Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino/Capitolo XIX
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CAPITOLO XIX.
considerazioni che hanno diretti
rapporti con la vulcanizzazione
dell'isole eolie. ricerche su
l'origine dei basalti.
Ordigni idonei per isvellere i corpi lapidosi dal fondo del mare attorniante le Eolie. Fondo dei canali frapposti a Vulcano, e a Lipari, e alle Saline, tutto vulcanico. Lo stesso del piede dell'Eolie sottostante all'acqua. Ghiaja, e sabbia vulcaniche nel canale, che divide Panaria da Lipari. Rocce del mezzo dei canali tra le Saline, e Felicuda, e tra Felicuda, e Alicuda, analoghe a quelle di coteste Isole, ma probabilmente primordiali. Prove decisive dedotte da queste osservazioni, che i sorli, e i feldspati cristallizzati delle lave non sono stati presi da esse quando correvano, formativisi dentro nel loro raffreddamento. Confermazione di queste pruove. Isole Eolie poste a linea retta dall'est all'ouest. Somigliante direzione in alcune Isole, e Montagne vulcaniche d'altre Regioni. Non improbabile che tutte otto le Eolie si sieno formate contemporaneamente, e fors'anche in breve, quanto almeno ai primi loro rudimenti. Spiegasi come nascano talvolta a linea retta Isole, e Monti igniuomi. Materiali dell'Isole Eolie per la massima parte porfirici. Analisi dell'Autore dimostranti che i rossi porfidi egiziani non hanno per base il petroselce, ma piuttosto la pietra cornea. Naturale curiosità di sapere se l'immensità di vetrificazioni ragunate in un sol gruppo a Vulcano, e a Lipari, esista in altre Contrade vulcaniche. Incertezza di questo per la inopia di esatte mineralogiche descrizioni nei più de' Vulcani. Relazioni per ordinario generali, e maravigliose, ma poco istruttive. Vetro vulcanico in Islanda, ma ben lungi dal formar montagne. Nessuna notizia di vetrificazioni ne' Vulcani dell'Isole di Ferroe, ed in quelli della Norvegia, e della Lapponia. Poco o niun vetro ne' paesi vulcanizzati della Germania, e dell'Ungheria. Lo stesso de' Vulcani spenti della Francia. Quantità non tanto scarsa di vetrificazioni al Vesuvio, ed in più altre parti dell'Agro Napoletano. Quasi nessuna al Monte Etna, come nelle Montagne vulcaniche di Padova. Nessun luogo dentro all'Europa forse più esteso in pomici, come l'Isola Santorine. Ella però non porta alcun vetro. Scarsità grande di vetrificazioni nelle tre altre parti del Globo. Conclusione che nessun sito vulcanizzato dell'Universo abbonda sì in vetri, come Vulcano, e Lipari, ma che nelle pomici Santorine supera queste due Isole. Ricerche intorno alla tanta scarsità di queste vetrificazioni nei Vulcani sì ardenti, che estinti. Sembra essa provenire meno dalla qualità delle pietre affette dal fuoco vulcanico, che dalla inefficacia di questo agente nel vetrificare. Grado di calorico successivamente più energico perchè una roccia dallo stato di lava passi in pomice, e da quello di pomice in vetro schietto. Spiegasi come qualche Vulcano generi pomici, non mai vetri. Formazion delle pomici finora non riuscibile co' nostri fornelli. La nerezza è il color naturale delle pomici, fatte bianche per esteriori cagioni. Ricerche intorno ai basalti. Originati per via umida, intesa la voce basalte come è stata presa dagli Antichi. Originati, secondo le circostanze, per via umida, e secca i sassi colonnari somiglianti per la configurazione prismatica ai basalti degli Antichi. Prove della loro origine per via secca in Vulcano, e in Felicuda. La natura nel Regno fossile cristallizza così bene per via secca, come fa per via umida. Opera altrettanto nella generazion dei basalti. Abuso dell'analogia nel generalizzare su l'origine dei basalti. Presi isolati, le più volte non portano caratteri privavativi per la loro origine. Decisione di questa per le circostanze locali. Ricercasi se le lave basaltiformi sieno divenute tali per la subita condensazione dentro del mare. Prove di fatto che mostrano, primo che assai lave basaltiformi hanno sortita questa simmetrica configurazione nel coagularsi nell'acque del mare: secondo che è nata in altre dal solo rappigliamento all'aria libera: terzo che altre numerosissime lave sono state refrattarie a questa figura sì dentro al mare, che fuori. La proprietà del prismatizzarsi di molte lave pare non dipenda dall'essere elleno piuttosto d'una specie che d'un'altra, nè dalla compattezza, e solidità loro, ma sibbene da estrinseche, ed avventizie circostanze. Si accennano queste circostanze, e spiegasi come dalla presenza o assenza di esse, le lave si faccian prismatiche più volte in grembo dell'aria e più altre rimangano amorfe dentro del mare.
La forma, la grandezza, e la struttura dell'Isole Eolie, le diversificanti materie che le compongono, e le rocce primordiali onde queste derivano, i vivi incendj che divampano in alcune, e i fenomeni, e le vicende che gli accompagnano, il confronto di questi fuochi che ardono all'età nostra con quelli che arso hanno ne' tempi andati, questi sono gli oggetti maggiori, che preso abbiamo a considerare volendo tesser la vulcanica Istoria di cotal Paese. E quantunque ben nove Capitoli impiegati abbiamo in così fatte considerazioni, non crediam tuttavia d'essere redarguiti dai benevoli e discreti Lettori di soverchia prolissità, non solo per aver dovuto ragionare di sette Isole, ma in riguardo ancora allo scopo nostro, che è stato quello di scrivere la Litologia di questa antichissima, e rinomata Contrada. Che anzi ci lusinghiamo di secondare le dotte loro voglie, accrescendo nel presente Capitolo la Trattazion nostra di alquante osservazioni, e riflessioni che hanno relazioni troppo dirette, troppo immediate con le deflagrazioni delle Eolie.
