Vai al contenuto

Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino/Capitolo V

Da Wikisource.
Capitolo V

../Capitolo IV ../Capitolo VI IncludiIntestazione 6 maggio 2025 100% Da definire

Capitolo IV Capitolo VI

[p. 132 modifica]

CAPITOLO V.

ischia.


Castello d'Ischia posto sopra uno scoglio di lava, e di tufo. Specie singolare di rondini, che nidifica su la sua cima, e nelle maggiori alture dell'Isola. Lava dell'Arso descritta. Sue pomici originate dalla pietra cornea. Poco fondata credenza di qualche Vulcanista, che la lava dell'Arso sboccata di sotterra, e corsa nel 1302. fumichi tuttavia. Lave, e pomici erratiche tra la Città d'Ischia, e l'Arso. Monte conico, chiamato il Rotaro, composto di tufi, e di pomici. E' il solo nell'Isola, che abbia smalti. Montagna altissima di S. Niccola, che probabilmente è stata la prima ad escire del mare. Sostanze vulcaniche di questa Montagna. Alcune di tali sostanze somministrano il sulfato di allumina. Giro attorno al litorale dell'Isola. Produzioni vulcaniche in esso trovate. Abbondantissima [p. 133 modifica]arena ferrea di quest'Isola. Scopresi essere tutta cristallizzata. Ricerche intorno alla sua origine. Niuna configurazione prismatica nelle lave, che cadono in mare. Forte dubitazione, che le lave litorali d'Ischia non sieno in alcun luogo nidi di foladi, come è stato supposto da qualche vivente Scrittore. Stufe d'Ischia solo probabile indizio di un resto di qualche interior bruciamento. Diminuzione considerabile avvenuta a quest'Isola. Differenze fra i vulcanici materiali d'Ischia, e quelli degli altri Campi Flegrei. Singolarità nei feldspati delle lave ischiane nel fondersi alla fornace da vetrai, quando quelli dell'altre lave sono in essa quasi sempre infusibili.

Che quest'Isola, che alla base ha di giro 18. miglia, riconosca i suoi principj, e progressi dal fuoco, le materie vulcaniche, onde interamente è composta, ne fanno la più autentica fede. Le difficili ed oscure epoche delle diverse eruttazioni di tai materie, vengano per [p. 134 modifica]congettura fissate dal Sig. Don Niccola Andria Regio Professore chiarissimo nell'Università di Napoli, nell'interessante suo Libro Delle Acque Termali, ove innanzi di ragionare di quelle d'Ischia, adombra con lungo apparato di erudizione, e dottrina l'Istoria naturale di questo Paese, alla quale rimetto il curioso Lettore, che con profitto amasse restarne istruito.

Seguendo però il divisato mio piano, io mi contenterò di descrivere, e far palesi le precipue produzioni del fuoco di cotal luogo, accompagnate da quelle ponderazioni, che crederò più opportune alla natura di questo argomento. Comincerò pertanto dal Castello della Città d'Ischia, edificato su d'uno Scoglio attorniato dal mare, e avente di circuito poco più d'un quarto di miglio. La lava, e il tufo sono i due componenti dello Scoglio. La prima, secondo i diversi luoghi, fra se diversifica in apparenza, ma sostanzialmente emmi paruta la medesima qualità di lava, la cui base è una roccia cornea. E' nel novero delle compatte, mezzana ne è la durezza, l'aspetto terroso, e nero esternamente, ma al di dentro bigiccio. Quella specie di lurido, [p. 135 modifica]e smorto che ha, viene rotta da' rari, ma sfavillanti feldspati romboidali.

La fornace ne crea uno smalto de' più compatti d'un misto tra il color di mele, e il nero sbiadato, senza alterazione dei feldspati.

Il tufo non ha qualità alcuna che lo distingua dai più volgari.

Considerata la direzione del tufo, e della lava, si scorge, che tal direzione continua nel vicin Monte, separato dallo scoglio per un brevissimo tratto di mare; e però è troppo ovvio l'argomentare, essere state più correnti, che da lui discese, sono ite a piombarsi nell'acque; cosicchè quello scoglio ne sia una derivazione, rimasta isolata per gli urti de' flutti.

Una quantità di rondoni bianco-nericci[1] nidifica su quell'eminente Castello, e nelle fessure dello scoglio. E le rupi più scoscese, ed alte dell'Isola danno pur ricovero nella buona stagione a questi uccelli di passaggio. [p. 136 modifica]

Lasciando il Castello, e la Città d'Ischia, e dirigendo i miei passi all'ouest, presentasi alla distanza d'un miglio un torrente di lava, detta l'Arso, che è la meno vecchia di tutte; perchè corsa nel 1302., e nelle Storie Fiorentine dal Villani descritta. Di fronte allargasi quasi a un miglio dimezzato, ed in lungo si stende a un miglio e mezzo; e la lunghezza sarebbe stata maggiore, se la lava incontrato non avesse il mare, ove è restata in parte sepolta. Il torrente sul piano dove è corso, si scorge interrotto da alture, e da abbassamenti; e veduto a qualche distanza rappresenta un numero immenso di grandi masse di muricce tumultuariamente accumulate. Non ha visibile cratere, se per esso voglia intendersi, conforme il consueto, una bocca più o meno ampliantesi verso gli orli, e restringentesi alle parti inferiori. Ma il sito d'onde scaturì la lava è un angusta squarciatura alle radici del Monte Tripeta. Malgrado l'essere poco meno di cinque secoli, che questa laya ha colato, pure su di essa regna una trista sterilità, non appigliandovisi ancora fil d'erba, e rimanendo soltanto in più luoghi coperta [p. 137 modifica]da' aridi ed inutili licheni. Alla superficie, e a poca profondità è spugnosa leggiera, facilmente stritolabile: più sotto si fa densa, e più dura: il che è comune ad assaissime lave per le note leggi della gravità, per cui le parti più leggiere nella liquida massa occupano la superficie, e le più pesanti il fondo.

