Viaggio da Milano ai tre laghi Maggiore, di Lugano e di Como e ne' monti che li circondano/Capo XXIII

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Capo XXIII. Dalla Cadenabbia a Como

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Capo XXII Capo XXIV
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CAPO XXIII.

Dalla Cadenabbia a Como.


Ci resta a percorrere la parte più interessante e più deliziosa del Lario. Tramezzo (Trametium) ha molte ville amene e magnifiche. La villa Clerici (or Sommariva) dà un’idea del lusso e del gusto che avevasi prima della metà del secolo scorso: ora il tutto è disposto ed ornato secondo il gusto moderno; e n’è pur fatto più comodo e più ingentilito l’albergo, che suol essere frequentatissimo. Quindi i Breniani, i Mainoni, i De Carli ed altri v’hanno buone case; ma le supera tutte la Quiete de’ Serbelloni, ora dei Busca. In alto v’è Grianta e altri piccoli villaggi, ove gli ulivi e le viti con somma cura si coltivano. La parte più elevata è di masso calcare, in cui sono varie caverne e [p. 255 modifica]molti corpi marini. Nella via che conduce da Viano a Nava trovasi una bella lumachella bianca in fondo nericcio, che non invidia la cosi detta lumachella d’Egitto.

San Lorenzo è un piccol villaggio in riva al lago. Ivi era un vecchio cimiterio, in cui l’acqua intonacò molte ossa di terra calcare, e formonne una specie di breccia; il che fece dire che v’erano ossa umane petrificate.

Si vede in alto la piccola terra di Bolsanigo. Ivi il curioso, ridendo della strana tradizione che narra esser colà approdata l’arca Noemica, andrà a vedere la Cresta, o sia il Sasso delle Stampe, che ne dista mezzo miglio. Par ivi al volgo di veder impronte de’ piedi d’animali d’ogni specie; ma il naturalista vi riconosce delle chiocciole marine, per la maggior parte bucardie (Concha cordiformis aequilatera. Gualtieri. Tav. lxxi. E), la cui spoglia s’è mutata in durissimo spato bianco, ed è ripiena e circondata di marmo nero, che prende un bellissimo pulimento. Di tai conchiglie ve n’ha di tutte le grandezze da un piede di diametro sino a mezzo pollice, e vi ha pure degli altri testacei, come neriti, astroiti; ec.

Costeggiando il lago per via sempre amena si viene a Portezza, e quindi a Lenno (Lemnos), ove l’antiquario s’arresterà a [p. 256 modifica]vedere ciò che vi rimane di vetusto, cioè un piccol tempio sotterraneo con colonne di cipollino, un’ara, ed altri pezzi di bianco marmo, ed un’antica epigrafe di Vibio Cominiano a Diana1 Egli è senza dubbio pel nome di Lenno che il card. Durini, di sempre illustre memoria, diè a questo seno il nome di Lago di Venere; e pel cippo dedicato a Diana, Lago di Diana appellò il seno opposto, al sud del promontorio. Fra la chiesa attuale, che vi sta sopra, e la [p. 257 modifica]sotterranea veggonsi dei condotti di terra cotta quadrangolari. A qual uso fossero, non oserei dirlo.

Poco lungi è Villa. Ivi Giovio pensa essere stata la Commedia di Plinio (da Boldoni stabilita altrove, come vedemmo); e a lago limpido e basso, veggonsi ancora de’ resti di colonne sul fondo, sotto la villa de’ signori Caroe.

Sta in alto Acqua-fredda, che era pochi anni prima un monastero di Cisterciensi, e ora casa de’ sigg. Mainoni. Ivi esce dal monte un’acqua perenne e abbondante, che vuolsi esser salubre e per l’acido carbonico che se ne svolge, e perché credesi che tragga qualche salubre proprietà da sottoposte vene metalliche. Questa, passando per Malghisio, va nel lago presso a Campo.

S’appoggia Villa al fianco settentrionale del promontorio, nel cui istmo sta il villaggio di Campo. Il seno compreso fra questa penisola e la Cadenabbia, detto la Tramezzina, è la più bella situazione della Lombardia per l’inverno: dolce essendovi il clima poco meno che alle spiaggie della Liguria, come mostranlo i numerosi agrumi, che talor nemmeno sarebbe necessario di coprire per la fredda stagione, gli aloe, i capperi, gli ulivi, e le altre piante di climi più miti. [p. 258 modifica]

Il promontorio, detto già latinamente Lavactum (da Boldoni chiamato Dorsus Abydi), e Lavedo o Dosso dell'Aves in italiano, ha sulla punta un vago fabbricato, in cui v’è comodo alloggio, bella chiesuola, amenissimo portico aperto che domina i due seni del lago, un comodo sbarco, un opportuno ed utilissimo porto, fornito un tempo di buon fanale pe’ naviganti notturni. Diede a quel luogo il nome di Balbianello il cardinale Durini, che tutto ciò ha fatto costruire. Or appartiene al sig. conte Porro. In altri secoli v’abitarono de’ pirati, che il lago tutto infestavano.

