Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino/Capitolo XXIX
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CAPITOLO XXIX.
pescagione del corallo che fassi
nello stretto di messina.
Faticosissima e pericolosa questa pescagione. Ordigno necessario per intraprenderla, ed avvertenze nel gettarlo in mare. Luoghi determinati dello Stretto dove si va in cerca di tale prodotto. Profondità diverse, nelle quali si pesca. Siti dove nasce per preferenza, e pescasi più copioso. Comparazione di questo corallo con quello di Trapani, e di Barbaria. Varietà de' suoi colori. Decennio richiesto perchè diventi maturo. Lucro che annualmente se ne tragge. Confronto di queste osservazioni con diverse di quelle pubblicate intorno a questo piantanimale dal Conte Marsigli. Tale confronto fa vedere, primo non essere sempre vero, siccome egli credeva, che i siti acconci alla vegetazione del corallo sono quelli dove il mare è tranquillo secondo che esso prospera benissimo a profondità maggiori di quelle ch'egli stabiliva: terzo che non sussiste in generale che dove il corallo cresce più prontamente, giunga appena in dieci anni a un mezzo piede di altezza: quarto che non si verifica che i coralli nascano solamente e crescano nel cielo delle caverne, e che i loro rami sieno sempre rivolti al centro della terra: quinto che oltre ai coralli rossi se ne pescan d'altri colori, e nominatamente dei bianchi, non ostante che l'illustre bolognese Naturalista fosse persuaso del contrario. E a comprovazione di ciò si descrive una serie di branche coralline a diversi colori, pescate in quel Canale. Si dimostra come il bianco corallo fuori del colore, non differisce punto dal rosso. Lo sbaglio del Marsigli che i polipi del corallo fossero altrettanti fiori ha dato luogo allo scoprimento di una verità così inaspettata, come importante. Opinione verisimile de' corallai Messinesi, che il corallo immaturo sia meno consistente del maturo, non ostante l'esser falso che dentro al mare sieno molli i coralli, e che indurino al tocco dell'aria, secondochè pensavan gli Antichi. Difficoltà di spiegare perchè cagione quanto più si discende nel mare, tanto più piccioli vegetano i coralli. In qual senso debba intendersi l'osservazione del Donati, che i rami rotti e staccati dal corallo seguitano a vivere, e a moltiplicare dentro al mare. A corallai Messinesi non affatto incognita la vera generazion del corallo. Loro opinione sopra i coralli morti, talvolta forati da' vermi litofagi.
Ad onta d'essere più o meno agitato questo angusto tratto di mare, nel suo fondo in ogni stagione si va in cerca di questo prezioso piantanimale (Isis nobilis) purchè il vento, e la corrente non faccian temere di seco rapir le barchette de' corallai. Questi però sono sempre marinari, e pescatori di Messina, richiedendovisi persone esercitatissime su questo Mare, ed insieme robustissime, giacchè la pescagione oltre l'essere più fiate pericolosa, e anche faticosissima, per dover resistere a forza di remi a un mare sempre in movimento; e non evvi forse gente, che duri maggiormente alla fatica del remo, quanto i Messinesi.
L'ordigno di che si valgono per isvellere dagli scogli le branche del corallo, non differisce sostanzialmente da quello, che viene rappresentato, e descritto dal Conte Marsigli nella sua Storia del Mare, e che s'usa pure in altri paesi, voglio dire che è formato di due legni che si tagliano ad angoli retti, a ciascun de' quali è attaccato all'estremità per di sotto un pezzo di rete, oltre una grossa pietra raccomandata dove s'incrocciano i legni, la quale agevola la discesa dell'ordigno nel fondo. Questo poi nel mezzo è a più doppi legato da una fune, che coll'altro capo esce dall'acqua, e si tiene in mano da' pescatori, e si conduce su que' luoghi, dove credono vegetare il corallo, che avviluppano con que' pezzi di rete, e che schiantano, e tirano a se.
Dissi che l'ordigno per pescare il corallo non differisce in sostanza da quello che viene descritto dal bolognese Naturalista. Non è però inopportuno il notare, che l'adoperato da' pescatori Messinesi è più grande, ed è corredato nel mezzo di maggior peso. Ciò fanno perchè non venga trasportato dall'impeto della corrente prima di giungere al fondo. Inoltre si butta sempre da poppa, e non dai fianchi della barchetta, come si osserva nella Fig. del Marsigli, forse per il pericolo che sì faccendo, il peso dell'ordigno unito all'azione della corrente non rovesci la barca.
