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Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino/Capitolo XVI

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Capitolo XVI

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Capitolo XVII
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CAPITOLO XVI.

parte seconda.

osservazioni fatte nell'interiore di

lipari, e nelle diverse sue

montagne.


Aspetto irregolarissimo di quest'Isola. Nessun caratterizzato cratere più in lei conoscibile. Conghiettura, che il Monte S. Angelo e quello della Guardia, i due più elevati in Lipari, sieno stati prodotti da due distinti Vulcani. Fioriture di muriato di ammoniaco in due caverne presso al piano denominato la Valle. Breccia Vulcanica assai curiosa. Tufo vulcanico che copre da un lato tutta la Montagna delle famose Stufe di Lipari, ha le maggiori apparenze d'essere stato una corrente terrosa. Singolarissimo per aver dentro veraci carboni legnosi. Congetturali ricerche, come sian venuti quì entro. Strada che dalla Città [p. 6 modifica]conduce alle Stufe in massima parte formata da corrosioni fatte nel tufo dall'acque piovane. Corpi diversi osservabili dentro a queste corrosioni. Pezzi erratici di smalto, che incastrano più corpicciuoli bulbosi, che per gli esami fattivi attorno danno a credere d'esser granati. Comparazioni tra essi, e i granati Vesuviani. Smalto dei granati liparesi, che ha per base la pietra cornea. Lave erratiche nella pubblica via per andare alle Stufe. Crisoliti vulcanici entro una lava a base di pietra di corno. Confronto tra questi crisoliti, e quelli dell'Etna, e del Vivarese. Pezzi insigni di porfido rosso, che sembrano di non aver sofferta fusione. Tutti questi corpi non formano mai correnti, e perciò danno a credere d'essere stati su per l'aria lanciati da qualche Vulcano. Ampla pianura tufacea resa coltivabile, situata al di là del Monte delle Stufe, la quale dà ricetto a frequenti schegge di vetro dei più belli, e più puri che offra Lipari. Locale origine di questo vetro. Letto di pomici sul quale posa l'estesissima corrente del [p. 7 modifica]nominato tufo. Stufe di Lipari descritte. Reliquie d'infiammazioni di solfo sottovia ad esse, e ai loro contorni. Prodigioso numero di lave ivi decomposte per l'impressione de' vapori acido-sulfurei. Ossido di ferro puro deposto sopra alcune di queste lave. Varietà di colori che presentano. Loro decomposizione solita essere nella ragione inversa della profondità delle loro masse. Liberate dalla decomposizione, che ne maschera la natura, si scopre che sono d'ordinario a base petrosilicea. Cotesta decomposizione è un ostacolo all'usitata fusion delle lave al fuoco nostro. Spiegazione di tal mutamento. Sulfati di calce variamente colorati, e aderenti alle lave decomposte. Ferro ossidato, e in varie guise modificato, autore dei divisati colori nelle lave decomposte, e nei sulfati di calce. Scoperta di diverse zeoliti amorfe, e cristallizzate presso le Stufe. Gelatina che formano con gli acidi minerali. Lampeggiamento che vibran tutte nel punto del fondersi, e gonfiamento considerabile nell'attuale loro fusione. Termine di [p. 8 modifica]confronto tra queste zeoliti, e quelle d'altri Paesi. Loro genesi non per via secca, ma umida. Quantunque le zeoliti di più regioni vulcanizzate si sieno probabilmente formate dentro del mare, sembra però non potersi dire altrettanto delle liparesi. Esempli di zeoliti originate dall'acqua dolce. Sorgenti d'acqua calda che formano i Bagni di Lipari. Altra prodigiosa quantità di lave decomposte, e di sulfuri di calce al sud dell'Isola. Forse niun Paese vulcanizzato in Eurора, dove gli aliti sulfurei esciti dagl'incendj sotterranei, usurpata si sieno tanta estensione, come a Lipari. Vetrificazioni di Campo Bianco e del Monte della Castagna, che si attaccano a quelle del Monte delle Stufe, del Monte S. Angelo, e di altri luoghi. Mostrasi che quasi due terzi di Lipari, la cui circonferenza alla base è di miglia 19½, sono vetrificati. Materiale di quest'Isola derivato massimamente da petroselci, feldspati in massa, e pietre cornee, parte semplicemente fuse da sotterranee combustioni, ed in parte assai maggiore [p. 9 modifica]vetrificate. Malgrado gl'immensi suoi ammassamenti vetrosi, niuna necessità di supporre in generale per essi una vigorìa singolare di fuoco. Eccezione nelle pomici provenute dal granito. Scarsissime notizie lasciateci dagli Antichi intorno ai fuochi di Lipari, quantunque per documenti sicuri Ella, e la Città sua abbiano esistito innanzi la guerra Trojana. Nessuna eruzione in lei seguita, o almeno descritta ai tempi della Storia. Soli piccioli fuochi anticamente di notte visibili. Quest'Isola pe' sotterranei incendj pervenuta al suo massimo ingrandimento priacchè ne parlassero gli uomini.

A ben conoscere l'interno di un montuoso Paese vulcanizzato, il miglior partito, per quanto a me ne paja, si è quello di salir primamente il Monte più elevato, e dopo l'averne esaminata la cima, volgere al basso lo sguardo, e osservare la schiera de' monticelli che attorno lo accerchiano. Conciossiacchè una sagace occhiata in giro da noi [p. 10 modifica]gettata alle parti inferiori da quella eminenza ci mette subito in vista la forma de' Monti minori, il vicendevole loro intreccio, le relazioni che hanno fra se, e col Monte primario, e più altre cose importanti ad un colpo ci svela, che recandoci su que' monti stessi d'inferior ordine, non giungiamo a comprendere con egual precisione, e chiarezza. Dopo adunque l'aver ricerche con la maggior diligenza le falde litorali di Lipari, essendo stato mio divisamento di riconoscerne le parti di dentro, il primo mio pensiere fu quello di superare la sommità del Monte S. Angelo, situato al nord della città di Lipari, per essere il più elevato di tutti gli altri dell'Isola. Di lassù adunque avendola io quasi interamente sott'occhio, potei esaminarla in grande, ed accorgermi che ben lungi dall'avere figura conica, quale si è quella di Stromboli, ed in certa guisa di Vulcano, Lipari all'opposito forma più gruppi di scommesse, e mezzo diroccate montagne confusamente insieme accozzate, per cui prende un aspetto irregolarissimo. Si scorge chiaro, che i fuochi vulcanici hanno imperversato in assaissimi luoghi, [p. 11 modifica]e che per la troppa prossimità dell'uno all'altro non hanno potuto formarsi que' coni distinti, che spiccan sì bene nel Vesuvio, e all'Etna. Ma le materie eruttate da' Vulcani superiori riversate su l'altre uscite dagl'inferiori, prodotto hanno in ogni parte confusione, e disordinamento. Dal vertice Etneo ravvisiamo una moltitudine di sottogiacenti ben caratterizzati crateri, ma da quel di S. Angelo io non seppi riconoscerne nettamente pur uno. Si veggon, egli è vero, più bocche, più avvallamenti, che ab antico erano probabilmente bocche infiammate, ma nessuna di cotali cavità prende ora figura di un imbuto arrovesciato, sia perchè sono state in parte riempiute, e guaste da susseguenti eruzioni, sia perchè di questi guasti ne è stato autore il tempo stesso.

Il Sig. Dolomieu ha osservato alla sommità di questo Monte altissimo un piano circolare attorniato per di sopra da rialti colla pendenza verso le interne parti, ch'egli avvisa essere le reliquie di un vecchio cratere. Dopo di averlo esaminato anch'io, non veggo inverisimiglianza nella conghiettura. Opina [p. 12 modifica]inoltre, che cotal Monte, dell'altezza d'un miglio scarso sopra del mare, sia stato il primo di tutti a formarsi nell'Isola, quello che ha dato sfogo al Vulcano, e che ha servito di base, e d'appoggio all'altre montagne innalzatesi posteriormente. Plausibile è altresì questa opinione; ma potrebbe anche darsi, secondo ch'io penso, che detto Monte nell'epoca del suo nascimento, o poco appresso avesse avuto a compagno il Monte della Guardia, che mira il sud, e di cui ho parlato nella Prima Parte, sì perchè il secondo è isolato dal primo, e fa corpo da se, sì perchè in elevatezza gli è di poco inferiore. Seguendo adunque le locali mie idee, io estimerei che queste due Montagne, le quali di tanto sourastano l'altre tutte vicine, generate da due distinti Vulcani fossero state le prime a sorger del mare, formando a principio due Isolette che poi allargate alla base concorse fossero in una sola, non ignorando noi che qualche altra Isola vulcanica da prima era in più porzioni divisa. A questi due Monti poi per altre, ed altre eruzioni si sono fatte novelle accessioni, per cui ne è nata l'ampiezza [p. 13 modifica]di Lipari, la quale per le continue erosioni delle piogge, e del mare, certamente adesso è minore di quel che era una volta.

Dal Monte S. Angelo mi trasferj a quello della Guardia, il quale se alla parte del mare è orrido per ripidissime, e squallide pendici di lave, e conseguentemente va privo d'ogni verdume, nell'opposta, che da un fianco è rivolta alla Città, presenta aggradevoli salite, facili a sormontare, e a Liparesi fruttuose per diversi vigneti che vi allignano, il che nasce per essere quella costiera d'un fondo tufaceo, sostanza fra le vulcaniche di tempera meno malvagia nell'addimesticarsi per coltura. Standomi nel suo vertice, sempre più mi sono confermato nella opinione, che questo Monte non sia accessorio, o dir vogliamo una derivazione di quello di S. Angelo, ma che formi un tutto da se, e debba dirsi egualmente primario che l'altro: e ciò pel troppo distaccamento che ha da lui, e per un'ampla gola, o a dir meglio vallone, che dall'est all'ouest separa l'uno dall'altro. [p. 14 modifica]

Visitati questi due Monti, che sono i più eminenti dell'Isola, passai a vedere i luoghi di mezzo, e trovai confermato quanto notato aveva da quelle altezze per ciò che concerne l'essersi perdute le vere forme de' vulcanici crateri; tanto sono le materie vomitate da essi intersegate, e disordinatamente permiste. L'innumerabile serie degli anni è concorsa senza esitanza ad accrescerne la confusione. Quindi è che a riserva di pochi rispianati, e di pochi praticabili declivi, a grande stento ridotti a coltivazione, Lipari è una scomposta fabbrica, o a dir meglio rovina d'orribilissimi dirupi, di precipitose balze, e di smisuratissimi massi, e non è punta, nè ciglio di monte, che non dia manifesti indizj di futuro diroccamento, e sfracello. I materiali di queste rovine sono pomici, smalti, e vetri, ch'io non descrivo, per essere questi corpi parte identici, parte molto analoghi ai già descritti.