Questa lava, a base di roccia cornea, è di grana terrosa. Il suo colore, conforme i siti diversi varia, da quello del ferro sino al nero-rossigno. Prodigiosi di numero sono i feldspati in essa incorporati, i quali in qualche pezzo attentamente contemplati, danno a credere, che l'incendio producitore di questa corrente era fortissimo. Lo deduco dall'essersi quì fusi più o meno i feldspati, quando generalmente nelle lave sogliono restare intatti. Se adunque la lava dell'Arso prendasi nel centro della corrente a qualche profondità, l'avvenuta liquefazione è manifestissima. Alcuni pertanto conformati veggonsi in ritonde palline, o in allungati cilindretti. Altri sono stati fusi soltanto da un lato, e quivi hanno perduta la forma cristallizzata, quando nell'altre parti la conservano intiera. E' [p. 138 modifica]singolarmente in alcune cavità, dove la fusione de' feldspati è stata maggiore, e dove appariscono bizzarrie, che ben ponderate istruiscono. Talvolta dunque in certi vani della lava il liquefatto feldspato è come in aria, raccomandato soltanto alle di lei pareti per più fili raggiati della lava stessa, dei quali esso è centro. Tale altra il feldspato colando in un lato della cavità, si è conformato in un velo concavo trasparentissimo. Quelli poi che non han patito fusione, portano i segni più decisi di una forte calcinazione. Sono della massima friabilità; al cangiante vivace in moltissime parti è sottentrato un bianco smorto. Mercè questa calcinazione i cristalli bene spesso non sono più intieri, ma sparsi in minuzzoli nel seno della lava. Quelli poi che si trovano ai lati della corrente sono meno pregiudicati, e la loro cristallizzazione è a facce quadrangolari.

Nella guisa che il fuoco vulcanico ha avuto il potere di squagliare diversi feldspati di questa lava, io credeva che altrettanto operasse quello della fornace. Ma ho veduto che anche tirato a lungo [p. 139 modifica]per due giorni, non produce in loro che una semplice calcinazione.

Il Sig. Dolomieu parlando di passaggio dell'Isola d'Ischia, ci dice che questa eruzione dell'Arso, che sappiamo esser durata due anni, non ha mai prodotta pomice alcuna, ma solamente nere scorie[2]. Al certo non mi è riescito trovare che lave scoriacee alla superficie, e lave solide nelle parti interne per tutta l'amplitudine della corrente, salvo però l'apertura, donde proruppe, nella quale di mezzo a un profluvio di frammenti di lave si distinguono più pezzi di pomice, caratterizzata a segno, che non abbiamo a temere di confonderla con le scorie leggieri, porose e quasi lievitate, le quali da meno veggenti sono state talvolta prese a luogo di pomici. Imperocchè oltre l'essere secche, ed aspre al tatto, sono fibrose: la fibra è allungata, vetrosa, lievissima, lucente, e facilmente frangibile. Per l'opposito la tessitura delle scorie, e delle lave scoriacee dell'Arso è granosa, o [p. 140 modifica]confusa talmente, che non appare ombra di fibre, e la friabilità non è molta. Per altro sostanzialmente coteste pomici dell'Arso convengono con le scorie, e le lave di quel luogo, pei feldspati, che in loro sono i medesimi, ed egualmente affetti dal fuoco. Questa osservazione fa dunque vedere, che la roccia di corno si trasmuta pel fuoco violento in verace pomice, quantunque questa trasmutazione di rado succeda.

Avverte il citato francese Naturalista, che questa lava dell'Arso fumica tuttora in più luoghi, e che i fumi bianchi che si sollevan da lei, rendonsi più chiari il mattino, ove la rugiada ne sia stata abbondante.

Il fenomeno, malgrado la qualche stranezza sua, meriterebbe la maggior confidenza, se ocular testimonio ne fosse stato egli stesso. Ma se ciò fosse, lo avrebbe sicuramente, espresso: laddove non ne parla che in termini generali, per cui abbiam fondamento di credere che deferito abbia all'assersione altrui. L'Abbate Breislak, ed io scegliere non potevamo tempo più idoneo per contemplare tai fumi, essendoci recati all'Arso sul levar [p. 141 modifica]del Sole, ed impiegata avendovi buona parte del mattino, che non fu dei meno rugiadosi. Ma gli occhi nostri inutilmente ricercarono tanta meraviglia. Non l'hanno neppur saputa scoprire gli altrui; quegli almeno de' molti terrazzani fededegni da noi interrogati, affermaron tutti di non ricordarsi di avere mai veduto o fumo o vapore, o qualunque altra nebbiosa sostanza sollevarsi dall'Arso. Malgrado però queste contrarie autorità, io non ardirei negare il fatto. Dirò soltanto che peno a rimanerne persuaso: nè troppo mi convince l'esempio addotto dal Dolomieu di alcune lave dell'Etna, che non cessano di fumare, non ostante che sieno state eruttate nel 1762., poichè in fine cotal fenomeno non ha per epoca, che lo spazio di 26. anni, e quello dell'Arso l'avrebbe di 486.

Dopo l'aver ragionato della corrente dell'Arso, toccherò tre lave ritrovate tra via nel restituirmi alla Città d'Ischia, che risaltan di terra in sembianza di smisurati pietroni. Sono a base di roccia di corno, ma fra se diversificano per alcuni esteriori caratteri. [p. 142 modifica]

Una di esse è cenerognola, di grana grossolana, ma compatta, secca, ed aspra al tatto, e nell'abito esteriore non dissimile ad alcune pietre arenarie.