Fassi cotal pesca dalle foci del Faro fino dirimpetto alla Chiesa della Grotta, cioè per la lunghezza di sei miglia, e fino alla distanza di tre da Messina. Fuori di questo spazio non si pesca punto, sia perchè mancano gli scogli, su cui nasce il corallo, sia perchè questi sono profondi a segno, che rendonsi inoperosi gli ordigni, sia fors'anche perchè la violenza della corrente niega alle pescherecce barchette il fermarsi ivi lungamente[1].
Soltanto da sei anni in poi sono stati scoperti due scogli al sud, otto miglia al di là di detta Città, in faccia al Canale di San Stefano, i quali copiosamente portavano eccellente corallo. A riserva dello Stretto in nessun altro luogo fassi al presente cosiffatta pescagione.
Gli scogli producenti il corallo giacciono quasi nel mezzo dello Stretto a diversa profondità, dai piedi 350. fino ai 650. Tanto più cresce questa profondità, quanto maggiormente ci avviciniamo all'imboccatura del Faro, dove mai non si pesca, per essere da 1000. piedi profondi questi scogli, secondo che asseriscono i corallai.
Gl'incavamenti, e le grotte degli scogli sono i luoghi di dove con le reti sogliono sterpare il corallo. Non è però che non nasca eziandio fuori di esse, e ai lati degli scogli, ma d'ordinario in copia minore. Ella è poi osservazione costante, che ogni branca è sempre perpendicolare al piano su cui è nata, senza mai torcer dai lati.
Il corallo nasce più copioso nei siti all'est, che al sud; rarissimo si trova all'ouest, nè mai al nord. Così più grosso e più colorito è il primo del secondo, e del terzo. Le quali due pregevoli qualità riscontransi medesimamente in quello che pescasi a minore profondità, comparato all'altro che trovasi a profondità più grande. La maggiore sua altezza non arriva mai al piede; la grossezza ordinaria è quella del dito mignolo, ed un poco minore di quella del corallo delle coste di Trapani, e di Barbarìa; il messinese però la vince nella vivezza del colore. Tale diversità per asserzione di que' pescatori proviene dal nascere il loro corallo in un mare da cima a fondo sempre commosso dalla corrente e da venti.
In risguardo al colore se ne distinguono tre fatte: il corallo rosso, il vermiglio, e il bianco. Il primo si suddivide in rosso cremesino carico, ed in rosso più chiaro. Il vermiglio è rarissimo, ma comune il bianco. Per bianco intendono essi tanto il bianco chiaro, quanto il bianco cupo.
Que' pescatori di corallo hanno diviso tutto il tratto dello Stretto ove pescano, in dieci porzioni. Ogni anno non pescano che in una sola di queste porzioni, ne vi tornano a pescare se non passato il decennio. Questo decennale intervallo lo credono necessario al corallo perchè acquisti l'intiero suo accrescimento in altezza, e la piena consistenza. Quando di fatti trascurano questa legge, trovano il corallo più minuto e meno consistente; e l'intensità del colore è sempre in ragione del numero degli anni scorsi dalla prima pesca. Passato il decennio credono essi, che il corallo più non cresca in altezza, ma solamente in grossezza, la quale però ha i suoi limiti. In effetto hanno osservato che il corallo pescato nella parte accennata di San Stefano, luogo ove a memoria d'uomini non era mai stato pescato, quantunque fosse d'un intentissimo colore, non era però maggiore in altezza del corallo ordinario, sebbene in grossezza lo superasse d'un terzo.
Diciotto o venti sono le barche, che di conserva ne fanno la pesca, e ciascuna suole essere corredata di otto uomini. La quantità del corallo che si pesca può montare per ciascun anno a dodici quintali siciliani. E' noto che il quintale consta di libbre 250, e la libbra di once 12. Il lucro adunque che ne proviene compensa le fatiche. Questa occupazione però si può chiamar secondaria, riserbandosela i pescatori, ove non possano in altra guisa procacciarsi maggior guadagno.
Ognun vede che le fin ora esposte notizie non mi potevano essere con più sicurezza fornite, quanto da' medesimi corallai. Volli anch'io intervenire alla pescagione, anzi si fece espressamente per me. Le branche del corallo che si prendevano, come si cavavano dalle reti, io le riponeva in vasi di vetro pieni d'acqua marina. Si sa che con tal mezzo i bianchi polipi escono dalle cellette del corallo, subito che venga tolta ogni agitazione nell'acqua. Vidi e tornai a vedere questi polipi, giacchè era la prima volta che gli osservava, ma non ebbi di che accrescere le nobilissime osservazioni di Peyssonel, di Iussieu, di Guettard, di Donati, e le recentissime del celebre Cavolini, le quali sembra che più nulla lascino a desiderare intorno alla compiuta conoscenza di tali animalucci, e alle naturali loro abitudini. Le riferite contezze mi diedero però l'agio di accrescere, ed anche in parte di rettificar quelle dell'illustre nostro Italiano, Conte Ferdinando Marsigli, relative al presente soggetto.