I Liparesi mi misero in desiderio di visitare una caverna sollevantesi da un picciol piano denominato la Valle, che all'ouest si allontana dalla Città poco più d'un quarto di miglio. Questa ha [p. 15 modifica]l'apertura in una rupe di lave scomposte, e vi cammina dentro un uomo in piedi per la lunghezza di 50. passi. Fiorite erano le sue pareti di muriato di ammoniaco, e lo stesso era di un'altra grotticella poco incavata nella medesima rupe. Questo sale deve esser nato per sublimazione, assottigliatosi in vapori da' fuochi sotterranei, ed attaccatosi alle due caverne, come si attacca a più altri luoghi vulcanici, ma di questi fuochi, come de' vapori ammoniacali non esiste più al presente alcun vivo indizio.

In questa brevissima corsa mi abbattei tra via in una breccia vulcanica, che per le eterogenee sostanze che rinchiude, non vogliam pretermettere. Giace in grossi pezzi isolati, senza che abbia potuto accorgermi da qual vena sia provenuta. La parte dominante in lei è una lava terrosa d'un grigio succeruleo, di grana grossolana, e di poca durezza, e questa imprigiona i seguenti corpi.

Primo frammenti di doppia lava, l'una nera, di frattura squamosa, e che a due linee muove l'ago magnetico. L'altra d'un fondo bigio, di superficie scabrosissima, di rottura diseguale, [p. 16 modifica]scintillante all'acciajo, e racchiudente tavolette di feldspati. Ambedue sono a base di pietra di corno, e mandano un grave odore argilloso.

Secondo più pezzi di lava vitrea d'un bellissimo colore tra il verde, e il ceruleo, per la liscezza, per la rottura netta, per l'aspetto, e per la non molta durezza somigliante alla pietra pece.

Terzo diversi minuzzoli di pomice cenerognola, e compatta.

Quarto pezzuoli di vetro bianchiccio, e suddiafano.

Quinto pezzetti medesimamente di vetro, ma di niun colore, simili quasi per la trasparenza al vetro fattizio. Il maggior pezzo fu di 14. linee di lunghezza sopra 8. di larghezza; e questo era similmente seppellito nella breccia.

Non potea dirsi che queste cinque specie di produzioni vulcaniche fossero naturali alla pasta della lava. Patentissime si vedevano le rotture, e gli spigoli d'ognuna; e destramente spezzando la lava, si potevano avere intiere. Restava dunque a conchiudere, che già preesistenti erano state involte e chiuse da una lava posteriore, quando era in moto, [p. 17 modifica]venendo così a formare con lei un corpo solo.

Nel far queste osservazioni fui preso da un dubbio. Quantunque all'occhio nudo, ed anche al tatto apparisse la lava vitrea sommamente liscia, pure sotto lente acuta si vedeva superficialmente piena di minutissime fessure. Così era se non di tutti, almeno di qualche pezzo dei due vetri. Io adunque sospettai che allorchè queste sostanze erano tuttavia infocate, qualche corrente di acqua vi passasse sopra, oppure che venisser tocche da un improvviso colpo d'aria fredda; quando piuttosto opinar non volessimo, che le fessure fosser nate, allorchè tai corpi vetrosi già freddi, vennero improvvisamente presi dall'accesa corrente lava.

Ma le tanto rinomate Stufe di Lipari sembrano esser l'oggetto, che più d'ogni altro muova la curiosità del Viaggiatore. Non doveva io adunque ommetterne la visita. Sebbene debbo dire che il viaggio per andarvi fu a me di maggiore istruzione, che le Stufe medesime. Giacciono all'ouest a quattro miglia dalla Città, poco al di là della vetta [p. 18 modifica]d'un Monte, che dopo quello di S. Angelo, e della Guardia è dei più alti dell'Isola. La strada ch'io presi fu quella che dalla Città mena alle Stufe, ed è l'unica che senza disagi possa condurvi. Ella è considerabilmente lavoro dell'acque piovane, che altamente scavato hanno una immensa mole di tufo. In più d'un luogo di questo libro ho parlato dei tufi vulcanici, ma quasi sempre per incidenza. Il presente vuole essere esposto con alquanto più lungo ragionamento. Già fin quasi a principio dell'Opera discorrendo io de' tufi vulcanici di Posilipo, dissi, e cercai di provare, che sembran formati da eruzioni fangose. Quantunque poi non negassi, che le ceneri, le arene, e l'altre sottili sostanze vomitate da' Vulcani, e penetrate o dall'acque piovane, o da quelle del mare allorchè coprivan le falde degl'ignivomi Monti, rassodate si sieno in alcuni tufi (Capitolo II.). Quello di Lipari, di cui ora prendo a far parola, ha le maggiori apparenze d'essere stato una corrente terrosa. Comincia a qualche centinajo di passi dalla Città, e senza interruzione arriva fino al di là della [p. 19 modifica]sommità del Monte delle Stufe. Cotesto Monte, come il più degli altri, varia negli andamenti, formando ora declivi soavi, ora ripidi e scoscesi, ora piani quasi orizzontali, ora dirupi poco meno che verticali. Il tufo pertanto che vi stà sopra, prende esattamente gli stessi andamenti, e talvolta alla superficie s'increspa, e quasi ondeggia. Nè discorda punto nelle flessioni, ne' giri, nelle mosse dalle più caretterizzate correnti di lave. Inoltre a simiglianza di alcune di esse è formato di sopraggiacenti suoli, manifestantisi dove è stato più profondamente dalle piogge corroso. Fui adunque d'avviso che cotal tufo stato fosse un fiume, diciam così, di sostanze fangose corso giù dal Monte delle Stufe; abbondando gli esempli di simili eruzioni per via umida avvenute sui Monti del Vesuvio, dell'Etna, e dell'Ecla.

Mi si affacciò tuttavia una difficoltà, che sembrava non accordarsi con questa ipotesi. Se stato fosse un torrente d'acqua riboccante di terra, che inondato avesse a quella parte la Montagna delle Stufe, sedato l'impeto, dovuto avrebbero per le leggi della gravità i [p. 20 modifica]corpi più pesanti andare al fondo, i meno pesanti rimanere men bassi, e più alto restare i più leggieri, il che vien contraddetto dal fatto, giacchè come vedremo, a poca profondità del tufo esistono grosse masse di lave, di smalti, di vetri. Ma io non veggo repugnanza nel pensare, che tali masse sieno state da qualche accesa bocca eruttate dopo l'induramento del tufo, in forza del quale poco si sien profondate.

Oltre la posizione del tufo, e l'andamento sinuoso su le spalle, e su' fianchi della Montagna, che bastantemente decidono che una volta era corso, la natura istessa di lui lo appalesa mirabilmente. Non è già desso un aggregamento di ceneri, e di arene, un tritume di sorli, di feldspati, e di lave decomposte, e fatte terrose, e insieme impastatesi per l'azione dell'acqua, e indurite a segno da poterle tagliare in pezzi, e giovarsene per le fabbriche, come si osserva in più altri tufi, ma è una terra soltanto argillosa, simile per la mollezza all'indurita belletta de' fiumi. Il suo colore è grigio cupo, la struttura un non so che granellosa, e cedente a segno, che le dita [p. 21 modifica]la sbriciolano, e la polverizzano. E' leggiero, si attacca alcun poco al labbro interiore, trasmette debilmente l'odore di argilla, ed immerso nell'acqua, avidamente la tragge, e se ne imbeve in ogni sua parte.

Il fuoco della fornace colorandolo prima d'un rosso bruno, poi del nero del ferro, lo indura per modo che sfavilla all'acciajo, senza però che s'invetri, a riserva di pigliare superficialmente una vernice vetrosa.

L'altezza del tufo diversifica secondo i siti della Montagna che cuopre, sollevandosi sopra di alcuni, quando di pochi piedi, quando di molti, ed in qualche luogo è sì alto, che malgrado gli affossamenti in esso dalle piogge scolpiti, non ho potuto saperne la profondità. Ne' luoghi però dove ne vedeva il fondo, ho costantemente notato che il tufo riposa su d'un letto di pomici, parte polverizzate, parte a pezzi staccati, e tiranti spesso al globoso. Sono elleno nel novero delle leggieri. Dire adunque bisogna, che innanzi alla corrente tufacea cadute fossero quelle pomici su [p. 22 modifica]la Montagna delle Stufe, eruttate da un ardente Vulcano.

Ma questo tufo mi ha offerto un fenomeno inaspettato. Facendolo in pezzi, le fratture mostrano neri corpicciuoli, che non peniamo a riconoscerli per veraci carboni, attesa la nerezza loro, la leggerezza, la secchezza, la facilità del rompersi, e la poca durezza. Oltracciò taluno d'essi all'aria aperta tocco dal fuoco, fumica, e diventa brace. Tale altro manda un pocolino di fiamma. Questi ultimi non si sono perfettamente ridotti a carbone, scorgendosi tuttavia le parti fibrose del legno. Questi carboni forman cilindretti lunghi da due o tre linee fino a dodici, o quattordici, e sono grossi a proporzione. Mostrano di avere appartenuto a ramicelli d'arbori, o arbusti: sono seppelliti nel tufo a molta e a poca profondità, e si trovano, quantunque sparsi raramente, per tutta la sua estensione.

Questo fatto, non da altri ch'io sappia finora scoperto ne' tufi vulcanici, darebbe a pensare che le due vie, umida, e secca, si fossero insiem combinate, in quanto che l'acquosa fanghiglia allora [p. 23 modifica]quando giù dal Monte colava, fosse stata dal fuoco penetrata in modo, che acceso avesse, e convertito in carboni i vegetabili che incontrava nel cammino. Sebbene questa spiegazione non va immune da difficoltà, le quali facilmente può prevedere il Lettore; e sembra forse più verissimile, che la inondazione terrosa avvolte abbia, e seco condotte queste carbonacee sostanze preesistenti alla sua eruzione, e derivate da qualche infocata grandine, che arso avesse, e non del tutto consunto le poche e meschine piante, che in quella montuosa pendice a stento appigliavansi.

Detto abbiamo che il rapido correr dell'acque piovane su la parte del Monte, che conduce alle Stufe, ha corroso a molta profondità questo tufo. Ed è di mezzo a queste corrosioni, dove si osservano diversi corpi vulcanici, oltre ad altri giacenti su la pubblica strada, ciascun de' quali merita d'esser descritto. Primamente adunque vi si trovano pezzi di smalto d'ogni grandezza, che quantunque sieno lisci al di fuori, rompendoli però hanno dentro la frattura angolosa; il colore è un turchino [p. 24 modifica]mortificato, l'aspetto poco brillante, poca altresì la durezza, andando in minuzzoli alle percosse del focile. La cagione dell'essere poco duro cotesto smalto, deriva dalle fessure, di che è pieno; e queste forse son nate dall'essere i pezzi roventi dello smalto caduti nel tufo non ancora rasciutto. I feldspati che abbraccia, manifestano gli stessi screpoli, e probabilmente originati dalla stessa cagione.