Il fondo d'un'altra lava è affatto terroso, la compattezza, il peso, e la durezza sono però maggiori, che nella prima lava.

Una terza lava nelle recenti rotture è mezzo vetrosa, scintilla languidamente all'acciajo, è più fitta, più pesante, e più dura dell'altre due.

Tutte e tre queste lave fanno sentire l'odore argilloso, nè loro mancano numerosi feldspati, e sono sì vivaci, sì sani, che mostrano di avere interamente elusa la forza del fuoco.

Da queste lave non vanno disgiunte assaissime pomici erratiche, nel novero delle comunali, con sorli, e feldspati, ma gli uni e gli altri ridotti a un principio di fusione.

Ma non evvi angolo dell'Isola che più ribocchi di pomici, quanto il Rotaro, situato fra Casamicciola, e la Città d'Ischia. Desso è un Monte fatto a cono, massimamente composto di tufo, di pomici, di smalti. Si vede questa essere [p. 143 modifica]stata una eruttazione fangosa, divisa in più strati, distinguibili singolarmente lungo la Via del Rotaro. Di mezzo a questi strati giace una immensità di pomici, varianti nella grossezza, ne' colori, nella densità, ma non discordanti nella tessitura, che in tutte è fibrosa. Elleno avviluppano diversi feldspati, che manifestano una incominciata fusione. Non forman correnti, siccome vedremo in molte pomici di Lipari, ma sono a pezzi staccati, distribuite però in guisa, che in più luoghi constituiscono come altrettanti suoli o tavolati. Sembrami esservi la maggiore verisimiglianza nel credere che il Vulcano dopo una eruzione di tufo, gettato abbia in alto un nembo di pomici, che cadute sul tufo, prodotto vi abbiano un suolo, su cui per una eruttazione novella siasi generato un altro strato tufaceo; il quale sia stato coperto da un'altra pioggia di pomici; e così da quell'alternazione di materie tufacee, e pomicose nata sia una porzione di quella conica Montagna. L'estensione delle pomici, presa in dirittura della Via del Rotaro, oltrepassa il miglio, e i luoghi più eminenti per ogni dove ne abbondano. Quindi [p. 144 modifica]con la più grande facilità ammassare se ne potrebbero raccolte tali, onde in Italia fornire agli usi, cui si destina cotesta pietra.

Frammischiati alle pomici, e al tufo miransi più pezzi di smalto, la grossezza de' quali s'inoltra dal pollice fino a un piede e mezzo, ed anche due. Verisimilmente vennero lanciati nell'epoca della summentovata Montagna. Nero ne è il colore: alle percosse reggono molto di più che gli smalti delle Pietre Arse, e di Procida. Come loro sono però abbondantissimi di feldspati, e presentano la consueta figura romboidale. Il Rotaro è il solo luogo d'Ischia che fornisca smalti.

Sembra potere statuirsi come canone, che fra le Montagne di varia elevatezza, generatrici dell'Isole vulcaniche, quella che all'altre soprasta, e che d'ordinario si solleva nel mezzo, sia stata la prima a prodursi dal fuoco, e che l'altre che la circondano, e che dal loro adunamento, ed ampiezza creano il circostante corpo dell'Isola, sieno venute dappoi per eruttazioni consecutive, mandate fuori o dal cratere del Monte primitivo, o da' crateri laterali, e più bassi, per cui [p. 145 modifica]sorta sia quell'aggregazione di Monti subalterni, e successivamente più umili, che accerchiano, e coronano il più elevato, che occupa il centro. Di questa guisa vedrem formate alcune delle Isole Eolie: nè punto diversa sembra essere stata l'origine d'Ischia; e il Monte di S. Niccola ne' tempi andati chiamato Epopeo, che è centrale all'Isola, ed è più eminente di tutti, a buona ragione può dirsi essere stato il primo a torreggiare su l'onde. Di varie specie sono le materie di questo Monte. Fermato ho l'occhio su quelle, che guardano Lacco, e che sono rocce, che nel modo di quelle della Solfatara sono andate soggette a decomposizione, probabilmente nata quì pure dagli acidi sulfurei, se dalla somiglianza degli effetti dobbiamo argomentar quella delle cagioni. Le rocce vicine al mare nella costiera del Fasano sono le meno decomposte, nè fatichiamo a conoscerne la natura, che è granitosa, manifestandosi senza equivoci la mica, il feldspato, ed il quarzo, oltre ad alcune particelle verdognole di steatite. Il quarzo, e i feldspati, quantunque alquanto calcinati, sono però tollerabilmente duri, e la mica [p. 146 modifica]che è nera, non è stata spogliata della nativa lucidezza. Questa roccia, che non mostra di aver patito fusione, è albiccia, ed alterata in modo, che non regge sotto il colpo del martello. Inoltrandosi poi verso la sommità dell'Epopeo, incontransi lave decomposte, parte a base di roccia cornea, parte a base di petroselce, ove però occupa non picciola parte l'argilla. Le lave di quest'ultima qualità nelle parti non affette dagli acidi sulfurei, sono d'un nero carico, di notabile compattezza, scintillanti vivamente all'acciajo, e nelle fratture presentano l'aspetto siliceo, e talvolta a concoide. L'odore è sensibilmente argilloso. Queste lave petrosilicee non sono semplici, ma tengono imprigionate alquante squamette feldspatose, e micacee.

Alla fornace squagliansi in uno smalto del colore, e del lustro della pece, dove tuttavia seguitano ad apparire, o piuttosto a farsi più cospicui i bianchi feldspati.