Si sono considerate dalla suprema lor vetta, fino all'immergersi nell'acque del mare. Ma era impossibile l'esaminarle dentro di esse, come si è fatto al di fuora. Pure l'importanza della inquisizione meritava ogni sforzo nostro: e stato sarebbe pur rilevante non che curioso a sapere, quale sia la natura del fondo ne' tratti di mare che attorniano, e dividono l'una dall'altra queste Isole. Dirò adunque quanto nel presente soggetto ho potuto osservare, previa l'indicazione degli ingegni di che mi sono giovato. Ove la profondità è picciola, mi era utile la grande tanaglia, mentovata dal Donati, fornita di robuste morse, e raccomandata ad una o più pertiche, la quale mediante un addattato funicello si stringe a voler nostro, afferrando i corpi giacenti nel fondo del mare, e trasportandoli fuora[1]. Ma qualora l'altezza dell'acque era grande, mi cadeva opportunissima una di quelle reti, di che si valgono pescatori per avviluppare, e svellere dagli scogli, e dalle grotte il corallo, ed altri corpi subacquei, la quale mi riescì di avere, per pescarsi in que' tratti marittimi tale zoofito, come altrove diremo. Facendo uso di questi due ordigni ecco pertanto il risultato di mie osservazioni, appoggiate non già a pezzi vaganti sul fondo, ma aderenti, e formanti un tutto continuato con lui, come scorgevasi dalle fresche rotture nate nel distaccarli. Quanto è del canale che divide Vulcano da Lipari, e Lipari dalle Saline, il fondo è tutto vulcanico con le istesse specie di prodotti, che sporgono alle due spiagge. Così è del piede dell'Isole seppellito nel mare, il qual piede in alcuni siti cade giù perpendicolarmente, ma in più altri fa scarpa con l'orizzonte, allargandosi per tal modo grandemente il giro dell'Isola. E i pezzi di lave che quivi ho potuto staccare, non sogliono diversificare da quelli, che si manifestano all'esteriore, e che ho già spiegati. Non è così presa maggior lontananza tra Isola, e Isola. In tre luoghi diversi ho tentato i cimenti. Il primo è stato tra Lipari, e Panaria, ma non mi riescì mai con la rete a coralli (quivi essendo l'acque molto profonde) di strappare dal letto del mare alcun corpo lapideo, ma solamente dei testacei, e dei crostacei e vivi e morti involti dalla ghiaja, e dalla sabbia, e formanti una specie di crosta più o meno grossa. Per altro sì la sabbia che la ghiaja erano vulcaniche. Il secondo luogo dove sperimentai fu tra le Saline, e Felicuda, e il terzo tra Felicuda, e Alicuda, preso a misura d'occhio il punto di maggiore allontanamento fra la prima Isola, e la seconda, e fra la seconda, e la terza. In questi due siti oltre allo sveller dal fondo alcuni frammenti della ricordata crosta, potei anche avere diversi pezzi lapidei, che per la forza grande che vi volle a sterpargli, e per le vive rotture, facevano incontrastabile pruova d'essere in immediata comunicazione col fondo lapideo solido e petroso di quei due luoghi. Undici in tutto fra' piccioli e grandi furono cotesti pezzi, quattro pescati tra Felicuda, e Alicuda, e sette tra le Saline, e Felicuda. La base di cinque era un petroselce quasi opaco, scintillante all'acciajo, compatto, di granitura un poco squamosa, ma fina, e in due pezzi bianco-livido ne era il colore, e negli altri tre grigio. La base dei sette altri pezzi era una pietra di corno nero-verdiccia, e mezzanamente dura. Ciascheduno per la base, e le cristallizzazioni sorlacee, e feldspatose non differiva da più lave vulcaniche dell'Isole Eolie. Solamente quegli undici pezzi mi posero nel più forte sospetto, che le rocce d'onde erano stati svelti, non fossero state affette dal fuoco. Quì le particole del petroselce erano fra se più strettamente collegate, avevano maggior durezza, e l'occhio più siliceo, che nella medesima pietra in quell'Isole andata soggetta a fusione. Così le lave a base di pietra di corno sogliono avere un non so che di fibroso, e di raro nella tessitura, che non si vedeva nella pietra congenere di que' pezzi. Queste due rocce mi parvero adunque nello stato naturale.
Questi saggi sperimentali io li reputo molto istruttivi per la genesi di coteste Isole. Primamente per essi raccogliesi, che la porzione loro che rimane sepolta dal mare ha sofferta l'azione del fuoco, non altrimenti che l'altra, che resta esposta al guardo dell'Osservatore. Secondamente che Vulcano, Lipari, e le Saline formano un gruppo indiviso di sostanze vulcanizzate, le quali a principio è facile che abbiano avuto un comune incendio centrale, che diviso in tre rami, ed apertosi il varco per tre bocche distinte, dato abbia origine alle tre Isole: il quale incendio con subalterne e successive diramazioni, e con novelle eruttate materie ne abbia poscia accresciuta l'estensione. Sebbene adesso di cotal fuoco non rimane più sensibile indizio nelle viscere delle Saline, e poco se ne osserva in quelle di Lipari, sembrando ristretta tutta la sua efficacia a Vulcano. Terzo che Alicuda, Felicuda, e le Saline non sembrano avere fra se vulcanica comunicazione, nelle parti almeno che formano il letto del mare, che separa le une dall'altre queste Isole, giacchè quelle parti, giudice l'occhio, non danno segno delle impressioni del fuoco. Quarto che adunque queste tre Isole, e fors'anche Stromboli, giacciono in vicinanza delle rocce analoghe, ma primitive. E la perfettissima somiglianza dei sorli, e dei feldspati in queste rocce, tanto affette che non affette dagl'incendj, è una dimostrazione, che coteste cristallizzazioni non sono state prese dalle lave correnti, nè formate si sono nel loro raffreddamento.
Già fino dal primo Capitolo di quest'Opera prodotto aveva analoghi fatti, i quali però ho il piacere di confermarli coi presenti, massimamente letto avendo in appresso, che qualche illustre Naturalista inchina a credere, che i sorli delle lave si sieno formati, quando queste si condensavano, e divenivano fredde; in quanto che allora le molecole omogenee separatesi nella mistura dalle eterogenee, si sono per l'affinità riunite in massette cristallizzate. Questa ingegnosa teoria oltre al restare smentita dalla sopra narrata osservazione, io non la ritrovo ne anche nell'ordine delle operazioni della natura. Imperocchè io non veggo perchè cagione i sorli delle lave non dovessero ricomparire nelle medesime dopo che dentro di esse si sono fusi alla fornace, e che queste in luogo freddo trasportate riacquistano l'induramento primiero. Ma di qualche migliajo di lave da me cimentate a questo fuoco, neppur una ha riprodotto i suoi sorli, non ostante che assaissime di queste lave rimaste sieno per lungo tempo nello stato di fusione, e che appostatamente lasciate le abbia con somma lentezza, ed in quiete consolidarsi, e divenir fredde, sapendosi quanto questa doppia circostanza secondi la formazione delle cristallizzazioni. E se talvolta esistevano i sorli nelle lave rifuse, e indurite, ciò proveniva dall'essere stati refrattarj al fuoco, siccome vedeva mettendovegli isolati.
Gli undici pezzi di rocce primordiali staccati da que' fondi hanno manifestato alla fornace i cangiamenti delle lave congeneri cimentate all'istesso modo, rimasti però refrattarj i feldspati.
Le Isole liparie, eccettuatone Vulcano, che fa un picciol gomito, si stendono quasi a linea retta dall'est all'ouest pel tratto di 50. miglia, o in quel torno, e Stromboli è la prima all'est, e Alicuda l'ultima all'ouest. Non è questa la prima volta che i Vulcani prodotto hanno Isole o Monti piuttosto con questa direzione, che con altra qualunque. Di questa fatta sono le Molucche, figlie di sotterranei accendimenti, l'una in capo dell'altra, e poste in dirittura sotto la Linea. Quando nel 1707. presso Santorine nell'Arcipelago attualmente sorgeva per un sottomarino Vulcano la novella Isola, a qualche distanza da lei ne uscirono dal profondo del mare altre picciolissime in numero di diciasette, formanti in dirittura come una grossa catena di rocche nere ed oscure, le quali a vista d'occhio andavan crescendo in volume, e in altezza, e più da presso le une alle altre accostandosi, giunsero in fine ad unirsi insieme, e a formare un'Isola sola, congiuntasi poscia a quella che in prima spuntata era dall'onde[2]. Altro memorabile esempio di questa direzione di monti vulcanici (non essendo in fine le Isole che monti seppelliti in parte nell'acqua) ne ricorda l'eruzione del Vesuvio seguita nel 1760. con l'apparimento di sette montagnuole, la cui genesi potendo dar lumi per quella dell'Isole Eolie, tornerà a bene l'esporla con qualche dettaglio dietro all'esatta Relazione del Professor Bottis, ocular testimonio.
In quell'epoca dunque prevj replicati scuotimenti di terra, che fino a 15. miglia si fecer sentire attorno al Vesuvio, dagli squarciati suoi fianchi conparvero nel Territorio della Torre del Greco quindici Vulcani, otto de' quali poco appresso venner coperti da un torrente di lava sgorgata da un di loro, rimastine però sette interi, e gettanti incessantemente dalle lor bocche un profluvio d'infiammate sostanze. Le quali ricadute quasi a piombo attorno ai Vulcani generarono nel breve spazio di dieci giorni sette picciole montagne di varia elevatezza a retta linea disposte. In questi getti il romore ora somigliava quello d'un gravissimo tuono, ora lo sparo di più cannoni. Diverse delle rinfuocate pietre, anche delle più grosse, vennero vibrate all'altezza di 960. piedi, e taluna cadde a considerabil distanza dalla bocca, d'onde venne lanciata. Duranti poi queste eruttazioni traballavano tutte le circostanti terre, e il rimbombo i vicini luoghi d'intorno assordava. Dopo il giorno decimo cessate le eruzioni, e raffreddatisi a poco a poco i generati monticelli, fu conceduto l'osservarli da presso, e trovossi che alcuni portavano al vertice un imbuto capovolto, altri una semplice buca, più o meno profonda[3].
