Viaggio da Milano ai tre laghi Maggiore, di Lugano e di Como e ne' monti che li circondano/Capo IV

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Capo IV. Dell'Alto Novarese

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CAPO IV.

DELL’ALTO NOVARESE

dipartimento dell’agogna

Contorni delle Isole Borromee.


Il naturalista e ’l colto abitatore de’ contorni del Verbano, avendone l’ozio e i mezzi, visiterà certamente questa parte delle Alpi, che è quanto istruttiva, altrettanto piacevole. Io farommi sua guida, indicandogli non solo quello che vidi, ma quello pure che da altri udii e che negli scrittori io lessi. Pel viaggio al Sempione già nella pag. 26 ho indicata la via che tiensi da Sesto sino alla più elevata parte.

Ecco i viaggi di breve durata ch’egli può intraprendere per vedere: 1. I contorni delle Isole Borromee, cioè i graniti di Baveno e di Montorfano, il marmo della Candoglia, Pallanza, Intra, e ’l trappo di Selasca. 2. La valle di Strona, il Lago d’Orta, Varallo, val di Sesia, e le sue miniere. 3. La Valle dell’Ossola colle valli laterali, e in primo luogo Vall’Anzasca, le miniere di Macugnaga, e ’l monte Rosa. 4. Vall’Antrona, Bugnanca, e di Vedro, che porta al Sempione. 5. Valle Antigorio e Val Formazza. 6. Val Vegezza e Canobina. 7. Valli della Maggia e del Ticino. [p. 40 modifica]

Io non condurrò il viaggiatore a vedere de’ bei punti di vista, ne’ quali s’incontrerà sovente senza cercarli, ma a contemplar la natura nel risultamento dei lavori de’ secoli combinati all’industria degli uomini.

Stando il curioso sull’esterno e più elevato terrazzo dell’Isola Bella, si guardi all’intorno. Vedrà al sud Stresa, nota ai viaggiatori per la villa Bolongari. Sovra Stresa verdeggiano vigne, boschi, e in vetta i prati, la cui terra posa sullo scisto argilloso micaceo (gneiss) sovente granatifero. Fra quei prati ve n’ha de’ torbosi.

All’ovest vedrà di granito la cresta del monte di Baveno, e quella di Montorfano. Tutte le altre sono del mentovato scisto; ma tanti e sì gran massi di granito vi stanno in vetta e sui fianchi, che ben può sospettarsi aver avuto pur essi un tempo il cappello granitoso, che i secoli hanno disfatto e precipitato. Questa ipotesi spiega come tanti massi di granito d’ogni maniera si trovino sparsi per tutti i monti e le valli nostre, senza ricorrere alla Cometa, che, qui versando per un’immensa forza d’attrazione le acque del Nord, portati v’abbia gli avanzi delle sconvolte Alpi centrali della Rezia.

Al N. O. vedrà in lontananza il bicipite Sempione, ove s’apre la più breve via, che già s’è indicata, fra la Gallia Cisalpina e [p. 41 modifica]Transalpina. Al N. e al N. E. vedrà vicini Monte-Rosso o Monte Simmolo (Mons Summus), nomi non infrequenti ne’ monti volcanici; ma, malgrado i moltissimi ciottoli neri e tondi (non però cipollari) e ’l trappo che ha sembianza di lava, e malgrado la vicinanza del disputato volcano di Valcuvia di cui parlerassi, il naturalista non vi troverà nulla di vulcanico. A Levante ha il lago e ’l Varesotto.

Per avvicinarsi agli oggetti, prima d’ogni cosa andrà a Baveno o per acqua, o per terra sulla nuova strada costeggiante il lago. A Baveno vedrà la più antica chiesa di quei contorni, e fuor d’essa l’antiquario leggerà una romana iscrizione. Non si fidi però a leggerla su copia che nel 1785 ne fu fatta in bel sasso, e collocata presso all’antica: su questa leggesi:

TROPHIMVS

TI. CLAVDII. CAES.

AVGVSTI

GERMANIC. SER.

DARINIDIANUS

MEMORIAE.

