uomo, non ostante che non offrano agli occhi il più tenue indizio di loro presenza[1]. Una serie ben lunga di Scrittori ne parlano, ch'io qui potrei nominare, se amassi far l'erudito fuor di proposito. Solamente laddove molte di queste mofete sono temporarie, quella della Grotta del Cane è perpetua, sembrando che fosse anche mortifera a' tempi di Plinio. Siccome un uomo, stando in piè diritto, non soffre punto, per non sollevarsi questa mofeta che a poca altezza, così vi andai sopra senza pericolo, e per quanto aggrottassi le ciglia, non era in lei visibile esalazione di sorta.
Il perchè dubitai forte di qualche equivoco preso dal Ferber, quando dice, che i micidiali vapori escono per la parte più bassa della porta della Grotta, come un fumo bianco[2]. Siccome ho veduto, che i fumi di una torcia di fresco spenta dalla mofeta, calano bianchicci al basso, e ne escono per il fondo della porta, così opino che di quì sia nato lo sbaglio, giacchè appunto egli commemora in quel luogo del suo Libro l'esperimento della torcia smorzata.
Non posso tampoco accordarmi con lui nel pensare, che i mali cagionati da questa mofeta siano una conseguenza della tolta elasticità dell'aria[3]; essendo già dimostrato, esser questi un effetto del gaz acido carbonico, come prima di tutti lo ha fatto vedere il dotto suo Patriotta, Adolfo Murray. E siccome sappiamo, che spenta una candela in questo gaz, il fumo, che indi ne nasce, si mescola più facilmente a lui, che all'aria atmosferica, quindi intendiamo come i fumi d'una torcia, che cessa di ardere nella Grotta del Cane, si abbassino dove è il forte della mofeta, e radendo il suolo ne vengan fuori per la parte inferiore della porta.
Colui che è destinato a custode della Grotta, e che per guadagno fa l'esperimento del cane a' forestieri, dopo che questo animale è boccheggiante, e mezzo morto, lo riconduce all'aria libera, poi lo getta nel vicin Lago di Agnano, facendo così credere che quella breve immersione nell'acqua sia necessaria al pieno ristabilimento del cane. Il Ferber racconta il fatto, e mostra di restarne persuaso. Il vero è però, che il gettar l'animale nel Lago è una ciarlataneria, per rendere più spezioso il cimento, e per trarre dalla borsa de' creduli più facilmente il danajo, bastando la sola aria atmosferica per ridonare agli animali la vita di prima.
I saggi del Murray per fissare la natura di questa mofeta, ci scoprono una rilevante verità per lo innanzi sconosciuta, e dobbiamo sapergliene grado. Eglino però non ci dicono quel tutto, che noi potevamo apprendere da questo picciolo sotterraneo speco. Chiunque versato sia nelle Scienze fisiche, e possegga alquanto la difficil'arte dello sperimentare, facilmente si avvede quanti curiosi tentativi novelli si possano instituire là dentro, opportunissimi ad illustrare alcuni rami della Fisiologia, e della Fisica. Questo desiderio di fare ivi esperienze si eccitò in me, e ne invogliai pure l'Abbate Breislak, che meco visitato aveva la Grotta del Cane. Pensammo adunque di divider tra noi le materie, io esercitandomi nelle fisiologiche, che concernono gli esseri viventi, egli nelle fisiche. Ed essendo io sul partire per la Sicilia, deliberai di mandar la cosa ad effetto in compagnia di lui, come restituito mi fossi a Napoli. Ma il Monte Etna, e le Isole di Lipari mi trattennero assai più del divisato. E quindi tornato in quella Dominante, appena ebbi tempo di visitare il Vesuvio, esigendo l'obbligo mio di restituirmi sollecitamente a Pavia, per dare cominciamento alle pubbliche Lezioni della Storia naturale. L'Amico però, siccome soggiorna in Napoli, anzi quasi stabilmente ha la sua abitazione vicino alla Solfatara, per essere più a portata di vegliare sopra i lavori della medesima, non ha lasciato dopo la mia partenza di eseguire l'addossatosi impegno, e i risultati de' suoi tentativi si è compiacciuto di mandarmeli in una Lettera, che di suo consentimento volentieri quì pubblico, troppo persuaso che sarà di gradimento ai Lettori.
mio rispettabile amico
Napoli 20. Novembre 1790.