Ne' medesimi luoghi presentasi un'altra qualità di smalto, ferace di piccioli corpi ch'io risolutamente non affermerò già esser granati, non avendo potuto analizzarli per via umida, pure i caratteri sensibili congiunti alla via secca, quasi m'inducono a giudicarli per tali. Ne' vulcanici miei giri non ne ho mai veduto dei simili. Presi in generalità hanno figura bulbosa e il colore nericcio, tirante però in alcuni al rossigno. La superficie è tersa, e lustrante, le fresche rotture laminose, e affatto vetrose, e queste sfregiano il vetro. I più grossi giungono a linee 3½, e questi sono opachi, i più minuti a ⅓ di linea, e sono suddiafani. Scintillano al focile, e fondonsi alla fornace in uno smalto nero, [p. 25 modifica]e scoriaceo. L'insieme di questi caratteri accostandosi di molto a quello de' granati, io non mi allontanerei dal riporli in tal genere, nulla importando se non sono cristallizzati, sapendosi esservi granati anche amorfi.

Versando io in cotali disamine mi prese talento di confrontar questi granati co' vesuviani, giacchè nella mia andata a quel Vulcano raccolto ne aveva diverse fatte al Monte Somma, che è l'antico Vesuvio. Quattro furono coteste fatte sperimentate, dalle quali ho potuto raccogliere le seguenti cose.

La prima esiste in una lava a base di pietra di corno d'un grigio gialliccio, di superficie diseguale, e di consistenza poco più che terrosa, per la molta alterazione sofferta, non già, per quanto apparisce, dalle esalazioni sulfuree, ma piuttosto dagli stemperamenti dell'atmosfera. I granati che dentro vi abbondano, sono eglino pure pregiudicati, perduta avendo una parte del lustro nativo, e divenuti essendo facilmente stritolabili per la moltitudine delle sottili crepature, che hanno. Ritengono però alquanto del carattere vetroso. Il colore è tra il bianco, [p. 26 modifica]e il grigio, e le parti più sottili sono appena traslucide. A prima vista li crederemmo di figura globulare perfetta, ma estratti dalla pietra matrice (essendo agevole il farlo), e attentamente espiati, si veggon faccettati, quantunque possibile non sia sapere il numero delle faccette, per esserne stati dal tempo cancellati più angoli. Solamente osservo, che riescito essendomi di rompere qualche granato in due emisferi, il perimetro d'ognuno era ottagono. Queste rotture mi hanno ad un tempo manifestata la granatina tessitura composta di sottilissime sfoglie circolari. Intorno a questi granati ne ha d'ogni grandezza dalle linee 4½ fino a ⅙ di linea.

La fornace riduce a uno smalto compatto, e del color della pece la lava matrice, lasciando però intatti i granati, che qui solamente imbiancan di più, rendonsi più vetrosi, e più duri. La nerezza dello smalto essendo in contrapposto con la bianchezza dei granati, ne fa saltar fuori e spiccare un esercito di minutissimi, prima invisibili nella lava; e malgrado la menomissima lor mole si mantengono al fuoco interissimi. [p. 27 modifica]

I granati della seconda fatta allacciati, e stretti da una lava a base di roccia cornea molle, sono più grossi, e del tutto opachi; emulano nella bianchezza la neve, e mostrano nelle rotture lustro più vivace degli antecedenti. Molti tondeggiano, e manifestan chiara la loro cristallizzazione a più faccette, ma che è impossibile il numerarle, andando in pezzetti nel volerli estrar dalla lava. Ma più altri della stessa qualità portan forme irregolarissime.

Più d'uno di questa seconda qualità rinserra sorletti prismatici del colore, e del lustro dell'asfalto, i quali probabilmente già preesistenti sono stati inzeppati dal suco granatino.

Anche questi granati si mostrano infusibili alla fornace, malgrado la conversione della lava in una scoria cavernosa.

La terza fatta è strettamente legata da una lava pesante a base similmente di pietra cornea, d'un nero ferrigno, compatta, ma non dura abbastanza per isfavillare al battifuoco. I granati che sono bianco-giallognoli, e assai de' quali arrivano a quattro linee, si veggon la [p. 28 modifica]più parte fessi, ma in modo, che nelle fresche rotture la superficie rappresenta quasi un fiore rotondo polipetalo.

La fornace fonde la lava, non già i granati, che acquistano soltanto il color rosso del rame.

I granati della quarta, ed ultima fatta portano 24. faccette, e sono semitrasparenti, bianchi, e vetrosi. La loro matrice è una lava compatta a base di pietra cornea, che dà odore argilloso. Alla fornace si converte in un prodotto nero smaltino, ma intatti rimanendo i granati.

Avvicinando i presenti risultati agli esposti di sopra, troviamo che nel vetroso, e nel laminoso la struttura de' vesuviani granati è analoga a quella dei liparesi, ma che nel venire affette dal fuoco fra se differiscono queste due pietre, per esser le une facilmente alla fornace squagliabili, e refrattarie le altre.

Veduto adunque che queste quattro qualità di granati sono infusibili al fuoco della fornace, per più giorni anche prodotto, ebbi ricorso al gaz ossigeno. Allora tutte quattro si fusero, ma lentamente. Quando la lava matrice colava [p. 29 modifica]come il vetro ordinario, i pezzetti di granato che vi eran dentro rimanevano intatti. Finalmente fondevansi, ma senza mai che s'incorporassero alla lava, onde formare un tutto omogeneo.

Quelli tra Chimici, e Naturalisti, che innanzi a me cimentato hanno col fuoco i granati vesuviani, raccontano risultati consimili a' miei. Il Bergman dice che questi granati di per se stessi si fondono col tubo ferruminatorio, usando però un fuoco veemente[1]. Racconta Saussure, che una lava a occhi di pernice da lui staccata dal Monte Somma diede al fuoco di fusione un fondo nero vetrificato, ma che i grani poliedri di questa lava rimasero inalterati; a dispetto del fuoco il più violento. E per grani poliedri si vede chiaro ch'egli intende ciò che io con altri ho chiamato granati[2]. Quanto poi al gaz ossigeno, conviene ascoltare Ehrmann nel suo libro su l'Aria del Fuoco. “Il granato del Vesuvio, bianco opaco si distingue dai [p. 30 modifica]granati propriamente detti in questo che si fonde difficilissimamente (e quì intende con l'ajuto del gaz ossigeno) e dà finalmente bollendo del continuo una massa perfettamente simile al quarzo, eziandio nella rottura, e scroscia egualmente sotto i denti”.

Questa specie di bollimento io l'ho veduta nelle quattro mentovate varietà di granati, quando erano nell'attual fusione. La prima e la terza mi hanno fornito altresì due massette somiglianti al quarzo; ma quelle della seconda, e della quarta varietà erano spugnose. Gli è facile, che questo Autore sperimentato ne abbia una sola specie.

Egli è sentimento di qualche dotto Naturalista, che i granati vesuviani non godono se non impropriissimamente di tale denominazione; primo per andar privi di ferro; secondo per essere difficilmente fusibili; terzo per differire nelle dosi delle loro parti costitutive da quelle de' veraci granati. Queste ragioni però non mi sembrano bastanti per escluderli dal novero di tal genere di pietra. Vero è che il ferro suole esser compagno de' granati, non ne costituisce però l'essenza, [p. 31 modifica]siccome avverte il Bergman, e nei granati trasparenti non ha egli trovato che 4/100 di tale colorante metallo. La mancanza poi del ferro probabilmente li fa essere di difficil fusione. Quanto in fine alle parti costitutive osserva lo svedese Chimico, che la dominante nei granati è la silice, indi l'allumina, e la minore di tutte la calce. La sua analisi accordasi con la fatta da Achard ne' purissimi granati della Boemia. Questa distribuzione nei principj prossimi si accomoda tanto che basti co' vesuviani granati, ne' quali esso Bergman ha trovato 55. circa di silice, 39. di allumina, e 6. di calce. E se la proporzione della silice con l'allumina non è la stessa in ambedue queste pietre, la differenza però non la giudico tale da doverne fare due generi. Il che si comprova, ragguagliando i due citati numeri 55., e 39. esprimenti la silice, e l'allumina ne' vesuviani granati, ai numeri 48., e 30. denotanti queste due terre ne' boemi granati analizzati dal citato Chimico di Berlino.

Tornando per un momento a' Liparesi granati, non sono eglino già [p. 32 modifica]tenacemente aderenti alla base, come quasi sempre si osserva nei feldspati, e ne' sorli, ma a somiglianza degli altri granati vi sono impiantati in modo, che facilmente si staccano senza rottura, lasciando esattamente nello smalto l'impronta della loro figura. Questo smalto compatto pesante bigio-cenerino esiste in pezzi isolati tanto nella strada, quanto nel tufo: e questa si è la prima produzione, che dia nell'occhio dopo l'essere escito della Città per avviarsi alle Stufe.

Proseguendo più alto il camino si presentano su la pubblica via, e dentro del tufo curiosissimi miscugli di bianca terra argillosa, e di smalto nero, e l'una e l'altro sono talmente insieme impastati e confusi, che non è quasi trovabile una massetta di questa terra della grossezza d'un pisello, che non racchiuda più scagliette di smalto, e scarsi sono i pezzuoli di smalto, che vadan liberi di questa terra. In lei notabili sono l'odore terroso, e l'attaccamento alla lingua.

Ne' siti medesimi, dove questa bizzarra mescolanza si trova, ricomparisce [p. 33 modifica]lo smalto a granati, simili ai ricordati di sopra, ma più grossi, e più accostantisi al globoso. Rilevante si è questo smalto per fare in qualche sito un tutto solo con alquanti pezzi di lava a base di pietra cornea, dentro la quale si annidano pure essi granati.

In un tratto di penna diviserò quattro specie di lave, ciascheduna a base di pietra cornea, che a pezzi similmente isolati s'incontran tra via andando alle Stufe.

La prima ha rottura fibrosa, il colore del ferro, qualche apparenza di porosità, bastante durezza per isfavillare al focile, e virtù per muovere ad una linea, e un quarto l'ago magnetico. Dà odore terroso, ed è accompagnata da' feldspati.

Quasi una metà della seconda lava, che è nero-bigiccia, e che quantunque compatta è piuttosto tenera, occupata viene da' feldspati romboidali.

Dalla seconda non si allontana la terza lava, se non in quanto è alcun poco più compatta, e più dura, e i feldspati sono meno abbondanti. [p. 34 modifica]

La quarta lava che nella solidità, nel peso, e nella durezza supera le tre antecedenti, ha colore nero ferrigno, rottura terrosa, produce qualche attaccamento alla lingua, e fa sentire il solito odore di argilla.

Ad una linea dimezzata mette in moto l'ago magnetico.

Tutte quattro queste lave convertonsi alla fornace in vetrose scorie, senza però la fusione dei feldspati.