Anteriore essendo alla memoria degli uomini il nascimento delle Eolie, ignoriamo se questo accaduto sia ad un tempo, o in epoche differenti. La narrazione però dei ricordati sette monti vesuviani dimostra essere possibilissimo il caso della contemporaneità delle medesime. Prova egualmente come in uno spazio non molto lungo di tempo si possano esser formate tutte otto, quanto almeno ai primi loro rudimenti, mostrato essendosi ch'elleno hanno avuto successivi accrescimenti. Le materie poi infiammabili, e generatrici delle Molucche nell'Asia, di quella diritta catena d'isolotti a Santorine, dei monti vesuviani sopra spiegati, e delle Eolie, si vede apertamente che formavan sotterra una zona diritta, incomparabilmente più lunga che larga. Cotal fenomeno si potrebbe spiegare, ricorrendo ai fendimenti all'orizzonte perpendicolari, esistenti in più luoghi dentro alla terra, così nelle sostanze tenere, come nelle più solide, e più dure, dentro a' quali fendimenti se in abbondanza raccolte si trovino delle sostanze idonee a produrre i Vulcani, e queste vengano ad infiammarsi, ma in cumuli separati, ne nasceranno que' monti ignivomi in dirittura situati, più o meno ampli, secondo la quantità delle eruttate materie.
Per le particolareggiate descrizioni dell'Isole di Lipari si è mostrato, che le sostanze combustibili che le hanno prodotte sono state talvolta dentro al granito, come a Panaria, e a Basiluzzo, ma per lo più dentro a rocce a base di petroselce, di pietra cornea, e di feldspato. E per le osservazioni fatte a Stromboli si deduce che anche adesso tali ardenti sostanze hanno il loro focolare nella roccia cornea, non ostante che per la grandezza dell'Isola mercè loro generatasi, debbano esser sepolte ad una immensa profondità. E volendo semplificare i fatti sul materiale di tutte queste Isole, ne risulta che per la massima parte è porfirico: nè lasciano d'esser tali alcuni di que' tratti sottomarini apparentemente non tocchi dal fuoco, e ad esse frapposti, siccome più sopra si è dichiarato[4].
Confrontando io col fuoco della fornace le rocce porfiriche vulcanizzate con quelle che sono naturali, ho parlato de' rossi porfidi egiziani, la cui base ho creduto essere pietra cornea piuttosto che petroselce, appogiato all'analisi di Bayen, riferita dal Delametherie, in un porfido d'Egitto dell'istesso colore, e simile ai cimentati da me alla fornace (Capitolo XI.). Ma non avendo io allora potuto, per mancanza di tempo, analizzarli, mi riserbai di farlo in seguito, e di ragionarne in altra parte di questo libro, ove cadesse il destro di far parole di nuovo di somigliante roccia vulcanica. Trascriverò adunque quì questa analisi, confermando essa che la base di tali porfidi non è un petroselce, per trovarsi in loro la magnesia, di cui va priva cotesta pietra; e per questa ragione istessa, e per gli altri loro principj costitutivi dee la lor base piuttosto dirsi pietra cornea, o che almeno ne partecipa la natura. E questa analitica osservazione offresi ora opportunissima, dimostrando viemmaggiormente, che a ragione ho chiamato porfiriche le lave a base di pietra cornea con feldspati, sì numerose in coteste Isole.
Due sono i porfidi rossi egiziani analizzati; il primo è descritto a pag. 108. Tomo II.; il secondo ne diversifica per il rosso men vivo che ha, e per la maggiore affluenza de' feldspati. E' chiaro che per l'esattezza dell'esperienza il fondo da esaminarsi di queste due rocce doveva esser liberato dai sorli, e dai feldspati che rinchiudeva.
Primo porfido.
Secondo porfido.
Oltre alle lave porfiriche, di che abbondano le Eolie, veduto abbiamo esistervi più tufi, e Stromboli oltre il suo Vulcano distinguersi dall'altre Isole compagne per il bellissimo ferro specolare che ha; Lipari pei crisoliti, e per le zeoliti, ma sopra ogni altra cosa per la sterminata quantità delle pomici, e dei vetri che chiude nel seno. Io non posso ritornar col pensiere a questo strabocchevole ammassamento di vetrificazioni, senza che in me si rinovelli la meraviglia, fattasi anche maggiore dopo l'avere scoperto col mezzo delle tanaglie, e della rete a coralli, che le vetrificazioni di Lipari sono sottovia al mare continuate con quelle di Vulcano, il quale al nord, e al nord-est è ricchissimo egli pure di pomici, di smalti, di vetri. E però tra le vetrose sostanze di quest'Isola, e quelle di Lipari, che ne occupano, come si è detto, quasi due terzi, ne risulta un'aggregazione di vetro del giro per lo meno di 15. miglia. Non possiam quasi rivolger l'animo a questo stupendo fenomeno, senza che si ecciti in noi la curiosità di sapere, se sia privativo a questo Paese, oppure se appartenga ad altre Contrade vulcanizzate. Ma ad avere su di un tal punto i necessarj rischiaramenti d'uopo sarebbe, che a quel modo che ci è conosciuta la Mineralogia vulcanica del Vivarese, e del Vallese, quella dell'Isole Ponze, del Vesuvio, dell'Etna, delle Eolie, e delle Montagne del vecchio Brisach, per le fatiche dei Faujas, Gioeni, Dolomieu, Dietrich, e di me, ci fosse egualmente conta quella degli altri Vulcani del Globo, e non solamente degli ardenti all'età nostra, ma degli spenti ancora, e che sono di numero infinitamente maggiori. Ma cosiffatta Mineralogia assolutamente ci manca. La massima parte di coloro che o per caso o per curiosità veduto hanno avvampanti Vulcani, non ne rappresentano nelle lor narrazioni che i fenomeni più comuni e più generali, meno opportuni ad istruire lo spirito, che a sorprendere, e a scuotere la fantasia dei Lettori. Scosse, e crolli, e dibattimenti di terra, mare commosso, e fortuneggiante senza tempesta, quì raccoltosi in se stesso, e fatte asciute le circostanti spiagge, altrove uscitone, e per lunga corsa di via distesosi ad allagare ample campagne, mugiti e tuoni sotterranei, fremiti e ronzj su per l'aria, sole oscurato da folta caligine nel pieno meriggio, vortici di fumo, di cenere, e di fiamme prorompenti dalle spalancate bocche vulcaniche, spaventosa grandine di sassi infuocati scagliati verso del cielo, torrenti e fiumi di lave, di solfo, e di bitumi liquefatti, sgorganti a piena sciolta, e inondanti le soggette valli, apportando in ogni parte lo spavento, la desolazione, e la morte, Isole da sottomarine eruttazioni ora prodotte, or per tremuoti diroccate, e inghiottite; questi in iscorcio sono gli usitati avvenimenti de' Vulcani del Globo che leggiamo in assaissime Relazioni. Le quali quantunque tacciar non possiamo d'inutili, ove non sieno dalla imaginazione dei Raccontatori alterate, o ingrandite, soglion però esser mancanti d'una qualità essenziale, che è di andar prive delle litologiche descrizioni dei corpi fuora versati da questi ignivomi Monti. Pur nondimanco essendo i vetri e le pomici due cose eziandio conoscibili dagli imperiti, noi possiamo se non con certezza, almeno con assai verisimiglianza argomentare che ci esistano o no nei Vulcani, ove i Relatori particolarizzandone i getti, fanno espressa menzione di esse, oppur le tacciono. Così nell'Islanda, la quale non è la più parte che un ammassamento di Vulcani, altri spenti, altri vivi, è certo pei racconti de' Viaggiatori trovarsi più vetri, cui impropriamente è stato dato il nome di agata islandica, sol per avere di tal pietra la bellezza, e il lustro. Così le eruzioni d'oggigiorno di quest'Isola seco avvolgono non infrequentemente delle pomici. Ma nessuno ha mai narrato esservi di queste pietre, o dei vetri intiere montagne.