═ Allorchè vi portaste, sono già due anni, in queste contrade per osservare i Campi Flegrei, mi faceste l'onore di propormi di fare in vostra compagnia una regolata serie di esperienze sulla celebre mofeta della Grotta del Cane. Avendo tra noi diviso gli oggetti da esaminarsi, voi vi eravate proposto di rintracciare la maniera con la quale opera quell'esalazione sull'economia animale con sospenderne prima le funzioni, ed indi distruggerle, se non si arrechi un pronto riparo. Un tale argomento trattato da molti, non è stato giammai esaminato con quella precisione, ed esattezza ch'egli merita, nè l'esperienze sono state moltiplicate, e diversificate in modo da poterne stabilire una legge generale. Quindi sono certo che avrebbe acquistato una nuova luce nelle vostre mani avvezze a svelare i più complicati arcani della natura. Riserbata a voi la parte fisiologica, alla Fisica-Chimica si dovevano limitare le mie esperienze. Il vostro viaggio di Sicilia, ed il sollecito ritorno che dipoi doveste fare a Pavia, dove vi richiamavano le vostre occupazioni della Cattedra, e la preziosa instruzione de' Giovani, resero inutili i vostri progetti. Io non ho ardito di trattare un soggetto consecrato a voi. Spero che qualche altra per me fortunata combinazione di cause vi riconduca a Napoli, come voi stesso me ne avete dato motivo di sperare, e vi dia l'opportunità di sviluppare quest'argomento insieme a qualch'altro analogo che vi eravate prefisso. In alcune scorse però che ho fatto al Lago d'Agnano ho voluto esaminare con maggiore acuratezza quella picciola Grotta, e farvi delle osservazioni, delle quali credo che gradirete di saperne il dettaglio. L'oggetto è stato, egli è vero, esaminato infinite volte da moltissimi Fisici sì nazionali, che esteri; ma forse perciò non si potranno tentare delle altre esperienze?
La nostra mofeta occupa, come ben sapete, il pavimento di una picciola Grotta presso il Lago d'Agnano, luogo che molto interessa i Naturalisti per i fenomeni, che presentano i di lui contorni, e le colline che lo racchiudono. Questa Grotta è situata nella parte sud-est del Lago, e poco distante dalle di lui sponde. La lunghezza è di 12. piedi in circa, e la larghezza di 4. in 5. Pare che in origine fosse un piccolo scavo fatto ad oggetto di estrarre la pozzolana. Vi sono nelle pareti della Grotta sparsi tra le materie vulcaniche terrose de' pezzi di lava analoghi a quelli che si trovano erratici nelle adjacenze del Lago. Avendone presi alcuni, ho osservato che sono frammenti di lave compatte di colore grigio cupo, seminate di piccoli prismi esaedri di mica, di grana terrosa, di pasta micacea, e che muovono sensibilmente la calamita. Rare sono le scheggie di feldspato che vi s'incontrano, e non ho trovato alcun saggio che contenesse li sorli. Sono persuaso, che se nelle vicinanze di qusta Grotta si tentassero degli scavi al livello del di lei pavimento, o alquanto più sotto, si troverebbe la medesima mofeta, e sarebbe certamente curioso il rintracciare i limiti della di lei estensione. Sarebbe anche molto vantaggioso per le osservazioni fisiche, se alquanto s'ingrandisse la Grotta, ed il di lei pavimento si riducesse ad un piano eguale, ed orizzontale, abbassandolo per due, o tre piedi, e fabbricando un piccolo muro in forma di gradino all'ingresso. Nell'attuale stato essa è sommamente incomoda per l'esperienze, e l'inclinazione del terreno verso la porta fa sì che una gran parte del vapore mefitico, trasportato dalla sua specifica gravità, sorta fuori lambendo la superficie del suolo. Considerando l'angustia di questo luogo, e la picciolezza della mofeta, che lo ha reso sì celebre, non posso persuadermi che egli non abbia sofferto de' notabili cambiamenti. Non mi sembra probabile che l'attuale, e così ristretta mofeta fosse presente alla mente di Plinio, allorchè nel l: 2. c: 93., enumerando molti luoghi che esalavano un'aura mortifera, fa menzione del territorio di Pozzuolo. Le interne fermentazioni, dalle quali essa procede, sono certamente molto diminuite nelle vicinanze del Lago d'Agnano. Presso le di lui sponde l'acqua non si vede più gorgogliare per lo sviluppamento di un gaz, come le relazioni non molto antiche ci attestano che accadeva. Ho esaminato con molta attenzione gli orli del Lago nello stato di escrescenza, e dopo dirotte pioggie, nè mi è stato