Lì presso è Balbiano, che vetustamente fu de’ Giovii, del che gloriavansi i due celebri scrittori di questo casato Benedetto e Paolo. Fu comperato dal card. Gallio, che piccolo ma ben architettato palazzo vi fece edificare. Tornò il luogo per breve tempo in possesso de’ Giovii, dai quali comperollo il mentovato card. Durini, che molto vi spese sì nel palazzo e nelle unite fabbriche, che nel dilatato giardino, e per contenere il torrente Perlana. Precipita questo dagli elevati monti; e guardando il dirupo settentrionale ch’esso ha formato scavandosi il letto, vedesi ch’è stata scomposta e giù strascinata dalle acque in ischegge una vetta di monte calcare bianco, con cui fu occupata la valle scavata dal torrente. V’è tradizione che questo, anziché qui cadere, passasse da [p. 259 modifica]Malghisio, e precipitasse a Lenno. Il viale lungo la Perlana conduce ai più begli orrori della valle. Vedesi in alto il venerabil santuario della Madonna del soccorso, a cui guidano varie cappelle ornate a figure di plastica e pitture, e sotto cui stanno varj villaggi che rendono quel luogo sommamente popolato.

Sta rimpetto a Balbiano l’isola di s. Giovanni, celebre nelle storie de’ bassi tempi, perchè era, direm così, la capitale di quei contorni. Essa, pe’ molti Cristiani ivi rifugiatisi nel v secolo, fu chiamata Cristopoli; e sì possente ella era che lunghe guerre sostenne, e in essa cercaron asilo Francilione generale del greco imperator Maorizio contro Autari re de’ Longobardi, Gaidolfo duca di Bergamo contro il re Agilulfo marito di Teodolinda, gli amici del re Cuniberto contro l’usurpatore Alachi, Asprando padre del re Lituprando contro Ariperto, Guidone figlio del re Berengario contro Ottone, e Azzone contro il vescovo di Como Gualdone. Lungo tempo combatterono gl’isolani contro i Comaschi; ma alla fine ne furon soggiogati, e costretti ad abbandonare la patria, e un’altra fabbricarsene a Varena, come dicemmo. Non però dell’isola sola gl’isolani eran padroni, ma nome d’Isola davano ad ampio distretto, con cui formavan un sol popolo. Isola di fatto ancor chiamasi la principal terra che [p. 260 modifica]sul continente le sta rimpetto, ov’era poc’anzi un insigne capitolo, e ove nella chiesa collegiata all’altar maggiore serve ancora di mensa la prolissa iscrizione sepolcrale in cattivi versi del vescovo s. Agrippino, dalla quale rilevasi ch’egli era scismatico, condannando il Concilio V, e aderendo al patriarca d’Aquileja, anziché al Papa. Questa iscrizione da poco scopertasi interessa la storia ecclesiastica del v secolo e la famosa quistione de’ Tre Capitoli.

Sospetta non senza ragione il chiarissimo Oltrocchi2che più angusta fosse avanti il secolo xii l’isola, e più largo ne fosse il canale (che Plinio chiama gemmeo), ristretto poi dalle ruine dell’isola stessa quando distrutte ne furono le fortificazioni e le case. Convien dire che allora l’isola fosse di queste tutta coperta, qual’è, a cagion d’esempio, l’Isola superiore del Verbano: tanto più se come sospetta Giovio, v’era pur un chiostro di monaci. Non sì ragionevole forse si troverà l’opinione del P. Guido Ferrari 3, il quale, perchè Polibio dà al Lario la lunghezza di 300 stadj, equivalenti a 37 miglia, ne argomenta che il lago cominciasse alla riva di Chiavenna, e chiuso fosse al dosso di [p. 261 modifica]Lavedo, che uniasi secondo lui, a Lesseno. Certo è che da che le storie parlan del Lario, questo è sempre stato navigato da Como alle foci dell’Adda, ove il lago comincia. Chi si trovasse all’isola nel dì di s. Giovanni Battista, vedrebbe una commedia o tragedia sacra rappresentante un anno la nascita, e un altro la decollazione del Santo, con infinito concorso di genti e di barche.