Ma queste lave miransi sul luogo variamente decomposte dai suddetti acidi nel modo stesso che è accaduto in quelle della Solfatara. Qua si sono vestite [p. 147 modifica]d'una sottile crosta biancheggiante, leggera, dolce al tatto, che si attacca alla lingua, e che è friabilissima. Là questa crosta si è internata di alcuni pollici, e altrove ha occupata l'intiera crassizie delle lave. In più altri siti si è intenerita a segno, che si è fatta polverosa, e la bianca polvere al sopracciglio di detto Monte è spaziosissima. E però dobbiam dire, che gli acidi sulfurei quivi sieno stati copiosissimi, e di lunga durata, quantunque ora di tali esalazioni non siavi più alcun vivo segnale.

Sappiamo che anticamente in Ischia si cavava il sulfato di allumina, per farne traffico, e secondo il nominato Sig. Andria, i materiali atti per l'estrazione di questo sale si prendevano in Catrico, situato sopra Lacco nelle maggiori eminenze dell'Epopeo. Egli avvisa però che a' nostri giorni non rimane più vestigio di sulfato di allumina, dietro alle sue più minute ed esatte perquisizioni[3]. Dirò candidamente quanto è accaduto a me di notare. Assai lave da Catrico stesso, e [p. 148 modifica]da que' contorni sono state da me raccolte. Queste si trovano generalmente compatte, bianchissime, e all'occhio omogenee; fra se diversificano però pei seguenti esteriori caratteri. Altre sono mezzanamente pesanti, e dure: nelle recenti rotture si osservano liscie, e spesso a concoide: e taluna conserva nel centro qualche picciol nocciolo di lava nericcia, e poco decomposta. Altre poi hanno molta leggerezza, l'unghia medesima le intacca, scabrose, e alquanto polverose ne sono le fratture, nè mai o quasi mai ritengono interiormente qualche residuo non decomposto. A far breve le prime lave sono state dagli acidi sulfurei meno alterate, che le seconde. Quando queste due fatte di lave furono da me prese da quell'eminenza, non mi fecero sentire al gusto il sulfato d'allumina. Ma con altre vulcaniche produzioni trasportate a Pavia, e riposte in mia Casa su grandi tavole, dopo alcuni mesi ecco quanto scopersi in loro. Nelle lave del Catrico, e delle sue vicinanze meno pregiudicate dagli acidi, non manifestavasi traccia di questo sale. Non così fu dell'altre lave del medesimo sito, più alterate dai detti acidi, [p. 149 modifica]nelle quali la lingua sentiva il sapore sdolcinato, e astringente di esso, e l'occhio vedeva il velo bianchiccio, e sottilissimo del medesimo, che d'ogni intorno copriva i pezzi di queste lave. Dopo sei mesi la crassizie del velo era ¼ di linea; e in seguito non mi accorsi che crescesse di più. Feci nuove rotture a tali lave, non senza l'apparimento di veli novelli di sulfato alluminoso. E nel mentre che ora ne scrivo, cioè dopo 27. mesi da che levai da Ischia coteste lave, conservano tuttora la sottile crosta salina. Con le ordinarie chimiche prove mi sono poi sempre più accertato della verace natura dell'alluminoso sulfato. Quanto poi alla seconda qualità di lave, in tutto questo tempo non mi hanno mai mostrata la presenza di detto sulfato. Dirò inoltre, che non ho tampoco potuto ottenerne mediante la calcinazione, praticando un metodo analogo a quello che si usa nel territorio di Cività-Vecchia, per cavare da quelle pietre argillose il sulfato d'allumina.

Per queste mie osservazioni rimane però dimostrato, che anche adesso evvi in Ischia questo sale sì interessante. Nè [p. 150 modifica]punto mi sorprende, che al gusto non mi si palesasse, quando io era colà, giacchè l'umidità della notte, la rugiada, e molto più le piogge lo sciolgono, e via nel portano, a mano a mano che sopra vi fiorisce. E la specie di lava decomposta dove io l'ho trovato, avendo su l'Epopeo un'estensione amplissima, io non dubito punto che questo ramo di commercio da sì lungo tempo in Ischia interrotto, non potesse oggidì repristinarsi vantaggiosamente.

Oltre gli accennati luoghi, in più altri esaminai quest'Isola senza però scoprir novità degna di rimarco. Ma io non poteva appieno soddisfare me stesso per cosiffatte escursioni. Quando mi prefissi di attentamente espiare, così Ischia, come ognuna dell'Isole Eolie, mio fermo divisamento fu quello di non acquetarmi nel ricercarle soltanto nel loro interiore, ma d'indagarle anche per attorno alle falde, dove elleno mettono in mare, radendone il litorale su d'un batello, e scendendo a terra, ed arrestandomi ai luoghi più confacevoli a secondare le mie ricerche. Per tal guisa mi è riescito di abbattermi in corpi vulcanizzati, che [p. 151 modifica]indarno cercato avrei dentro all'Isola, o perchè non ci esistono, o perchè rendonsi inacessibili per dirupi, e precipizj, di che sono attorniati, o per formarli le più volte eglino stessi. Le costiere inoltre dell'Isole vulcaniche sogliono andar vestite di lave, che scorrono fino al mare; e quivi è dove scorgendosi dal basso all'alto il loro andamento, possiam salendo accompagnarle fino all'origine, e quindi scoprirne il cratere, o la bocca che le ha eruttate. Finalmente il giro litorale dell'Isole vulcaniche è opportunissimo a decidere, se le lave prismatiche nascan dal mare. Imperocchè molti e gravi Autori sostengono che la regolarità di loro forma provenga dal subito rappigliamento, che provano nel precipitarsi dentro all'acqua marina, per cui prendono un regolare restringimento, che le divide in colonne prismatiche; e vogliono che ciò succeda in quelle parti soltanto che toccano il mare.