possibile di vedervi alcuna bolla di aria. Moltissimi insetti acquatici che guizzano nell'acqua, a prima vista formano qualche illusione, ma con un poco di riflessione, facilmente si conosce l'errore. Se non vogliamo dire che siansi ingannati quegli Autori che hanno descritto questo bollimento di acqua presso il lido del Lago d'Agnano, converrà credere che un tal fenomeno sia in oggi cessato. La massa inoltre de' vapori epatici che sorgono nelle contigue stufe dette di S. Germano, è molto scemata in confronto di ciò, che esser doveva anticamente. In fatti contigui all'attuali stufe si osservano ancora i residui di un'antica, e grandiosa fabbrica, di cui moltissimi tubi di terra cotta incastrati nelle pareti, e diretti verso le sale ne danno a conoscere l'oggetto. Sembra certo che questo fosse un edifizio, in cui per mezzo di canali acconciamente disposti i vapori stessi del luogo si distribuissero nelle diverse camere, servendo all'uso delle persone, le quali vi erano ricevute con molto maggiore decenza, e comodità, di quello che al presente lo siano nelle moderne stufe di S. Germano, ove il solo riflesso della salute obbliga a vincere il ribrezzo, che risveglia l'angustia, miseria del luogo. Nel sito però in cui sono le accennate rovine, non si osservano più i vapori; cosicchè se ancora sussistesse quell'edifizio, egli non potrebbe certamente servire all'uso a cui era destinato. I filoni piritici che hanno prodotto le antichissime accensioni de' Campi Flegrei compresi tra Napoli, e Cuma, e che in alcuni punti non sono ancora del tutto consumati, si avvicinano alla loro totale estinzione. Ma passiamo alle osservazioni fatte, e più volte ripetute nella Grotta.
I. La prima ebbe per oggetto il determinare l'altezza della mofeta, misurandola dal centro della Grotta, cioè dal punto della intersezione delle due linee rappresentanti la massima lunghezza, e larghezza. E' varia l'altezza della mofeta, secondo le diverse disposizioni e temperature dell'atmosfera, la diversità de' venti, e le accidentali variazioni, che sopraggiungono alle interne fermentazioni, dalle quali procede. L'altezza media però si può stabilire ad 8. pollici parigini.
II. L'ingresso nella mofeta è annunciato da una non incomoda sensazione di calore che si risente nel piede ed estremità della gamba. Allorchè fui nel 1786. a visitare le grandiose mofete di Latera nel Ducato di Castro, osservai ancora in esse l'impressione del calore, che si prova nella parte del corpo circondata dall'atmosfera mefitica. Estraendo però fuori della mofeta molte sostanze, che lungamente vi avevano soggiornato, come pietre, foglie, cadaveri d'animali, ec., trovava che avevano queste la medesima temperatura dell'aria atmosferica. Siccome in quel viaggio mi si era rotto il termometro, nè potei provvedermi di un altro ne' luoghi per i quali passai, non mi fu possibile l'esaminare la temperatura della mofeta. Risentiva nel mio corpo un leggero grado di calore che non mi sembrava di ritrovare nelle sostanze che toglieva fuori della mofeta; cercando perciò di combinare l'una cosa con l'altra, credei che la temperatura della mofeta fosse eguale a quella dell'aria atmosferica, e che la sensazione del calore nel mio corpo fosse prodotta dalla natura stessa del vapore mefitico, ciò che procurai di spiegare con i principj Crawfordiani. Ma molte esperienze fatte nella Grotta del Cane mi hanno assicurato, che quell'esalazione ha un grado proprio di calore diverso dall'atmosferico. In nove volte che ho ripetuto quest'ossevazione, il termometro appeso al cancello della Grotta 3. piedi sopra lo strato della mofeta, era tra i 13., e 15. di R., e situando la palla sul suolo, in modo che fosse immersa nella mofeta, è salito il mercurio tra i 21., e 22. Che se i corpi che si estraggono fuori della mofeta, non dimostrano al tatto questa diversità di temperatura, ciò non deve sorprendere, sì perchè la differenza è picciola, sì ancora per la grande umidità di cui essi sempre sono carichi, e che produce nella loro superficie una continuata evaporazione. Questa osservazione l'ho voluta più volte rinnovare, servendomi anche di termometri diversi, giacchè sapeva che il celebre Sig. Adolfo Murray allorchè fece le sue esperienze nella Grotta del Cane, non aveva osservato esercitarsi da quell'aria verun'azione sul mercurio nel termometro.
