Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino/Capitolo X
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CAPITOLO X.
stromboli.
Fuochi di questo Vulcano veduti di notte, a cento miglia di lontananza. Loro apparenti intermittenze. Intermittenze nei loro fumi guardati di giorno. Andata dell'Autore a Stromboli per un gagliardo libeccio. Torma di delfini incontrati nel viaggio. Straordinaria loro velocità nel nuotare. Fenomeni nei fumi del Vulcano da vicino osservati. Suoi scoppj. Relazioni tra i sintomi di questo Vulcano, e le vicende dell'atmosfera, secondo l'opinione degli Strombolesi. Predizioni dei tempi buoni o rei, dedotte da questi sintomi. Osservazioni su queste relazioni, e vantati pronostici, fatte dall'Autore nella sua dimora di 35. giorni alle Isole Eolie. Fenomeni di questo Vulcano osservati a due miglia dal cratere. Qualità di cenere piovuta a quel tempo. Qualità di arena, che occupa una parte considerabile dell'Isola. Sua origine. Costruttura interna dell'Isola. Forti sospetti che il cratere di questo Vulcano esistesse ab antico alla sommità di Stromboli. Quest'Isola formata d'un monte solo, ma bicipite. Irrefragabili testimonianze, che da un secolo e più il cratere di questo Vulcano è situato, e getta infiammate materie verso la metà dell'altezza della Montagna. Abbagliamento del Caval. Hamilton nello stabilire questo cratere alla sommità del Monte. Due luoghi per vedere agiatamente le grandinate del Vulcano, l'una sul mare presso alla Montagna, l'altra su la cima di questa. Gita dell'Autore a questo primo Luogo. Grandinate ivi osservate nell'ore diurne e noturne. Fenomeni curiosi che presentano. Sospetti per credere poco fondate le universalmente ammesse intermittenze de' fuochi di Stromboli, Deboli eruzioni in quel tempo dirimpetto ad altre anteriori. Pendice di monte all'ouest, sito unico pel quale le grandinate cadon nel mare. Assurda spiegazione degli abitanti dell'Isole Eolie, perchè quel tratto di mare, dove cadon le grandinate, non rimanga quasi mai riempiuto da queste materie vulcaniche. Spiegazione dell'Autore. Sua gita all' Vulcano, salendo la Montagna. Qualità di questa via. Altezza di Stromboli. Fumi cocenti acido-sulfurei presso la sua sommità. Comunicanti interiormente coll'attuale Vulcano. Reliquie di un antico cratere alla sommità di Stromboli. Veduta di lassù delle grandinate. Loro altezza perpendicolare. Prove decisive che il Vulcano di Stromboli non è intermittente, come si vorrebbe da' Viaggiatori. Fondamento di credere poco profondo il vano del cratere di questo Vulcano, veduto a qualche distanza. Ondate di fumo prorompenti da tre luoghi del Vulcano. Riesce all'Autore di accostarsi anche di più al Vulcano. Cose osservate di giorno in questa maggiore vicinità. Forma, e struttura del cratere: lava liquefatta dentro di esso: fenomeni di questa lava. Sue grandinate. Poco o nulla intermittenti. Osservazioni fatte di notte dentro allo stesso cratere. Fenomeno impensato e pauroso a vedere. Spiegazione di questo fenomeno.
Quest'Isola, che al nord-est è la prima fra le Eolie, distante 50. miglia dalla Sicilia, e Στρογγύλη chiamata anticamente da' Greci per la rotondità della forma, è in gran rinomanza pel singolarissimo suo Vulcano. Imperocchè dove l'Etna, il Vesuvio, l'Ecla, e l'altre ardenti Montagne ora imperversano, e gettano materie infuocate, or si abbandonano ad una perfetta inazione, che dura più anni, e talvolta secoli intieri, le eruttazioni di Stromboli sono perenni. Questa perennità però non è sì continuata, che interrotta non venga da brevi periodiche intermittenze, secondo che scrivono tutti i moderni Viaggiatori. Partito essendo da Napoli per la Sicilia li 24. di Agosto del 1788., e l'entrante notte oltrepassate avendo di molto le bocche di Capri, cominciai a scorgere cotal prodigio di Stromboli, quantunque da me lontano ben cento miglia. Pareva un soffio di vampa, che d'improvviso mi feriva debilmente gli occhi, e che dopo due o tre secondi spariva. Scorsi dieci o dodici minuti primi, ricompariva la fiamma, poi dileguavasi. Per più ore fui contemplatore di quel picciolo spettacolo, il quale diversificava solamente nella maggiore o minore durata, e negl'intervalli alle accensioni frapposti. I marinai, da' quali era condotto, guardavano con occhio di compiacimento que' fuochi, senza cui, mi dicevano essi, nelle oscure notti fortunose correrebbero assai volte gran rischio, o di andar naufraghi in alto mare, o di rompere fatalmente alle coste della vicina Calabria. Fatto giorno, e maggiormente appressatomi all'Isola vulcanica, non più pel vivo lume solare vedevasi gittar fuoco, ma fumicare, con l'invariabil tenore però che i fumi avevano presso a poco le alternazioni nella fiamma osservate. Ma in quel tragetto di mare essendo mio divisamento di approdare a Messina, per dappoi salir l'Etna, mi convenne allora perder di vista il Vulcano, che visitai poscia al mio ritorno dalla Sicilia, nel tempo che fermato aveva mia stanza in Lipari. Ciò avvenne il primo di Ottobre, colta ivi l'opportunità del ritorno di una feluca a Stromboli. Era di buon mattino, soffiava un forte, ma spiegato libeccio, accompagnato da interrotte nubi temporalesche. Agitato era il mare, ma favorevole essendo il vento per questa velata, il padrone della feluca, che era altresì il timoniere, sperar mi fece che non incontreremmo disastri, e sol mi disse scherzando, che avremmo ballato. Spiegate erano tutte le vele, e l'andar nostro non era un correre, ma volare. Non ostante che il vento, e il mare ingagliardissero sempre di più, e che or ci vedessimo sospesi su la punta d'un'onda, or profondati come in una voragine, nulla avevamo a temere, per essere sempre stato il libeccio intavolato per poppa; e in men di tre ore giungemmo a Stromboli, che è a trenta miglia da Lipari, dato fondo al nord-est, dove il corpo della Montagna rintuzzando l'empito del vento, rendeva il mare meno sconvolto. Per qualche tratto di viaggio fummo accompagnati da una torma di marini animali, che ci fecero una specie di corteggio. Questi erano Delfini[1], che preso in mezzo il nostro legnetto si diedero a scherzarvi attorno, e a trastullarsi, guizzando da prora a poppa, e da poppa a prora, d'improvviso profondandosi nell'onde, poi ricomparendo, e fuori cacciato il muso, lanciando a più piedi di altezza il getto d'acqua, che a riprese espellono dal forame che sul capo si apre. E in quegli allegri lor giochi appresi cosa non mai da me veduta nelle migliaja di questi piccioli cetacei in altri mari osservate. Ciò fu l'indicibile loro prestezza nel vibrarsi dentro l'acqua. Uno o più delfini talvolta movevano da prora a poppa. Ad onta di dovere allora rompere l'impetuoso scontro del fiotto, volavano con la rapidità di un dardo.
Ma a se mi richiamano osservazioni d'altro genere, e vo' dir quelle che formano il primario oggetto de' nostri discorsi. Durante quella veleggiata, Stromboli che aveva in faccia, e a cui di mano in mano io mi appressava, coperto era alla cima di un densissimo fumo, che giù fino al ciglio del Monte si distendeva. Quando giunsi a terra erano nove ore del mattino, e già ardendo di voglia di occuparmi intorno al suo Vulcano, ne salii senza indugio i fianchi, finchè pervenni all'estremo lembo del fumo, voglioso di espiarlo con attenzione. Cotesto fumo, quanto all'apparenza, simulava perfettamente le nubi. Nericcio ed oscuro ne era lo strato inferiore, biancheggiante, e chiaro il superiore, quello per la poca luce solare, questo per la molta, onde era penetrato. La sua foltezza era tale, che toglieva il veder l'occhio solare. Inoltre lo strato superiore partivasi in più globi, ed in ammassamenti di forme irregolari, e bizzarre, che secondo i diversi movimenti dell'aria, ascendevano, discendevano, e si volgevano in giro, tanto più bianchi, e più dal sole irraggiati, quanto più elevati; apparenze tutte che ravvisiamo nei nuvoli massimamente estivi. Ma il fumo giunto che era a molta altezza, diradava tanto, che non si rendea più sensibile. L'acido sulfureo in lui era manifestissimo, e sì incomodo alla respirazione, che in quel giorno mi fu mestiere di ritornarmene al piano, sendo impossibile l'accostarmi di più al Vulcano. Questo faceva sentir sordi scoppj, e quasi continui.