Per queste ragioni adunque avvisai oltre agli esami nelle parti superiori di queste Isole, di considerarne anche le più basse: e quanto ad Ischia, presi le mosse da Lacco per mare, costeggiando [p. 152 modifica]a sinistra l'Isola, e il primo Monte ad offerirmisi, e che cade sul lido, fu Vico, che parte risulta di tufo, parte di due correnti di lave, che scendono in mare. Il colore della prima, che è a base di roccia di corno, pende tra il grigio, e il ferrigno; la grana è diseguale, e terrosa, mezzana la durezza, e doviziosi i feldspati, altri in sottili tavolette, altri in prismi, e i primi, e i secondi per molta lucidezza cospicui.

L'altra lava, che ha pure la medesima base, e i medesimi feldspati, è meno compatta, più terrosa, e in conseguenza men dura, e il suo colore parte è cenerognolo, e parte grigio. Coteste due lave nel discendere si sono elevate in monticelli, e il loro spessore è notabilissimo.

Più in là si affaccia Monte Zaro, formato verso il mare da un fiume di lave estendentisi un miglio in larghezza, e pressocchè due in lunghezza. Vedesi generato da più eruzioni sovrapposte, e consolidatesi l'una dopo l'altra. La base di una di queste lave è pure una roccia cornea, entrovi miche, e feldspati. Diversifica nel colore, essendo in alcuni tratti [p. 153 modifica]della corrente d'un rossigno più o meno sbiadato, in altri cenerognolo, ed in altri bianco. La mica che è nera, e che spicca massimamente ne' pezzi bianchi, quantunque sofferta non abbia fusione, ha però perduto il lustro, ed acquistata friabilità superiore a quella che suole esserle naturale. Non così è dei feldspati, sì bene conservati, come se mai sentita non avessero la presenza del fuoco. Schizzan copiose scintille sotto il focile, il cangiante, e il lustro sono vaghissimi, hanno un bianco vetroso, e semitrasparente, e rompendoli, difficilmente si sfaldano. Cotesta sorta di lava ne è sì sopraricca, che occupano una buona metà del suo volume. La più parte sono a prismi.

La stessa corrente di Monte Zaro viene prodotta da un'altra lava, che sebbene sia ella pure a base di roccia cornea, diversifica però dall'antecedente, per essere in parità di volume d'un terzo circa meno pesante, e di aspetto terroso, quando l'altra ha la grana alquanto vetrosa. Il suo colore nelle parti più interne è rossiccio, ma nelle esterne è d'un giallo ocraceo; e qui la lava è [p. 154 modifica]manifestamente decomposta, essendo rammollita a segno, che il coltello la intacca. Ma la cagione che ha prodotto la superficiale decomposizione nella lava, non ha punto nociuto ai feldspati, che sono sanissimi. Anzi qui è dove facilmente si ponno staccare intieri, ed esaminarne la figura, che è esagona, ed a facce romboidali. Tali hanno mezzo pollice di grandezza, quantunque altri non giungano ad una linea.

La radice del Monte Zaro bagnata dal mare è coperta di arena vetrosa, che alla lente considerata, scorgesi un tritume minutissimo di particolette di feldspati, la più parte per la fluitazione scantonate, e ridotte a tondeggiante figura. Appartengono ai feldspati della dinanzi ricordata lava.

Dal fine del Monte Zaro sino al principio del Monte Imperatore si stende in lungo un amplo tratto, pressocchè tutto tufaceo, seminato di rapillo, come amano dire i Napoletani, o come direm noi nel linguaggio de' Naturalisti, di frammenti di pomice.

Ma la pendice del Monte Imperatore, la quale sovrasta al mare trae [p. 155 modifica]origine da una lava singolare. Più sopra parlato abbiamo della ricchezza dei feldspati nella lava del Monte Zaro. Ma nella presente si trovano sì prodigiosamente affollati, che a prima giunta crederemmo formarne essi l'intiero corpo. Egli è d'uopo spezzarla, e considerarne attentamente i pezzi, per conoscere, che neppure quì manca una base, la quale è una roccia cornea terrosa gialliccia, facilmente stritolabile, che in pochissima dose li tiene debilmente legati. La cristallizzazione è a tavolette romboidali di varia grandezza, da una linea fino a ¾ di pollice. A questa picciola base terrosa sono altresì attaccate diverse pagliette di nera mica esaedra.

Il medesimo Monte Imperatore alla banda del mare dà a vedere grandissimi aggregamenti di un'altra lava, che prescindendo da arciradissime particolette di mica dorata, e da qualche più raro microscopico feldspato, si può dir semplice, e questa non meno riconosce per base la pietra cornea. La lava dalla bocca del Vulcano sembra escita a riprese diverse, mirandosi correnti sovrapposte a correnti, [p. 156 modifica]che formano un disordinato bizzarrissimo intreccio.