III. I soliti sperimenti fatti da molti Fisici, e ripetuti anche da me per mio privato studio della tintura di girasole, dell'acqua di calce, della cristallizzazione dell'alcali, dell'assorbimento dell'acqua, e del sapore acidulo comunicato alla stessa, pongono fuori di dubbio l'esistenza dell'aria fissa, o acido carbonico nell'esalazione di cui trattiamo. Ma è formata essa da sola aria fissa? Questo è ciò che ho voluto esaminare. Posta al confronto del gaz nitroso nell'Eudiometro, si ha un assorbimento che corrisponde a 10/100 della massa. In una boccia piena di quest'aria, e tenuta con la bocca immersa nell'acqua per lo spazio di 15. giorni, lentamente salì l'acqua ad occuparne 40/100. Il restante era gaz flogisticato, o azotico. Ecco dunque le quantità relative de' diversi gaz che compongono l'aria mefitica della Grotta del Cane; 10/100 d'aria vitale, o gaz ossigene; 40/100 d'aria fissa, o acido carbonico; 50/100 d'aria flogisticata, o gaz azotico; ossia essa è una mescolanza d'acido carbonico, e d'aria atmosferica, con una piccola dose di gaz azotico, oltre quello che si contiene nell'aria atmosferica. Attesa la somma vicinanza della nostra Grotta alle stufe d'Agnano, ove i caldi vapori contengono molto gaz idroginio sulfurato, sospettava che qualche porzione di esso potesse anche trovarsi mescolata nel gaz della mofeta; ma non mi è stato possibile il ravvisarvene la più piccola quantità. Mi sono servito del sale di saturno, o acetite di piombo, di cui voi ben conoscete la somma sensibilità ad ogni leggiera impressione di gaz epatico, lasciandolo immerso per lo spazio di una mezz'ora nella mofeta. E' certamente un curioso problema, il rintracciare l'origine di quest'aria fissa. Non sono a voi ignote le diverse opinioni de' Fisici, de' quali alcuni la ripetono dall'aria atmosferica, cangiata in aria fissa dalla materia elettrica delle lave, altri da una lenta e successiva decomposizione della terra calcarea prodotta dall'azione o di un fuoco sotterraneo, o di un acido. Ma il fatto è che nella Grotta del Cane non vi è filone alcuno di lave, nè l'atmosfera di quel recinto dà verun indizio di elettricità, e troppo gravi sono le difficoltà, alle quali è soggetto il sistema fondato sul disfacimento della terra calcarea. Il nostro egregio comune Amico Sig. Commendatore de Dolomieu nelle sue eccellenti Note alla Dissertazione di Bergman su i prodotti de' Vulcani, è di parere che l'aria fissa de' luoghi vulcanici nasca dalla reazione del solfo sulla terra calcarea, con la quale forma un fegato di solfo terroso. Io sono più portato a credere, che l'aria fissa delle contrade vulcanizzate non si svolga formata da alcuna sostanza, ma che sia un prodotto della piombaggine contenuta nel ferro, di cui abbondano tutte le sostanze vulcaniche, e combinata con la base dell'aria vitale, che somministrano le interne decomposizioni piritiche. Non è la novità del sistema quella che mi induce a pensare così. Ma bensì l'esperienza de' Sigg. Lavoisier, Berthollet, Mongez, Landriani, ed altri molti valenti Chimici combinate con le locali osservazioni. Non si può negare l'esistenza della piombaggine nel ferro. E' certo che tutte le sostanze vulcaniche abbondano di ferro, ed i vapori epatici, che sorgono nelle stufe di S. Germano vicinissime alla Grotta del Cane, ci dimostrano le interne decomposizioni di piriti, che ancora seguono in questa contrada; decomposizioni, che dando origine all'acido mefitico, forniscono ancora la base dell'aria vitale.