Il rimanente della giornata lo impiegai nell'interrogare quegli Isolani su i diversi accidenti del loro Vulcano, a coloro singolarmente rivolgendomi, che a me sembravano meritare più credenza, giacchè per averlo quasi del continuo dinanzi agli occhi, nessuno meglio di loro poteva esserne istrutto. Tali adunque sono le notizie ch'io ne trassi. Spirando tramontana, o maestrale, piccioli e bianchi sono i fumi, e moderatissimi gli strepiti del Vulcano. Questi per l'opposito sono gagliardi, e più frequenti, quegli amplamente più estesi, ed anche neri, o almeno oscuri, ove soffii libeccio, scilocco, od austro. E con forza facendosi sentire taluno di questi tre venti, egli avviene talora che il fumo spandasi per l'Isola intiera, e la oscuri, altrettanto che fanno le nubi piovose. Se quel folto velo fumoso si faccia vedere nella stagione, in cui verdeggian le vigne di Stromboli, ma dopo poche ore si dilegui, queste non ne soffrono; ma se la sua durazione si estenda a un giorno, e più ancora, ne patiscono sì fattamente, che l'uve o non maturano, o defraudano in parte le speranze dei coloni. L'odore del fumo putisce sempre di acceso zolfo, e per conseguenza male si tollera dagli uomini.
Ma i densi, e copiosi fumi, ordinariamente in accordo con le più veementi e più spesse eruzioni, non solo accompagnano austro, scilocco, e libeccio, ma di qualche giorno gli antivengono. E però i Terrazzani predicono i tempi al navigare favorevoli o rei. Non di rado, mi dicevano essi, è avvenuto, che qualche bastimento a Stromboli d'inverno ancorato, era sul salpare, perciocchè arrideva il mare, ma dissuasine i padroni per gl'indicati pronostici, si sono fermati, nè l'avventurata predizione è stata fallace. Cotali indovinamenti però, quali che sieno, non sono il frutto delle moderne osservazioni di questi Isolani, ma li troviamo antichissimi[2]; e però è facile, che da' più rimoti Strombolesi di generazione in generazione passati sieno fino ai presenti, ed è egualmente facile, che verranno tramandati ai più tardi nipoti. Eolo stesso, che vogliono che avesse il suo soggiorno a Stromboli, dalla favola viene chiamato Re de' venti, probabilmente perchè dalla diversità dei fumi, e delle eruzioni prediceva il vento che spirare doveva, secondo che pensano alcuni Scrittori.
Io quì però non voglio tacere (si conceda questa breve intramessa alle mie narrazioni, sì confacevole a questo luogo) l'osservato da me intorno i fenomeni dell'aria, e quelli di questo Vulcano nella mia permanenza di giorni 35. all'Isole Eolie, giacchè i fumi diurni, e le fiamme notturne di Stromboli si veggono troppo chiaramente in queste Isole, e ne' tratti di mare, che le circondano. Due volte in quel tempo si fece sentire con violenza il libeccio, li 13. Settembre, e il 1. Ottobre. La prima volta non fuvvi cambiamento sensibile nel Vulcano di Stromboli, il quale però secondo l'avviso degli Strombolesi doveva accadere, giacchè per tal vento i suoi fumi ingombran di più la Montagna, e le ejezioni sono più romorose. Piuttosto la seconda volta si mostrò quale lo decantano essi.
Tre volte soffiò scilocco, li 21., e li 26. Settembre, e li 7. Ottobre. Cotal vento, volendo noi ascoltare i marinai di Stromboli, ha i medesimi rapporti che libeccio col loro Vulcano. E due volte certamente gl'infuocati getti furon più forti, e la fumosità più spaziosa. Ma la terza volta fallì.
Per l'opposito la tramontana, che gli 11., e li 12. Ottobre spirò piuttosto gagliarda, e che a detta di quegli Isolani lascia tranquillo il Vulcano, venne preceduta, ed accompagnata da esplosioni che si udirono nell'altre Isole, e da una stesa di fumo, che copriva la metà di Stromboli, e che per di sopra si alzava in un candido rilevato simile a quelli, che talvolta osserviamo nelle nuvole temporalesche.
Aggiugnerò che talora quantunque non alitasse fiato di vento, non lasciavano per questo le grandinate d'essere poderose, e i fumi foltissimi. Per le quali cose tutte non mi sentirei troppo propenso ad abbracciare onninamente que' detti degli Strombolesi intorno al loro Vulcano, che si spacciano in aria di aforismi. Tanto poi più che i marinai dell'altre Isole Eolie pensano diversamente. Quando era a Felicuda, di dove con molta chiarezza si vedevan di notte le avvampanti eruttazioni di Stromboli, le quali allora malgrado la tranquillità dell'aria erano fortissime, e quasi continue, e che ognuna veniva seguita dalla sua detonazione, che di colà si udiva assai bene, rivolto essendomi ad uno de' marinai di quell'Isola, e chiestolo cosa sentisse intorno alle predizioni che si fanno di quel Vulcano, egli mi diede questa breve sentenziosa risposta: Stromboli non fa marinaro. Tuttavolta a decidere con sicurezza, se vi sieno relazioni dirette, e immediate tra le vicende dell'atmosfera, e quelle di Stromboli, e quali esse sieno coteste relazioni, vi abbisognerebbe una mano di osservazioni per più anni da qualche imparziale e dotto Fisico fatte sul luogo, le quali assolutamente ci mancano.
Ora si vuol dire qualche cosa degli accidenti del Vulcano occorsi l'entrante notte, che precedeva il giorno 2. di Ottobre. L'albergo mio era un tugurio al nord dell'Isola, lontano mezzo miglio al mare, e due al Vulcano, ma situato in guisa che l'ingombro della Montagna mi concedeva appena il vedere la punta dei getti infuocati. Furono più le ore notturne che in osservando vegliai, che l'altre accordate al riposo, continuando tuttora la violenza del libeccio; e quì in compendio narrerò le cose maggiori ch'io notai. Il cielo, che era sereno, e dalla luna non illuminato, si mostrò quasi sempre adorno come di una vaghissima aurora boreale su la porzione del monte che corrispondeva al Vulcano; la quale di tempo in tempo si facea più rubiconda e brillante. E allora le gettate ardenti pietre spuntavano più in alto dalla cima del Monte. Le grandinate adunque erano allora più vigorose, e più sonori gli scoppj che si udivan dappoi. I più forti somigliavan quelli di una grossa mina che bene non giochi, per avere in parte sfiatato. Comunque però fossero, ogni scoppio lievissimamente scuoteva sempre il mio abituro e il grado dello scuotimento era proporzionato a quello del romore. Non credetti però che le scosse fossero l'effetto della terra allora tremante, ma sibbene dell'aria rotta improvvisamente da que' turbini di fuoco, ed urtante la mia casetta; nella guisa che allo scoppiar d'un cannone tremano le vicine finestre, e talvolta le case. Lo argomento dalle grandinate stesse, le quali di alcun tempicello precedevano sempre le scosse; quando per la vicinità della casa al Vulcano state con loro sarebbero contemporanee, se seguito fosse vero tremuoto.
Prima che rompesse l'alba la luce infuocata e soprastante al Vulcano per tre volte distinte di tanto si accrebbe, che illuminò tutta l'Isola, e una porzione di mare; ogni fiata però per brevissimo tempo, e allora le eruzioni delle accesse pietre dirimpetto all'altre furono massime.