Si vuole che le Isole di Ferroe sieno vulcaniche, ed ivi sono famose le zeoliti miste, come dicono, alle lave; ma niente finora sappiamo di più; e il minuto ragguaglio di ciascuna di queste diciasette Isole datone da Jacobson Debes senza far motto giammai di cosiffatte vetrificazioni, ci autorizza a credere che non vi esistano.
La Norvegia, e la Lapponia hanno i loro Vulcani, che a quando a quando imperversano con ispaventose eruzioni, secondochè riferiscono Pennant, ed altri, senza che però ci erudiscano maggiormente.
Scostandoci da questi Paesi freddissimi, e passando alla Germania, e all'Ungheria, alcuni tratti di queste Regioni veggiamo essere andati soggetti a sotterranei accendimenti, i quali però o niuna, o scarsissime vetrificazioni hanno prodotto. In vano ho cercato l'agata nera d'Islanda, e la vera pomice. Così il citato Barone Dietrich nella estesa e circonstanziata Memoria dei Vulcani presso il vecchio Brisach.
E per la meno rigida temperatura de' climi accostandoci più anche a noi, i Vulcani spenti della Francia in fatto di pomici, e di vetri non ne offrono quasi mai; e allegar non posso più autorevole testimonianza di quella del Faujas, che ha scritto sì bene di essi.
Non così è dell'Italia, Contrada dove il fuoco ha massimamente esteso il suo impero. Sopra tutto l'Agro napoletano non iscarseggia di pomici, di smalti, di vetri, come nel mostrano le Isole Ponze, Ercolano, Pompeja, Miseno, Monte Nuovo, lo Scoglio delle Pietre Arse, Procida, Ischia, e la Valle di Metelona (Capitoli IV. V. VI.). Ed anche all'età nostra il Vesuvio non lascia talvolta di mandar fuori simili corpi. Non così il Monte Etna, il quale è caso molto rarissimo, che co' suoi incendj dia origine a qualche benchè esilissima vetrificazione.
Se sussistesse il pensamento di qualche vivente Scrittore, alcune delle vulcaniche Montagne euganee sarebbon di vetro. Ma non si è indugiato a scoprire l'equivoco, siccome apparirà dal seguente Capitolo, nel quale mi sono proposto a modo di digressione d'indicare diverse produzioni di que' Monti.
Dentro all'Europa il solo luogo, che per l'abbondanza delle pomici uguaglia, o fors'anche supera Lipari, e Vulcano, si è l'Isola Santorine. Meritano su di un tal punto d'essere ascoltati due gravi Autori Thevenot, e Tournefort, che in diverse epoche hanno esaminata quest'Isola, la quale fino adesso ch'io sappia non è stata considerata da' Vulcanisti sotto tale aspetto. Avendovi approdato il primo nel 1655., osservò subito che molti di questi Isolani soggiornano dentro a grotte da loro fatte sotto terra, che è leggerissima, e facile a smuoversi, per esser tutta formata di pomici. In seguito egli racconta un fatto altrettanto adattato al nostro proposito, che valevole ad ammaestrarci come queste leggeri pietre possano per eruzioni vulcaniche sboccare immediatamente dal mare. “Sono, dice egli, 18. anni circa che in una notte di Domenica cominciò a farsi sentire nel Porto di Santorine un romore grandissimo, che penetrò fino a Chio, che ne è lontana più di dugento miglia, e si credette che fosse l'Armata veneta, che combattesse contro quella de' Turchi; il che fece che di buon mattino tutti salissero i luoghi più alti, per esserne spettatori, e mi ricordo che il Reverendo Padre Bernardo Superiore de' Cappuccini di Chio, uomo venerabile, e degnissimo di fede, mi raccontò d'essersi egli pure come gli altri ingannato, credendo come loro di udire molte cannonate. Non videro però nulla; e di fatti questo fu un fuoco che si accese nella terra del fondo del Porto di Santorine, e vi cagionò un effetto tale, che dal mattino fino alla sera uscì dal fondo del mare una quantità di pomici, che salivano in alto con tanto impeto, e con tanto romore, che detto avrebbesi essere tanti colpi di cannone: il che infettò talmente l'aria, che a Santorine morì una quantità di gente, e molti perdettero la vista, che ricuperaron però alcuni giorni dopo. Questa infezione si estese così lontano, come il romore che preceduta l'aveva, poichè non solamente in quest'Isola, ma a Chio, e a Smirne tutto l'argento diventò rosso, fosse egli dentro a forzieri, oppur nelle tasche degli abiti, e i Religiosi dimoranti in que' luoghi mi dissero che tutti i calici erano divenuti rossi. Dopo alcuni giorni dissipossi l'infezione, e l'argento riprese il primiero colore. Queste pomici che di là sotto uscirono copersero talmente il mare dell'Arcipalago, che per qualche tempo allorchè regnavano certi venti, vi erano de' Porti turati in guisa, che uscir non poteva nessuna barca, per quanto si fosse picciola, quando quelli che eran dentro non si aprisser la via attraverso delle pomici a forza di pali: e si veggono anche al presente disperse per tutto il Mediterraneo, quantunque in poca quantità[5]”.
Tournefort appresso l'aver notato con Erodoto, che Santorine era una volta chiamata Κάλλιστη, Isola bellissima, dice che gli antichi suoi Abitatori “presentemente non la riconoscerebbero più, giacchè non è coperta che di pomici, o a meglio dire quest'Isola è una miniera di queste pietre, nella quale possono esser tagliate in grossi quarti, come si tagliano le altre pietre nelle loro Cave[6]”.
Secondo lui, e secondo Thevenot quest'Isola gira per attorno 36. miglia. Dal che apparisce quanto prodigiosamente grande sia in quel luogo marittimo l'ammassamento delle pomici. Merita però riflessione che questi due Autori, ed altri che in seguito scritto hanno di Santorine, non fanno il più picciol motto di vetri: e però convien dire, che i sotterranei fuochi non ne abbiano giammai ivi generato.
Se dall'Europa farem passaggio alle tre altre Parti del Globo, sappiam ritrovarsi in ciascuna buon numero di Vulcani. Reputo superfluo il nominarli partitamente, fatto avendolo Faujas, Buffon, ed altri. Dirò soltanto qualche cosa per conto del soggetto che presentemente mi occupa. Si legge che l'Isola di Ternate nell'Asia lancia molte pomici: così è d'uno de' numerosi Vulcani di Kamtschatka.
Quanto è di quelli dell'Africa, si danno di essi poco più che semplici cenni, a riserva del Pico di Teneriffe alle Canarie, uno de' più alti Vulcani, il quale per conto della sua posizione, elevatezza, forma, e cratere, e pel fumo cocente che ne prorompe, viene diligentemente descritto dal Cavalier Borda. Ma sarebbero stati a desiderarsi più estesi racconti intorno alle materie che lo compongono; dicendo egli solamente che queste sono arena, pietre calcinate nere e rosse, pomice, selci di differenti specie[7].
Egli è indubitato, che le altissime Montagne dell'America, come Chimboraço, Cottopaxi, Sangaï, Pichencha, etc., formano una catena di ardenti Vulcani, la più grande che esista nella natura. Siam debitori di tali contezze al Bouguer, le quali però pungono fortemente i nostri desiderj senza punto soddisfarli. Per ciò che si spetta alle attuali nostre ricerche noi sappiamo unicamente da questo Francese, che alcune Montagne dei contorni di Quito fino ad una assai grande profondità non sono formate che di scorie, di pomici, e di frammenti di pietre bruciate d'ogni grossezza[8]. Quanto ai vetri vulcanici egli non ne fa il più legger motto; è però altronde notissima la pietra di gallinaceo, riconosciuta universalmente per un bellissimo vetro vulcanico americano di color nero; del quale per quanto ne dice Godin, esiste una miniera a molti giorni di cammino da Quito.