IV. Tra le notizie che il celebre Bergman desiderava di avere sulla Grotta del Cane, vi era ancora il dettaglio de' fenomeni sul magnetismo, e sull'elettricità. Per quel che risguarda il primo, non vi ho potuto osservare fenomeno alcuno. L'ago magnetico posto sul suolo, ed immerso per conseguenza nella mofeta, si ferma nella direzione del suo meridiano, ed avvicinandovi una spranga calamitata, dimostra i soliti effetti di attrazione, e ripulsione in corrispondenza del polo che gli si presenta. Circa il secondo articolo, non è possibile l'avere nell'ambiente mefitico i segni elettrici, non già perchè quell'aria non conduca il fuoco elettrico, come è sembrato al Sig. Murray, ma perchè l'umidità che costantemente l'accompagna, disperde la materia elettrica, la quale non essendo raccolta nel conduttore, non si può rendere sensibile. Più volte ho tentato di accendere il gaz infiammabile nella mofeta con scintille elettriche per mezzo dello scudo dell'elettroforo; ma per quanto cercassi di animare l'elettricità del mastice, non ho potuto giammai ottenere scintilla alcuna dallo scudo, il di cui isolatore diveniva deferente, appena che entrava nella mofeta, a cagione dell'umido che si attaccava alla di lui superficie.
V. L'argomento che molto occupa al presente le ricerche delle Accademie, e de' Fisici, è quello della combustione de' corpi. Ho voluto pertanto esaminare i fenomeni, che accompagnano l'accensione di alcune sostanze nell'atmosfera mefitica. Il primo sperimento fu di provare se potevano prodursi quelle accensioni spontanee, che risultano dalla mescolanza degli acidi concentrati con gli olj essenziali. Posi pertanto sul suolo della Grotta un piccolo vaso in un sito, ove la mofeta si alzava sull'orlo del vaso per sei pollici. Essendomi servito dell'olio di trementina, e degli acidi vetriolico, e nitroso, ottenni quelle medesime accensioni, accompagnate di vivace fiamma, che si sogliono avere nella libera aria atmosferica. Il denso fumo che accompagna sempre queste accensioni attratto dall'umidità della mofeta, formava un grazioso oggetto, e presentava agli occhi i di lei ondeggiamenti. Siccome nel vaso si era prima posto l'acido in abbondanza, l'olio si versava in piccola quantità a molte riprese, e la fiamma comparve nella bocca del vaso 15. volte consecutive. Il principio ossiginio contenuto negli acidi, e di cui abbonda principalmente l'acido nitroso, deve contribuire alla produzione, e durata della fiamma, benchè questa sia inviluppata in un'atmosfera, che si oppone all'accensione.
Trovandomi nel Paese sopra accennato di Latera, osservai che in una mofeta di gaz idroginio sulfurato, ossia, di gaz epatico, seguiva la lenta combustione del fosforo, e che questo risplendeva come nell'aria atmosferica. Siccome non aveva meco una considerevole quantità di fosforo, non potei portare più avanti quest'esperienza, nè variarla, come sarebbe stato necessario. Questo è ciò che ho fatto nella mofeta di Agnano. La prima osservazione la feci con le volgari candelette fosforiche. Avendone spezzate cinque, con tenerle prossime al suolo della Grotta, ed immerse nella mofeta, ebbi da tutte una breve, e passaggiera fiamma, la quale comunicata appena al lucignolo si estinse. La seconda fu questa. Situai sul pavimento della Grotta una lunga tavola in modo che una di lei estremità sortisse fuori dalla mofeta, essendone l'altra estremità, e 4/5 di tutta la lunghezza seppelliti nella mofeta. Per tutta l'estensione della tavola feci una traccia di polvere da schioppo, che cominciava dal capo situato fuori della mofeta, e terminava ove era coperto dalla mofeta sino a 7. pollici di altezza. Quì accanto alla polvere posi un cilindro di fosforo di 8. linee di lunghezza. Avendo avvicinato un lume alla polvere posta fuori della mofeta, si propagò l'accensione, che giunse ben tosto all'altra estremità, e si comunicò al fosforo. Questo si accese con decrepitazione, brugiò rapidamente con fiamma vivace leggermente colorita di giallo, e verde, e lasciò sul legno un'impronta nera carbonosa. Durò la combustione quasi due minuti finchè si consumasse tutta la materia fosforica. Volli allora tentare un'altra esperienza. Seminai della polvere da schioppo sul pavimento della Grotta, accesi fuori della mofeta un cilindro di fosforo, mentre ardeva lo immersi nella mofeta, gli feci percorrere lo spazio di 10. piedi; indi lo gettai sopra la polvere da schioppo, e questa sul momento s'infiammò. Nell'entrare che fece il fosforo acceso nella