La mattina del giorno 2. del mese suddetto infuriava più che mai il libeccio, e il mare. Il fumo di Stromboli formava su la sua cima come un cappello, che più basso ancora scendeva che il dì precedente. I fenomeni però erano i medesimi, ma le convulsioni del Vulcano facevansi più corrucciose. Frequentissimi, sempre però cupi si sentivano i suoi strepiti, e l'eruttata cenere giungeva è cadere fin su lu poche abitazioni degli Strombolesi, e quella mattina mi avvidi, che spruzzata ne era ed imbrattata la terra. Con tal nome si appella da' Paesani, ma dagli esami conobbi non essere altramente cenere, ma un tritume sottilissimo di scorie. E' formato di minute granella, senza niuna forma determinata, aride, e ruide al tatto, sotto la pressione del dito convertibili in polvere, non molto aliene dall'indole vetrosa, di un colore tra il bigio, e il rossiccio, semitrasparenti, e sì leggiere, che alcune nell'acqua galleggiano. Nasce la leggerezza da una immensità di vescichette o puliche, che rinserrano, e per cui sotto la lente rozzamente somigliano a quella produzione marina d'origine incerta, detta favaggine.
Mi narravano gl'Isolani, che quelle eruttazioni eran però tenue cosa a lato di più altre in addietro accadute, per cui in poche ore le ceneri formato avevano sulla terra, e su i tetti un suolo di più dita: e le vomitate pietre si erano sparse su tutta l'Isola con grave danneggiamento dei vigneti, e de' boschi all'ardente fornace vicini, a' quali eransi appiccate le fiamme[3]
Innoltrandosi il giorno, scemava vieppiù in me la speranza di visitare allora i fuochi vulcanici, giacchè traversar doveva un amplo tratto di monte, ricoperto dal fumo, il quale già a tanto spazio nell'aria si era allargato, che adombrava tutta l'Isola. Protrassi adunque quella mia gita all'indomane, in evento che l'incendio accordato mi avesse di farla, e intanto cominciai ad occuparmi d'altre cose troppo necessarie da esaminarsi, innanzi ch'io partissi da Stromboli. Ciò erano le produzioni principali di questo luogo. Allorchè vi posi il piede, vidi tutto il litorale all'est, e al nord-est composto di nera rena vulcanica. Questa rena è un aggregamento di frammenti di sorli, siccome notato aveva il Sig. Dolomieu; ma sotto la lente oltre ai sorli che sono affatto opachi, e che attratti vengono dal coltello magnetico, vi si veggono mescolati dei corpicciuoli trasparenti e vetrosi, tinti d'un verde giallognolo, e refrattarj al detto coltello. Questi mi tennero dubbioso se fossero eglino pure frammenti di sorli, ma di specie diversa, oppure crisoliti vulcanici, non avendo potuto fare più accertati saggi, per l'estrema loro picciolezza. Quest'arena internasi nel mare a più d'un miglio dal Lido, siccome lo mostrava il piombino, mentre nell'estrarlo dall'acqua, vi rimaneva attaccata, avendolo io prima unto di sevo. Ed è probabile che s'innoltri più in là.
Il mare s'insinua facilmente dentro a questa arena, poichè a qualche profondità scavata nella spiaggia, subito ne scaturisce l'acqua marina, ma alquanto raddolcita, per avere lasciato attraverso dell'arena una parte de' suoi sali, siccome avviene all'istess'acqua del mare, quando a goccia a goccia ne esce dal fondo di un lungo cannello, riempiuto di sabbia, per la quale si è feltrata. E i pescatori Strombolesi trovandosi sul lido, nè avendo in pronto acqua dolce, con che dissettarsi, vi scavano pozze, e si valgon di questa.
Cotale arena, siccome già dissi, occupa la parte dell'Isola, che guarda l'est, e il nord-est, stendendosi dall'un canto fino al mare, anzi come abbiam mostrato, internandosi in esso, e dall'altro canto innalzandosi fin su le cime del Monte; e si debbe l'origine sua parte alle immediate espulsioni del Vulcano, parte ai molti brani di lave scoriacee da esso eruttate, le quali, siccome dimostrerem poi, essendo friabilissime, e insieme abbondantissime di sorli, si sfasciano facilmente, e sfarinansi in cotal materia arenosa. Di fatti nulla evvi di più ovvio, che il trovare di mezzo ad essa frammenti più o meno grandi di cotesta lava scoriacea. Il grosso poi dell'arena è propriamente in vicinanza del Vulcano, dove cioè la medesima, e le lave scoriacee piovono più frequenti; ma la tenuità sua divenendo facilmente movevole, è da' venti trasportata nelle gole, e ne' siti più bassi fino al lido del mare.
Dessa però non è, a così dire, che la corteccia di que' tratti di Stromboli che ricopre, poichè sotto lei giace l'ossattura dell'Isola, voglio dire le solide lave; il che si fa manifesto in certe ripide pendenze di questa rena spogliate, o per l'impeto dell'acque piovane, o per quello de' venti.
Ma avendo io in quel giorno girata attorno buona parte della base dell'Isola, che è di nove miglia all'in circa, vi scopersi la medesima solida costruttura, eccettuatone un breve tratto di tufo al nord, che fino al mare discende.
Nel farne il giro, studiai diligentemente la direzione, e l'andamento delle lave, e toccai con mano che tutte fluito avevano dalla più erta cima della Montagna sotto diversi angoli d'inclinazione; come pure che secondo le varie colature si erano l'una all'altra addossate, formando così molte addoppiature di grosse croste o lame, a similitudine in certa guisa degli strati o scorze, onde una cipolla è formata. In più siti, dove le lave mettono in mare, si scorgono queste addoppiate croste, alcune delle quali per l'urto de' ruinosi fiotti sono o scommesse, o d'insieme staccate. Cotesti fatti mi fecero sospettar forte, che il cratere di Stromboli, ossia la principal sua fucina fosse ab antico su la punta del Monte, dalla quale sboccato hanno le lave, che massimamente sono concorse al producimento dell'Isola.
Su i fianchi dell'Etna, e del Vesuvio pullulano monti d'inferior ordine, generati anch'essi dal fuoco. Stromboli per tutto attorno è un monte unico, e soltanto il suo vertice è partito in due. Dal che apparisce non essere accaduti a' suoi lati de' getti laterali, quelli voglio dire che fanno nascere monticelli conici, o collinette.
Ma il cratere di sopra sospettato, e la cui realtà verrà più sotto provata, ha da gran tempo ceduto il luogo a quello che ci arde presentemente. Fra le diverse dimande da me fatte agli Strombolesi, evvi stata quella del sito preciso, in cui per l'addietro ardeva la voragine che manda fuoco, e vibra pietre arroventate; e tutti concordemente mi hanno accertato di averla per lo passato sempre veduta dove esiste oggidì, che è quanto dire verso la metà dell'altezza del Monte. Io alloggiava in casa d'un prete, che era d'età oltre a matura, il quale non solo mi confermava lo stesso, ma allegava l'autorità del padre, che morto era ottuagenario, il qual pure gli raccontava di avere udito da' più vecchi, che all'età loro la situazione dell'avvampante fornace non era punto diversa. A un miglio circa dalla bocca del Vulcano abita un boscajuolo, che dalla propria casetta vede ogni getto infuocato, e quantunque ne tremi tutta, e sia talvolta visitata dai pezzi delle lave, e appreso venga il fuoco ad una sua picciola vigna, pure per esservi nato, e per una lunga contratta abitudine, seguita a dimorarvi. Chiesto da me del sito della eruttante caverna ne' tempi andati, affermava lo stesso, citandone in confermazioue i suoi antenati, cui dato aveva ricovero la medesima casa. E quanto alle grandinate, d'unanime consentimento mi attestano di averle sempre vedute più o meno, quali le osserviamo al presente.
Per le cosiffatte testimonianze possiamo adunque fondatamente supporre che più là d'un secolo il Vulcano di Stromboli ardeva, dove arde adesso, senza essere in lui avvenuti riflessibili mutamenti.
Questo luogo mi ammonisce di ragionare delle osservazioni fatte dal Caval. Hamilton a Stromboli, secondo che ho promesso nella Introduzione alle Eolie.