Faccendoci ora a riguardare in questi abbozzi di vulcaniche Relazioni la parte che concerne i vetri, e le pomici, troviamo in riguardo dei primi, che numerosissimi Vulcani non ne producono mai, e che quelli che ne producono, come l'Agro napoletano, l'Islanda, e il Perù non si possono quasi in tal punto agguagliare a Lipari, e a Vulcano. E lo stesso vogliam dire di Alicuda, e di Felicuda, i cui vetri quantunque abbondanti in più siti, non sono però mai che schegge, e frantumi. La medesima riflessione avrebbe luogo nelle pomici, se l'immensità di esse nell'Isola Santorine non eguagliasse, anzi non superasse quelle delle nominate due Eolie.
Considerando ora sotto un punto di generale veduta i Vulcani dell'Universo, troviamo che quantunque convertito abbiano in lave una infinità di rocce, per cui nate sono Montagne ed Isole pel numero, e per l'ampiezza considerabilissime, rado è però che le abbiano vetrificate, e che le vetrifichino i Vulcani che tuttavia gettan fuoco. Riflettendo alle immense vetrificazioni di Vulcano, e di Lipari, pressocchè tutte derivate da' feldspati, e da' petroselci, mi era andato per l'animo, se tanta ricchezza in questi due luoghi, e povertà in altri potesse attribuirsi a tali pietre ivi abbondantissime, e altrove forse scarsissime. Ma questo non si accorda col fatto, veduto essendosi che in assaissimi altri siti vulcanici da me descritti, e che descriverò ragionando de' Monti euganei, esistono le une, e le altre, convertitesi in lave, senza che queste lave giammai manifestino traccia di vetro. Dall'altro lato mostrato abbiamo che oltre al feldspato, e al petroselce diverse pomici riconoscon per base la pietra cornea, l'asbesto, ed assaissime il granito, come ha osservato il Commendatore Dolomieu. Io pertanto avviso che cotesta cagione debba rifondersi massimamente nel fuoco vulcanico, che di rado abbia tanto di attività per vetrificare le pietre, e le rocce che investe, accordando io però che per tali vetrificazioni sieno più adattati i petroselci, e i feldspati, che altre pietre. A produrre una lava v'abbisogna d'un dato grado di calorico: ma è mestiere che questo calorico sia più efficace per convertirla in pomice. La lava, parlando almeno delle compatte, suol conservare la granitura, la durezza, e talvolta il peso e il colore della roccia primordiale: ma la maggior parte di queste qualità esteriori per la più forte azione del fuoco svanisce nella pomice. Questo dovrà essere ancora più operativo nel vetro, in cui per la omogeneità, e finezza della pasta riman tolta ogni menoma traccia della primitiva orditura.
Questi graduati passaggi di lava in pomice, e di pomice in vetro sono stati da me più volte osservati, e descritti nel medesimo pezzo vulcanico. Si è però anche notato che non di rado una lava passa immediatamente in vetro perfetto, il che deve essere accaduto per un colpo di fuoco sopravvenuto, superiore a quello per cui sarebbesi convertita in pomice. Con questa teoria intendiam benissimo perchè alcuni Vulcani producan pomici senza mai produr vetri, come si è notato di Santorine. I suoi fuochi hanno adunque avuto il solo potere di generar pomici, non mai quello di generar vetri. E somigliante cosa è accaduta nella prodigiosa eruzione sboccata ivi dal mare, rammemorata da Thevenot. Per l' opposito nel Rotaro in Ischia, al Vesuvio, e in altri tratti de' Campi Flegrei egualmente che a Vulcano, a Lipari, a Felicuda, ed Alicuda i vetri sono misti alle pomici, e alle lave. Il che mostra che il fuoco nella sua attività in questi luoghi ha agito disugualmente. Per altro l'efficacia del fuoco valevole a vetrificare, non richiedesi che sia grandissima, siccome si è già dimostrato al Capitolo XVI.
Del rimanente nella guisa che la produzion delle lave compatte è un segreto che la natura si è fin quì riserbato intiero, giacchè col fuoco nostro non possiamo imitarle, altrettanto a tutta ragione si vuol dir delle pomici. Nelle migliaja di fusioni da me alla fornace conseguite ora nelle lave, ora nelle rocce e pietre primordiali, in quelle eziandio da cui più sovente provengon le pomici, quali sono i petroselci, e i feldspati, non emmi giammai riescito di conseguire un prodotto, che caratterizzata pomice chiamar si potesse. Sono eternamente stati o vetri, o smalti, o scorie. Nè mi ricorda di aver letto, o udito che dagli innumerabili tentativi fatti da' Chimici col fuoco su le terre, sia mai uscita una verace pomice: e quantunque nelle fornaci a calce non sia molto raro l'osservare la conversione in vetro di qualche pietra, elleno però siccome non ingenerano mai lave comparabili alle Vulcaniche, così inette sono a produr pomici. Nè dir possiamo che il fuoco nostro sia troppo forte per far nascere quel legger grado di vetrificazione che caratterizza le pomici; conciossiacchè usato avendo io un fuoco rimesso, questo o non isquaglia punto le sostanze cimentate, o le vetrifica più o meno.
Finirò di parlare delle pomici liparie col dire una parola del loro colore. Eccettuatene poche di oscure, l'altre tutte sono candide quasi come neve. Quindi abbiam detto chiamarsi Campo Bianco la Montagna di Lipari, che forma il gran magazzino di coteste pietre. Ma una volta doveva anzi denominarsi Campo Nero. Certo è almeno che le pomici di fresco eruttate da' Vulcani sono di questo colore. Tal notizia, che da quasi tutti gli Osservatori si ommette, contenti di dire che questo od altro Vulcano getta pomici, viene espressa nell'Istoria di varj Incendj del Vesuvio di Don Gaetano de Bottis, il quale nota che le pomici in varie epoche da questo Vulcano scagliate, son nere. Avvisa inoltre che alcune di esse avendole paragonate a quelle che ricuopron Pompeja, e che sono bianche, le trovò nella struttura similissime. La bianchezza venuta in seguito ad esse, è derivata verisimilmente dalle impressioni dell'aria.
Avanti di por fine alle considerazioni intorno alle Eolie reputo necessario di trattenermi alquanto su di un soggetto che risguarda Vulcano, e Felicuda, e che ha relazioni troppo dirette con una disputazione che tiene divisi i pareri de' moderni Naturalisti. Io parlo delle lave basaltiformi, che esistono dentro al cratere della prima Isola, e su la base della seconda (Capitoli XIII. e XVII.) le quali per la loro configurazione non possono non risvegliare nell'animo dei Lettori le ricerche fatte in questi ultimi tempi su l'origine dei basalti. Chi riferir volesse quel molto che intorno ad essi è stato scritto, si estenderebbe in volumi, ed io sono ben lungi dal voler prendere tanta noja, e dal darla al Lettore. Altronde egli pare che questo agitato argomento decidere si possa oggidì senza lungo giro di parole. Spesso insorgono dispareri, e letterarj litigj per non essersi fissato lo stato della controversia, che è quanto dire per non avere esposta in termini chiari e precisi la cosa di che si tratta. Innanzi di ricercare qual sia l'origine dei basalti, cioè se siano il risultamento dell'acqua, oppure del fuoco, d'uopo era stabilire che intendasi per basalte, o a dir meglio ciò che abbiano inteso gli Antichi, che a certe determinate pietre apposto hanno tal nome. Ma niuno evvi che adesso non sappia, perchè ripetuto da cento Scrittori, sebbene dai più senza le dovute ponderazioni, che il basalte al riferire di Strabone, e di Plinio, denominasi una pietra opaca, e solida, della durezza, e del colore quasi del ferro, d'ordinario figurata in prismi, originaria dell'Etiopia, la qual pietra adoperavasi dagli Egiziani per uso di statue, di sarcofagi, di mortai, e di tali altri utensigli. Ciò statuito restava a cercarsi, se questa pietra fosse d'origine vulcanica o no, col portarsi su' luoghi dov'ella si ritrova, esaminando attentamente il paese, per poter conoscere, se esso abbia sì o no caratterizzati contrassegni di vulcanizzazione. Questo travaglio però non è stato ch'io sappia finora preso da nessuno. Pure il Commendatore Dolomieu sì benemerito della litologia, e della storia de' Vulcani, si è ingegnato nel suo soggiorno in Roma di trovare in qualche modo l'equivalente per lo scioglimento di questa disputa. Fra i molti luminosi monumenti non pure fruttuosi agli Amatori delle Arti imitatrici, che ai Contemplatori della natura, esistendo in quella grandiosa Capitale molte statue, e sarcofagi, e mortai venuti dall'alto Egitto, che hanno tutti quanti i caratteri attribuiti a' basalti, e che ne ritengono tuttora il nome, ha egli voluto studiarli con la maggior diligenza, e dice di essersi accertato che cotali pietre non manifestano alcuna impronta dell'azione de' sotterranei fuochi. Tra gli altri monumenti egiziani osserva egli esisterne diversi di un verde basalte, che cangian colore, e vestonsi d' una bruna tintura simile a quella del bronzo al più picciolo calorico che ricevono, e che preso hanno tal colore tutti quelli che sono andati soggetti ad incendj: il che prova, secondochè egli saggiamente riflette, che i verdi basalti non hanno mai sofferta l'azione del fuoco[9].