mofeta, e nel tempo che soggiornò in essa, non si vedde alcuna variazione nella di lui fiamma, e combustione. Finalmente avendo acceso un altro cilindro di fosforo, lo trasportai immediatamente nella mofeta, sostenendolo con un pezzo di legno, ed egli ancora vivacemente brugiò sino alla totale consumazione. Nell'esperienze in cui si era fatto uso della polvere da schioppo, si potrà forse sospettare che il gaz ossigene contenuto nel nitro cooperasse alla combustione del fosforo, ma egli è certo che anche indipendentemente dal nitro, questa curiosa sostanza, allorchè brugia nell'aria mefitica, presenta gl'istessi fenomeni, che nell'aria atmosferica. So che tra l'esperienze del Sig. Lavoisier vi è anche la combustione del fosforo fatta con lo specchio ustorio sotto una campana di vetro, la di cui bocca era situata nel mercurio. Osservò quest'illustre Fisico, che il fosforo incominciò a brugiare, ma che dopo qualche istante l'aria del recipiente non fu più atta a nutrirne l'accensione, ed il fosforo si estinse. Non vi sarebbe forse luogo a credere, che l'estinzione del fosforo non procedesse già dall'infezione dell'aria, ma bensì da' vapori stessi della materia fosforica, che restando raccolti nel recipiente, e condensandosi intorno al fosforo, ne soffocassero l'accensione? Il gaz mefitico della Grotta del Cane, non è certamente atto nè alla respirazione degli animali, nè alle accensioni delle volgari materie combustibili, con tutto ciò il fosforo brugia gettando le sue luminose scintille.
Mi rimane da osservare la produzione dell'acido fosforico per la lenta combustione del fosforo nella mofeta. Forse egli presenterà delle particolari modificazioni, dipendenti dall'acido carbonico, a cui deve necessariamente unirsi in questa situazione. Sino ad ora non ho potuto eseguire quest'esperienza, per non essere stata la temperatura del luogo in quel grado che si richiede per collocarvi l'apparato a norma del metodo del Sig. Sage. Mi riservo pertanto a farla nell'inverno, se pure potrò avere a mia disposizione per qualche poco di tempo la Grotta, saziando l'avidità del di lei rapace custode ═.
Sono con i veri sentimenti di amicizia, e di stima
V. Dev.mo ed Aff.mo Serv. ed Amico
Scipione Breislak.
Egli è fuor d'ogni dubbio, che i narrati fatti dilatano di molto la sfera delle cognizioni intorno a questo mefitico luogo. Ed io con sincerità di cuore me ne sono rallegrato con l'Autore. Questa sincerità però ha fatto, ch'io non gli dissimuli qualche picciol rilievo venutomi all'animo nella lettura del suo Foglio, e che per l'amicizia ch'ei nudrisce per me, mi permetterà ora di far palese. Il metodo da lui praticato per raccorre di quel mortifero gaz, onde intraprendere i narrati suoi saggi, io non dubito punto che quello non fosse, il quale si usa per assaggiare la salubrità dell'aria atmosferica, riempiendo cioè a poco a poco di quella mofeta una boccia di vetro capovolta, ed immersa nel centro di lei, a mano a mano che dall'angusta sua bocca ne esciva l'acqua, onde prima era empiuta, poi esattamente turandola. Conciossiacchè se usato egli avesse altro metodo, come quello, a guisa di esempio, che accennerò più sotto, non avrebbe ommesso di dirlo. Ma sì adoperando, non si ottiene la mofeta purissima, quale cioè ne esce immediatamente dal piano della Grotta, ma più o meno permischiata all'aria atmosferica. Poichè quantunque di questa sia più pesante il gaz acido carbonico, e conseguentemente esso formi uno strato nell'ime parti della Grotta, il quale mai non si solleva più alto, qualche confusione dei due fluidi dee però necessariamente seguire, massime allorchè aprendo la porta per entrar dentro si mette in commovimento l'interno ambiente. Quindi è derivato quel miscuglio dei tre gaz, acido carbonico, azoto, e ossigeno, ottenuto dall'Abbate Breislak. Io pertanto gli suggeriva, che il miglior partito per ottenere schietta cosiffatta emanazione, era quello di scavare una fossetta nel piano della Grotta, e di empierla d'acqua. Questa doveva subito comparire abbondante di gallozzole aeriformi, dal fondo ascendenti alla superficie, e che probabilmente state non sarebbero che gaz acido carbonico in alto sospinto dal corpo dell'acqua; le quali gallozzole coi notissimi mezzi raccolte, fornito avrebbero la genuina mofeta, dall'aria atmosferica per niente imbrattata. Che anzi per maggiore esattezza dell'esperimento, all'acqua sostituito avrei il mercurio, sembrandomi che quel suolo tufaceo fosse denso abbastanza per ritenerlo.