Da Baveno andrà al paesuccio chiamato Trefiume, o piuttosto Oltrefiume, passando effettivamente un torrente che ha nome Fiume, su di cui, perchè le acque e i sassi non interrompano la nuova via, è fabbricato un [p. 42 modifica]magnifico ponte. Nel paese d’Oltrefiume possono vedersi i vivai di trotte che in gran copia pescansi nella vicina foce della Tosa, specialmente al tempo degli amori, che per le trotte cade nel tardo autunno. Ivi sarà facile il trovare nelle famiglie degli scarpellini (poichè quasi tutti tal mestiere esercitano gli abitatori, approfittando del vicino granito su cui hanno un diritto esclusivo) il trovar, dissi, de’ bei cristalli di rocca, e di feldspato bianco e carneo, e della laumonite, o sia zeolite fatiscente, che taluno vuole non altro essere che un solfato di magnesia scomponentesi. Questi cristalli, formatisi ne’ vani del granito, una volta era sventura rincontrarli ne’ massi che per essi riusciano imperfetti; ma ora lo scarpellino volentieri li vede e li raccoglie, dachè il ch. nostro cav. Pini gli ha fatti conoscere, e ’l prof. Scopoli gli ha analizzati, poichè tal celebrità acquistarono, che i colti viaggiatori a caro prezzo li comprano. Fra i cristalli quadrangolari di feldspato ve n’ha sovente dei quarzosi esagoni, e su di essi e fra essi veggonsi indizj di belle cristallizzazioni metalliche. Non ha guari che alcuni scarpellini del luogo hanno trovata nel letto del fiume, e alle due sponde di esso, alla distanza d’un buon miglio dalla sua foce, una ricca miniera di rame, di cui v’ha più filoni; e altri filoni pur vi sono d’altre metalliche [p. 43 modifica]sostanze. La miniera di rame ora lavorasi, e ’l metallo sta in mezzo allo scisto, al quarzo e al feldspato. Havvi pure qualche filone di piombo argentifero.

Proseguendo il viaggio verso la superior cava di granito, non dimentichi l’osservatore di guardare il fondo che va percorrendo. Vedrà alla base del monte dell’argilla, sovr’essa lo scisto summentovato, e sovra lo scisto il granito. Entrando fra i massi granitosi, che le mine hanno staccato dal monte per lavorarli, potrà ben vederne la natura. Ognuno vi troverà le prove della teoria e della ipotesi che adotta. Chi vuole, come Barral1 che il granito sia una cenere volcanica caduta nel mare, adunata, consolidata e cristallizzata al fondo dell’acqua, vedravvi dentro i ciottoli e rottami d’altri sassi di figura sovente elittica e tondeggiante, che il volcano (di cui or più non v’è vestigio) v’ha gettati. Chi ’l vuole un prodotto delle acque, mostrerà le moltissime e vaghissime cristallizzazioni ch’entro vi sono formate, e vi dirà che dal disfacimento de’ cristalli feldspatici è risultato il caolino, che vi si trova, e di cui riparleremo. Chi ’l vuole formato a strati (il che fu già argomento di letteraria quistione), vedrà che effettivamente ha larghe fenditure [p. 44 modifica]tutte per un verso, specialmente in alto, e riconosceravvi que’ banchi che in tutti i graniti hanno veduti Saussure e Dolomieu2, sommi geologi; ma non valuterà certamente per istrati quelle grosse vene di granito più nero e più duro che, a foggia di rilegature, tagliano i gran massi irregolarmente. E chi nega le stratificazioni, faravvi vedere che il granito è in massi enormi, e solo ha delle vene quarzose sottilissime, le quali servono d’indizio e di guida agli scarpellini per tagliare il masso a norma del bisogno; e che le altre vene non sono che accidentali fenditure. Le vene vanno per lo più dall’ovest all’est alzandosi; e ciò serve non solo a tagliarlo, ma anche a trarre giù del monte i massi tagliati. Noterà l’eletromettra che il lato orientale è positivo o divergente, e l’occidentale è negativo o convergente. Il resto è inerte. Questa proprietà conserva il sasso in qualunque luogo poi trasportisi, o in qualunque direzione si metta. Tale è pure lo scisto. I cristalli di feldspato, come quelli di quarzo jalino sono inerti3. [p. 45 modifica]