Le pietre adunque egiziane, che secondo gli Antichi godono l'appellazione di basalti, sono lavorio fatto dalla natura per via umida. Queste osservazioni si accordano perfettamente con quelle del Bergman nei trappa provegnenti per medesima via, ed aventi co' basalti medesimi caratteri sì esterni, che interni[10].
Il Werner prendendo la parola basalti in un senso più lato, coll'intender per essi tutti que' sassi colonnari, che per la conformazione prismatica somigliano ai basalti d'Egitto, vuole, che questi altresì abbiano la medesima origine, dimostrandolo co' basalti della Collina di Scheibenberg, che sono l'effetto d'una precipitazione per mezzo dell'acqua: e conchiude che tutti i basalti sono formati per via umida[11].
Quanto io commendo la sua bella scoperta, altrettanto però sono lontano dall'abbracciare la sua conclusione, giacchè se più basalti nel senso di questo Autore, e di altri Naturalisti riconoscono la loro origine dall'acqua, molti altri certamente la riconoscon dal fuoco. E lasciando dall'un de' lati quel che ne dicono più Vulcanisti, io mi contenterò di produrre innanzi quanto già scrissi intorno alle lave basaltine di Vulcano, e di Felicuda. E per conto della prima Isola notai al Capitolo XIII. di aver trovato nell'interno del suo cratere un ordine di prismi articolati con lati, ed angoli diseguali, che in parte facevano un tutto solo con un ammassamento di lava, ed in parte ne erano staccati. E la qualità, e la natura de' prismi viene ivi descritta. Così nel Capitolo XVII. ragiono di molte lave litorali di Felicuda, che in prossimità al pelo dell'acqua marina sono prismatiche, nè lascio di darne una dettagliata spiegazione. Egli è dunque evidente, che in questi due siti l'origine di tali basalti non può esser quella che generalmente pensa Werner con altri Tedeschi, ma che è veracemente vulcanica. Si vede adunque che la natura ottiene il medesimo effetto per due strade diverse. E questo non è già l'unico esempio. Nel regno fossile una delle grandi sue operazioni si è la cristallizzazione. Quantunque sia questa frequentissimamente il risultato della via umida, lo è però talvolta eziandio della secca, come tra gli altri casi il veggiamo nel ferro, cui sa cristallizzar la natura dentro la terra tanto col mezzo dell'acqua, quanto con quello del fuoco; e questa ultima via si fa palese nell'elegantissimo ferro specolare di Stromboli (Capitolo XI.). Nè mancano altri casi del medesimo metallo per l'azione del fuoco cristallizzato. E se nel seno de' Vulcani esistessero gli altri metalli, e vi concorressero le necessarie circostanze per la loro cristallizzazione, egli è indubitato, che questa si otterrebbe col fuoco, non altrimenti che si ottiene nelle miniere con l'acqua. Così veggiamo che usando certe cautele le sostanze metalliche prendono una disposizione regolare, e simmetrica dentro a' crogiuoli. Altrettanto vuol dirsi de' basalti, la cui configurazione prismatica quantunque non sia rigorosa cristallizzazione, ne ha però la più seducente apparenza. E l'osservazione ne insegna che la medesima combinazione di terre, secondo le diverse circostanze, ora si modella in basalti prismatici per via umida, ora per via secca. Il sasso trappa nei monti della Svezia è configurato a prismi, quantunque tai monti sieno d'origine acquea, e la pietra cornea sì a quel sasso analoga ha la medesima configurazione a Felicuda, non ostante che sia verissima lava. Quivi medesimo altre lave basaltiformi hanno per base il sorlo in massa, e quelle del cratere di Vulcano il petroselce, quando queste due pietre, secondo le osservazioni del Dolomieu, formano alcuni dei basalti egiziani, che sono un lavoro dell'acque. Questi due agenti però, l'acqua e il fuoco, nel loro agire non sono fra se cotanto disparati, come forse a prima giunta ci diamo a credere. La figura prismatica per via umida nasce nella molle terra basaltina per lo svaporamento dell'acqua, mercè il quale seccandosi le parti, e restrignendosi di volume, si fendono in pezzi poligoni. Simil fenomeno era già stato notato nelle terre margacee intrise d'acqua, ed esposte alla ventilazione dell'aria: ed io assaissime volte l'ho veduto nella belletta de' fiumi, che nella state si fa seccare al sole per farne stoviglie, dividendosi ella dal disseccamento in tavolette poliedre. Somiglianti configurazioni vengon prodotte in diverse lave dal raffreddamento, e restringimento, cui vanno soggette per la privazione del fuoco, che le teneva nello stato di fluidezza.
Secondo adunque ch'io ne giudico ogni disputazione intorno all'origine dei basalti è tolta di mezzo, nè insorte sarebbero contrarietà di opinioni, se in vece di generalizzare le idee, e fabbricare sistemi, si fosse fatto uso imparzialmente delle osservazioni non solamente proprie, ma anche altrui. Alcuni de' Vulcanisti vedendo essere ignea la generazione di diversi basalti, hanno inferito doversi dire nè più nè meno di tutti gli altri. In conseguenza di tale principio si sono tirate delle linee o zone in moltissime parti del Globo indicatrici di spenti Vulcani per la presenza dei basalti situati in quelle zone; e quindi si è formato un quadro d'infinita estenzione rappresentante le rovine cagionate nell'Universo dalle sotterranee accensioni. Altri Fisici per l'opposto appoggiati a qualche basalte generato dall'acqua hanno dedotto senza esitare, questa esserne universalmente l'origine. Pei fatti dianzi allegati apparisce però essere andati errati così i primi, come i secondi. Il genere dei basalti, considerandogli isolati, le più volte non porta con se dei caratteri decidenti esclusivamente della loro origine. Non vi sono che le circostanze locali, che possan decidere a quali dei due principj appartengano, osservando attentamente se i siti dove esistono tali pietre figurate, abbiano sì o no indubitate marche di vulcanizzazione. Che anzi neppur questo è sempre bastante, essendovi numerose colline, e montagne, la cui formazione è dovuta ai due grandi agenti della natura, l'acqua, e il fuoco; e allora bisogna raddoppiare la nostra attenzione, e concentrarla su le sostanze d'origine acquea, e quelle d'origine ignea che vi s'incontrano, onde potere scoprire per le relazioni che queste hanno coi basalti, quale dei due agenti gli abbia prodotti. Con questi industriosi e necessatj mezzi siam sicuri, senza timore di errare, di illustrare, e promuovere le ricerche intorno ai basalti, e definire quali appartengano all'impero dell'acqua, quali a quello del fuoco.