Progredendo oltre, sottentra al Monte Imperatore la Calle di Panza, sito così nomato sul litorale, sopra cui cade un'altissima, ed estesissima rupe di lava, interrotta da più tumori, che pel loro luccicare feriscon l'occhio da lungi, ed invitano a contemplarli. Ed effettivamente lo meritano, essendo bellissimi gruppi di numerosi feldspati, rozzamente romboidali, della grossezza taluno di due pollici. Sono bianco-giallicci, suddiafani, di grana affatto vetrosa, di aspetto cangiante, fatti a sfoglie, e l'affluente quantità di scintille che mandano all'acciajo, ne dichiara la durezza. Molte centinaja insieme aggruppate formano masse tondeggianti di mezzo piede, d'un piede, e di due piedi, ed ogni massa per di sotto nella lava s'incastra. Quantunque, come è detto, la loro pasta sia molto dura, pure per diverse screpolature che vi son dentro, si dividono facilmente in minuti pezzi, a forma parallelepipeda, o romboidale. Quindi negar non possiamo, che da qualche estrinseco agente sieno stati dannificati, il quale però non mostra [p. 157 modifica]relazione veruna co' vapori acido-sufurei, per non riconoscersi il menomo indizio di questi, così nei feldspati, come nella lava che gli alberga. Cotesto agente però, qual che sia stato, ha più nociuto alla lava, essendo per ogni dove corrosa, ed è anzi in grazia delle profonde sue corrosioni, che rimasti sono a nudo i gruppi dei feldspati, e con la punta di un ferro possiamo facilmente staccarli intieri.

Questo fatto tanto più sembrommi degno di rimarco, quanto che nelle mie vulcaniche investigazioni finora era unico (e posso dire che lo è stato anche in seguito) giacchè i feldspati dell'altre lave non sono mai insieme gruppati, e a forma di tumori, ma sparsi, e quasi in egual dose distribuiti dentro di esse. Ma direm noi che tai gruppi, quali estranei corpi, per caso sieno stati ravviluppati, e chiusi nel seno della lava, quando fluiva? Questo è possibile, ma trovo più naturale il pensare, che appartenuto avessero alla sostanza lapidea per la veemenza del fuoco passata in lava. Ecco pertanto come spiegherei il fenomeno. Dopo che dall'osservazione siamo stati ammaestrati, che i feldspati (e così dir [p. 158 modifica]vogliamo dei sorli) non sono un lavoro, nè una conseguenza del fuoco, giacchè esistono anche in molte rocce primordiali, sembra naturalissimo che ivi si sieno formati, quando le rocce erano in uno stato di fluidezza, o formavano almeno un corpo assai liquido. Voglio dunque dire che allora le particole integranti dei feldspati per la vicendevole loro affinità si unirono in massette cristallizzate. Ove quelle avevano una data distanza fra se, si assembrarono, formando cristalli compiuti. Ma se in qualche sito sono state troppo affollate, la tumultuaria loro unione avrà dato origine a' gruppi di cristalli, i più de' quali saranno informi. Altrettanto osserviamo nei sali, nelle pietre, e nominatamente nei cristalli quarzosi, e spatosi. E questo è il caso dei feldspati esistenti nella lava presente. Ella per ogni sua parte ne rinchiude: dove però fra l'uno, e l'altro viene frammesso qualche spazietto, la cristallizzazione è perfetta; ma imperfetta di molto nei descritti ammassamenti, e verisimilmente per l'allegata cagione.

Questa lava, non altrimenti che le antecedenti, ha per base la roccia di [p. 159 modifica]corno; e l'esterno della sua corrente è somigliante a un gran fiume, che nel precipitare al basso, per improvvisa forza di freddo rappigliato si fosse, e indurito. Abbonda egli adunque di ondeggiamenti, di seni tortuosi, di rialti, di abbassamenti, e considerando il principale andamento, che è a retta linea su la Calle di Panza, c'induciamo ragionevolmente a pensare, che l'apertura donde è sboccata la corrente, giaccia più alto in dirittura di questo luogo, siccome effettivamente scopersi.

Ma un gagliardo vento di sud sopraggiunto, quantunque non m'impedisse di continuare a rader l'Isola attorno, mi vietava però lo scendere a terra, pel timore di rompere a qualche scoglio per la violenza de' sollevati marosi. In que' tratti litorali, dove non mi fu dato l'approdare, potei soltanto segnar con l'occhio fuggitivo assai lave, e copiosissimi tufi, che per venire dall'onde incessantemente battuti, del continuo si logorano, e sceman di mole, formando dirupi, e balze sul mare. Il perchè se volli in quel giorno intraprendere ulteriori investigazioni, fu mestiere trasferirmi al nord [p. 160 modifica]dell'Isola, per mettermi a ridosso del vento. Sebbene le produzioni vulcaniche quì esistenti non avevano novità alcuna, essendo quasi tutte a base di roccia di corno, e piene zeppe dei soliti cristallizzati feldspati.

Oltre all'arena del litorale del Monte Zaro, non ho trascurato di raccogliere, e di esaminar quella d'altre parti, dove ho approdato. E' stata da me scoperta quale imaginava che fosse: voglio dire dell'indole stessa delle produzioni vulcaniche, al piede delle quali si trovava raccolta. La porzione però dominante dell'arena si era un tritume di feldspati, per essere questa la pietra, che in quelle lave più abbonda, e che resiste assaissimo alle vicende delle stagioni, e ad ogni altra estrinseca ingiuria.

Ma quì non dee tacersi l'arena ferrea disseminata in più angoli dell'Isola, e sopra tutto copiosissima alle sponde del mare. Non solo muove l'ago magnetico, ma dalla calamita è attratta con forza. Cotesta arena in Napoli, e altrove è conosciutissima; ma per quanto io mi sappia, ignoravasi una sua qualità, da me discoperta col ministero della lente. Su [p. 161 modifica]le prime io credeva con la comune dei Naturalisti, che fossero menomissime molecole di ferro affatto informi, non altrimenti che quelle dell'arene lapidee. Tali effettivamente si offrono all'occhio inerme: ma se venga di buona lente armato, con gioconda sorpresa si scorge, che ogni granellino è o un frammento d'un cristalletto di ferro specolare, o un cristalletto compiuto egli stesso. Di questi ultimi ogni centinajo di grani ne comprende tre o quattro al più. Cotesti piccioli cristalli marziali sono formati di due piramidi quadrangolari alla base unite; e ogni lato delle piramidi è un triangolo rettangolo, o isoscele. Ma in moltissimi altri granelli non esiste più che una porzione dell'intiero cristallo; e per lo più si vede che la parte mancante è una conseguenza del logoramento sofferto dall'arena ferrea per lo stropiccio provato dall'urto del mare. Quindi molti grani, corrosi già gli angoli, presa hanno orbicolata figura.