In tutto il granito di Baveno e de’ contorni veggonsi i tre componenti, quarzo, mica e feldspato. Questo or è bianco ora carneo, è da ciò risulta la differenza fra i graniti di Baveno e Feriolo (che è una continuazione del primo), e quello di Montorfano, monte granitoso, e così detto perchè isolato, cinto essendo quasi interamente dalla Tosa e dal laghetto di Margozzo. Di color rosso, o piuttosto persichino sono i primi, e bianco il secondo. Quelli son più duri e più belli, e talor non invidiano il granito orientale; ma questo, in cui il feldspato ha un occhio terroso, ed è sovente anche deturpato dalla decomposizione delle piriti marziali, sta in più comodo luogo, e più ampie tavole se ne staccano.

Il modo di tagliare il granito, malgrado la sua durezza, è semplicissimo. Se un grosso masso si vuole in due dividere, si fanno dei cavi opportuni a giuste distanze, cioè d’un piede e mezzo, profondi un piede e larghi tre pollici, ne’ quali s’immergono a forza i cunei di legno fra due lastre di ferro. Ma ove un masso deve in minori pezzi dividersi, servibili agli usi comuni, allora cercando le sottili vene di cui parlai, con piccoli cunei moltiplicati si compie l’opera, come far si suole in ogni altra miniera di pietre e di marmi. [p. 46 modifica]

Lavori di granito di Baveno antichissimi noi abbiamo; e sin dal secolo xiv molto se ne adoperò pel Duomo, il quale da questi contorni per acqua alla città trasportavasi, sotto nome di pietre silicee, dond’è venuto il volgar nome di Sarizzo. Sembra però che non da cave sieno stati tratti, ma bensì da’ mentovati massi sparsi colà, come per tutti i nostri monti. Solo ai tempi del gran san Carlo Borromeo, che col suo zelo e colle sue ricchezze ravvivò presso di noi le belle arti, come la pietà, si pensò ad adoperare il granito di Baveno, e formar ivi delle cave, traendosi vantaggio dal trasporto per acqua comodissimo. Le più grandi moli che abbiamo d’un pezzo solo di granito di Baveno sono le due colonne presso la porta maggiore nell’interno della Metropolitana, le quali hanno quattro piedi di diametro e quaranta d’altezza. Ivi pur si vede come ben prenda il pulimento. Il granito qui chiamasi migliarolo perchè sembra composto di granellini.

Ma chi vuol meglio esaminare il granito di Baveno, non solo ascende alle cave, ma sale fra i fertili castagneti e ubertosi prati detti le Alpe, sul monte Margozzolo. Il monte per cui s’ascende, costeggiando il torrente summentovato, è formato del già detto scisto micaceo o sia gneiss. Giunto all’alto, uno vedesi con sorpresa sur un fondo torboso. La [p. 47 modifica]torba v’ha, almeno ove potei osservarla, un buon piede d’altezza: è composta non solo d’erbe palustri, ma anche di tronchi e rami di larice (pianta che or colassù più non si vede) e sta sotto l’angusto strato di rottami di granito e di scisto, che sostiene i bei prati, e posa su finissima arena quarzosa, che ha presa una leggiera tinta ocracea. Il monte schistoso è sparso di massi di granito d’ogni qualità e grandezza, de’ quali alcuni presentano gl’indizj del disfacimento. In quei prati abitano numerose mandre di vacche che tutta passanvi la state. Annosi tigli, formanti de’ magnifici gruppi, offron loro l’ombra nel più fitto meriggio, e chiamansi per ciò Meriggiane.

Da Trefiume vassi a Feriolo, e prima di giugnervi vedesi la nuova strada formata sul medesimo bel granito che da questo luogo prende il nome, e che, oltre l’essere il più bello de’ graniti nostri, per l’abbondanza del feldspato rossigno, è anche, per la vicinanza del lago, il più comodo ad essere trasportato.