Varj altri paesucci stanno rimpetto all’isola, e fra questi Ossuccio, ove un’antica iscrizione rammenta un luogo consecrato MATRONIS ET GENIIS AUSUCIATIUM.

A Balbiano succede Spurano (Spurianum), ch’ebbe forse nome da uno spedale ove i bambini spurii si raccoglievano e si educavano.

Viensi quindi a Sala (Salia), indi a Cologno (Colonia), ov’è ancora un arco vetusto che vuolsi de’ tempi romani; dopo di cui una bella cascata d’acqua v’è frammezzo a uliveti, ed un’ altra maggior cascata, detta la Camoggia, vedesi poi strisciar pel monte, e su elevato ponte la tragitta chi viaggia per terra . Molto erto è quel monte, coperto però quasi intieramente da castagneti e pascoli; e angusta è la via lungo la sponda, sinchè si giugne ad Argegno. Ivi pur trovasi spontaneo e abbondante lo scotano (Rhus cotinus Lin.), [p. 262 modifica]le cui foglie servono a’ cuoiai, e le radici a' tintori.

Tutti i monti che stanno al di sopra dei sin qui mentovati paesi, sono calcari; e trovasi in essi la maggior copia de’ varj corpi marini mentovati al Capo XVIII.

Frattanto nell’opposta riva, al sud di san Giovanni di Bellagio, sorge il monte a formare le altissime alpi di Vallassina, ed il piano del Tivano, di cui parleremo al Capo XXVI. In riva al lago vi sono orrendi e cavernosi scogli, detti Grosgallia. Ivi profondissimo è il lago, e ivi al riferir di Giovio vivono i pesci burbari, de’ quali parlammo al Cap. XVIII. Lesseno (Lecenum) chiamansi le sparse abitazioni che ivi sono, cioè Villa Casate, Cendreto, Sozzana, Rozzo, Pescaù, Calzolina, Crotto, Calvagnana, a cui succede la Cavagnola. Sì mal esposto è quel distretto, che il barcaiuolo vi dirà che Lesseno è paese d’inferno, ove mai non si vede luna d’state, nè sole d’inverno. Nel monte sepra Lesseno trovasi abbondante asbesto. Piega qui il lago sino al promontorio della Cavagnola, porto e osteria ove i barcaiuoli riposano e ripiglian forze.

Argegno a destra fors’ebbe nome da quel P. Cesio Archigene, che sciolse voti alle Matrone e a Giove, come rilevasi da due vetuste lapidi che da Brienno furono portate [p. 263 modifica]a Como, e da Como a Cremona4E’ questo l’emporio della valle d’Intelvi. Questa valle, chiamata Intellavi nelle carte dell’ottavo secolo, vuolsì così detta, perché sta fra due laghi (inter lacus), e merita d’esser [p. 264 modifica]conosciuta per la sua amenità e fertilità; e chi vorrà percorrerla, troverà la più comoda strada che fra monti aspettar si possa. Non vi son miniere, o almeno non si conoscono: v’è qualche strato di marmo nero, ma trascurato; bella però n’è l’esposizione, e fertile il suolo: e l’ampiezza della valle, che può dirsi partita in varj piani, in ognuno de’ quali v’è popolazione d’uomini, fa che molto sia coltivata a grano e a vigne al basso, più in alto a segale, fraina, patate e canapa, alle quali cose son frammischiati i noci: sopra questi sollevansi e dilatansi i castagni, e ad essi succedono i faggi, da’ quali traggesi anche l’olio, frangendone e spremendone i frutti. I legni servono a far carbone, a trasportare il quale sino ad Argegno sono giornalmente impiegate alcune centinaia di muli. Ma più che da’ boschi nell’alto dei monti si trae profitto dalle erbe che ne occupano la massima parte, e mantengono numerose gregge e mandre.

Nel salire da Argegno in Vall’Intelvi, il naturalista, al passare sul ponte della Vallaccia, fermerassi a guardare strana stratificazione del masso calcare, che in tutta la valle lì più che altrove piegata ad angolo e curvata in mille maniere. Ma sebbene tutto calcare e stratificato ne sia il nocciolo, pure è si coperta di massi staccati granitosi, schistosi e [p. 265 modifica]quarzosi d’ogni maniera, che dobbiamo supporre che i monti avessero in un’epoca anteriore vette di que’ sassi formate.