Abbiam veduto qual sia l'opinione di questo dotto Fisico intorno all'origine dell'acido carbonico di questa Grotta. Gli è facile l'accorgersi che quì, come in tante altre fisiche questioni, giochiamo ad indovinarla; e forse non avremo mai che indovinamenti, trattandosi d'un operazione della natura seppellita in un profondo, la qual forse sarà sempre impenetrabile a' nostri sensi. Pure giacchè dobbiamo abbandonarci alla difficile fortuna delle congetture, dirò con amica ingenuità, che fra i discordanti pareri su questo astruso fenomeno, preferirei quello che vuole, che la mofeta della Grotta del Cane si separi mediante il fuoco dai carbonati calcari, e che attraversando le sostanze vulcaniche penetri a quel luogo. E' della maggiore verisimilitudine, che i Vulcani dell'Agro Napoletano, insieme a buona parte di quelli dell'Agro Romano sopraggiacciano a strati di carbonati calcari continuati con quelli dell'Appennino. Nel mio viaggio dalla Lombardia a Napoli, quando fui in vicinanza di Loreto, cominciai ad internarmi nelle gole delle Montagne, che mi accompagnarono sino a Fuligno, tratto di cammino di settanta miglia all'incirca. Coteste Montagne, quasi tutte a strati orizzontali, sono composte di questi carbonati. La via che da Fuligno conduce a Spoleto, e a Terni, offre una catena di Monti dell'istessa natura, e a un di presso con le medesime stratificazioni. E questi Monti mi furon compagni fino a poca distanza da Cività-Castellana, dove mi apparvero le manifeste testimonianze di estinti Vulcani nelle pozzolane, e nelle lave, che ad ogni passo incontrava. Le lave altre sono a base di sorlo in massa, altre a base di sasso corneo, e le trovai consimili alle vesuviane, per ciò che risguarda i bianchi granati, che rinserrano. I corpi vulcanici, ed in ispezie i tufi e le pozzolane, non li perdetti mai di vista fino alle porte di Roma. Da questa Dominante continuando il viaggio per Napoli, e tenendo la via di Veletri, seguitarono a farmisi vedere le materie vulcanizzate, ma a Terracina le Montagne prossime al mare mi ricomparvero formate di carbonati di calce, come pur quelle di Sessa. Quantunque sia però questa l'indole de' siti eminenti, i fondi dove apresi la pubblica strada, risultan di tufo, che ha i veri caratteri di vulcanizzazione, non solo per i pezzi di lave, e pel gran numero di pomici che rinserra, ma per esser egli in buona parte un tritume di lave, e di scorie. E al proposito nostro è degno di attenta considerazione, che allontanandosi dalla strada, e salendo su per le laterali pendici, non è raro trovar sotto al tufo il carbonato calcare, ne' luoghi singolarmente, dove in parte è corroso dall'acque piovane. Il restante degli Appennini da Sessa a Napoli è pure del medesimo carbonato, avvegnacchè ne' siti più bassi non rimanga il tufo vulcanico quasi mai interrotto.