“Nel ritorno da Messina a Napoli” (troppo è necessario riferire le sue stesse parole) “fummo presi nel mezzo dell'Isole di Lipari da una bonaccia di mare, che durò tre giorni. Quindi ebbi l'opportunità di evidentemente conoscere che tutte sono state formate da esplosioni. Quella che Vulcano si appella, trovasi nello stato medesimo, in cui è la Solfatara. Stromboli è un Vulcano, che conserva l'intiero suo vigore, e conseguentemente la forma più piramidale del rimanente di quell'Isole. Vedemmo con frequenza più pietre infuocate dal suo cratere lanciate, e alcune lave che uscendo da' fianchi della Montagna fluivano in mare[4]”.
Questa descrizione viene accompagnata da una Tavola, che è la XXXVII. ne' suoi Campi Flegrei esprimente la Montagna di Stromboli, nella cui più alta cima è effigiato il suo cratere, che lancia fiamme, e sassi infuocati, e a' suoi fianchi si miran rappresentate le lave, che liquefatte scendono fino al mare.
Che che scrive su i Vulcani questo rispettabil Ministro, merita la più attenta considerazione. Troppe prove, e troppo luminose ce ne fornisce il citato suo Libro. L'imparziabilità però, che esser dee la divisa della Filosofia, mi strigne a dire che quanto egli asserisce intorno a questa Montagna, non si accorda punto col fatto. Dall'epoca delle sue osservazioni a quella delle mie, vi sone passati soli venti anni. Se dunque allora il cratere stato fosse alla sommità di Stromboli, e se da esso lanciate avesse le sue grandinate, come non dovevano ricordarsene quegli Isolani, quando colà fui? I quali udito da me, che venti anni addietro era stata osservata la vomitante voragine non già alla metà del Monte, ma nella sua sommità, dichiararono affatto insussistente questa pretesa osservazione.
Altrettanto affermarono delle lave uscite da' fianchi del Monte, e discese al mare, allorchè per sentirne le risposte, raccontava loro essere ciò stato medesimamente a quel tempo osservato. Nè io al certo so comprendere, come queste correnti di lave non mi fossero cadute sott'occhi, esaminando diligentemente quest'Isola, quando per l'opposito non ne scopersi vestigio.
Io però sarei d'avviso, che Hamilton avesse così equivocato, dal non essere disceso a Stromboli, ma dall'averlo guardato in distanza sul mare, per cui qualche illusione ottica poteva facilmente indurlo in errore. Di fatti se ito fosse sul luogo, è troppo chiaro, che espresso lo avrebbe. D'altronde che quel suo esame lo facesse a qualche distanza dall'Isola, si raccoglie da quelle parole: “Stromboli è un Vulcano, che conserva la forma più piramidale del rimanente di quell'Isole”. Cotal forma piramidale, o conica, per parlare più giusto, apparisce effettivamente, mirando l'Isola da lungi, non già da vicino, scoprendosi allora bicipite, presso a poco come Monte Rosso ai fianchi dell'Etna.
Questa medesima lontananza lo ha pur fatto essere inesatto intorno all'Isola di Vulcano. Se presenzialmente visitata l'avesse, non sarebbe mai stata da lui paragonata alla Solfatara. Vedremo nel Capitolo XIV. quanto lo stato dell'uno differisca da quello dell'altro Vulcano.
Quel vedere puntar dal mare in figura più o meno conica le Isole Eolie, nel cui mezzo quel Viaggiator si trovava, quel mirarne alcune fumicare, ed altre vomitar fuoco, nel persuasero, credo io, che tutte sono state formate da esplosioni; non apportando egli di cotal persuasione verun fatto locale.
Instituite nel giorno 2. Ottobre le summentovate osservazioni alle falde di Stromboli, e al principio de' fianchi suoi, e l'entrante notte mostratimi dal Vulcano fenomeni analoghi a quelli della notte precedente, dirò che il giorno 3. arrise alle mie voglie di visitare da presso l'ardente suo cratere. Fumicava allora pochissimo, radi ne erano, e quasi insensibili gli strepiti, oltre l'essere senza nubi il cielo, e fatto bastantemente tranquillo il mare. Vi si può accostare per doppia via. O col mezzo d'una barca, osservando sul mare i suoi getti; oppur dentro terra, superando il giogo della Montagna, ed avvicinandosi, come più si può, agli orli del cratere. Piacquemi di guardarlo tostamente su l'acqua, col favore della sopravvenuta bonaccia, sapendosi quanto di frequente quel mare si sconvolga, e levi in tempeste. Dopo adunque l'avere costeggiato al nord per miglia tre e mezzo, si arrivò in faccia al luogo dove le vomitate avvampanti materie cadono in mare. E' questa una pendice che di poco si scosta dal perpendicolo, larga mezzo miglio nel fondo, lunga un buon miglio, e che per di sopra va a morire in un punto, rappresentando un triangolo isoscele, la cui base è bagnata dal mare. L'apice del triangolo mette negli orli del cratere. Innanzi di ritrovarmi presso la pendice, vedeva lungo il suo piano una moltitudine di polverj, senza penetrarne l'origine. Ma avvicinatomici di più, svelato mi venne il picciolo arcano. Questi erano pezzi di lava di varia grandezza, che giù rotolavano, e nel discendere levavano in alto l'arena polverosa, onde è piena cotesta pendice. Ma accortomi appena di questo, ecco che scoppia il Vulcano. Un nembo di brani di lave tinti d'un rosso scuro avvolti nel fumo, spunta repente dalla cima della pendice, ed è in alto vibrato; e una parte di queste lave caduta su la pendice precipita rovinosamente all'ingiù; le picciole precedute dalle grandi, le quali in pochi, ma lunghissimi salti piomban nel mare; e nel toccar l'onde, mettono quell'acuto stridore, che in picciolo fa sentire un ferro rovente tuffato in acqua da un fabbro ferrajo. Susseguono le lave minori, ma per la lor leggerezza, e per l'impaccio dell'arena, rotolano lentamente lunghesso la pendice, che allora rimane oscurata da picciola nube di polvere: ed assaissime urtando fra se, rendono a un di presso lo strepito della grossa gragnuola cascante su i tetti. Pochi stanti appresso segue un'altra esplosione, ma picciola, e senza sensibil rumore, e le scarse lave eruttate poco si sollevano, e ricadono dentro al cratere, o non discendono almeno per la pendice. Due minuti dopo si ha una terza eruzione, ma più strepitosa della prima, e con grandine di lava più copiosa. Le eruzioni ch'io mirai dappoi, e che furono innumerabili nel giro di tre ore, ch'io quivi mi arrestai, mi diedero a vedere le medesime cose.
Queste osservazioni mi fecero dubitare di una opinione, nella quale moltissimo inchinava prima del mio arrivo a quest'Isola. Parlo delle periodiche intermittenze, che i Viaggiatori suppongono nelle eruzioni di Stromboli, e ch'io pur dissi di aver marcate di notte veleggiando da Napoli in Sicilia. Quando dal fondo di quella pendice aveva dunque sopra occhio il Vulcano, e le sue grandinate, non dirò già che queste formassero una continuata batteria, ma i riposi che frapponevano, erano sì brevi, che di rado oltrepassavano i tre minuti, quando per detto de' Viaggiatori sono tai riposi considerabilmente più lunghi. Pur nondimanco volli tenermi ancora in sospeso, aspettando di averne più accertata la decisione, come più da presso contemplato avessi sul Monte il Vulcano. Intanto la seguente notte piacquemi ritornare nel medesimo luogo, ben persuaso di vedere, ed ammirare altre novità. Lo spettacolo era di fatti quanto dilettevole e sorprendente, altrettanto nobile, e maestoso. Nelle maggiori eruttazioni rompeva dal Vulcano, e rapidamente saliva a grande altezza un migliajo e più di pietre arroventate, formanti per l'aria raggi divergenti, e quelle che piovevano su la pendice, e ruzzolavano al basso, producevano una grandine di scorrente fuoco, che col chiarore vagamente illustrava, e abbelliva quel ripido piano, e attorno spandevasi a notabile spazio. Ma independentemente da esse notai una viva luce nell'aria sovrastante al Vulcano, la quale non veniva meno ne' momenti che questo taceva. Non era propriamente fiamma, ma verace lume riverberato dall'atmosfera ingombra di estranie particelle, e sopra tutto dall'ascendente fumo. Oltre al variare nella intensità, si mostrava irrequieto; ascendeva, discendeva, ampliavasi ai lati, ed accorciavasi: sempre però era fisso ad un luogo, cioè sopra la bocca del Vulcano: e dava a divedere, che prodotto era dall'incendio interiore. La detonazione nelle grandinate massime emulava l'oscuro mugghio d'un tuono; nelle mezzane il rumore di una mina, e nelle picciole era appena sensibile. Ogni detonazione di qualche secondo era sempre posteriore alla esplosione. Altrettanto avvenuto era di giorno. Per due ore notturne mi trattenni in questo luogo sul mare, e le eruzioni furono sì di rado da brevi riposi interrotte, che dir si potevano quasi continue. In quelle due visite pioveva sul mare copia ben grande di arena, e di scorie sottili, che cadendo sul mio cappello, che era di tela incerata, facevan sentire quel picciol romorìo, che nel verno produce la cadente pioggia in ghiaccio rappresa.