Fra la cava di Feriolo e questo paese, dietro alla casa detta della Prevostura, v’è un’estesa torbiera d’una natura diversa dalle sin qui mentovate; poichè sebbene quella sostanza prenda fuoco e ’l conservi come la torba, cangiandosi in cenere rossigna, pur [p. 48 modifica]non ha indizio (o almeno io non ve l’ho potuto scorgere) di parti vegetali, tranne qualche pezzolino di carbone. Appartiene alla lignite, anzichè alla torba. La diresti terra d’ombra, giacchè una sostanza simile a questa è la così detta terra d’ombra di Colonia. Chi vuol sapere a quanti usi simil terra s’adoperi, legga la Memoria del sig. Faujas de St. Fonds nel Journal des Mines, n. 36, e negli Opuscoli scelti di Milano, tom. xx, p. 353. Posa questa su finissima arena quarzosa.

Presso la nuova strada in più luoghi, specialmente in questi contorni, incontransi de’ grossi massi tratti dal tagliato monte, che meritano osservazione: in alcuni vedesi la mica nera in massa in mezzo al quarzo bianco; altri son quasi interamente composti di cornoblenda (amphibole); e altri che sembrano graniti, hanno de’ giacinti in vece dello spato di color rossigno o vinato. I giacinti non sono infrequenti, trovandosi anche grossi come nocciuole, sparsi e protuberanti alla foggia de’ granati, nello scisto argilloso lamellare presso la distene. V’ha pure del tormalino in massa.

Dopo d’avere visitato il granito, il naturalista destinerà un altro giorno per vedere la cava de’ marmi bianchi inserviente alla gran fabbrica del Duomo di Milano. Se trovasi a Pallanza, percorrerà, per la vicina Suna, [p. 49 modifica]la bella sponda del lago appiè del Monte-rosso, fra vigne e alcuni ulivi, che vorrebbon esser meglio coltivati e moltiplicati. Se trovasi ad Intra, andrà per Turbaso (detto Oribasium dagli antiquarj), e passando il Ponte d’Uncio, ove il fiume s’è aperta la via tagliando lo scisto e i filoni di pirite, di trappo e di quarzo che l’attraversano, salirà a Bieno (ove potrà leggere dietro l’altare una romana iscrizione d’Ottavio e di Sumea), indi a Santino, per poi discendere al laghetto di Margozzo. Ma se vuole o dee navigare, porterassi alla foce della Tosa, ove sbocca il piccolo emissario di quel laghetto. Prima di giugnervi vedrà l’opposizione che fa l’acqua del lago limpida e azzurrognola a quella del fiume torbida e biancastra, che giunta in contatto della prima, si precipita e si perde sotto questa, quasi senza deturparla.

L’emissario del laghetto di Margozzo nel fiume Tosa è si serpeggiante, che più breve è la via retta che ’l costeggia, nè altronde ha sempre acqua bastante per la navigazione. Il laghetto ovale, chiuso da monti, in cui non entra torrente alcuno, ha due miglia di lunghezza e uno di larghezza, avendo al sud il grandioso Montorfano, e al nord un monte di gneiss.

Da Margozzo, bel paesuccio che dà il nome al lago, costeggiando la Tosa, per via comoda, fra vigne palificate e campi siepati di [p. 50 modifica] granito, viensi alla Candoglia, picciol villaggio, che prende forse il nome del candido marmo vicino. Sta questo marmo in una fenditura del monte schistoso, perpendicolare agli strati di questo, larga quasi venti tese. Il marmo è bianco, se non che ha sovente delle vene piombine come il bardiglio. Ha pure a luogo a luogo delle larghe vene di pirite aurea e arsenicale, e della galena di piombo, che sciogliendosi il macchiano. È disposto a filoni perpendicolari, alcuni de’ quali sono di color persichino e trasparenti quasi come l’alabastro. È un marmo calcare primitivo, ma contiene de’ tondi grani di quarzo; ed è forse per questo che Vasari lo chiama marmo cattivo smeriglioso e saligno. I filoni di marmo sono frammezzati da filoni di ferro, dal quale potrebbe trarsi vantaggio, ma non sen trae nessuno, perchè trovasi misto al rame che ’l guasta, e che è in troppo poca quantità per separarnelo. La vicinanza della Tosa rende facile il trasporto de’ gran massi che imbarcansi sul fiume, e pel lago, pel Ticino e pel Naviglio giungono alla metropoli. Questo marmo, che trovasi pure sopra Ornavasso e in Val di Strona, ricompare al nord del monte istesso, ov’è generalmente d’una più fina grana, e men lontano dal Carrarese: anzi attraversa, sebbene variando alquanto le proprietà, l’intera Lombardia, vedendosi oltre il lago sotto nome di Majolica, [p. 51 modifica]e mostrandosi nei monti Comaschi, come diremo. Il compimento, ormai eseguito interamente, della fabbrica della Metropolitana ha impiegata gran quantità di marmo della Candoglia.