I siti acconci secondo lui alla vegetazione del corallo, sono quelli dove il mare è tranquillo, come in uno stagno; e più ne abbondano, se esposti sieno al sud, meno se guardino l'ouest; ne vanno poi privi affatto quelli che hanno l'aspetto settentrionale.
Quanto alla prima osservazione apparisce già che non è sempre vera, nascendo anche, e perfezionandosi il corallo in un mare turbato sempre e sconvolto, quale si è quello di Messina. Solamente per cotal turbazione ivi non acquista il corallo quel grado di estensione, che altrove si osserva.
Per conto della seconda osservazione, ella si accorda con quelle de' pescatori di Messina, salvo che quì l'aspetto all'est più d'ogni altro concorre alla copia del corallo, laddove questa primeggia al sud ne' luoghi marittimi dal Marsigli osservati.
Statuisce egli, che la minima profondità dove cresce il corallo, è di 10. piedi, la massima di 750, ma che la più ordinaria è tra li 60, e li 125. piedi.
Detto abbiamo, che la profondità alla quale si pesca il corallo presso Messina è dai 350 piedi fino ai 650; non già che non potesse ivi vegetare il corallo a profondità minore di 350 piedi, ma perchè questa è la menoma profondità di quegli scogli. Così è probabile, che anche al di là dei piedi 650 pulluli questo zoofito, ma per essere a tanta profondità la pescagione più laboriosa, e più disagevole, non si curano di farla que' marinari. Onde le costoro osservazioni possono accordarsi con quelle del Marsigli per ciò che risguarda la somma e la minima profondità, alla quale si fa acquisto del corallo. Ma discordano per l'altezza frapposta ai 60, e ai 125 piedi, nella quale a detta di lui più ordinariamente nasce il corallo, nascendo egualmente in fondi di gran lunga più bassi, voglio dire dai piedi 350 fino ai 650.
I pescatori, da' quali prese lingua sul corallo il lodato Naturalista, eran d'avviso, che dove esso cresce più prontamente, cioè a minore profondità, giunge appena in dieci anni a un mezzo piede di altezza.
La loro asserzione, siccome verisimilmente appoggiata a qualche fatto, non oso di metterla in dubbio; dico tuttavia che non possiamo generalizzarla, poichè i coralli messinesi a capo di un tal tempo acquistano la massima altezza, che accostasi a quella d'un piede. Il che mirabilmente si comprova dai discoperti presso San Stefano, dove per non essersi mai pescato, avevano avuto tutto il tempo di pervenire alla compiuta naturale maturità, i quali quantunque più grossi, non eran però niente più alti di quelli, che passato il decennio traggono i corallai dagli scogli, dove da tempo immemorabile s'instituisce tal pesca.
Vuole il Marsigli che i coralli nascano e crescano nella sola volta delle caverne, e che i loro rami sieno sempre rivolti al centro della terra.
Che il corallo vegeti attaccato al cielo delle grotte subacquee, e vegeti capovolto, non di rado l'uno e l'altro si osserva. Ma sappiamo egualmente che pullula fuori delle grotte, attaccandosi, e crescendo dove che sia, su le pietre in fondo al mare, su gli abbandonati gusci di conchiglie, e sopra qualunque altro solido corpo: e allora non è mai capovolto. Nelle diverse tratte che fecero que' corallai, quando io era presente alle loro pescagioni, più d'una volta le reti trasser fuora delle morte valve di ostriche, e di came, alle quali erano aderenti picciole branche coralline. Erano pure pochi anni che col loro ordigno pescato avevano un vaso rotto di terra cotta, la cui interna superficie era tappezzata di branche di corallo con la direzione delle cime verso l'orificio, dal quale usciva ancora una porzione de' ramoscelli. Ragionando della pescagione del corallo che fassi attorno a Lipari ho detto che sotto al suo Castello ne fu presa una rama nata in fondo al mare su d'un pezzo di smalto vulcanico (Capitolo XXIV.).