Per salirvi si passa da s. Sisino, chiesa di Muronico, e da Dizzasco, lasciando in alto la destra Pigra, e a sinistra il popoloso villaggio di Schignano e il monte di s. Zeno. Di là vassi alla Torre, che con Visonzo e Montronio forma l’arcipretura di Castiglione. Dalla Torre, lasciando a destra Lura e Blesagno, e abbandonando la via maestra, si sale a Gerano e a Casasco, grossa terra edificata sul più elevato piano, da cui si può passare verso sud sul monte Gordona, e verso ovest sul Calvagione, detto anche monte Generoso, che dalla sua vetta somministra tegole marmose ai sottoposti paesi. Poco lungi da Casasco ha origin la Breggia, che sbocca poi a Cernobio. Il sasso calcare che qui come altrove forma il nocciolo del monte, ha del bituminoso.

Ma volendo per la via maestra attraversar la valle da Argegno ad Osteno, da Torre vassi a s. Fedele, terra primaria della valle, indi a s. Rocco, daddove, lasciando a sinistra i due Pelli e Lanzo, vassi a Laìno, a sinistra del torrente che porta le acque nel lago di Lugano all’ovest d’Osteno e non lungi dalla cava de’ tufi. Da Laìno, mirando a destra Pona divisa in due terre, e a sinistra [p. 266 modifica]Ramponio e Verna, si discende per una via men bella delle altre ad Osteno, lasciando a destra Biridino, o piuttosto Prichino. Da Pelio si passa in val Mara, o Muggia che porta a Campione o a Melano, di cui parlai alla pag. 159.

Poco sotto Argegno vedesi Brienno, paese scosceso, intorno a cui più che altrove verdeggiano e fruttifican gli allori: indi viensi alla punta di Torriglia, sopra cui sta Germanello. Ivi è la maggior ristrettezza del lago. Intanto si ha in faccia Nesso (Naxus), grosso borgo diviso in più abitazioni, delle quali le maggiori son presso il Lago. La meridionale ha in mezzo una cascata d’acqua quanto bella a vedersi, tanto utile agli edifizj. Sopra Nesso sta Erno, e in alto le ville di Velleso e Gerbio, e il Pian del Tivano, di cui parleremo al Cap. XXVI. E’ notabil che Velleso sta su d’una specie di promontorio formato d’una congerie di ghiaja, il che suppone monti più elevati da’ quali sieno rotolati i ciottoli. Parleremo poi della torba di Velleso.

Viensi intanto alla fonte di Fugaseria, alla cui acqua fermansi sovente i remiganti assetati: essa altrevolte era intermittente, come il fiume Latte; e gran virtù le si attribuiva contro i mali cutanei, per chi vi si lavava nel venerdì santo. Poi si viene sotto Careno [p. 267 modifica]e Pognana (Pomponiana); e tre separate case veggonsi alla riva, le quali appartengono ai tre grossi villaggi posti sul primo piano, di cui si arlò al Capo XVIII. Son questi Pallanza, Lemna e Molina.

A destra, dopo Torriglia, giugnesi a Laglio (Laelium) e poscia a Carate, e di là ad Urio. Fra Urio e Carate il curioso potrà andare a vedere una picciola grotta detta la Strona, dal nome del torrente che ivi passa, e le cave della ardesie tegolari, grossolane bensì, ma servibili a coprir i tetti. Tiensi ivi a un dipresso il metodo tenuto a Lavagna sul Genovesato per quelle fine ardesie; e in queste, come in quelle, molto si conta sulla forza del sole per farle sfogliare.

Hassi qui in prospetto il luogo più celebre di tutto il lago, cioè la Pliniana. Giovio dice che chiamavasi anticamente Pluviana. Il palazzo di soda architettura fu fabbricato da un Anguissola nel 1570; e vuolsi che questi fosse uno de’ quattro Piacentini che precipitarono da una finestra Pier Luigi Farnese; e che colà si ritirasse come in luogo da ogni insidia sicuro. Dagli Anguissola l’ebbero i Pallavicini e i Visconti, prima de’ Canarisi, che or ne son padroni. Corre spumeggiante in mezzo al palazzo l’acqua della fonte, e da un fianco v’ha un’altissima e vaghissima cascata. I sempre verdi allori e cipressi misti ai castagni, ai faggi, ai pioppi da un lato, agli [p. 268 modifica]alberi fruttiferi, ai gelsi e alle viti dall’altro, ne abbelliscono la scena. Ma ciò che invita il curioso, il naturalista, il fisico, è la fonte stessa detta Pliniana; non perché a’ Plinii appartenesse, ma perché dai due celebri scrittori di questo nome fu commendata, e dallo Juniore descritta, e secondo le nozioni fisiche di que’ tempi esaminata. La lettera di questo Plinio leggesi in latino e in italiano nell’atrio della fonte stessa. Vedesi che a’ tempi suoi (son ormai diciotto secoli) l’acqua limpida e freschissima sorgeva in una vasca naturale sotto uno scoglio, per alcune ore visibilmente cresceva, e per altre s’abbassava, ma non inaridiva mai. Così succede oggidì.