Tornando indietro il viaggiatore, se pria non vide Pallanza, vi si fermerà. Questa, che ha nome di città, poichè sotto il governo Sardo era capo di provincia, è nella più bella esposizione jemale che bramarsi possa. Ora v’è una prigion di Stato. V’è chi la vuol fondata dal greco Pallante, ma i meno ambiziosi contentansi d’avere per fondatore Pallante liberto di Tiberio. Checchè siane dell'origine, certo è che vi sono de’ resti d’antichità, riportati dal Gallarati4 e da altri; il più pregevol de’ quali è un cippo con basso rilievo, che sta nell’interno muro della chiesa di santo Stefano, rappresentante un sagrificio, veggendovisi, oltre l’ara e ’l toro, il sacerdote col cinto gabinio, e gli stromenti dell’arte sua. L’iscrizione è nota, e dice

MATRONIS. SACRUM

PRO . SALUTE . CESARIS

AVGVSTI. GERMANICI

NARCISSUS . C . CAESARIS.

Abbiamo da Svetonio ch’era Narcisso il socio di Pallante negl’iniqui suggerimenti dati a Nerone. A basso rilievo è pure [p. 52 modifica]l’opposta parte del cippo, che corrisponde nella chiesa, ed è coperta dall’altare. Ivi sono scolpite le tre Grazie, vestite succinte, colle braccia intrecciate e in atto di danza. Quel cippo starebbe pur bene isolato! Nei contorni di Pallanza l’amante delle belle arti può visitare la Madonna di Campagna, ornata internamente d’eccellenti pitture a fresco, e di qualche buon quadro.

Da Pallanza, volendo andare ad Intra, per breve via che taglia il promontorio di S. Remigio, vassi al fiume di S. Bernardino (così detto per la chiesa dedicata a questo Santo, unita dianzi ad un convento di Francescani), fiume apportatore di legna recisa nelle cupe e poco accessibili valli, quando lo scirocco vi porta le nubi a scaricarvi dirotta pioggia, detta la Buzza. Questa legna fa la ricchezza del paese pel fuoco che somministra alle varie manifatture d’Intra, e perchè il povero che raccoglie i tronchi; nel fiume o nel lago, nel renderli al proprietario dii cui hanno il segnale, ne riceve una paga; o legalmente se li ritiene se sono piccioli o spezzati, o sì pregni di acqua e pesanti da non galleggiare. Il promontorio che divide Intra da Pallanza, detto Casignola, è di scisto micaceo. La chiesa di S. Remigio in vetta al monte, pretendesi che fosse un antico delubro di Venere.

Al nord del fiume sta Intra, borgo altre [p. 53 modifica]volte ricchissimo e di molto commercio, essendo in certo modo l’emporio delle mercanzie che dalla Germania veniano nell’Italia, e viceversa. Vuolsi chiamato Intra perchè sta tra due fiumi, di S. Bernardino l’uno, e l’altro di S. Giovanni. Dicesi che quanto salubri sono i bagni fatti nel primo, tanto nocivi sieno fatti nel secondo. Ambedue danno più d’un canale d’acqua alle varie fabbriche e manifatture. Oltre le mentovate, v’è una gran manifattura di stoffe di cotone nel luogo che dianzi era convento di monache, e molti edifizj vi sono con seghe pe’ legnami che vengono pel Ticino e per la Maggia dalle Alpi Svizzere, e per la Tosa da’ monti Novaresi; altri edifizj pur vi sono per lavorarvi il ferro e il rame d’altri paesi, e quello delle vicine miniere di ferro e di rame dì Val di Strona e dell’Ossola.