I cinque marinai, che con la barca condotto mi avevano a questo luogo, ed alcuni altri Strombolesi che eran meco, e che spesso per loro faccende usano in quel tratto di mare, mi dicevano che il Vulcano potea dirsi allora pacifico, asseverando che nelle maggiori sue collere assaissimi sassi infuocati vengon cacciati immediatamente sul mare a un miglio dal lido; e che conseguentemente in que' casi era impossibile l'arrestarsi con la barca sì davvicino alla pendice, siccome allora facemmo. Di loro affermazione erano anche una testimonianza i pezzi eruttati in quelle due visite, ragguagliati a quelli di diverse antecedenti eruzioni. I primi (che eran lave scoriacee, tiranti al globoso, diverse delle quali si eran fermate nel fondo della pendice, per gli obici d'altre lave ivi incontrati) avevano tutto al più tre piedi di diametro. Ma più pezzi vomitati altre volte, similissimi nelle qualità ai recenti, e che formavano grandi ammassamenti a quella spiaggia, giungevano, quale a quattro piedi di diametro, quale a cinque, e certi erano anche di mole più estesa.
Universale sentimento de' Viaggiatori si è, che Stromboli da lungo tempo, senza recar molestie, ne' danni a quegli Isolani, disfoghi l'ire sue sopra del mare. Quantunque le eruzioni cadano egualmente per ogni parte attorno al Vulcano, certo è però che sul mare precipitano soltanto da questo luogo. E però in tal senso è verace questa opinione. Ma un'altra opinione egualmente lepida, che paradossa si adotta dagli Strombolesi, anzi da pressocchè tutti gli abitanti dell'Eolie, e questa risguarda lo spiegare, come quella parte di mare che è contigua alla pendice, mai non si riempia, malgrado l'immenso numero di pietre da immemorabile tempo del continuo ivi cadute. Che anzi in luogo d'esservisi formata, come sembrava naturalissimo, una penisoletta o lingua di eruttate pietre, quel tratto d'acque giudicasi senza fondo. A rendere pertanto ragione di questo apparente paradosso, con la maggiore persuasione del mondo avvisano que' dabben uomini, che le pietre del Vulcano, cadenti nell'acque, vengano per segreti canali dal medesimo attratte; talmente che siavi in esse una perenne circolazione dal Vulcano al mare, e dal mare al Vulcano.
Senza oppormi per niente al favorito lor sentimento, volli scandagliare quel luogo marittimo, che trovai profondo 124. piedi. Quantunque però cosiffatta profondità nel Mediterraneo molta non sia, pure non lascia d'essere ivi sorprendente, sembrando piuttosto, secondo che ho accennato, che il successivo e continuo adunamento delle pietre doveva in fine generare un monticello, che emergesse dall'onda marina. Un tal punto giudicato avendolo meritevolissimo di considerazione, deliberai di studiarlo sul luogo, e mi lusingo di averne trovata la dilucidazione. Le pietre per l'addietro versate da Stromboli in mare, e quelle che versa tuttora, sono della medesima fatta, cioè lave scoriacee, siccome abbiam detto. Queste, per essere cavernose, e nell'interna struttura poco coerenti, con facilità grande si sbriciolano, ed in arena convertonsi, siccome si è veduto all'est, e al nord-est dell'Isola: e tale scioglimento si ottiene per la semplice azione delle meteore, e dal rotolarsi di dette lave, scendendo in basso. Un tritamento consimile succede nel luogo, in cui le lave precipitano in mare. La pendice più volte mentovata è piena di esso fino alla spiaggia. Una porzione adunque delle scorie è già polverizzata innanzi di toccar l'acqua; e l'altre che dentro vi cadono intiere, non debbono indugiar molto a tritarsi, dal frequente scambievole urtarsi pe' fortissimi colpi de' marosi. Quì giova ripeterlo. Il mare dell'Isole di Lipari, e singolarmente quello di Stromboli per poco s'adira, e non s'adira per meno che infuriare. Le due volte che presso la pendice mi fermai, quantunque a detta de' marinai fosse in piena bonaccia, la barca nostra però, malgrado l'essere ancorata, veniva agitata in guisa, che continuamente era mestieri far uso de' remi, per obbligarla a non muover di luogo. D'altra parte l'agitazione quivi s'interna a molta profondità; e ne ho accertatissime pruove. Oltre le reti per pigliar pesce, gli abitanti di Stromboli usan le nasse. Le calano al fondo, entrovi alcuni sassi; e un galleggiante sughero comunicante con esse mediante una cordicella, indica a' pescatori il sito preciso ov'elleno sono. Perchè il mare in burrasca non molesti le nasse, gli è forza che sieno sott'acqua per lo meno 140. piedi. Altramente le infrange contro gli scogli subacquei, e le disperde. Minore essendo adunque la profondità del picciol seno, dove piombano, e si attuffan le scorie, cioè 124. piedi, per gli urti dell'onde tempestose dovranno di necessità sfracellarsi, e ridursi in arena, e questa dall'empito delle correnti verrà altrove recata. Non è adunque da prendersi meraviglia, se le cadute lave scoriacee non riempiano quasi mai quel sito, malgrado l'indeficiente loro afluenza.
Dissi quasi mai: saputo avendo dagli Strombolesi, essere omai 44. anni, da che questo Vulcano vomitò un numero sì strabocchevole di scorie, che fece nascere un secco nel mare, per valermi d'una loro espressione, il quale da Marzo durò a guisa di monticello fino al seguente Luglio, poi dagli urti del mare andò scemando, e da ultimo si perdette. E tal monticello era per l'appunto nato, dove è voce popolare, che non vi sia fondo. Questo fatto non solamente si accorda con la datane teoria, ma la conferma mirabilmente.
Proficua era per me stata la contemplazione del Vulcano guardato dal mare. Mi lusingava però che fosse per isvelarmi altri suoi arcani, faccendogli nuova visita più da vicino sul Monte. Il cammino per andarvi era all'est dell'Isola, ciò essendo impossibile dalla parte del mare, dove aveva rimirato le sue eruzioni, tra per le incessanti cadute delle pietre, e per gl'insuperabili precipizj ai due lati della pendice. Mi avviai adunque colà il giorno 4. Ottobre, con tanto più di fiducia di soddisfar le mie brame, quanto che il Vulcano me ne dava le maggiori speranze, velando appena un'ombra di fumo le più eminenti cime dell'Isola. Per arrivar colassù è d'uopo fare un viaggio di due miglia e mezzo, preso cominciamento dal lido. Il primo miglio non è disagevole, ma il rimanente, quantunque niente pericoloso, riesce tuttavia penosissimo, e per la molta ripidezza sua, e per l'impaccio che trova il piede e la gamba nel restar sepolti ad ogni passo dentro l'arena, e per le sconnesse e movevoli scorie, che rendono asprissima, e sdrucciolosa l'erta più sollevata del Monte. Superata quest'erta, mi trovai su l'una delle due punte, che bipartito rendono Stromboli, comecchè da lungi guardato sembri esser conico. Dessa è al nord-est, e l'altra alquanto più elevata, inchina al sud-ouest. Parvemi che l'altezza sul mare di quest' ultima vetta, si accostasse al miglio. Per andare da una punta all'altra, si cammina per un disteso piano, che merita i più attenti esami. Primamente da cinque spiragli poco fra se distanti sorgono bianchi fumi, che rendono odor grave di solfo, e che rasente il suolo sono pel soverchio calore insoffribili. I cinque spiragli miransi aspersi di cristalletti di solfo, e di muriato di ammoniaco. Quivi il terreno è una mescolanza di arena, e di scorie. E l'arena tanto alla superficie, che interiormente è alquanto bagnata. Il che può provenire per due cagioni, o dall'acque sotterranee vaporizzate dal fuoco vulcanico, non andando mai disgiunta l'acqua dagli ardenti Vulcani, o fors'anche dall'unione dell'acido del solfo all'umido dell'atmosfera.