Dato un cenno di esse, ragion vuole che ora ci stendiamo di più sopra di un'altra lava, per essere nobilitata da molti elegantissimi vulcanici crisoliti. Questa lava a base di pietra cornea molle, con colore bruno-nericcio, è disegualissima nelle rotture, per più fessi che ne separan le parti, e come le quattro precedenti lave rinviensi a pezzi isolati, ma rari. Poco sfavilla all'acciajo, fa sentire un tenue odore di argilla, e per una buona linea agisce su l'ago magnetico. Per le frequenti sue fessure è leggiera anzi che no. Dal martello percossa è un poco sonora. Lascio diverse scagliette di feldspati con essa incorporate, e passo all'esame dei crisoliti. [p. 35 modifica]

Con un certo vivo tra il verde, e il gialletto non lasciano di ferir l'occhio su le parti della lava, che per di fuora hanno sofferto le impressioni dell'atmosfera, e delle meteore. Ma nelle fresche rotture lampeggiano dei più brillanti colori. Quelli che più spiccano sono il giallo d'oro, e il verde tenero d'erba, permischiatovi talora il rosso del fuoco, temperato da una tintura di porpora. E se questi crisoliti esposti vengano all'immediato lume del sole, e si mirino sotto certi angoli, i loro colori si rendono più vivi e frizzanti. Molti sono amorfi, taluno però è un prisma quadrangolare. La superficie nelle rotture è vetrosa brillantissima, ma talvolta liscia, e tale altra aspra, secondo la spezzatura delle esili laminette, onde risultano questi crisoliti. I loro minuzzoli sono angolosi, e semitrasparenti. Scintillano all'acciajo questi crisoliti, e tagliano il vetro presso a poco come il cristallo di rocca. I più grandi ascendono in lunghezza a tre linee e mezzo, e i più piccioli stentiamo a discernerli coll'occhio inerme. La lava gl'inzeppa [p. 36 modifica]per modo, che non possiamo staccarne che frammenti.

Il fuoco della fornace, e quello del tubo ferruminatorio non solo non fondono queste pietruzzoline, ma non le pregiudicano tampoco, sia nei colori, sia nella tessitura. Il solo gaz ossigeno le scolora, e le fa fluire in una pallina bianca, ma senza lustrore.

Quantunque sin quì ignoto fosse, che a Lipari esistano vulcanici crisoliti, eran però stati trovati in altre Contrade vulcanizzate, come nel Vivarese, e nella Valese dal Sig. Faujas[3], e sul Monte Etna dal Sig. Dolomieu[4]. Ma ai loro crisoliti comparando i miei, trovo delle differenze, e delle somiglianze, che compendiate quì gioverà riferire.

I crisoliti adunque osservati, e descritti dal Faujas, ogni qualvolta si mirino alla lente, sono composti di una unione di granella arenose, più o meno fine, più o meno aderenti, scabrose irregolari, talvolta formando come croste [p. 37 modifica]o picciole scaglie arenose; ma il più conformate a foggia di frammenti angolosi, che s'incastrano gli uni cogli altri.

Niente di questo presentano i crisoliti liparesi. Oltre il già detto, ne ho fatta la seguente pruova. Infrantine diversi, e microscopicamente guardati, non mi sono mai apparite granellose le loro molecole, ma sempre liscie, sempre vetrose, e l'aspetto che mostrano tutti, lo mostran del pari le minutissime loro parti.

Non vogliam tacere un secondo divario, perchè troppo rilevante, ed è che laddove quelli di Lipari sono di poche linee, i mentovati da questo Autore montano qualche volta a più libbre.

I suoi però si accordano co' miei nella infusibilità al fuoco molto attivo, giacchè gli sperimentati da lui sono stati altresì refrattarj al fuoco de' forni ordinarj, per quanto violento, e continuato egli fosse, e non sono entrati in fusione, se non se coll'intervento del gaz ossigeno.

I colori quinci e quindi talvolta sono gli stessi. Dico talvolta, giacchè secondo Faujas diversi de' suoi crisoliti [p. 38 modifica]godono soltanto d'un colore o verde, o giallo-topazzino.

I tratti di somiglianze, e di differenze tra i crisoliti liparesi, e gli etnei si fanno palesi, ragguagliando quanto ho già detto dei primi a ciò che Dolomieu dice dei secondi nel più volte citato suo libro. Narra egli adunque che altri dei crisoliti ivi osservati sono amorfi, altri cristallizzati in prismi tetragoni o esagoni con piramide talvolta esagona: che la rottura parte è concoide, parte lamellosa, la durezza maggiore di quella del quarzo, che sono più o meno trasparenti, d'un giallo verde a tinte diverse, e fusibili in un fuoco fortissimo. Egli non ne fissa la grandezza, ma questa non deve esser molta, sì perchè tali pietruzze da lui grani si appellano, sì perchè le da me vedute in alcune lave del Monte Etna sono assai minute.

A bella posta ho chiamato vulcanici i crisoliti di Lipari, non tanto per trovarsi dentro di una lava, che per contrapporli alla gemma crisolito, sapendo che gravi Autori son d'avviso, che le pietre vulcaniche, le quali pel colore giallo-verde, e per qualche altra [p. 39 modifica]circostanza somigliano questa gemma, e perciò da' Vulcanisti crisoliti si chiamano, ne differiscono tuttavia nei principj prossimi, ed in più d'uno dei caratteri esteriori. Ed io nelle descritte pietre quantunque adottato abbia questa usitata espressione, non saprei disconvenire da loro; certo essendo però d'altra parte ch'elleno in forza delle descritte proprietà non si possono riporre fra sorli, nel qual numero sogliono alcuni Naturalisti collocare generalmente i crisoliti de' Vulcani.

Rimane anche a ragionar d'una pietra, che sarà l'ultima delle produzioni offertemisi lungo il pendìo del Monte finitimo alle Stufe. Ella è un porfido a base di petroselce con feldspati a tavolette, brillanti nelle rotture, e con sorli nericci, ed informi. Questa base ha il rosso de' mattoni, esiste in masse erratiche, taluna del peso di migliaja di libbre. Compatta, scagliosa ne è la rottura, amorfi ne sono i pezzi rotti, i più sottili agli orli tralucono, ed al focile mediocremente scintillano. Il color della base ha tinto in rossigno i feldspati, come veggiamo in certi porfidi orientali. [p. 40 modifica]

Ma cotesto porfido ha egli sofferta fusione, o è forse nello stato naturale, e tutto al più si è calcinato, allor quando venne rigettato dal Vulcano? Affermatamente dir nol saprei; pure penderei più pel secondo, che per il primo, stante la qualche alterazione, che manifesta nelle parti eziandio interne, la quale sembra esser l'effetto d'una verace calcinazione.

Alla fornace la pasta di questa roccia si è intenerita, ma non fusa. Intatti rimasti sono i feldspati, ma con la vetrificazione dei sorli.

Gli squarci spaziosi, e profondi nel tufo scolpiti dall'acque piovane, e che dal più basso del Monte innoltransi fino alla sommità, mi hanno fornita la favorevole opportunità di scoprire, e descrivere le fin quì ricordate sostanze petrose, giacchè fuori di questi squarci non iscorgiamo che la nuda crosta superficiale del tufo. Nessuna di tali sostanze forma correnti, ma tutte sono erratiche, e per ciò danno a credere d'essere ivi dentro al tufo cadute pel loro lanciamento in aria, prodotto da qualche Vulcano. Giunto poi che siasi al sommo del Monte, [p. 41 modifica]si apre all'ouest un'ampla pianura dell'istesso tufo, ma fatto terriccio, dove si semina frumento, e dove sono pochi vigneti. Luccicano su di essa frequenti pezzi di vetro suddiafano nericcio, e dei più belli e più puri che offra Lipari. Cotal prodotto m'invogliò di cercarne l'origine, nè indugiai a scoprirla, per via di qualche scavo fatto aprire sul luogo. La terra tufacea ivi profondasi poco più, poco meno di tre o quattro piedi. Sotto immediatamente giaccion le pomici, ed è fra esse che ritrovasi abbondantemente cotesto vetro, il quale probabilmente sarà stato smosso, e recato alla superficie dall'aratro, o da altri simili strumenti destinati a preparare il terreno per la seminagione.

Al di là di quella pianura evvi una facile discesa di dugento piedi all'incirca, a capo della quale esiston le Stufe. Quella prevenzion favorevole, che per la loro rinomanza aver potesse il curioso Viaggiatore, la perde ad un tratto all'aspetto delle medesime. Formano un gruppo di quattro, o cinque cave, più simili alle tane degli orsi, che alle abitazioni degli uomini, e nelle quali l'arte [p. 42 modifica]infinitamente è più bambina, che nelle fabbrice dei Castori. Ogni cava per di sotto ha un'apertura, per cui entrano i caldi ed umidi vapori, ed un'altra per dissopra, da cui ne esalano. Entrato in una di esse, poco vi potei dimorare, meno per il calorico, che nel termometro marcava solamente il grado 48⅔, che per un non so che di soffocante, che aveva l'interno ambiente. Queste Stufe ritengono ora poco più che il nome, essendo pressocchè derelitte. Di fatti quando anche conservassero la loro virtù, e fossero vantaggiose contro diversi malori, come usarle, se mancano d'ogni comodità assolutamente necessaria per chi dee valersene?

Quando le visitò il Sig. Dolomieu, tutto il terreno su cui sono poste, era penetrato da cocenti vapori, che sotto forma di un denso fumo escivano da picciole aperture del diametro d'uno o due pollici. Allorchè io ci andai, le cose di molto eran cangiate, come accader suole ne' Vulcani, dove si manifesta più o meno la presenza del fuoco. Non vi era che un foro d'un pollice circa, da cui a volta a volta esalava una traccia [p. 43 modifica]sottile di fumo fetente di odore di solfo; ed allargato avendo io il foro, lo trovai attorniato da scarsa copia di molli sulfuri di ferro, ivi generati dall'unione del ferro, e del solfo. Per altro l'Abbate Trovatini da me altrove citato, mi attesta che in certi tempi ascendono attorno alle Stufe più fumajuoli, ed io aggiugnerò che oltre al fetor del solfo, che all'appressarmi a quel sito cominciai a sentire, divenne cocente il terreno, e il puzzore si accrebbe, fattolo io smuovere alla profondità d'un piede. Dal che raccogliesi, che sotto alle Stufe, e ai loro contorni nascondesi ancora un resto d'infiammazioni sulfuree[5]. Le Stufe, e i Bagni caldi, de' quali ragioneremo [p. 44 modifica]più sotto, sono le uniche parti in tutta l'Isola, dove rimangono ancor monumenti dei non affatto spenti Vulcani.

Il testè nominato Francese dopo l'avere descritte le Stufe di Lipari, passa a far parole delle alterazioni cagionate da' vapori acidi sulfurei su le lave di quel luogo, notando che tutte, oltre l'esser divenute più tenere, e più leggieri, e l'aver perduti i primitivi colori preso hanno una tinta bianca, frammischiata al giallo, al rosso, al violetto, e all'altre gradazioni, che soglion prodursi dagli ossidi del ferro. Avverte in oltre che le medesime vestite si sono d'una grossa crosta di sulfati di calce, che questi sulfati penetrano anche al di dentro; e che qualche lava è coperta dalla miniera del ferro detta fangosa. Spiega poi molto acconciamente, come mediante la combinazione dell'acido sulfurico con diverse terre, le lave si sieno rese più leggiere, e variamente colorate.

Oltre a quella volta essendo io andato due altre alle Stufe, ed avendo esaminato diligentemente le lave dagli acidi sulfurei alterate, ho potuto accrescere le riferite osservazioni con qualche altra, [p. 45 modifica]ch'io credo nuova, e che quì accorciatamente riferirò.