Sebbene non è la sola Ischia, che ricca sia di questa arena: si tragge anche copiosamente dal lido di Pozzuolo. Ma donde mai la sua origine? Gli è certo, [p. 162 modifica]che questo ferro non si è potuto cristallizzare così, senza avere una base o un punto di appoggio: e cotal base in questi paesi vulcanizzati non saprei ritrovarla meglio, che nelle lave stesse, sopra, e dentro alle quali presa avesse cotal configurazione, quantunque poi dire bisogni, che la diuturnità del tempo abbia distrutte queste lave, giacchè delle innumerabili da me osservate ne' Campi Flegrei, non ne ho veduta pur una, che mostrato mi abbia somiglianti cristalli marziali.

Nella mia escursione attorno all'Isola, ho sempre avuto presente il sentimento di più Fisici, che la formazione delle lave prismatiche sia originata dalla subita immersione della fluente lava nell'acqua, siccome più sopra ho accennato. L'opportunità non poteva esser migliore, per una moltitudine di lave, a diverse direzioni, ed angoli seppellite nel mare, dentro cui fino a qualche profondità si vedevano. Ma posso asseverare, che neppur una mi si è affacciata con tal forma regolare, od analoga, sia nelle parti delle lave, che all'acqua sovrastano, sia in quelle che discendono a toccarla, sia nell'altre finalmente che vi stanno immerse, [p. 163 modifica]fin dove almeno poteva scorgerle l'occhio.

Il giro alle radici di quest'Isola mi fece dubitare d'un fatto espresso dal lodato Sig. Andria in queste parole: “Le lave in alcuni luoghi soltanto prossimi al lido del mare si trovano forate da' antichi sepolcri di foladi, per quanto ho potuto io giudicare, tuttocchè non mi fosse riuscito di trovarvi dentro alcun frammento della conchiglia”.

E passa egli immediatamente a render ragione del fatto. “Si vede chiaro però che queste foladi non han dovuto quivi deporsi, che portate spontaneamente dal proprio istinto dopo lungo tempo che la lava si era già stabilita”[4].

Non oso risolutamente contraddire all'asserzione, non avendo io potuto esplorare il litorale tutto quanto d'Ischia. E quando pur fatto lo avessi, diffiderei nondimanco di me stesso, difficilissimo essendo l'esplorare al minuto i luoghi precisi di che parla, per non essere stati [p. 164 modifica]da lui individuati. Dirò solo candidamente ch'io temo forte di qualche equivoco, non sapendosi che le lave, ed altre materie vulcanizzate sieno mai divenute alberghi di foladi, sia poi che per foladi si voglia intendere il mytilus lithophagus, o il 'pholas dactylus del Linneo. Nelle mie ricerche intorno agli animali marini ho posto singolare studio su quelli che forano, ed abitano le pietre subacquee. Le sostanze vulcaniche dell'Etna bagnate dal mare, quelle dell'Isole Eolie, alcune del Vesuvio, sono state da me a somma cura espiate. Nulla di più frequente, che il trovar su di esse più maniere di testacei, come ostriche, serpule, lepadi, ec.: ma non è mai stato, che scorto le abbia bucate dalle foladi, o da altri viventi delle sostanze fossili roditori. Cotal fenomeno è sempre stato da me osservato in regioni non vulcaniche: ma nemmeno in tutte, notato avendo che questi animalucci non nidificano mai, se non se dentro a' carbonati di calce. Ma le lave ischiane non sono di questa natura: ed il simile ha luogo in generale nell'altre lave. Dubiterei adunque che alcune cavernucce rozzamente somiglianti a quelle [p. 165 modifica]fabbricate dalle foladi, avessero fatta illusione all'Autore; o bramerei almeno ch'egli ripetendo sul luogo le osservazioni, si accertasse meglio della verità del fatto, che in terre vulcanizzate sarebbe finora unico, per quanto io estimo.

Tre giorni sono stati da me impiegati nell'esaminare quest'Isola, e nei diversi esami ho avuto in considerazione, se mai vedessi sorger di terra qualche fumajuolo, per cui prendere si potesse argomento, non esser quivi del tutto estinte le sotterranee accensioni. Ma la menoma traccia di fumo non mi apparì, nè è stata giammai osservata da' più vecchi Paesani, cui non lasciai premurosamente di addomandarne. Le stufe di Ischia pare tuttavia che c'inducano a pensare il contrario. Si sa essere coteste stufe caldissimi vapori acquosi, che perennemente escono dalle crepature, e dagli sfendimenti delle lave, i quali quantunque non abbiano alcuna delle nocive qualità comuni alle esalazioni vulcaniche ma sieno anzi giovevolissimi per più malattie, certa cosa è però che derivare non possono se non se da interno calorico [p. 166 modifica]vaporizzante le acque sotterranee, qualunque ne sia poi la produttrice cagione.