Quel suolo in vicinanza de' fumi è pur caldissimo, e dovunque col bastone si faccia un foro, di presente ne spunta un novel fumajuolo, non già fugace, ma durevole. Battendo contro terra il piede, odesi un picciol rimbombo, nato non già, secondo ch'io penso, da qualche sottostante voragine o abisso, ma sì bene dalla rarezza grande del suolo, non d'altro composto che di spugnosissime scorie, e di arena: non altrimenti che ho veduto rendere un suono consimile diversi tratti dell'Appenino, percossi fortemente co' piedi, ivi appunto dove rara e sbriciolata era la terra. Avvisai adunque che quel sito caldo e fumante comunicasse col Vulcano per sottili stradicciuole, e meandri, che davan passaggio a quelle strisce di fumosi vapori.
Seguendo il cammino all'ouest, sul piano alle due nominate punte frapposto, scorgesi un altro oggetto che impegna anche di più l'attenzione dell'Osservatore. Le punte non hanno cratere, nè vestigj di esso, ma cotali vestigj sono bastantemente conoscibili ai lati del piano. Quivi adunque esso avvallasi in una fossa, che dall'est all'ouest può avere 300. piedi in lunghezza, sopra 200. in larghezza, e 160. in profondità. Il lei fondo è coperto di arene, e di scorie, non già di antica data, ma di quelle, che getta l'attuale Vulcano. Non così le interne laterali pareti della fossa, sendo costrutte di lave stratose, che hanno marcati contrassegni della più alta antichità. Pendo adunque nel credere che questo sia stato il primo, e il maggiore Vulcano dell'Isola, quello, che con le vomitate sue lave ne abbia formata l'ossatura, il qual cratere siasi poi in gran parte riempiuto e guasto, sì per le terrose deposizioni dell'acque piovane, come per le materie dentro gettatevi dal presente Vulcano, e fors'anche per la qualche caduta delle sue pareti. Confermano, e danno forza maggiore alla mia credenza gli andamenti delle lave, che giù scendono per l'Isola, tutte quante partendo come da centro da questa sommità; i quali andamenti ove esaminava i luoghi più bassi, mi insospettirono già che avesse su quella cima esistito il principale Vulcano. Cotal residuo di cratere giace tra le due punte della Montagna, verisimilmente formate, quando di colassù ne sboccava la lava. Così il Vulcano di Monte Rosso generò due distinte colline. Il fondo di quell'altissimo e antichissimo cratere di Stramboli è in due luoghi fumoso, e i fumi che ne esalano, non differiscono per l'indole dai ricordati di sopra.
Da quelle due cime le grandinate del bruciante Vulcano sono distintissime, non allontanandosene egli che d'un mezzo miglio al nord. Colassù chiaramente si vede, che esso giace alla metà circa dell'altezza della Montagna, sporgendone oscuramente gli orli di mezzo a un burrone. Quì meglio che sul mare mi fu dato misurar con l'occhio l'elevatezza delle grandinate. Posso adunque affermatamente dire, che le massime vengon cacciate all'altezza di mezzo miglio, e più ancora, giacchè assai pietre eruttate andavano al di sopra del più elevato vertice della Montagna. Non giungevano però fino a me, ma cadevano parte su la pendice, che mette in mare, parte nel cratere istesso, e parte attorno di lui. Le grandinate però ch'io chiamo massime erano mezzanissime a fronte di quelle, che i due Strombolesi, che mi servivan di guide, osservato avevano in altri tempi da quella cima; dicendomi che nelle maggiori furie non saremmo stati sicuri a quella distanza, ed altezza, dove noi eravamo: e le numerose scorie presso noi gettate da eruzioni anteriori conciliavano piena fiducia ai lor detti. Meritavano altresì d'essere ascoltati, attestandomi che in quelle epoche le vibrate pietre in altezza oltrepassavano il miglio.
Dall'apice di Stromboli sceso per la china del Monte per un quarto di miglio verso il Vulcano, e rittomi su la punta d'un poggerel rilevato, quivi lo dominava anche viemmeglio, e avendo sott'occhi ogni sua esplosione, io rimasi più che mai convinto della falsità delle tante volte ricantate, e ammirate sue intermittenze. Le esplosioni adunque succedevansi l'una all'altra con tale rapidità, che rade eran quelle che di tre o quattro minuti primi fossero interrotte. Ma elleno diversifican fra loro d'assai: e quindi vedrem nato l'equivoco de' Viaggiatori su le intermittenze di Stromboli. I più alti getti, siccome dianzi diceva, non eran minori d'un miglio dimezzato. I più bassi non giungevano per avventura all'altezza di 50. piedi: e allora i versati pezzi ricadevano dentro al cratere. Fra i massimi, e i minimi v'ha copia di getti senza numero. E alla qualità del getto corrisponde l'intensità del romore. Ove adunque sarem posti a qualche notabil distanza dal Vulcano, le eruzioni mezzane, e picciole, come pure le rispondenti detonazioni, non saranno per noi sensibili, ma le maggiori soltanto, le quali non essendo sì soventi, ci indurranno nella fallace credenza, che quell'ardente Montagna abbia riflessibili riposi, siccome a me avvenne, allorchè sul mare la mirava da lungi. Ma recatici su la faccia del luogo, siccome io feci, la scena cangia di aspetto per la veduta delle grandinate tenui, e mediocri, che dimostrano insussistenti i supposti intramessi riposi. Nè accidentali potrem noi dire coteste nostre osservazioni, conciossiacchè i due miei Condottieri, assuefatti a menar Forestieri a quel sito, come pure altri Strombolesi, che per far legne al bosco, soventemente passan di là, di mutuo consentimento mi attestino che i getti di quel Vulcano sono d'ordinario continuati, e che soltanto in diversi tempi si osservano ora più poderosi, ora meno.
Più da lungi ogni detonazione era sempre di qualche notabile intervallo preceduta dall'esplosione. Ma quì la differenza del tempo tra l'una e l'altra, era poco meno che nulla. Oltre il fischio, che facevan sentire le volanti lave, diverse acquistavano in aria forma globosa, manifesta pruova della loro fluidità. Ma innanzi di venire a terra, erano già indurate, ritenendo la medesima figura quando a salti rotolavan giù per que' balzi. Dal poggiuolo, su cui io mi stava, mi apparivano in parte gli orli interiori del cratere, senza però che mirar potessi più addentro. Ma gli effetti pareva m'indicassero, che il vano della caverna fosse poco profondo; imperocchè accompagnate con l'occhio attento le lanciate lave, che nel cratere immediatamente ricadevano, e nel tempo stesso stando in orecchio, appena che quelle vi entravano dentro, udivasi il romore prodotto dall'urto de' sottostanti corpi che incontravano. Cosiffatto romore emulava quello di più bastoni, che pel piano andassero violentemente a percuotere uno specchio d'acqua, o più veramente altro fluido di maggior densità. Ma di tal fenomeno, e di altri di maggior rimarco, parlerem quinci a poco con più evidenza, ed estensione, quando cioè sveleremo altri segreti del Vulcano, veduto anche più davvicino.