Era importante, non che curioso il sapere a qual genere di lave, esistenti tuttavia nello stato in che le lasciò il fuoco, appartengano quelle, che ora veggiamo scomposte dagli acidi. E siccome le proprie mie osservazioni alla Solfatara di Pozzuolo, e altrove mi avevano insegnato, che la decomposizione scemar suole in ragione dello internarsi nelle lave, avvisai che il mezzo più idoneo per acquistare tali notizie fosse quello di penetrare con le rotture dentro a queste lave, finattantochè giunto fossi là dove conservano la naturale loro integrità. Il più delle lave decomposte al Monte delle Stufe hanno l'esteriore bianco-rossigno, ma talune ancora nericcio. Mi feci prima ad esaminare queste ultime; e presentatane la superficie alla luce viva del sole, scopersi un non so che di brillante, che m'invogliò di sottoporlo alla lente. Questo non era che un aggregato d'innumerabili globettini di ferro ematitico, che vagamente velava la superficie di queste lave. Staccatone di fatti buon numero, senza intaccarne l'interno, la loro [p. 46 modifica]triturazione fu rossa, siccome è proprio dell'ematite nereggiante. Questo era dunque un ossido marziale puro ivi deposto, e conformato in globetti, e sotto di quell'aggregato ne giaceva un altro di ossido di ferro rosso, ma terroso, poi le lave più internamente si facean veder candide, a riserva d'essere interrotte da strisce nero-rossigne, e fra se parallele, o lievemente adombrate da una sfumatura gialletta. Queste lave sono tenere leggieri compatte: si appiccano alla lingua, vengono penetrate dall'acqua, hanno la pastosità dell'argilla, ma non ne tramandan l'odore. Sembrano lave semplici, non apparendo in loro corpi stranieri. E' osservabile che ogni rottura è concoide, e che percosse danno suono analogo a quello di alcuni petroselci, il che induce nel sospetto che ad essi appartengano; e il sospetto si avvera poscia penetrando più addentro con le rotture. Poichè alla profondità di due piedi o in quel torno, al color bianco sottentra il grigio, e sminuite l'altre indicate apparenze cominciano le lave a prendere l'occhio siliceo, e mandano qualche scintilluzza all'acciajo. Più indentro si scorge [p. 47 modifica]senza equivoco esser queste lave a base di petroselce, con seco pochi sorletti, non apparenti nelle parti decomposte, perchè probabilmente decomposti eglino pure.

Queste osservazioni in alcune delle lave superficialmente nericcie, furono medesimamente fatte su diverse di quelle che al di fuori nel bianco rosseggiano. Quì i fenomeni nell'essenziale tornan gli stessi. Il rosso insensibilmente nell'interno svanisce; al bianco sottentra a poco a poco il grigio, che più addentro acquista lustro, fattasi intanto più dura la lava, che a maggiore profondità palesi dichiara i caratteri del petroselce.

Una di queste lave pezzata di candido, e di un rosso chiaro di fiori di pesco, è picchiettata all'esterno di punti quasi polverosi; e questi sono decomposti feldspati, ma tuttavia ritenenti un residuo di cristallizzazione. Questa lava è stata più dell'altre alterata dagli acidi, essendo più tenera, anzi polverizzabile, quantunque però a due piedi di altezza sia dura, pesante, nero-bigia, ed essa pure ha base petrosilicea, e quivi i feldspati sono interissimi. [p. 48 modifica]

Nel descrivere le lave variamente decomposte della Solfatara di Pozzuolo, si è veduto essere i feldspati un genere di pietre resistenti moltissimo all'impressione degli acidi. Spesso avviene che la loro base è in una compiuta decomposizione, ed eglino sono in massima parte inalterati. Se adunque nella lava presente i feldspati sono pregiudicati al pari della loro base, convien dire che fortissima quivi stata sia la possanza di cotesti acidi. Generalmente poi queste lave sono alle superficie pastose, e quasi saponacee, carattere che accompagnar suole così fatti scomponimenti.

Non dobbiamo dimenticare una lava brecciata a base medesimamente di petroselce, in cui l'azione degli acidi non s'interna che a pochi pollici. Questa base, anche presso la superficie, non ha affatto perduto il natural colore somigliante a quello del ferro, e in lei sono incorporate delle irregolari massette di lave sbiancate, e polverose. Queste adunque hanno più ceduto alla decomposizione che il fondo che le serra. Sebbene insinuandosi più oltre, elleno ritrovansi [p. 49 modifica]inalterate, e non sono che frammenti di lava a base di pietra cornea.

Quantunque assaissime lave alle Stufe di Lipari abbiano sofferto dai vapori acido-sulfurei, ne ha però qualcheduna niente pregiudicata. Contenterommi di nominarne una sola, così conservata che sembra jeri prodotta dal fuoco vulcanico. Dove adunque in masse insigni sporge di terra, se superficialmente venga scheggiata, ha faccia nero-ferrigna, granitura compattissima, rottura concoide, le schegge agli orli sono taglienti, e sfavilla mirabilmente all'acciajo. Fra le lave è una delle più pesanti, e più dure, e a due linee ha il potere di muovere l'ago magnetico. E' a base di petroselce, che rinserra aghi lucidissimi di feldspati. Non è dunque stata punto intaccata da cotesti acidi. Non già che non avesser potuto contro di lei, ma probabilmente perchè non vi hanno agito. Que' tratti di terreno, sotto cui ne' Vulcani ardon gl'incendj, hanno più aperture, più spiragli, d'onde escono i fumajuoli sulfurei. Se adunque attorno, o dentro di questi si ritrovin le lave, ne verranno più o meno affette. Ma i medesimi tratti in più [p. 50 modifica]d'un luogo sono impenetrabili a questi fumi, e quivi in conseguenza le lave non patiscono altre alterazioni, che quelle del tempo. Questa interrotta disseminazione di sulfurei esalanti vapori nel medesimo tratto vulcanico l'ho veduta al Vesuvio, all'Etna, a Stromboli, ed in questi rispettivi Vulcani viene da me specificata. Solamente conviene dire, che alle Stufe di Lipari massima essendo la copia delle lave decomposte, e la più parte a molta profondità, gli aliti acido-sulfurei quivi sieno stati oltre ogni credere numerosissimi, e insiememente di lunga durata. Sebbene la maggiore loro efficacia potrebbe aver supplito alla diuturnità, notato avendo, che quando sotto i miei occhi correva la lava vesuviana, e che diversi laterali suoi ramicelli cessato avevano di muovere, due di questi, per venir penetrati da un nuvolo foltissimo de' soliti fumajuoli, eran già mezzo decomposti, non ostante che fosser patenti derivazioni di quella corrente, cominciata da pochi mesi a sgorgare da un rotto fianco della Montagna. Finalmente dalla diversa qualità delle lave, in quanto che sono composte più o [p. 51 modifica]meno di principj calcari, argillosi, e marziali, tutti combinabili cogli acidi sulfurei, ne proverrà la decomposizione più grande, o più picciola di cosiffatte sostanze.

I gradi diversi di decomposizione nelle lave rendono quando più, e quando meno inefficace nel fonderle la vigorìa della fornace. Le parti non decomposte si liquefanno. Un incominciato decomponimento le fa restìe, e refrattarie un intiero. La ragione di questi divarj a me sembra chiara. Le terre quanto più sono pure, tanto maggiormente per la fusione resistono al fuoco. Quindi le finor conosciute, solitariamente prese sono infusibili, quando non si ricorra al fuoco della più alta temperatura. La loro mescolanza fa nascere la loro fusione, servendosi così di vicendevole flusso: e sappiamo esser facilissima la fusione allorchè la silice, l'allumina, e la calce sono mescolate nella proporzione di 3, 1, ed 1. Non evvi lava da me sperimentata, in cui trovato non abbia queste tre terre. E se non sono insiem combinate nell'addotta ragione, la loro combinazione è però atta a render fusibile alla fornace [p. 52 modifica]quasi ogni lava. La calce che per la via secca serve di fondente alla silice, in gran parte vien meno nella decomposizion delle lave, formando il sulfato di calce per l'intima unione con l'acido sulfurico. Ecco adunque allora un impedimento per la fusibilità delle lave. La diminuzione dell'allumina provenuta per la sua combinazione col suddetto acido, formante il sulfato alluminoso, sciolto poscia e via portato dalle piogge, sarà pure un altro impedimento[6], a cui possiamo aggiungerne un terzo, che è la privazione del ferro, esso pure facilitante questa fusione.

Cotesti sulfati per lo più alle lave congiunti formano pel Naturalista un altro aggradevole spettacolo. I colori sono in loro infinitamente variati. Quelli che più saltano all'occhio, siccome i dominanti, sono il color rosato, il violaceo, [p. 53 modifica]il ranciato, e tanto più spiccano, quanto che le più volte riposano su d'un fondo bianchissimo.

Tre qualità di sulfato di calce vi ho osservate, independentemente da più varietà, che tralascio. Costa la prima di sottili lame fra se parallele, strettamente combaciantisi lustranti compatte ed opache. Formano strati di diversa grossezza, alti talvolta più d'un piede, e questi strati facilmente si staccano dalle lave, a cui sono aderenti.

La seconda qualità è filamentosa, o in filamenti paralleli, oppure stellati, e nel secondo caso i filamenti constituiscono delle specie di piramidi con gli apici a un centro comune, e le basi alla circonferenza. E v'ha pezzi insigni per la grossezza formati di aggregazioni di queste piramidi.

E' prodotta la terza specie da lamine sottili, e lucenti, un poco elastiche trasparenti tenerissime, e forma la cristallizzazione indeterminata del sulfato di calce, chiamata pietra specolare, ma tal qualità è rara, e i cristalli sono sempre piccolissimi. In questi casi manca dunque la cristallizzazione determinata e primitiva di questo sal medio terrestre. [p. 54 modifica]Egli è poi evidente che questa varietà di colori or giallo, or rosso, ora violetto nelle lave decomposte è una conseguenza del ferro in loro preesistente, il quale dagli acidi sulfurei rimanendo egli pure se non decomposto, almeno alterato assaissimo, si modifica variamente, prendendo questa diversità di tinte. Così vogliam dire dei sulfati di calce, formati dalla combinazione dell'acido sulfurico con essa calce, restata allo scoperto per la tolta adesione dei principj prossimi delle lave, e diversamente colorate da questo metallo ossidato. Il bianco poi delle lave decomposte proviene, come è chiaro, dalla privazione del ferro nelle medesime. Il che quadra perfettamente con l'esperienza; poichè fin dove arriva lo scomponimento, le lave sono inette a muover l'ago magnetico; per l'opposito lo muovano costantemente, quale a due linee, quale a più, quale a meno nelle parti non decomposte.

Porrò fine ai discorsi su le produzioni delle Stufe di Lipari con alquante osservazioni interessantissime, le quali concernono diverse specie di zeoliti da me scoperte nelle vicinanze di dette [p. 55 modifica]Stufe. Io adunque partitamente le andrò notando, coll'accennarne insieme le loro matrici.