Questi fatti non solo dimostrano il nascimento del corallo fuori delle grotte marine, ma che nasce bene spesso co' rami rivolti all'insù.
Secondo le osservazioni del Marsigli il color naturale del corallo è tra il rosso risentito, e il bianchiccio carniccino. Del bianchetto poi, e d'uno schietto color di latte, e che sia fresco, e vestito della sua corteccia, aggiugne egli di non averne mai veduto. Insegna bensì che nella cera e nel latte faccendo bollire il corallo, di rosso che era si fa bianco. Scrive Pallas di aver visto nel Museo Britannico un insigne ramo di corallo lattato, e un altro ramo d'un bel vivo color di carne, ma non vuol farsi mallevadore che fossero naturali (Elem. Zoophyt.).
I corallai messinesi fanno vedere che le asserzioni del Naturalista italiano, e le dubbiezze dell'Accademico di Pietroburgo non sono fondate, giacchè oltre ai coralli rossi nello Stretto di Messina se ne pescan dei bianchi. Quando mi trovava presente a quelle pescagioni, i coralli tratti del mare furon tutti rossi. Prima però ch'io di là partissi il dotto mio amico Abbate Grano sapendo i miei desiderii di avere alcune branche di corallo bianco del suo Canale non solo compiacquesi di farmele avere dopo il mio ritorno a Pavia, ma generosamente mandommi una serie di branche coralline da quelle che più e meno son rosse all'altre che prendono un fosco cenerino, e che da questo passano ad un più chiaro, e che finalmente si fanno bianchissime. Di queste pregevoli branche, che presentemente accrescon la classe dei Piantanimali del R. I. Museo di Pavia, reputo confacente a questo luogo di toccarne le principali.
I. La corteccia di questa rama ha il colore della cera-lacca, ma il solido corallo è porporino con qualche trasparenza all'estremità dei rami.
II. La corteccia nel colore è somigliante a quella della I. branca, ma il rinchiuso corallo solido ha rosso men vivo.
III. Cenerino-livida ne è la corteccia, cenerino il solido corallo, cui però va unita una debile sfumatura rossigna.
IV. Dal medesimo ceppo spuntan quattro rame distinte, due pallido-rosse nella corteccia, e nel solido corallo bianco-rossigno, e la quarta biancheggiante alla corteccia, e più ancora nel corallo solido.
V. Raccolgo in uno tre branche, il cui colore sì nella corteccia, che nel solido corallo è bianco lattato.
Oltre a queste fuggitive osservazioni sul colore, volli farne qualche altra su la struttura delle parti corticali, e delle parti dure dei coralli bianchi. Sono adunque vestiti d'una bianca, e friabile corteccia, che coll'ugne si stacca, e che in qualche corallo dove è più conservata sollevasi in tumoretti conoidi, aperti alla cima da una boccuccia ottoraggiata, che mette dentro alle cellette una volta albergatrici de' polipi.
La sostanza interna del corallo, la quale può dirsi lo scheletro, o l'osso dell'animale, è alla superficie solcata di sottili strie longitudinali, ha la solidità delle dure pietre, e rotta per traverso scorgesi lamellosa. Sottoposta all'acido nitrico si scompone, e si scioglie tutta con la più forte effervescenza, come se fosse un carbonato calcario.
Queste osservazioni sul corallo bianco dimostrano la perfetta somiglianza, o a dir meglio la identità ch'egli ha col corallo rosso, non apparendovi altra differenza se non l'accidentale del colore.
L'avere trovato che le boccucce delle cellette della corteccia nel corallo bianco sono ottoraggiate, siccome il sono quelle del corallo rosso, pare sia una prova che quinci e quindi i polipi che le abitano hanno la medesima struttura, e perciò sono della medesima specie, otto essendo appunto i tentacoli de' polipi abitatori del rosso corallo.
Questi miei pochi rilievi non tendono ad oscurar punto quanto intorno al corallo ha scritto questo celeberrimo Italiano. Malgrado il riflessibile sbaglio di aver preso per fiori i polipi del corallo, persuaso già con la comune dei Botanici, che fosse una pianta, il complesso delle sue osservazioni sarà sempre meritevole de' maggiori encomj.
Che il corallo sia molle nel mare, e che induri al toccamento dell'aria, questa è stata opinione degli Antichi dimostrata falsa dalle osservazioni dei Moderni. I corallai di Messina senza avere avuta a maestra che la propria esperienza sono persuasissimi di tal verità. Voglion però, che i coralli immaturi non abbiano quel grado di consistenza, che si osserva in quelli che conseguita hanno la pienezza dell'accrescimento. Io non ho potuto accertarmene sul luogo, giacchè allora era mestiere gettar le reti in una delle dieci porzioni dello Stretto, dove per legge è proibito il pescare, per non esser passato il decennio. Ciò nondimanco l'analogia presa dai vegetabili, e dagli animali mi renderebbe propenso per un tal sentimento.