Quando gli incendj in tempi antichissimi, e a noi sconosciuti hanno prodotto quest'Isola, doveva ella godere d'un'ampiezza assai maggiore d'oggidì. La parte del sud, sottoposta a un mare, che fino dalle coste dell'Africa va a percuoterla senza frapposti obici, e d'altronde formata in qualche parte di tufi, sostanza fra le vulcaniche poco dura, esser dee grandemente sminuita. E il diminuimento in avvenire diverrà sempre più grande. Ma il tempo che a lungo tutto altera, tutto strugge, ha cagionato puranche i massimi cangiamenti nell'interno dell'Isola. Stando su la vetta dell'Epopeo, si mirano con piacere assai monticelli conici, propaggini di altrettanti Vulcani. Ma i loro interni crateri più non esistono, nè siam certi, che in Ischia più ritrovinsi i contrassegni d'un solo, giacchè quegli affossamenti, ed ample cavità, quelle specie di teatri, e di amfiteatri, che in qualche lato si osservano, esser possono egualmente effetti del fuoco, che dell'acqua. [p. 167 modifica]

Termino queste mie osservazioni con una importante riflessione sopra i materiali vulcanici d'Ischia. Questi diversificano dal rimanente degli altri Campi Flegrei. A riserva della vesuviana Montagna, il gran piano, su cui riposa la Città di Napoli, i circostanti colli al nord, al nord-ouest, e all'ouest, i crateri del Lago d'Agnano, e d'Averno, molti tratti della Solfatara, Monte Nuovo, il Promontorio di Miseno, Procida, ec. sono il risultato di sostanze tufacee. E comecchè queste non manchino in Ischia, la parte però dominante di lei sono diverse rocce, e sopra tutto quelle di corno. L'eruzione altresì dell'Arso, che è l'ultimo incendio, a memoria d'uomini accaduto, va composta di cotal pietra. Le materie adunque, che hanno fornito l'alimento ai diversi ischiani incendj avevano il loro centro in quelle rocce argillose, le quali per la nominata eruzione del 1302. mostrano di non essere per ancora esauste.

Queste rocce, siccome abbiam veduto, sono straricche di feldspati cristallizzati; ed eglino nella fornace offrono [p. 168 modifica]una circostanza, che difficilmente riscontrasi nei feldspati dell'altre lave, sottoposti al medesimo grado di calorico. Parlo della loro fusibilità. Se si eccettuino adunque quelli dell'Arso, che contro la fornace persistono reffrattarj, ogni feldspato di queste lave si liquefà perfettissimamente. Dove adunque esistevano i feldspati, la lava acquista un color chiaro, e fassi suddiafana, quando nell'altre parti presenta uno smalto opaco, e imperfetto. Se poi il complesso dei feldspati superi a più doppj il volume della lava, il prodotto che ne risulta, è un vetro verace, alcuna cosa però meno trasparente del vetro fattizio. Ma qualora i feldspati sieno solitarj, nè punto dalla lava imbrattati, come quelli della Calle di Panza, il vetro è perfettissimo, e trasparentissimo. Non ha punto di colore, va fornito di molta compattezza, e fortemente all'acciajo sfavilla. A perfezionarsi così richiede però il fuoco di quasi due giorni. A capo di uno, non è questo feldspato, che una pasta simile alla porcellana. Allora i pezzi si conglutinano insieme, molti dimostrano una [p. 169 modifica]semi-vetrificazione, e la superficie dentro al crogiuolo non fassi orizzontale, ed eguale, ma rimane bernocculuta, giusta l'alzamento, e l'abbassamento dei pezzi: per l'opposito allungato il fuoco, la superficie fassi piana ed orizzontale.

Dando opera a queste esperienze m'invaghj di cimentare con l'istesso grado di fuoco due altri feldspati, ma non di contrade vulcanizzate, l'uno del Monte S. Gottardo, l'altro di Baveno, quelli che hanno reso sempre più celebre il nome del Padre Pini, per esserne stato lo scopritore. Il primo è in massa, d'un bianco elegantemente gattizzante, fatto a sfoglie, e di grande durezza fornito. Ma in ore 48. di fornace non ha contratto che qualche superficiale leccatura vetrosa. E dentro a due crogiuoli insieme per bocche uniti, e per ogni intorno circondati dal carbone, e violentemente dal mantice attizzati per due ore in un fornello chimico, si è questo feldspato ne' suoi angoli ritondato, e i pezzi si sono attaccati, contraendo una liscia superficie, e un bianco lattato, senza che però internamente seguita sia sensibil fusione. [p. 170 modifica]

L'altro di Baveno, è fatto a prismi tetraedri, opaco, men duro del primo, e d'un color rossigno di mele. In ore 48. di fornace è nata appena qualche conglutinazione nei pezzi, che acquistato hanno un bianco nevato.

Dal confronto di questi due feldspati, e di altri d'innumerevoli lave con quelli delle lave ischiane, si raccoglie essere caso ben raro, che la fusione di cotali pietre si ottenga col discreto calorico delle fornaci vetrarie.

Da questa nostra osservazione nelle lave d'Ischia impariamo un'altra verità. Si statuisce da' Mineralogi che i sorli sono più facilmente fusibili dei feldspati; e ciò perchè al grado di calorico, in cui si fondono i primi, non si fondono i secondi. Ho veduto che questa affermazione non è sempre vera, giacchè dimostreremo nel decorso del Libro, che i sorli di alcune lave sono refrattarj a quel medesimo grado di fuoco, nel quale i feldspati d'Ischia si sono fusi compiutamente. Ciò poi nasca o perchè nei feldspati domini talvolta meno la silice, che nei sorli, o perchè i principj prossimi sieno [p. 171 modifica]dosati in modo, che gli uni facilitino di più la fusione degli altri, o perchè contengan più ferro; sapendosi che questo metallo promuove la fusione delle pietre.


  1. Hirundo melba. Lin.
  2. Catalogue raisonné des Produits de l'Etna.
  3. L. c.
  4. L. c.