Nel Capitolo VI. parlerò di un Vulcano da me osservato vicino a Caserta, picciola Città distante da Napoli 16. miglia. Ivi mostrerò, che le materie vulcaniche sono per ogni parte attorniate dal carbonato di calce.
La Fossa Grande che lateralmente discende dal Monte Vesuviano, e della quale ho ragionato nel Capitolo I., è terminata ai fianchi da due altissime rupi. La rupe, che si alza a sinistra per andare a Napoli, è generata da un aggregato di lave soprapposte. Quella che giace a destra consta di pomici, e di tufo. Ma queste pomici, e questo tufo essendo insieme mal connessi, vengono a quando a quando all'ingiù strascinati dal proprio peso, concorrendovi anche le pioggie, e nel cadere sul piano della Fossa, seco traggon più corpi, de' quali diversi sono carbonati spatoso-calcari. Rammescolati ad essi esistono pezzi di carbonato calcare gregario, di quella fatta medesima, che ho dinnanzi accennato di aver trovata nel mio viaggio a Napoli. Tai corpi le più volte non manifestano orma lesiva di fuoco. Di più i loro angoli non sono scantonati, ma vivi: e però si rende manifesto, questi essere frammenti di pietre svelti da grandi masse di carbonati di calce, senza che l'ignea veemenza abbia avuto il tempo d'intaccarli. Queste osservazioni io le feci nel restituirmi dal Vesuvio a Napoli.
L'Autore de' Campi Flegrei parlando incidentemente di questa Fossa, apporta la figura di una breccia marmorea ivi trovata, ed osserva scoprirsi sovente simili pezzi nelle scavazioni fatte dalle pioggie su i fianchi del Vesuvio, e di Somma. Non dissimili carbonati di calce eruttati ne' tempi andati dalle bocche vesuviane si leggono pure nella Litologia Gioeniana di questo Vulcano.
Facendosi la breve taversata da Napoli a Capri, scorgiam quest'Isola medesimamente di carbonato di calce.
Raccogliendo in uno tutte queste osservazioni, sembra quasi indubitato, che l'estensione del Napoletano che veggiamo vulcanizzata, riposi sopra il carbonato di calce, come opinano ancora Ferber, e Hamilton.
Se adunque il fuoco sotterraneo agisca lentamente su questa pietra, obbligandola a spogliarsi a poco a poco del suo acido, e se sovrastino ad essa aggregazioni terrose, e facilmente permeabili da questo acido fatto gazoso, egli ne uscirà per di sopra, formando una corrente, che andrà a confondersi con l'aria atmosferica. E questo esser potrebbe il caso naturalissimo della emanazione della Grotta del Cane. Il calorico di questa emanazione dall'Abbate Breislak dimostrato maggiore di quello dell'atmosfera, fa credere che sottovia alla Grotta esista di fatti un resto di fuoco vulcanico; e l'umidità grande che la accompagna, è molto favorevole a questa ipotesi, sapendosi che il carbonato di calce per l'azione del fuoco oltre al suo acido si spoglia dell'acqua che conteneva. Nè vi è pericolo che in questa supposizione venga meno la mofeta; imperocchè il giro di lei è angustissimo, e perciò pochissimo del continuo ne esce; per l'opposito i sottostanti carbonati calcari sono immensi; e d'altronde sappiamo qual prodigiosa quantità di questo acido vada combinata con tali pietre.
Questa ipotesi spiega pur bene le mofete temporarie, quelle che nascono soltanto per qualche eruzione, come assai volte è accaduto ne' contorni del Vesuvio. Finchè adunque i sotterranei fuochi hanno potuto scomporre i carbonati calcari, sono durate le micidiali esalazioni; queste poi hanno cessato, tostochè è seguita l'estinzione degl'incendj.
- Testi in cui è citato Johann Jacob Ferber
- Testi in cui è citato Scipione Breislak
- Testi in cui è citato Gaio Plinio Secondo
- Testi in cui è citato Déodat de Dolomieu
- Testi in cui è citato Torbern Olof Bergman
- Testi in cui è citato Antoine-Laurent de Lavoisier
- Testi in cui è citato Claude Louis Berthollet
- Testi in cui è citato Marsilio Landriani
- Testi in cui è citato Balthazar Georges Sage
- Testi in cui è citato William Hamilton (diplomatico)
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