Prima specie. La matrice, ove annidasi questa zeolite è una lava a base di pietra cornea, colorata d'un nero bruno, granosa nelle rotture, e che appena all'acciajo scintilla. Non mostra indizio d'essere stata offesa dagli acidi sulfurei. E' sparsa di fossette allungate, e quasi tutte per un verso dirette, e probabilmente nate quando la lava correva. E' in tali fossette, che ritrovasi questa prima specie di zeolite. A prima vista crederebbesi piuttosto un calcedonio stalattitico, avendo forma bottritica, e un bianco succeruleo perlato, e manda qualche scintilla al focile. Ha rottura silicea, e un grado di trasparenza. Ma tre proprietà ne la caratterizzano, l'una si è quella di formare una gelatina con gli acidi minerali, l'altra di lampeggiare nell'atto del fondersi, e la terza di gonfiarsi, e quasi bollire nella fusione. E quantunque ciascuno di questi caratteri non sia privativo delle zeoliti, tutti e tre insieme però bastano per fissarne la natura. Questa zeolite è adunque nel novero delle [p. 56 modifica]amorfe. I grani bottririci si possono estrarre intieri, per i pochi punti di adesione alla lava. I più grandi si estendono a cinque linee nella lunghezza sopra due o tre linee di larghezza. La figura che ho chiamato bottritica, ossia a grappoli, è la più ordinaria in questa zeolite. Taluna però è un globulo solo allungato, e la sua ampiezza è misurata da quella della picciola fossetta. Del rimanente egli è ben lungi, che ogni vacuità della lava porti con se questa pietra. Di 100. cavernette a cagion d'esempio, 90. per lo meno ne vanno senza. Generalmente poi questa zeolite è insudiciata da un polveroso ossido di ferro ranciato.

Il tubo ferruminatorio stenta a fonderla, e vi si richieggono più secondi per la completa liquefazione col gaz ossigeno. Trasmutasi allora in uno smalto nevato bollicosissimo, ed oltre al picciol lampo che vibra nel principio del fondersi, nell'attual fusione bolle e si gonfia.

Seconda specie. Questa ritrovasi in alcuni pezzi dell'antecedente lava, ma ha caratteri diversi dalla prima specie. D'una sottil crosta intonaca ella dunque [p. 57 modifica]diverse di quelle fossette, formando in tal guisa delle geodi, le quali però non sono internamente cristallizzate. Questa zeolite, che pende al bianco, è più trasparente dell'altra, e per la durezza sua taglia il vetro, quasi come il cristallo di rocca. Gli acidi minerali niente possono contro di lei, ancora che sia polverizzata, laddove creano qualche gelatina nella zeolite della prima specie. In quel che si fonde dal gaz ossigeno, manda un sottile bellissimo lampo, e cangiasi bollendo in un globetto vetroso e bianco.

Non è raro il veder dentro a queste geodi zeolitiche delle laminette di sulfato di calce trasparentissimo. Per accertarmi di tale sulfato, 100. grani di esso polverizzato furon posti in 600. d'acqua stillata, e bollente. La soluzione si ottenne, e l'acido ossalico ne precipitò la calce.

Terza specie. E' a globuli ovoidi, esternamente da un velo terroso imbrattati, ma interiormente bianchissimi. Nelle rotture si vede che constano di tanti opachi fastelletti fibrosi striati setacei e lustranti, che partono dal centro de' [p. 58 modifica]globuli, e che divergono alla circonferenza, formando tanti coni arrovesciati. Questi globuli (talun de' quali ha il maggior diametro di linee 4.) riempiono perfettamente le cavità d'una lava argillosa, leggiera friabilissima, e d'un color berettino. Non ogni cavità però alberga una zeolite conformata in tal guisa, ma alcune rinserrano ingemmamenti zeolitici a più faccette, confusi però talmente, che non lasciano distinguere la precisa configurazione de' cristalli. L'attenta considerazione par mostri chiaro, che è la medesima zeolitica sostanza, che quando ha occupato tutto il vano della cavità si è conformata in que' fibrosi fascetti aventi esteriormente globosa figura. Quando poi le rimaneva qualche spazietto libero, si è cristallizzata più o meno. Questi ingemmamenti lasciano sempre un picciol vuoto cristallizzato nel mezzo, formando così altrettante picciolissime geodi.

Il tubo ferruminatorio fonde prestissimo, e con bollimento questa terza specie, previo il fosforeggiamento alla fusione, e il perlato globetto che risulta, forma un vetro semitrasparente, abbondantissimo di bollicine. Se rompasi il [p. 59 modifica]globetto, il che richiede un colpo piuttosto forte, i suoi spigoli tagliano profondamente il vetro.

Questa zeolite, poco dopo che è stata posta negli acidi, si attacca al vaso in forma di crosta, e questa crosta non indugia a risolversi in una trasparente e tremolante gelatina, simile a quella del corno di cervo.

Quarta specie. La lava che dà ricetto a questa zeolite, è a base di pietra cornea, ma forma due specie, o almeno due varietà, in quanto che una è granulosa, aspra al tatto, e friabilissima, l'altra ha qualche morbidezza, è di grana fina, e di maggiore solidità dotata. Nel colore però, che è bigio, e nell'odore argilloso, convengono queste due varietà. Cotal lava dunque serra una moltitudine di appariscenti globuli zeolitici, da quelli di mezza linea fino ad alcuni d'un pollice, e rompendoli si trovano interiormente vuoti, formando altrettante geodi di più o meno perfetta cristallizzazione. Ove adunque la sostanza zeolitica si è trovata troppo angustiata nelle cavità della lava, la cristallizzazione, è imperfettissima, risultante cioè di prismi mezzo abbozzati, [p. 60 modifica]insieme ravviluppati e confusi. Se poi detta sostanza aveva là dentro alquanto di spazietto libero, i prismi non sono più sì indistinti: diversi almeno si vede che affettano la figura tetraedra. Ma ogni qualvolta i piccioli cavi della lava concedono spazio maggiore alla materia zeolitica, questa si è organizzata in prismi tetraedri, distintamente conformati. Ogni prisma dunque è a quattro facce, e la sua troncatura è netta. In qualche rarissimo luogo veggonsi però terminati i prismi da una piramide tetraedra. Molti di essi hanno la bianchezza del latte, e questi sono semitrasparenti, ma altri per la limpidezza emulano i cristalli quarzosi. Una sola geode conta qualche volta più ventine di prismi, ma tale altra pochissimi.

Il tubo ferruminatorio fonde facilissimamente coteste geodi co' soliti fenomeni della ebollizione, e del folgoreggiamento, e il vetro che ne deriva è similissimo a quello della zeolite della terza specie. Così è pure della gelatina, e della prontezza del formarsi dentro degli acidi, a riserva di avere un minor grado di viscosità. [p. 61 modifica]

Quinta e sesta specie. Due sono le specie di zeolite, che chiude in seno questa lava argillosa fosco-grigia leggiera, e di consistenza terrosa; e merita ciascheduna d'essere spiegata. La prima specie adunque forma delle sferette bianche come neve, numerosissime occupanti ciascuna una cavità nella lava, e varianti nella grandezza, che nelle più picciole giunge appena ad ⅓ di linea, e nelle maggiori s'inoltra tutto al più a tre linee. La superficie delle sferette non è liscia, ma scabrosetta per una infinità di punte, che alla lente mirate scopriamo essere le estremità di altrettanti minuti prismi tetraedri con troncamento netto. Rotte poi le sferette, ci accorgiamo che i prismi continuano dentro di esse, e assottigliati progrediscono fino al centro, o a parlar più giusto troviam che queste non sono che il risultato dei prismi insieme per la lunghezza ammassati. La porzione dei prismi immersa nelle sferette è opaca, ma quella che sporge in fuori ha un grado di trasparenza. Vogliam notare, che quantunque il più delle sferette sieno interamente solide, ne ha però diverse portanti [p. 62 modifica]un ritondo cavo centrale, che talvolta occupa ⅒ della picciola sfera.

Questa zeolite è più tenera d'ogni altra finora ricordata, e il coltello la intacca e la raschia.

La sesta ed ultima specie è una delle più belle zeoliti finora da' Naturalisti scoperte. Consiste ella in limpidi spiritosissimi cristalletti, che per essere in ogni parte sfaccellati, con vivezza riverberano la luce, e sfavillano quasi come altrettanti piccioli diamanti. Ingemmano numerosamente le cavità della medesima lava, ma con distribuzion diseguale, in quanto che alcune di tali cavità non ricettano che uno di questi cristalletti, altre ne albergano due, ed altre tre, quantunque queste ultime sieno rare. I più grandicelli non sogliono oltrepassare la linea, e i più minuti arrivano appena ad un quarto. Espiandoli su la lava, non è sì agevole l'esaminargli a dovere, ma molti senza lesione si possono da essa staccare, e allora a nostro agio ci è dato il considerargli in ogni lor parte sotto la lente. Conosciamo adunque che queste zeoliti dove riposavano su la lava, sono appianate; ma che per dissopra affettano [p. 63 modifica]la forma globosa, e che quivi manifestano la loro cristallizzazione: che i cristalli isolati, quelli voglio dire che nella loro formazione si trovan cresciuti senza attaccarsi ad altri cristalli, sono a 18. faccette, per lo più pentagone, o tetragone, non mai trigone, che tai cristalli isolati sono rarissimi, ma il più spesso aggregati, cresciuti cioè confusamente gli uni addosso degli altri: che in fine quantunque diversi di essi gareggino in limpidezza col più terso cristallo di rocca, ne sono però inferiori nella durezza, sfregiando appena il vetro. Su le prime sospettato aveva, che questa zeolite fosse una semplice modificazione della quinta specie, la quale ove trovato avesse spazio libero, conformata si fosse in que' brillanti cristalletti, isolati, o aggregati. Ma il sospetto mio non è stato in accordo con l'osservazione. Spesso accade che le biancheggianti sferette, che formano la quinta specie, occupino soltanto una metà, ed anche meno di quelle cavità, senza che mai prendan la forma della sesta specie, ma allora è osservazione costante, che i prismi tetraedri sporgono di vantaggio dalla convessità [p. 64 modifica]delle sferette, ed hanno maggior trasparenza. Dobbiam dunque dire, che sono due specie diverse.

Cotale divario viene confermato dal fuoco, e dagli acidi. Questi ultimi non agiscono, almeno sensibilmente, su la sesta specie di zeolite, quando riducon la quinta in fiocchetti gelatinosi. E quanto al fuoco, mezz'ora di fornace converte in goccioline di vetro trasparentissimo i cristalletti della sesta specie, rammollendo soltanto le sferette della quinta, le quali per la liquefazione richieggono un fuoco assai più allungato; e il globetto che ne risulta, è un vetro opaco di color di latte. Ambedue per altro godono della proprietà che suole esser comune alle zeoliti, cioè di fosforeggiare nel punto della fusione, come lo ha dimostrato il gaz ossigeno.