Intanto degni sono d'essere ora mentovati i fumi esalanti dalla Montagna, per avere relazioni troppo dirette col Vulcano. Quantunque in vicinanza del mare mi apparissero tenuissima cosa, guardati però su la cima, e nell'interno del Monte, rappresentavano un denso nuvolato di più miglia, putente bensì di solfo, ma che non mi era molesto, per essere di alcune pertiche alto da terra. Velava del tutto l'occhio del sole, sottovia era nericcio, ma nei lembi più o meno bianco, più o meno chiaro, secondo le varie inclinazioni, e il vario refrangersi, e riverberarsi del lume. A me parve che quell'immenso globo di fumo si sollevasse oltre d'un miglio. Quantunque forte, e continuata ne fosse la vena, pur non crescea nel volume, posciacchè quanto ne usciva di terra, altrettanto veniva a perdersene nei superiori vani dell'aria. Triplicata ne era la sorgente. Primamente ogni volta che il cratere vomitava pietre, un'ondata di bigio fumo improvvisamente si elevava, tanto più copiosa, quanto più abbondante, e più violento ne era il getto. Secondamente all'ouest del cratere, e a breve distanza da lui, rompevano da oscuri spiragli, e su per l'aria rapidamente salivano, quale bianchissima nebbia, ben cencinquanta fumajuoli, che quantunque da principio divisi, permischiavansi però in alto, e un sol corpo fumoso producevano. Per ultimo all'est del cratere sboccava da profonda ed ampla caverna una colonna di oscuro fumo foltissimo, del diametro di 12. piedi all'incirca, che per la tranquillità dell'aria ascendeva dirittamente, movendo in larghe ruote per considerabile spazio di aria, indi insensibilmente diradava, via via che allontanavasi dalle sue prime mosse. Quella caverna, dimorando io colà, non vomitò mai pietre, e per l'addietro non era mai usa di vomitarne, secondo che mi disser le Guide, ma era sempre stata scaturigine larga di fumi. Tre adunque erano i principj generatori della nube fumosa, il primo, e il terzo perenni, e il secondo a riprese, cioè quantunque volte vomitava il cratere: e non ha dubbio che tutti e tre scaturissero dall'infocata voragine, avente per la bocca del cratere lo sfogo maggiore, ed un più picciolo per ciascuno dei due lati.
Pareva ch'io dovessi esser contento delle cose osservate fin quì, pure l'ardente desiderio di apprender più oltre, non lasciava ancora in riposo la mia curiosità. Lo scoglio appuntato sopra cui era, non mi accordava il poter vedere, se non se i lembi interiori del cratere. Ma io agognava, se possibile era, contemplarne anche le parti più basse. Guardando attorno mi abbattei con l'occhio in una grotticella profondata in una rupe, e alle fauci del Vulcano vicinissima, la quale con la volta petrosa vietava l'ingresso alle pietre eruttate, se qualcuna spinto avesse fin là. D'altronde era alta in guisa che rifuggitomi dentro di essa, avrei avuto sott'occhi il cratere. Io mi valsi adunque di quell'opportunissimo ricovero, accorsovi in uno de' brevi intervalli, che vanno esenti da eruzioni. Le speranze mie non potevano esser coronate da più lieto succedimento. Ficcatovi adunque dentro lo sguardo, e spiate le viscere del Vulcano, mi si parò innanzi la verità disvelata, e tutta lei. Ecco pertanto ciò che si offerse agli occhi miei meravigliati.
Le labbra del cratere, che nella forma tondeggiano, e girano attorno nulla più di 340. piedi, sono un disordinato ammassamento di lave, di scorie, di arene. Le interne pareti nel discendere si restringono, conformandosi in un cono troncato, e capovolto. Coteste pareti dall'est al sud inchinano dolcemente, ma in altre parti ripidissima ne è la pendenza. In più luoghi si mirano incrostate di gialle sostanze, che avvisai essere muriato di ammoniaco, oppur solfo. Il cratere fino a una data altezza è riempiuto di una liquida materia infuocata, emulante il bronzo fuso, e che altro non è che la squagliata lava, la quale scorgesi agitata da due sensibilissimi moti; l'uno vorticoso, tumultuario, intestino, l'altro all'insù impellente la liquefatta materia, e questo meritava la più esatta attenzione. Essa dunque viene innalzata, quando più, e quando meno rapidamente dentro al cratere; e giunta alla distaza di 25., o 30. piedi dal superior lembo, fa sentir di presente uno scoppio, non dissomigliante a un brevissimo colpo di tuono, e in quel momento una porzione di lava in mille brani divisa, con indicibil prestezza, è in alto lanciata, con profluvio di fumo, di faville, di arena. Qualche istante prima dello scoppio la superficie della lava si gonfia in capaci bolle, taluna delle quali ha il diametro di alcuni piedi, e queste bolle poco appresso si rompono, e nell'atto della rottura generasi la detonazione, e la grandinata. Seguìta l'esplosione, la lava dentro al cratere si abbassa, ma d'indi a poco, siccome prima, rialzasi, nascono novelli tumori, novelle rotture, e quindi nuove esplosioni. Abbassandosi la lava, poco o nulla strepita, ma quando sollevasi, e sopra tutto comincia a dilatarsi in bolle, fa sentire in grande quel romore, che manda fuori un liqui do che bolle dirottamente dentro di un vaso.
Ne' cinque quarti d'ora, che l'incavato scoglio mi diede ricetto, e franchigia, oltre l'osservazione dei divisati fenomeni, potei accertarmi dei seguenti. Ogni getto, per quantunque picciolo, non solo non va mai scompagnato da esplosione, ma è a lei proporzionato nella intensità. Quindi a quel modo che le pietre vibrate a qualche decina di passi sopra il cratere, non feriscono l'occhio alquanto lontano, neppure la rispettiva detonazione è bastante a ferire l'orecchio. Ne' getti mezzani e piccioli le pietre ricadono nella voragine, e nella collisione contro la fluida lava rendono, siccome è detto, un suono analogo a quello delle percosse di assai bastoni su l'acqua. Ma nelle massime si riversano sempre moltissime pietre fuor della bocca; quantunque poi giacendo questa in sito basso, e circondato da alture, la più parte di esse vi ruzzoli dentro. Solo eccettuar quì dobbiamo il lato della voragine, il quale va ad unirsi alla pendice più sopra descritta; posciacchè ivi mancando le alture, ogni pietra fuori del cratere uscita è stretta a rotolarsi lungo la pendice, e a discendere fino al mare. Allorchè dalla barca io mirava cotesta pendice, a me pareva che per di sopra si restringesse quasi in un punto. Ma guardata dalla grotta, in cui era ricoverato, vedeva che dove comincia, e si unisce al Vulcano, oltrepassa li 60. piedi in largezza.
Il rosso delle maggiori pietre infuocate (che non sono che brani di lave scoriacee) spicca su per l'aria attraverso del lume solare. Diverse urtando insieme, si spezzano, il che accade quando si trovano a certa elevatezza; ma in maggior vicinanza al Vulcano, in vece di rompersi, pel toccamento si conglutinano talvolta in una sola per la qualche liquidità che ritengono. La lava del cratere, o s'alzi, o s'abbassi, poco fumica; ma grandemente, allorchè scoppia, ed è dalle rotture di lei che scappa il fumo, ma questo quasi del tutto svanisce finito lo scoppio. Potrebbe compararsi al fumo che si genera nell'accensione della polvere d'archibuso, il quale in un baleno apparisce, e quasi in un baleno dispare. Quel fumo per altro emmi paruto estraneo alla lava. Almeno i lei pezzi non fumano, o volando per l'aria, o di fresco caduti.
Atteso il vicendevole alzamento, e abbassamento della lava nel cratere secondo ch'ella gonfia e disenfiasi, il vuoto di detto cratere non è costante. Nel primo caso sembra essere venticinque o trenta piedi profondo, e nel secondo quarantacinque, o cinquanta. Quindi il sollevamento più grande della lava pare che sia di piedi venti. L'occhio fissamente esplorando gli orli del cratere, non si accorge punto ch'essa abbia mai traboccato, molto meno prodotta una corrente alle parti esteriori verso il pendio della Montagna. Se la grandine delle pietre maggiori e più pesanti ha brevi tregue, quella delle minori, e leggiere non ne ha pressocchè niuna. Se l'occhio non avvisasse d'onde provengono, si crederebbe che cadesser di cielo, e lo strepito nelle più veementi grandinate analogo a quello del tuono, e l'oscurità del sovrastante nugolone di fumo, presentano l'immagine di un temporale.