Gli antichi però non abbastanza l’osservarono. Il vecchio Plinio dice che cresce e diminuisce ad ogni ora: Plinio il giovane scrive che il fenomeno ripetesi regolarmente tre volte al giorno. Il P. Chezzi verso la metà del secolo xvii tenne dietro con qualche attenzione alle variazioni di quest’acqua, e trovolle incostanti; ma sarebbe stato desiderabile che v’avesse aggiunte le osservazioni metereologiche del barometro, e più ancora dell’anemometro per la forza e la durazione de’ venti.

Qual esser può la cagione di questo fenomeno? Poichè 1’intermittenza dava a questa [p. 269 modifica]fonte l’analogia col flusso e riflusso marino, gli antichi le diedero la stessa origine ed anche il medesimo nome Facil cosa è però l’osservare che qui il crescere e decrescere nessun rapporto non ha colla luna, ma bensì colle ore del giorno, quando la stagione è regolare. Fuvvi chi per ispiegare il fenomeno immaginò un gran recipiente, e fenne costruire il modello in legno, appoggiato a due perni, e di tal forma che essendo pieno disequilibravasi e si rovesciava, indi rimetteasi in piano, per nuovamente riempirsi. Ognun sente l’impossibilità della cosa. Il celebre naturalista Fortis 5, trattando di altre fonti intermittenti del Bergamasco, opina che le acque interne strascinino tanta arena da chiudersi i canali, finchè la copia d’acqua ritenuta giugne a tale da rovesciar l’argine ch’essa medesima si era formato, e un nuovo argine a rialzarsi comincia. Potrà ciò co’ fenomeni delle fonti Bergamasche, e con altre non infrequenti fra noi, per avventura convenire, ma non con quanto nella fonte Pliniana si osserva, nella quale l’accrescimento ha principalmente rapporto col vento. Il ch. monsig. Testa6 , che la vide molto elevarsi in occasione di vento gagliardo, immaginò che l’acqua della vicina cascata fosse [p. 270 modifica]dal vento spinta nelle fessure del monte, daddove penetrasse poi e avesse sfogo nella fonte; ma io che, avendo passati alcuni mesi in quella vicinanza, quasi giornalmente visitava la Pliniana, osservai che nella siccità estiva la cascata era affatto asciutta; eppure il fenomeno dell’intermittenza avea luogo7.

Osservai altresì che una esatta relazione col vento avevano i movimenti dell’acqua. Dicemmo già che quando la stagione è regolare, il vento di ponente, detto qui la Breva, comincia sul lago al mezzodì. E’ noto che il vento comincia sempre in alto, e a poco a poco s’abbassa; e notai che sulla vetta de’ monti sovrapposti alla Pliniana, da me frequentemente percorsi, cominciava il ponente circa le ore 9 del mattino. La stessa anticipazione vi sarà certamente riguardo al vento notturno settentrionale, ossia Tivano. Ora osservai, e l’osservazion mia fummi confermata dallo stesso proprietario e frequente abitatore del luogo, che verso mezza mattina comincia a crescere l’acqua nella fonte, indi s’abbassa. La durata dell’aumento ha pur essa rapporto col vento, ma generalmente può computarsi di tre in quattro ore. Fummi detto che lo stesso a un dipresso succedeva alla sera. Quando gagliardo vento sostiensi lungamente, [p. 271 modifica]assai più a lungo segue a crescere la fonte; e se l’aria è affatto placida, essa non s’altera punto. Sembra dunque certo che il vento produca quella intermittenza che da secoli vi si osserva.