I corallai, di che in buona parte si è valuto il Marsigli nelle sue osservazioni, e i Messinesi, che fornito hanno materia alle mie, stabiliscono concordemente che quanto più si discende nel mare, tanto più piccioli ne sono i coralli. Negli scorsi anni interrogato avendo altri pescatori, che vanno in traccia del corallo in Barbarìa, e presso la Sardegna, e la Corsica, mi confermaron lo stesso. Pare adunque che questa osservazione sia universale e costante. Ma donde mai un cosiffatto divario? Se i coralli si pescassero sempre dove penetra il solar calorico, o almeno la sua luce, si potrebbe forse far sospetto, che l'uno o l'altro dei due principj influisse più o meno nel loro accrescimento. Ma par certo che i coralli vegetino anche in que' fondi, dove non può giungere un atomo di solar luce, non che il calorico di quest'astro, se sussistono i calcoli di qualche cospicuo Fisico, che la luce del sole non internasi nell'acqua marina, che a 600. piedi, e il suo calorico neppure ad un quarto di tale profondità; giacchè per le osservazioni marsigliane si pescan coralli fino a 750. piedi sotto la superficie del mare. Rigettati poi come impotenti questi due principj, è ben difficile l'arrivare a sapere, quale altro possa influire nel maggiore accrescimento dei coralli nelle minori profondità.
Qualche volta emmi andato per l'animo, se nei gran fondi la maggiore pressione dell'acqua esser potesse d'impedimento al loro sviluppo. Ma questa idea poco si accorda col nascere, e crescere in que' profondi molte pianticelle, e molti vermi niente inferiori per la delicatezza, e tenerezza de' loro corpi ai polipi del corallo.
Osserva il Donati, che i rami rotti e staccati dal corallo, seguitano a vivere, e a moltiplicare dentro del mare. Non sono punto restìo nel crederlo, sì veramente che trovino uno stabile punto di appoggio, a cui col viscoso loro umore attaccarsi. Altrimenti se cadono su la movevole arena, divenendo allora bersaglio dell'onde, io tengo per fermo che andranno a perire. Tali, credo io, furon due rami scortecciati, e in conseguenza morti, che dalla rete venner presi, quando me presente si pescavano i coralli. Fui confermato in questa opinione da' corallai medesimi, che mi dissero, esser loro venuto fatto più volte di tirare dal fondo del mare del corallo vegeto e vivo, ma sempre attaccato col suo tronco ad un testaceo, ad un sasso, ad un frammento di terra cotta, non mai alla pura arena. Nel farmi questi discorsi mi avvidi con piacer mio che loro non era affatto incognita la vera generazione del corallo, narrandomi di avere sovente osservato su dure materie tratte dal fondo del mare i principj del corallo nascente, che descrivevano per una macchietta rossa con un bottoncino o germoglio piantato su di esse materie, ora tenero e fragile, ora indurito, e del colore, e della natura del corallo ordinario.
Non eran loro tampoco sconosciute quelle branche di corallo, che in pescandole si trovan talvolta bucate da' vermi litofagi, e delle quali ragionano Vitaliani, e Marsigli. Spesso adunque con le reti in esse si abbattono, schiantandole tanto dal fondo del mare, quanto dalle grotte, e da' lati degli scogli, e tai bucati coralli ora si vede essere stati rotti nel tronco, ove più frequenti sono i fori, ora si estraggono attaccati ad un corpo che loro serviva di base. Pensano poi che il corallo sia così forato, perchè secco, e questo accade a loro parere o per vecchiezza, o per venire staccato dalla sua base per l'urto di qualche pesce, di quelli singolarmente che abitano negli scogli, o per qualche pezzo di scoglio che vi piombi addosso e lo rompa, od anche pel distacco cagionatone dall'ingegno istesso destinato a tal pescagione, il quale non sempre trasporta con se tutte le coralline produzioni che schianta.
- ↑ Per affermazione di qualche vecchio marinajo fra Stromboli, e Capo Vaticano una volta si pescava il corallo, ma la pescagione fu abbandonata, per essere pericolosissima alle barchette, che non trovan ricovero allo spirare de' venti di ponente, di libeccio o di maestro.