Tali erano i sembianti del Vulcano col maggior agio da me contemplati. Quantunque però impossibile sia rappresentare al vivo in figure cotesti sembianti, tuttavia la Tavola III. denotante una porzione di Stromboli potrà dei principali fornirne qualche non disutile idea. AAA rappresenta pertanto la spaziosa colonna di fumo, che all'est della Montagna prorompe da profonda e capace caverna, e muove dirittamente all'insù. BBB i numerosi fumajuoli uscenti dalla parte opposta, al di sopra de' quali vengo effigiato io stesso, socchiuso in una petrosa caverna, e guardante al basso le grandinate lanciate dalla bocca del cratere, spaccato a bella posta per dinanzi, per potere mirarne l'interno, e viemmeglio le stesse grandinate. Una porzione poi di queste mirasi cadere sul principio della pendice comunicante coi lembi del Vulcano, e giù rotolare per essa, e precipitarsi nel sottoposto mare.
Ai soprammemorati fenomeni osservati di giorno gioverà aggiungere alcuni altri veduti di notte, giacchè l'asilo di quella picciola grotta mi diede agio di osservarli pure in tal tempo. Alla superficie non arde mai di alcuna fiamma sensibile la lava del cratere, neppur quando con fragore dirompon le sue bolle; ma brilla di un lume candente, e vivissimo, ed io non saprei meglio compararla che al vetro strutto in una fornace avvampante. Da quel fondo poi si spande all'intorno il lume, e levasi alto, ma quasi sempre irrequieto, or salendo più, ora abbassandosi, secondo che (per quanto ne appare) si attolle, e si deprime la lava. Quel lume su per l'aria ad ogni gettamento di pietre si rende più acceso, accresciutane anche l'intensità dall'afluenza delle scintille, che allora lo accompagnano, nate in parte dal polverizzamento di più pezzi di pietre nell'urtarsi fra loro.
Con siffatte apparenze ardeva la vulcanica fucina nell'ore notturne. Ma un impensato accidente eccitò in me più timor che diletto. Quando al favor delle tenebre, e dell'accennata scavatura di scoglio stavami assorto nella contemplazione di quello non mai da me immaginato, non che visto spettacolo, ecco improvvisamente cessare le eruzioni del Vulcano, la gorgoliante lava più dell'usitato abbassarsi, senza indi riascendere, e il vivissimo rosso di brace, ond'era compresa, scolorare: e intanto i numerosi Fumajuoli, che all'ouest del Vulcano prima taciti movevano in alto, farsi romorosi, e fischianti, e gli spiragli, onde esalavano, brillare d'un color vivo di fuoco. Forse io non saprei comparar meglio gl'insorti strepiti, che a capaci mantici, i quali impetuosamente soffino in una fornace destinata a fonder metalli, siccome ho veduto a Zalatna di Transilvania, e a Schemnitz, e Kremnitz nell'Ungheria, fuor solamente che que' mantici vulcanici oltrepassavano il centinajo, e mettevano un romor che assordava. L'inaspettato cangiamento dentro al cratere, la somma mia vicinanza a que' fumi, il timore che per essi non mi accadesse qualche mala ventura, per abbondare di nocevolissimi vapori sulfurei, costernaronmi in guisa, ch'io era già presto a dar volta, e ad abbandonare quella pericolosa inospita roccia, se le Guide confortato non mi avessero a non dipartirne, assicurandomi per proprio esperimento, che vani erano i miei timori. “L'incendio che bolle là dentro a quella caverna (così prese a dirmi un di loro) porta sempre con se quantità grande di aria. Ora quest'aria, abbandonato presentemente l'incendio, è corsa sotto terra a que' fori, da' quali esce il fumo, e che noi chiamiamo respiri, per avere l'incendio a quella parte uno sfogo. Ma di nulla abbiamo a temere. Vedrete anzi fra poco, che cesseranno i respiri di far romore, e l'incendio tornerà a gettar come prima”.
In tuono di sicurezza così mi diceva quell'Isolano, e tanto avvenne nè più, nè meno. Imperocchè andò a pochissimo, che così i fumi, come il Vulcano, ritornarono allo stato primiero. Mi aggiunser poi le due Guide, che questo però era caso molto rarissimo, e che quando succedeva, non avea mai lunga durata. Per tai discorsi, e per altri che meco tenner dappoi, mi avvidi che que' due Isolani conoscevano meglio di qualunque altro gli arcani di questo singolare Vulcano, e quel cenno di spiegazione parvemi molto sensato. Non crederei potersi mettere in dubbio, che quelle bolle che si creano nella liquida lava, e che indi scoppiano, sieno generate da un fluido elastico, ivi raccolto, e imprigionato; ma egli per la fortissima azione del fuoco dilatando potentemente le molle sue, nè dall'impaccio della tenace liquefatta lava potendo di leggieri strigarsi, urterà violentemente la medesima, e sopra il cratere la lancerà, non senza detonazione. Quindi le grandinate più o meno copiose, più o meno alte, in proporzione del maggiore o minore ammassamento, e vigore di cotal fluido: spogliandosi del quale in ogni detonazione le parti superiori della lava, queste si abbisseranno, siccome poi torneranno ad elevarsi, per l'ingresso di novella copia di lui; ed inesausta supponendo la miniera di cotal fluido imprigionato nella liquida lava, intendiamo agevolmente, come indeficienti ne siano le grandinate. Che se per soverchia tenacità della lava, o per poca liquidità, o per altra ascosa cagione, scoppiare egli non possa, ed aprirsi il varco dentro al cratere, correrà per sotterranei comunicanti canali alla volta degli spiragli, che considerar possiamo a guisa di sfiatatoj, di dove romoreggiando escirà, e continuerà a quella parte l'uscita, finchè il sopraggiunto ostacolo alla lava sia tolto. Quindi essa allora si abbasserà, senza rialzarsi in quell'intervallo: quindi scemerà in lei il rosso infuocato, per non venir più attizzata dall'energia dell'elastico fluido. E per contraria cagione spieghiam non meno l'acceso colore degli spiragli, ove da essi ne fugga con impeto il fluido.
Coteste abbozzate idee mi bulicavan nel capo, quando a notte inoltrata, la fantasia ancor presentissima ai veduti oggetti, io mi restituiva al mio albergo. Le quali idee a mente tranquila sono state in seguito richiamate a rigoroso esame, ricercando sopra ogni altri cosa, quale sia la qualità dei gaz non solo inzeppati dalle liquide lave di Stromboli, ma inseparabili dagli altri ardenti Vulcani, e come eglino concorrano al producimento di loro ejezioni, paruto essendomi nuovo un tal soggetto, e insieme interessantissimo. Quindi ne è nato un corpo di osservazioni e di esperienze connesse, e ragionate, che più acconciamente in altra parte della presente Opera, che in questa avrà luogo, sì perchè risguarda generalmente i Vulcani, sì perchè quì faccendone la esposizione, troppo mi allontanerei dal mio instituto, che è quello di ragionar delle cose in questo Paese vulcanico da me osservate. Dopo adunque di aver parlato della natura, e conformazione di Stromboli, e dei meravigliosi sintomi del suo Vulcano, proseguirò le mie narrazioni, faccendo parola delle diverse materie componenti quest'Isola; il che fornirà l'argomento per l'entrante Capitolo.
- ↑ Delphinus Delphis. Linn.
- ↑ Chi amasse leggere le diverse predizioni degli Antichi intorno ai cangiamenti dell'aria, e del mare, dedotte dai fuochi e dai fumi di Stromboli, può consultare Filippo Cluverio (Sicilia Antiqua).
- ↑ Queste piogge di arena, e di scorie polverizzate sembrano essere inseparabili dalle Vulcaniche eruttazioni: e tanto più sono copiose quanto queste sono più grandi. L'incendio dell'Etna nel 1787. ne ha suggerito un esempio (Cap. VII.); e fu osservato che allora l'arena venne spinta fino a Malta. Quale estesissimo spazio di terreno coprissero le arene piovute medesimamente dall'Etna nella eruzione del 1669. si è già altrove spiegato (ibid.): nè accade eruzione al Vesuvio, che accompagnata non venga da queste piogge.
- ↑ L. c.