Esaminate le zeoliti di Lipari, ebbi talento di esaminarne una di quelle d'Islanda, venendo encomiate per le più eccellenti a formare un corpo gelatinoso. E certamente la gelatina avutane fu assai pronta, e bellissima, niente però superiore alla ottenuttane dalla terza, e dalla quarta specie. Bianchissima è questa [p. 65 modifica]forestiera zeolite, e forma un gruppo di fascetti conici strettamente conglutinati, ed incrocciantisi in varj sensi, terminando le estremità divergenti in una moltitudine di aghi informemente cilindrici. Alla fornace si gonfia, e fassi considerabilmente più leggiera, ma non si fonde. Al gaz ossigeno dà uno smalto duro lattato, e bollicoso.

Se vorremo paragonare queste nostre osservazioni con le altrui, troveremo che il più delle zeoliti liparesi hanno la massima somiglianza con quelle d'altre contrade. E primamente osservo, che la prima specie è molto analoga a quella dell'Isola di Ferroe, che il Born descrive nel suo Litofilazio, paragonandola perappunto al calcedonio stalattitico.

La seconda specie per la durezza è paragonabile ad alcune cristallizzate zeoliti dell'Isole de' Ciclopi dell'Etna, le quali, come ha osservato il Sig. Dolomieu, e come dopo ho sperimentato io stesso, di poco in questa parte sono inferiori al cristallo di rocca.

Le tre altre specie non differiscono essenzialmente da diverse descritte dai Sigg. Vallerio, Born, Bergman, Faujas, ec. [p. 66 modifica]trovate all'Isola di Ferroe, nel Vivarese, ed in altri Paesi vulcanizzati. Ma la sesta specie emmi sembrata nuova, almeno non trovo Scrittore, che favelli d'una zeolite cristallizzata costantemente a 18. facce, ogni qualvolta i cristalli sono isolati. Non so tampoco se fin quì sia stata scoperta zeolite sì brillante, e di tanto spirito, come la presente.

Pare che la verace figura della zeolite sia il cubo: almeno ella affetta sempre questa forma, ove la sua cristallizzazione non trovi ostacoli. Secondo le circostanze si modifica però più o meno, e i prismi tetraedri della specie quarta, e quinta sono probabilmente una di così fatte modificazioni. La prima, e la seconda sono amorfe, ma la terza lascia discernere un principio di cristallizzazione. Una di queste modificazioni si dà pure a vedere nella sesta specie: e sappiamo esservi zeoliti d'altra configurazione, quale cioè di 24. faccette, quale di 30.

Per detta di qualche Naturalista la zeolite più bianca, e più pura di Ferroe è la sola, da cui si ottenga un vetro trasparente, e bianco. Il vetro però [p. 67 modifica]della sesta specie lo trovo preferibile, avendo il colore acqueo, e la sua trasparenza va quasi del pari a quella del cristallo quarzoso. Non ho trovato, che alcuni cristalli zeolitici dell'Isole de' Ciclopi, che mi forniscano un vetro paragonabile a questo.

Ogni amatore della Mineralogia non ignora che il Cronstedt è stato il primo a distinguere questa pietra dai carbonati di calce, co' quali era stata confusa, e a svelarci diverse delle sue principali qualità. Tra queste egli osserva, che gli acidi minerali non fanno effervescenza con lei, ma che però lentamente la sciolgono in un corpo gelatinoso. E questo lento scioglimento, e conversione della zeolite in gelatina, sono stati in seguito confermati da altri, quantunque poi gli esami sopra novelle specie instituiti abbiano fatto vedere, esservene più d'una che dagli acidi eziandio più concentrati non rimane punto intaccata. Nelle sei specie di Lipari si è mostrato, che la terza, e la quarta formano prestissimo con gli acidi un trasparente corpo gelatinoso, che cotal corpo è meno caratterizzato nella prima e nella quinta, e che [p. 68 modifica]è nullo nella seconda specie, e nella sesta.

Il Sig. Pelletier nella sua analisi della zeolite di Ferroe ha scoperto, che è composta di 20. parti di allumina di 8. di calce, di 50. di silice, e di 22. di flemma. Altre analisi in altre zeoliti sono state operate dai Chimici Bergman, Meyer, e Klaproth. La picciolezza delle mie, e più anche l'inopia, non mi hanno conceduta quella estensione di tentativi che si è potuta fare dai citati Autori. Ne ho però ottenuto abbastanza per conoscere che nella seconda, e nella sesta specie la silice è in una proporzione assai maggiore, che nella zeolite esaminata da Pelletier; e questa forse è la cagione, per cui tali due specie non formano sedimento gelatinoso; la soprabbondanza della terra quarzosa non permettendo agli acidi l'estrazione della calce, e dell'allumina, e però i principj prossimi della zeolite proseguono a restare strettamente insieme uniti.

La dissoluzione gelatinosa della zeolite siccome non è qualità estensiva ad ogni specie, così non può dirsi privativa, mostrato avendo l'esperienza, che è [p. 69 modifica]comune ad alcune di quelle pietre, i cui principj prossimi sono gli stessi, che quelli delle zeoliti, e ritrovansi in certa proporzione combinati. Questa identità di principj, che in qualche genere di pietre fornisce con gli acidi il medesimo gelatinoso prodotto, m'invaghì di un esperimento, il cui esito quì accennerò. Gli scolorati vesuviani granati contengono, secondo il Bergman, 55. di silice, 39. di allumina, e 6. di calce. Giacchè adunque al Vesuvio ne aveva fatta buona raccolta, volli cimentarli cogli acidi nel modo stesso che fatto aveva con le zeoliti. Ma nelle tre prime varietà di sopra indicate, eziandio faccendole in polvere, inutilmente aspettai la gelatinosa sostanza. Non così fu della quarta, non già adoperando i medesimi granati, giacchè allora fu vano il tentativo, ma altri della stessa specie, che ivi non commemoro, sommamente rammolliti dagli acidi sulfurei, non ostante che conservassero la figura di 24. faccette. L'acido adunque nitrico in capo di tredici ore li riduce a gelatina, non però sì bella, come ce la forniscono le zeoliti. È adunque forza l'inferire che questa [p. 70 modifica]attitudine al disciogliersi, nata sia nei granati per l'alterazione sofferta, mercè cui l'acido nitrico penetrandone l'interno abbia agito su loro, come agisce in più zeoliti.

Si è creduto che le zeoliti appartengano esclusivamente ai Paesi vulcanizzati, perchè quivi sogliamo ritrovarle, e le mie osservazioni potrebbero avvalorarne la credenza. Ma d'altronde è fuor d'ogni dubbio, che rinvengonsi anche spesso in quelle Regioni, dove non appariscono indizj vulcanici, come ne somministrano incontrastabili pruove Cronstedt, Linneo, Bergman, ed altri.

Sembra egualmente fermo, che le zeoliti de' Vulcani non debbano la loro origine al fuoco, ma sieno avventizie a cotai luoghi, non già nel senso che preesistessero alle eruzioni vulcaniche, e che dalle correnti lave sieno state prese, e ad esse incorporate, come vorrebbe qualche preclaro Vulcanista, ma in quanto che si sono generate dopo l'estinzione degl'incendj, mediante le loro parti costitutive depositate dall'acque nelle cavità delle lave, ed ivi per l'affinità insieme combinate, dando origine a questi [p. 71 modifica]corpi lapidei, ora amorfi secondo le circostanze, ora cristallizzati; nella guisa stessa che detto abbiamo, e provato essersi formati in certe lave presso il litorale di Lipari non lungi da Vulcano que' nobilissimi ingemmamenti quarzosi. E le già narrate zeoliti dimostrano questa verità, quelle sopra tutto, i cui cristalletti prismatici hanno per base le cavernose pareti delle lave.

Poniam fine a queste considerazioni intorno alle zeoliti con la seguente ricerca. Il Sig. Dolomieu è persuaso, che le zeoliti dei terreni vulcanizzati non si riscontrino che in que' siti, i quali sono stati coperti dall'acque del mare. E gli argomenti che adduce a me sembrano assai convincenti quanto alle moltiformi zeoliti da lui osservate. Che dovremo noi dunque dir delle nostre? Al certo non ho lasciato di far sopra luogo le più attente disamine. Detto abbiamo che queste pietre esistono nei contorni delle Stufe. La prima specie ritrovasi a 200. piedi circa innanzi di giungere ad esse dalla parte della Città di Lipari. Le altre specie sono sparse a maggiore distanza nel dirupato fianco del Monte esposto [p. 72 modifica]al sud. Una delle pruove sicure, che tai luoghi sieno stati anticamente allagati dal mare, sarebbe quella di trovare in essi delle spoglie, o delle impronte di viventi marini. Così il dianzi nomato Francese osserva, che all'Etna le lave dell'Isole de' Ciclopi, e quelle delle montagne di Trezza, che abbondano in zeoliti, sono state sicuramente seppellite dall'acque del mare, giacchè al dissopra di più di dugento pertiche di queste lave zeolitiche si trovano in immensa copia i marini testacei. Altrettanto a diritta ragione possiam supporre de' vulcanici monti Vicentini, dove non mancano belle zeoliti, e dove sono pur copiose queste reliquie di mare. Il vero è però che tutte le Eolie, non che Lipari, non offrono vestigio di animali, nè di piante marine. Non dirò già che questa sia una fisica dimostrazione, che il mare coperto non abbia cotesti luoghi, esser potendo che i marini corpi sieno stati inseguito distrutti da qualche cagione; e le cosiffatte struggitrici cagioni ne' terreni che in varie epoche provata hanno l'azione del fuoco, non mancano. Dirò solo, che quì siam privi di una delle più belle [p. 73 modifica]testimonianze degli allagamenti marini; nè, saprei quale altra escogitar si potesse in un Paese, dove tutto è vulcanico. Che le zeoliti sieno figlie dell'acqua, non del fuoco, lo comprova l'acqua di cristallizzazione, più o meno in esse abbondante, e la moltiplicità di quelle che esistono in alcune Provincie della Svezia, non mai sottoposte all'azione del fuoco. Che quest'acqua stata sia talvolta marina, pare non ne lascino dubitare le riferite osservazioni del Dolomieu: ma è dimostrato del pari esservi dei casi, in cui sono originate da acqua dolce, e un'osservazione del Bergman può fornirne un esempio. Scrive egli adunque che cert'acqua termale in Islanda presso Laugarnes allorchè esce bollente di sotterra non lascia sedimento di sorta, ma ne lascia bene nel fondo d'un rio dove dopo scorre raffreddata, e il prodotto sedimento è veramente zeolitico, siccome lo dimostra il chimico esame[7]. L'acqua essendo cocentissima, siccome egli spiega assai bene, pone in dissoluzione la materia [p. 74 modifica]zeolitica, ma divenuta in seguito fredda, non ha più il potere di sostenerla; la quale perciò precipitando forma quella stalattitica concrezione. E da questa nobile osservazione si potrebbe spiegare la frequenza delle zeoliti in più Vulcani, in quanto che l'acqua (sia salsugginosa, sia dolce) fortemente riscaldata da' sotterranei fuochi ha sciolte le sostanze zeolitiche, che poscia depositate dentro alle lave, si sono cristallizzate, oppur sono restate amorfe, secondo la diversità delle circostanze.