Ma come la produce egli il vento? Quando parleremo della Vall’Assina, vedremo che in vetta ai monti posti sopra la Pliniana v’ha parecchie caverne, o piuttosto pozzi naturali, che penetrano sino in seno del monte. Sopra la medesima, o poco lungi almeno, ve n’ha cinque visitate da me, che in una di esse (la grotta di Gravinate) penetrai, e m’assicurai dell’esistenza d’un interno serbatoio di acqua. Di simili interni laghi n’abbiamo prova ne’ molti rivi che, come il fiume Latte, emergono da buche a varie altezze in que’ monti. Ciò premesso, ecco come io spiego il fenomeno. Siavi in seno del monte uno o più recipienti d’acqua corrispondenti alle bocche superiori, i quali all’orlo abbiano delle uscite che portano alla Pliniana. Soffiando il vento, perpendicolarmente comprime l’acqua, e la spinge all’orlo in maggior copia, e quindi più copiosi sono i canaletti pe’ quali portasi alla fonte. Quando il vento cessa, l’acqua si rimette a livello, e l’interno laghetto, a cui il monte ne somministra cogl’incessanti stillicidj, torna a ricolmarsi d’acqua che il seguente vento torna a rispingere fuori. [p. 272 modifica]Ma quando un forte vento ha soffiato lungamente, più d’un giorno sta la fonte senz’alterazione, perché l’interno recipiente di troppa acqua è stato privato; e il consueto spazio di tempo non basta a riempierlo nuovamente. Se questa spiegazione non soddisfa pienamente, quella mi sembra almeno che soffre minori difficoltà. Ma troppo già alla Pliniana ci trattenemmo. Qui solo osserverò che da consimili caverne o pozzi viene probabilmente il vento che soffia nelle cantine appoggiate ai monti, delle quali parlai in più d’un lungo.

Proseguendo il viaggio, siamo tosto a Torno (Turnium), in altri tempi ricco e popolato borgo, edificato sur un ameno promontorio, al di sopra di cui sta Montepiatto, soggiorno altre volte di monache, che trasportate poi furono, come in più innocente asilo, alla Madonna del Monte di Varese. Torno era uno degli stabilimenti più importanti degli Umiliati, che molti ne aveano sul Lario, come in tutta la Lombardia. Quell’ordine, nella sua istituzione, occupavasi del lavoro delle mani, e le case loro non erano che manifatture di lana, ove sotto certe leggi abitavano gli operai colle loro mogli e famiglie. Si rendè quindi ordin regolare, nobilitato col sacerdozio e col celibato. Crebbero per la negoziazione e pei doni le sue ricchezze, e con esse [p. 273 modifica]l'indisciplina, cagion della soppressione avvenuta nel 1571. Delle molte fabbriche di lana ch’erano in Torno, vedasi ancora qualche vestigio, ma per le guerre co’ Comasohi venne distrutto esso e la vicina Perlasca. Nella vetusta chiesa di S. Gio. posta in alto venerasi un chiodo della Crocifissione di G. C. Deliziosa è l’esposizione di Torno a mezzodì, come mostranlo i giardini de’ Ruspini.

Perlasca, altre volle ricco e potente paese, dopo la sua distruzione era un luogo in cui al forestiere non altro indicavasi che la mezzo diroccata casuccia, in cui narrasi che nascesse Innocenzo XI Odescalchi, di cui però sappiamo che fu battezzato in Como nel 1611, ma ora vi si va a vedere la villa Tanzy, in cui il lusso, il buon gusto e il comodo v’hanno profuso le ricchezze; e veggonsi molti alberi e arbusti americani ornare quegli scogli, posti in sì temperato luogo che soffrono gli aloe, i fiorentini mirti, i leandri ed altre dilicate piante. Molte assai rare ne sono negli eleganti giardini e nelle serre. Varj piccioli edifizj (oltre l’angusta ma comoda casa che la chiude al sud) di capanne, di castelli, di sale destinate a museo, ec. l’adornano, e vi concorre pur la natura cogli scogli colle fonti e colle naturali caverne. Un colpo tirato co’ cannoncini del castello, non solo fa sentire il doppio eco pel risponder [p. 274 modifica]successivo che fanno il vicin monte e l’opposto, e somiglia pienamente il rumoreggiar del tuono, ma può anche servire a misurar il tempo che il suono impiega a percorrere la larghezza del lago.

Presso a Perlasca sta Blevio (Blevium), paese diviso in sette casolari piantati ne’ pochi piani che forma a luogo a luogo il monte. La prima casa di Blevio al piano chiamavasi la Malpensata ma ora la gentile proprietaria Imbonati vedova Sannazzari, vendola ingrandita e ornata con vaghissimo giardino, dielle il nome di Belvedere, che ben più le conviene. Più d’una comoda casa v’hanno i sigg. Artaria, noti negozianti di stampe in Germania e a Milano.