In vicinanza d’Intra, un miglio al nord, presso al lago è il picciol casolare di Selasca; ma prima di giugnervi si passa per la villa Prina, dianzi Cacciapiatti, e si cammina su alcuni filoni di trappo, di cui or ora parlerò. A Selasca altre volte, al riferir di Morigia5, v’erano gran fabbriche di ferro, traendosi profitto da un’argilla nera e refrattaria (probabilmente piombaggine di cui non infrequenti vene trovansi qui fra lo scisto) [p. 54 modifica]per far crogiuoli. Il torrente che viene dal monte Simmolo, s’è qui tagliato nello scoglio un letto profondo oltre cento piedi, e ove ha trovata resistenza, ha formate vaghe grotte e belle cascate.

Mentre il curioso, rapito in dolci pensieri, ammirerà il bello di quella solitudine, il naturalista vi guarderà i filoni di trappo. Un sasso è questo che talora è stato preso per lava volcanica, e pare di fatto in qualche luogo che in istato di fusione abbia colato, aprendosi una via fra le fenditure del gneiss. Uno di questi filoni è nella cascata che forma la vaghissima grotta, e un altro sotto l’ultima cascata non lungi dal ponte. Da quest’ultima è stato preso il trappo che servì a fare le bottiglie nere nella vetraja del sig. Peretti d’Intra, e da questo risultarono i vetri stellati e fioriti de’ quali altrove ho ragionato6. Molti altri filoni ve n’ha al piè del medesimo monte, tutti diretti da libeccio a greco, ma non tutti di ugual finezza di grana. Alcuni, sulla via da Intra a Selasca, e più ancora in riva al lago sotto Susello e San Maurizio, hanno misti de’ bianchi cristalluzzi di feldspato, per cui formano il porfido a base di trappo, e somigliano al toadtone degl’Inglesi; e [p. 55 modifica]v’ha sopra Caprezio in vall’Intrasca del trappo con cristalli di feldspato sì grandi, che pare il mandelstein de’ Tedeschi. Chi brama sapere onde abbia origine il trappo, e come dalle lave e dalle altre roccie distinguasi, legga le recenti opere de’ valenti geologi Faujas e Breislack.

A Caprezio e in vall’Intrasca, da dove viene il mentovato fiume di S. Giovanni, potrà andare il naturalista e curioso, non solo per vedere alcun altro filone di trappo presso Cambiasca al Pozzaccio, ove l’acqua s’è tagliato nel sasso un passo angusto, o salendo a Cussogno vedervi una non curata cava di pietra ollare: ma anche per proseguire e andare a Ramello, ch’ebbe forse il nome dalla vicina miniera di rame, che appiè del monte cavavasi mezzo secolo fa, e or è trascurata, sebbene il filone assai s’estenda, e sen trovino indizj sino alla vetta del monte stesso. È rimarchevole che al luogo del filone in alto mai non si ferma la neve, e’l sasso, per lo più quarzoso, v’è in istato di fatiscenza. Al lato nord-est del monte Simmolo v’è l’alto Premeno (Prato Ameno) presso a bel laghetto. Ivi sono stati trovati ultimamente dei filoni di zolfo, ossia di pirite in istato di disfacimento.

  1. Mémoire sur le Trapp et les roches volcaniques-Bastia
  2. Saussure. Voyages dans les Alpes. Tom. IV, pag.60. Dolomieu. Rapport des voyages etc. Journ. des Mines. Num. 40.
  3. Non tutti gli uomini hanno la sensibilità necessaria per accorgersi dell’azione positiva e negativa di que’ sassi, ma l’hanno alcuni; e questi hanno sovente verificato sì fatto fenomeno. Vedi il Capo ultimo di quest’opera.
  4. Antiqua Novariensium Monumenta.
  5. Nobiltà del Lago Maggiore.
  6. Memorie della Società Italiana, Tomo VIII, parte I, pag. 4. 6. Opuscoli Scelti, Tomo XX, pag. 410.