Ma quì parasi avanti una seconda questione, non meno curiosa della prima, e questa risguarda il cercare quale sia la cagione, per cui certe lave, a differenza d'innumerabili altre, si facciano basaltiformi, mentrechè se cotal figura dipendesse dal raffreddamento, tutte le lave cessato che abbiano di fluire dovrebbero conformarsi in tal guisa. Il primo ch'io mi sappia a pensarvi è stato il de Luc, il quale nel Tomo II. de' suoi Viaggi è d'avviso che presa abbiano questa regolare figura nel mare per la subita condensazione, quando ancor liquide vi colavano dentro: concorrendovi però, altre secondarie circostanze, come una maggiore omogeneità, e una tal quale vicendevole attrazione nelle loro parti.
Del medesimo sentimento è il Sig. Dolomieu, non negando egli però che talvolta possano conformarsi in prismi le lave anche porose. Ma poco meno che ipotetico è il pensamento del Fisico di Ginevra, quando quello del Lionese viene appoggiato a dei fatti, che è troppo importante di brevemente accennare. Osserva egli adunque che tutte le correnti delle lave dell'Etna, le cui epoche conservate si sono dalla Storia, costantemente hanno provato due effetti nel loro raffreddamento. Le rappigliatesi all'aria libera si sono divise nel restringimento sofferto per la perdita del calorico, in masse informi: l'altre tutte, che precipitate sono nel mare, preso hanno, subitamente coagulandosi, un regolare restrignimento, col dividersi in colonne prismatiche; e non hanno ricevuto cotal forma, se non se in quelle parti, che si trovavano in contatto con l'acqua del mare. Quel tratto di litorale, che da Catania stendesi fino al Castello di Jaci, gliene ha fornito una pruova luminosa. E la lava famosa del 1669., tuttochè disadatta alla forma prismatica, per essere giunta al mare e poca e spugnosa, pure in alcuna sua parte non lascia di mostrare qualche rozza configurazione prismatica (l. c.).
Fra gli oggetti da me presi in considerazione nel vulcanico mio viaggio alle Due Sicilie, quello delle lave prismatiche non è stato certamente degli ultimi. Faccendo con la barca il giro litorale dell'Isole Eolie, dell'Etna, e d'Ischia, sono sempre stato attento con l'occhio alla conformazione delle petrose correnti, che scendon nel mare. Io il primo ho notato in Felicuda, che assai delle volte cotesta configurazione è prismatica: e che appunto i prismi costantemente sono scolpiti in quella parte delle correnti, che s'immerge nell'acqua, e che di pochi piedi ne sopravanza il livello. Al certo questa mia osservazione consuona mirabilmente con quelle del Sig. Dolomieu, la situazione di questi prismi parlando assai chiaro, che si sono formati nella immersione delle lave nel mare, il quale quando colavano ascendeva fin là dove essi ad apparire cominciano. Ma se mi accordo con lui in questa, non posso accordarmi nel restante di mie osservazioni. Alicuda egualmente che Felicuda, offre una moltitudine di correnti, e di scogli vulcanici, che discendon nel mare. Altrettanto si osserva alle Saline, a Lipari, a Stromboli, a Panaria, a Basiluzzo, a Vulcano. Questi scogli però, e queste correnti, che insiem comprese formano una fascia di 60. e più miglia, non manifestano un menomissimo indizio di prismi.
Da Messina andando per mare a Catania, e da Catania a Messina, per due volte ho potuto agiatamente esaminare quel tratto di spiaggia, che per 23. miglia circa è vulcanico. Un terzo di esso, cominciando da Catania, e progredendo fin sotto il Castello di Jaci, è a prismi più e meno caratterizzati, conforme è stato descritto dal Sig. Dolomieu: ma gli altri due terzi, quantunque egualmente composti di lave, come il primo, e la più parte cadenti a piombo sul mare, non hanno nè punto nè poco cotesta forma, e mettono soltanto qua e là irregolari crepature; e formano pezzi angolosi, siccome è proprio generalmente di tutte le lave, che nel raffreddamento più o meno si fendono.
Nel giro in mare attorno ad Ischia ho sempre, come altrove, avuto gli occhi intenti alla conformazion delle lave: e la circostanza di trovarle prismatiche pareva opportunissima, per l'abbondanza di quelle, che a diverse direzioni, ed angoli giù cadon nel mare. Ma dissi allora, e adesso il confermo, che neppur una mi si affacciò con forma regolare.
A Napoli sono in celebrità le lave prismatiche delle correnti del Vesuvio sotto al Parco di Portici discese sino al mare. Quando osservava quell'ardente Montagna, mi mancò il tempo di visitar queste lave. Non senza mia compiacenza veggo però essere state in seguito osservate da occhi espertissimi in così fatte materie, quali sono quelli del Cavaliere Gioeni; ma i celebrati prismi alla presenza di un sì prode Osservatore sono spariti. Eccone le sue stesse parole, giacchè troppo rileva qui riferirle. “Volli verificare i basalti, che mi vennero indicati, come esistenti alla riva del mare sotto il Real Parco di Portici: ma non vi ho trovato altro che un corso di lava compatta con delle fenditure perpendicolari irregolarissime, dalle quali risultano pilastri quadrangolari, e talvolta trapezoidali, che vengono destinati ad usi d'Archittetura. Simili fenditure si osservano anche ne' tufi, e nelle terre di diversa indole; nè possono imporre a chi è abituato a riconoscere le vere cagioni di esse (l. c.)”.
Per la sincera narrazione di questi fatti io mi lusingo di avere luminosamente mostrato, non sussistere in generale che le lave fluenti prendano la configurazione prismatica per l'improvviso restringimento che soffrono quantunque volte si abbattono a colare dentro del mare.
Forse mi si potrebbe opporre, che questi prismi una volta esistevano nelle lave da me osservate, ma che l'irresistibile gagliardia dei marosi nella lunga tratta degli anni gli ha corrosi, e distrutti.
Ognuno però, che versato sia in queste materie, comprenderà facilmente la poca solidità di questo rilievo. Accordo che l'impeto del mare possa in alcune lave avere al nulla ridotti cotesti prismi: ma che fatto lo abbia in tutte, e per uno spazio sì esteso di paese, questo si è affatto improbabile. Di più è inconcepibile, che Felicuda fra l'Isole Eolie conservi tuttora intatti i suoi prismi, e il rimanente di esse gli abbia affatto perduti, non ostante che sieno tutte egualmente dibattute dagli urti delle procelle. Tacere non voglio un'altra breve riflessione. Gli è certo che più d'una di queste Isole non si è formata ad un colpo, ma per successive uscite di lave, le une addossate all'altre. Ed in certi profondissimi fendimenti cagionati dal mare l'occhio stesso discopre questa successiva formazione, osservandosi fino a cinque o sei strati di lave diverse insieme sovrapposti. Gli strati interiori in epoche più rimote colato avendo nel mare, come in seguito gli esteriori, egli è evidente, che se questi ultimi al tocco del acque divenner prismatici, soggiacer dovevano allo stesso cangiamento anco i primi: i quali come da scudo difesi essendo contro le ingiurie del mare dagli strati esterni, ritenere tuttora dovrebbero la prismatica configurazione; del che però non apparisce vestigio. Rimane dunque a conchiudere, che innumerabili lave possono precipitarsi nell'acque marine, senza che nell'improvviso congelamento che allora subiscono, cangino punto l'aspetto esteriore.