Dopo Urio, alla destra viensi a Moltrasio, che altri derivano da Monte-raso. Magnifica è qui la villa Passalacqua. Sono lì presso le cave di ardesie tegolari e di sassi da fabbrica marnosi, in mezzo ai quali trovansi a luogo a luogo de’ sottili e brevi strati di bellissimo litantrace, e fra le tegole veggonsi talora belle impronte di giganteschi ammoniti e di piante, fra le quali fu riconosciuta la chama felce. In alto trovasi della molibdena. Le stesse ardesie tegolari trovansi a Blevio: nuovo argomento che il lago sia stato scavato entro un piano uniforme, sebbene a questo par che s’opponga la sua profondità, che in alcuni luoghi è anche al di [p. 275 modifica]sotto del livello del mare. La situazione di Moltrasio attraversato da un torrente è veramente pittoresca. Stanno sopra Moltrasio alcuni fertili e popolati piani; e sulla vetta alta del monte Bisbino, un Santuario. Ivi in alcune grotte trovasi del bell’alabastro venato, e fra le grotte una ve n’ha sopra Rovena (terra ben situata su alto e fertil piano), chiamata il Pertugio della Volpe, che dicesi lunga 900 passi. A Moltrasio v’ha pur delle grotte scavate nel sasso, che, a motivo degli interni spiragli mandanti freddo vento, eccellenti sono per la conservazione de’ vini. Vuolsi che il monte Bisbino predica pioggia quando una nebbia o nuvola ne circonda la vetta: dal che nacque il proverbio;
     Vanne a prendere il mantello,
     che Bisbino ha il suo cappello
.

Sul piccol promontorio che sorge dopo Moltrasio sta la villa Muggiasca, detta Pizzo. Viensi al Garuo (Garvium), altro de’ magnifici palazzi edificati dal card. Gallio, che ora è della vedova Calderara, divenuta consorte del conte Pino, ove ben più sarebbon pregevoli l’edifizio, il giardino e le belle cascate d’acqua, se non avessero sopra e a fianco un colle d’ammassate ghiaie, che si va sfasciando ad ogni scorrimento d’acque dirotte. [p. 276 modifica]

Cernobio (Coenobium), in origine un monistero di Cluniacensi, indi di monache, ora è un paese abitato da pescatori e da più valenti barcaiuoli. Qui sbocca la Breggia, torrente che viene dallo Stato Svizzero, ed ha l’origin sua in vall’Intelvi. Le acque di questo torrente trovano talora sì alto il livello del lago, che inondano il piano vicino, e nel ritirarsi lascianvi palude insalubre. Dalla valle della Breggia sbocca talora vento improvviso e pericoloso. Ivi pescansi molte trote nell’autunno, quando le femmine cercano i torrenti per deporre le uova, e i maschi le seguono per fecondarle. Nel colle sovrapposto a Cernobio è la fonte dell’Acqua della Colletta, che molto salubre si trova, e di cui ci ha data l’analisi il chimico Gatti8

Veggonsi le case della Tavernola e della Zuccotta appoggiate al monte Lampino (Mons olympinus), e si giunge al borgo di Vico. Pochissime case signorili erano in questa parte del lago, e la Gallia (altra villa dei Gallii) era ivi la cosa più rimarchevole. Era questa dianzi il luogo del Museo di Paolo Giovio; e vi si veggono tuttavia le pitture del Morazzone e del cav. Bianchi. Vuolsi che in più vetusti tempi ivi fosse una delle ville di Plinio, o del prosuocero di lui Calpurnio Fabato, giacchè il Giovio narra che a’ suoi dì a [p. 277 modifica]lago cheto vedeansi ivi giacer nel fondo marmi quadrati, tronchi di colonne e piramidi dall’età divorate. Or è de’ Fossani. Oggidì questo sobborgo presenta quasi una nuova e vaghissima città. La prima casa è Grumello dell’elegante scrittore Giambatista Giovio che più volte ho rammentato. Vien indi la villa Odescalchi, di cui nulla v’ha di più grandioso in que’ contorni: sarebbe solo desiderabile che fosse più elevata, e più sodo e sicuro ne fosse il fondo. Ivi, al riferire di Benedetto Giovio, era il magnifico Suburbano di Caninio Rufo, e ’l porticale e l’euripo e l’ombrosissimo platano (platanon opacissimus) celebrato da Plinio 9, al cui luogo veggonsi ora degli ampi tigli, e v’era dianzi un immenso olmo, di cui quel sito ritiene il nome.