Ove il viaggiatore Naturalista ha superata la sommità del Monte delle Stufe, egli è pervenuto da quella parte ai confini dell'Isola; giacchè al di sotto vede subito il mare, più basso di lui 460. piedi circa a misura dell'occhio. Torcendo poscia il cammino al sud trova più sorgenti d'acqua calda, una delle quali forma i Bagni di Lipari antichissimi eglino pure come le Stufe, ma egualmente che loro pressocchè abbandonati. E continuando i passi per la medesima direzione, si abbatte di nuovo in una prodigiosa immensità di lave decomposte, somigliantissime a quelle delle Stufe, [p. 75 modifica]dipinte medesimamente con gli stessi varianti colori, e sparse altresì di croste di sulfato di calce.

Col pensiere raccogliendo in uno tutti questi aggregamenti di lave decomposte, i quali formano un'area di più miglia, esso viaggiatore meravigliando rimane in forse, se siavi Regione vulcanizzata in Europa, dove gli aliti sulfurei esciti dagl'incendj sotterranei, usurpata si sieno tanta estensione. Quelli della Solfatara di Pozzuolo, che hanno imbiancato il suo cratere, e che da ogni Scrittore di questo Vulcano vengono con qualche sorpresa rammemorati, sono certamente quasi un nulla per la latitudine a fronte di questi. Di tante esalazioni sulfuree, che hanno ingombrato sì vasto spazio dell'Isola, non ve n'è però una sola al presente, che più sia in azione, tranne qualche esilissima fumigazione, che si solleva appena di terra presso le Stufe.

Tre volte mi recai alle Stufe. Le due prime mi ritornai alla Città per la strada istessa che preso aveva nell'andarvi, e che è scolpita nel tufo. Ma la terza rivolsi il passo a Campo Bianco, [p. 76 modifica]e al Monte della Castagna, e di là mi spinsi all'altissimo Monte S. Angelo. Abbiam già veduto, che il Monte della Castagna, e Campo Bianco sono due Montagne non d'altro formate che di pomici e vetri, che è quanto dire di sostanze vetrificate (Capitolo XV.). Ma cotali sostanze quanto spaziose hanno mai le radici! La pendice del Monte delle Stufe, e l'ampla sua pianura sottogiacenti al tufo, formano, come si è osservato, un letto di pomici miste a più vetri, e a più smalti. Ma ad un quarto di miglio dalle Stufe verso Campo Bianco, perdutosi di vista il tufo, ricompajono a nudo le pomici, che continuano con quelle di detto Campo, e le ho pur trovate nel cammino di là preso al Monte S. Angelo, il qual Monte ne abbonda egli stesso, e per tutto la pomice non va scompagnata più o meno dei vetri. Ed unitivi gli altri tratti di Lipari manifestanti le stesse materie (Capitolo XV.) non sono punto esageratore dicendo, che pressocchè due terzi di quest'Isola, che ha il giro di miglia 19½, sono vetrificati.

Questa immensa, e quasi incredibile copia di vetrificazioni, è facile che risvegli [p. 77 modifica]nell'animo de' Lettori un pensiere, che si destò pure in mente mia la prima volta, che mi si affacciarono cotesti luoghi, ed è che il fuoco sia qui stato poderosissimo. Cotesta idea sembra al certo naturalissima. Pure dall'esperienza sono stato in seguito ammaestrato, non essere stata per sì prodigioso ammassamento di corpi vetrificati necessaria a' sotterranei incendj tanta possanza. E' indubitato che alla produzion delle pomici, degli smalti, e dei vetri si richiede più calorico, che per la semplice fusion delle lave, ove queste tre sostanze riconoscano la medesima base. Questo maggior calorico però esser non dee grandissimo, se si considerino le qualità delle pietre, d'onde provenute sono queste Montagne vetrificate. Le più sono feldspati, e petroselci, con qualche rara pietra di corno. Quanto è dell'ultima, si è già fatta vedere la facile sua vetrificazione al fuoco della fornace da' vetrai, che non è dei più forti, al qual fuoco invetransi pure molti petroselci, ed alcuni feldspati (Capitoli V., e XI.). Si è inoltre mostrato come i vetri, le pomici, e gli smalti di Lipari parton tutti dalla fornace [p. 78 modifica]pienamente rifusi. Di più crederei di aver pruove dirette, che quel fuoco vulcanico è stato inferiore a quello della fornace, argomentandolo io da diverse sostanze, sì cristallizzate che amorfe, che qualche volta per niente fuse si ritrovano incorporate alle pomici, ai vetri, e agli smalti di Lipari, e che alla fornace si sono perfettamente squagliate.

Negar però non possiamo, che qualche tratto i fuochi generatori di Lipari sieno stati veementissimi, se per le osservazioni del Dolomieu sono giunti a fonderne il granito composto di quarzo, feldspato, e mica, e a convertirlo in pomice (Capitolo XII.).

I vecchi Scrittori ci hanno arricchiti di belle ed istruttive contezze su lo stato degl'incendj, che a' loro tempi e prima ardevano a Stromboli, e a Vulcano; e di esse ci siam giovati ragionando di queste due Isole. Nulla abbiam detto su gli antichi fuochi delle Saline, e di quel fascio di scoglj, che una volta verisimilmente eran porzione dell'Isola Euonimos, per serbarne alto silenzio l'Antichità. E possiamo soltanto inferire, essere stata nota agli Antichi la vulcanizazzione [p. 79 modifica]di queste due Isole, per l'autorità di Diodoro, affermante che tutte quante le Eolie sono andate soggette a grandi eruttazioni di fuoco, e che i loro crateri, e le loro bocche a' suoi giorni erano ancora conspicue[8]. Quanto è di Lipari, pochissimo altresì è stato a noi tramandato delle più rimote sue infiammazioni. Si hanno documenti sicuri della grande antichità di quest'Isola, siccome quella che esisteva innanzi la guerra Trojana, sapendosi che alla medesima, dopo la presa di Troja, approdò Ulisse, e che da un mese intiero vi dimorò, trattenutovi dalla urbanità, e dalla cortesia del Re Eolo[9]. E quantunque nel [p. 80 modifica]racconto di Omero vi possa essere qualche libertà di capriccio, certa cosa è però, che nominata non avrebbe quest'Isola molto meno la Città sua, se quando scriveva il Poema, ella non avesse esistito; il che forma un'epoca di tre mila anni, o in quel torno. Ma consultando le Memorie di altri antichissimi, e fededegni Scrittori, sappiamo che innanzi ad Eolo quivi regnava Liparo; da cui l'Isola prese il nome, e che questa prima di lui appellavasi Melogonis, o Meligunis, come altri vogliono. Ma un'altra riflessione più confacente al nostro istituto quì cade opportunissima. Un'Isola formata per deposizioni, e pel susseguente ritiramento dell'acque, può essere in breve coltivata, e abitata: non così se generata dal fuoco, cioè da sotterranee eruzioni, richiedendovisi la scomposizione delle materie vulcanizzate, che è quanto dire un tempo incomparabilmente più lungo. Se adunque Lipari molto anteriormente all'incendio di Troja aveva abitatori, Città, e coltura, ognun vede quanti secoli più addietro dobbiam supporre la sua esistenza.

[p. 81 modifica]

Dal tempo però che la Storia ha cominciato a far menzione di quest'Isola fino al giorno d'oggi, sembra potersi asseverare, non essere in lei seguita una vera eruzione, una corrente di lave, altrimenti non sarebbe stata taciuta, siccome non si sono taciute quelle di Stromboli, e di Vulcano. Solamente qualche antico Scrittore, come Aristotele, ci parla di fuochi che ardevano a Lipari, ma visibili soltanto di notte[10]. E gli Scrittori venuti in seguito nulla ci dicon di più. Ne deduco adunque che quest'Isola diversamente dall'accaduto a Stromboli, e a Vulcano, pervenuta era al suo massimo ingrandimento pria che ne parlassero gli Uomini. Un'altra illazione non vogliam pretermettere. Assai lave di Lipari, siccome è detto, sono tuttora quasi intatte, soprattutto le vetrose, gli smalti, e i vetri. Eppure per le cose già mostrate gli è fermo, che al di sopra di tre mila anni esistevano già questi corpi. [p. 82 modifica]Quindi possiamo fare argomento della tempera, dirò così, adamantina che sa imprimere il fuoco a diverse sostanze contro il tormento delle stagioni, e delle età.

Quando ho prodotta l'antichità di Lipari, autorizzata da Omero, non ho preteso di escludere le altre Isole compagne, quasi che fossero posteriori di tempo. Sono anzi persuasissimo, appoggiato a' documenti storici, che quì non rileva l'addurre, che a quel tempo (tranne Vulcanello) ci esistessero tutte, e probabilmente il greco Poeta non fa cenno dell'altre, sol perchè Lipari era la più grande, la più fruttifera, la più rinomata, dove il Re Eolo aveva stanza, ed Impero.


  1. De Productis Vulcaniis.
  2. Voyage dans les Alpes Vol. I.
  3. L. c.
  4. L. c.
  5. Nel Capitolo XIII. si è mostrato che le decomposizioni dei diversi prodotti di Stromboli, e di Vulcano sono originate non già dall'acido muriatico, al quale secondo il Sig. Sage si debbono le precipue alterazioni dei Vulcani, ma dalle esalazioni acido-sulfuree. Gli scomponimenti attorno alle Stufe di Lipari io li suppongo col Sig. Dolomieu provenuti dall'istessa cagione, troppo accertata per la indicata reliquia de' fumi sulfurei, e per la multiplicità dei sulfati di calce, cui tra poco prendo a descrivere.
  6. A toglier gli equivoci fia bene ripetere il già detto al Capitolo II., cioè non sussistere la pretesa metamorfosi della silice, o di altra terra in argilla nella decomposizion delle lave, che anzi in tal caso viene questa sminuita per l'allegata ragione.
  7. Opusc. Vol. III.
  8. Αὗται δὲ πᾶσαι πυρὸς ἐσχήκασιν ἀναφυσήματα μἐγάλα, ὧν κρατήρες οι γεγενημένοι, καὶ τὰ στόματα μεχρι τὂ νῦν εἰς, φανερά. L. V.
  9. Αἰολιην δές νῆσον ἀφικόμεθ', ενθα δ'ἔναιεν Αἲολος Ιπποτάδης, φίλος ἀθανάτοισι θεοῖσι, Πλωτῇ ἐν νήσω.
    · · · · · · ·
    Καὶ μὲν τῶν ικόμεσθα πόλιν, καὶ δώματα καλά. Μήνα δὲ πάντα φίλει με, καὶ ἐξερέεινεν έκαστα, Ίλιον, Αργείωντε νέας, καὶ νόστον ᾿Αχαιών.

    Homer. Odyss. lib. Χ.

  10. Καὶ τὸ ἐν τῇ Λιπάρα δὲ πῦρ φανερὸν και φλογῶδες, οὐ μὲν ἡμέρας, ἀλλὰ νυκτὸς μόνον καὶ εσθαι λέγεται. In Mirandis.