Sebbene la configurazione prismatica nelle lave non è sempre una conseguenza di loro immersione nell'acque marine, ottenendosi questa in molte nel mezzo dell'aria. Un luminoso esempio ne ho prodotto dentro al cratere di Vulcano. Quì certamente non possiam dire, che intervenuta siavi l'acqua del mare. Somiglianti osservazioni sono state fatte sul Monte Etna dal Cavaliere Gioeni. “Io ho osservato, dice egli nel citato libro, basalti colonnari quasi su la cima dell'Etna al livello della base del suo vasto cratere, dove non v'è certamente probabilità che il mare sia mai arrivato. Basalti poliedri perfettamente caratterizzati ho trovato più fiate negli scavi fatti dagli uomini nel centro delle lave uscite da' fianchi dell'Etna stesso in epoche molto posteriori al ritiramento del mare”.
Mancherei però alle parti troppo doverose di narratore sincero, se qui non ricordassi che il Sig. Dolomieu ammette che le lave possano talvolta dentro l'aria pigliar l'aspetto di prismi, sì veramente che s'internino in qualche fessura, dentro cui si raffreddino subitamente, recandone una pruova all'Isole Ponze. Solamente avvertirò che la condizione delle fessure non la veggo di assoluta necessità, giacchè anche in luogo libero e aperto si ottiene nelle lave la più volte mentovata configurazione, siccome ho veduto nella gran voragine di Vulcano; e dalle mie pare non discordino le osservazioni del Gioeni su l'Etna, giacchè tal condizione, se concorsa vi fosse, non l'avrebbe verisimilmente taciuta.
Quale sarà dunque la final conclusione delle fin quì esposte osservazioni?
Primo, che assai lave basaltiformi hanno sortita questa organizzazione nel coagularsi dentro del mare.
Secondo, che cotal forma è nata in altre dal solo rappigliamento all'aria libera.
Terzo, che altre lave oltrenumero sono state refrattarie a questa figura dentro al mare, e nell'aria.
Pare a prima giunta, che questi divarj dipendano dalla diversa natura delle lave istesse. Almeno ce lo danno a creder le terre dall'acqua inzuppate, le quali nel disseccarsi prendono più o meno forme prismatiche, siccome da molti è già stato osservato, allora quando sono argillose. Ho veduto che facendo entrare in una fossa l'acqua d'un torrente torbidissima per marga argillosa, questa nell'asciugarsi dividevasi in pezzi poliedri; ma essendo creta, o marga calcare, il più de' pezzi erano amorfi. Pure fatta la dovuta attenzione su le lave, quì sembra la cosa procedere diversamente. Si è detto che diverse delle lave prismatiche di Felicuda hanno per fondo il sorlo in massa: ma il vero è che altre lave congeneri dell'Isola stessa, e che formano come pareti verticali sul mare, sono liscie per tutta la superficie. Simile liscezza si osserva in alcune di quelle del lido tra Messina, e Catania al Monte Etna, le quali sono a base di pietra cornea, non ostante che altre somigliantissime tra Jaci Reale e Catania sieno a prismi solcate.
La compattezza, e la solidità delle lave non è tampoco una condizione necessaria per questa impropria cristallizzazione. Lo avea già avvertito Dolomieu. Io altresì ho veduto, che più lave amorfe della circomferenza di alcune dell'Eolie sono più compatte, che le prismatiche di Felicuda.
Quale sarà dunque la circostanza intrinseca alle lave, che le determina a fendersi prismaticamente? Confesso d'ignorarla; e chi sa forse che non la cerchiamo indarno nelle lave, essendo ad esse piuttosto estrinseca, ed avventizia? Tale certamente sembra essere il sentimento del de Luc, e più espressamente del Dolomieu, il quale per ispiegare il fenomeno dei prismi vulcanici ricorre ad un subitaneo raffreddamento, e ad una istantanea contrazione nelle lave.
I fatti da noi riferiti intorno alle lave tanto prismatiche, che non prismatiche, si è mostrato che non si accordano sempre con quelli, che narra questo Francese. Ma anche in questa supposizione, che è incontrastabile, non si potrebbe forse ritenere il medesimo principio di spiegazione, che a vero dire sembra appagante, usando solamente qualche non incongrua modificazione? Tentiamo di farlo, esemplificando la cosa nei due casi sovrallegati, l'uno concernente le lave conformantisi in prismi al solo contatto dell'atmosfera, come è accaduto in Vulcano, e verso la sommità dell'Etna, l'altro risguardante le lave, che ricusano di pigliare tal forma, eziandio dentro al mare, come accade in Ischia, in qualche tratto della base dell'Etna, e nell'Eolie, eccettuatone Felicuda.
E quanto al primo, perchè non può essere avvenuto, e non potrebbe avvenire un repentino restringimento in qualche lava per la sola impressione dell'atmosfera, quantunque da sfendimento nessuno rimanga intracchiusa? Basta che prontamente venga spogliata del calorico che la penetrava, e che la rendeva rarefatta, e fluente. E a cotal privazione andrà soggetta una lava, che sia di poca crassizie, giacchè un corpo tanto più presto perde il conceputo calorico, quanto più tenue ne è lo spessore. Questa celere contrazione potrebbe ancora prodursi dalle circostanze dell'atmosfera, come se per caso soffiasse un vento gagliardo di temperatura molto fredda. Le lave ne' crogiuoli danno il maggior peso a questa ultima congettura. Se le levava dalla fornace, e le faceva passare per un calorico gradatamente minore, la loro superficie si fendeva in iscarse e poco profonde crepature, d'ordinario irregolari. Ma ove senza indugiare venivano nel verno trasportate all'aer freddo, le fessure, oltre all'essere più profonde, si tagliavano in guisa, che sovente ne nascevano piccolini prismi poliedri, che facilmente si staccavano dal restante della lava.
Per conto poi di quelle lave, che non si fanno prismatiche, quantunque colin nel mare, egli è fermo che per divenir tali, la loro massa dee trovarsi in un forte grado di effervescenza, e di dilatazione, che è quanto dire deve essere altamente inzuppata dal fluido igneo; altrimenti non succederà il ristringimento richiesto perchè nascano prismi. E la privazione della effervescenza sarà il caso di assai correnti, che dal sommo de' monti ignivomi scendono fino al mare, perdendo in sì lungo viaggio molto del loro calorico, e ritenendone appena bastantemente per muovere all'ingiù, il qual movimento probabilmente non succederebbe, se ajutato non venisse dalla impellente gravità delle lave, cadenti spesso a perpendicolo sopra del mare.
Così opinerei che andata fosse la faccenda nelle lave che si osservano prismatiche, dove non vi è intervenuto il concorso dell'acque marine, e nell'altre che non ne mostrano veruna apparenza ne' siti stessi dove s'immerser nel mare. Lascio però ognuno il pensare a modo suo, e ove in questi importanti fatti venissero surrogate spiegazioni preferibili alle mie, cui risguardo soltanto come congetturali, le adotterò di buon grado, e con sincera riconoscenza per chi volesse comunicarmele.
- ↑ Saggio sopra la Storia naturale del Mare Adriatico.
- ↑ Vallisneri Oper. in fogl. T. II.
- ↑ Bottis l. c.
- ↑ Si consulti la Nota a pag. 76. Capitolo XI. ove parlasi de' caratteri essenziali al porfido.
- ↑ Voyages de M. de Thevenot. Prem. Part.
- ↑ Voyage du Levant.
- ↑ Voyage en diverses Parties de l'Europe etc.
- ↑ Acad. Royale des Scien. 1744.
- ↑ Rozier Tom. XXXVII. an. 1790.
- ↑ De Productis Vulcaniis.
- ↑ Rozier Tom. XXXVIII. an. 1791.
- Testi in cui è citato Vitaliano Donati
- Testi in cui è citato Gaetano de Bottis
- Pagine con link a Wikipedia
- Testi in cui è citato Jean-Claude Delamétherie
- Testi in cui è citato Barthélemy Faujas de Saint-Fond
- Testi in cui è citato Giuseppe Gioeni
- Testi in cui è citato Déodat de Dolomieu
- Testi in cui è citato Dietrich Ludwig Gustav Karsten
- Testi con errata corrige
- Testi in cui è citato Lucas Jacobson Debes
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