Tra il borgo di Vico e la città è un piano, intorno a cui s’è disputato se meno o più insalubre sieno per renderlo le piantagioni de’ salci. Il torrente Cosia, che, passando fra le città e ’l monte, vien ivi a versar le acque, e strascinare i suoi sassi nel lago, vuol essere di tempo in tempo spurgato, acciò non alzi soverchiamente il letto. Il mentovato G. B. Giovio ne descrive i mali, e ne propone i rimedj nel V. degli Opuscoli Patrj che m’ha fatto l’onore di dirigermi. [p. 278 modifica]

Quei che assomigliano Como ad un granchio marino, di cui il borgo di Vico forma la chela sinistra, veggon la destra nel borgo di s. Agostino, così detto da un soppresso convento d’Agostiniani, e chiamato anticamente Colognola e Curignola (Coloniola), il qual comincia in certo modo a Geno (Genium); bellissimo promontorio, già villa Menafoglio, ora Cornaggi, e forse antica villa e sepolcreto anche d’illustri Cristiani, come si può rilevare da un’iscrizione, appartenente all’anno 463, disotterratavi nel 1791. Fu poi casa degli Umiliali, e quindi Lazzaretto. Nel borgo di s. Agostino possono vedersi molte fabbriche di setificio.

Nella Gallietta, dianzi de’ Rezzonici, or de’ Giovii, veggonsi de’ bei quadri; e de’ bei freschi del Morazzone stanno nella chiesa di s. Agostino.

Evvi a mezza montagna s. Donato, ove è una grotta, a cui i divoti concorrono; e sulla pianura più alta v’è Brunate, ove pur era un monistero di monache. Narransi ivi strani miracoli d’una Beata Guglielmina sorella d’un re d’Inghilterra, che fuggì di casa, e colassù pervenne raminga, e morì. Checchè siane del vecchio racconto, è certo che molte donne vanno a quella chiesa, affinchè per intercessione della Beata Guglielmina venga loro nelle mammelle il latte, di cui abbisognano [p. 279 modifica]per sostentamento del bambino; e prova del concorso son le ricchezze della chiesa stessa in confronto delle vicine. Una vecchia rappezzata immagine è il solo monumento colassù rimasto relativo all’accennato evento. Non confondasi però questa colla famosa Guglielmina di regia stirpe Boema, la quale, alla stess’epoca, di nuovi riti e di nuovi domini, ma non d’infami sozzure, come alcuni scrissero, era maestra in Milano. In quell’altura poco matura il vino, ma ben alligna il grano, che è della più grossa specie, e serve agli abitatori anche di minestra come il farro.

V’ha della buon’argilla nel vicino villaggio di S. Tommaso. Discendendo a S. Martino può vedersi una fabbrica de’ pannilani; che miglior sarebbe se tutti i nostri monti nutrisser pecore a lana fina, che or solo cominciano a sostituirsi alle comuni.

I monti che circondano Como dal S. E. al S. O. sono di forte breccia molare, ma all’E. hanno la base di sasso granitoso o di gneis, e in alto sono di sasso calcare, o piuttosto marnoso, che confricato dà odore bituminoso.

Il sovente citato coltissiino scrittore del Commentario su Como e il Lario, ad istruzione del viaggiatore voglioso o costretto di colà trattenersi, nel libro suo lungo capitolo inserì per tutto indicare quello che in luoghi [p. 280 modifica]pubblici e in case private v’è d’osservabile. L’opera sua per tanto potrà il viaggiator consultare, se ad evitar la noia vorrà tutto vedere. Io qui solo gl’indicherò poche cose che più importanti mi sembrano e di non difficil accesso.

Prima d’ogni cosa vuol essere visitata la chiesa cattedrale, mole magnifico e tutta marmorea, cominciata nel 1396, e terminata nello scorso secolo. Il marmo ond’è costruita è tratto dalle vicinanze di Musso. Il Battistero vuolsi essere disegno di Bramante. Sul fianco v’ è un pezzo di lapide romana spettante a Plinio Cecilio 10. Già è noto che [p. 281 modifica]di Como erano i Plinii, de’ quali fanno menzione molte iscrizioni di questi contorni. Una bella ven’ha per C. Plinio Calvo nel palazzo pubblico11. Molte antiche epigrafi in marmo veggonsi in Vescovato, e più ancora presso il mentovato Giovio, che ha ornato l’atrio, il cortile e le scale di quante vetuste lapidi patrie ha potuto raccogliere, (ove fra le altre [p. 282 modifica] è rimarchevole quella di L. Cecilio Cilone) e le sale delle pitture che furono già del celebre suo antenato monsignor Paolo. Buona collezione di storia naturale hanno i chiarissimi professori Mocchetti e Carloni; e buone macchine fisiche stanno nel R. Liceo, alcune delle quali furono dono del valente e ingegnoso can. Gattoni.

Non farò qui menzione di varj bei quadri esistenti nelle chiese, sì perché, a motivo delle soppressioni, arrischierei d’indicare ciò che più non v’è; sì perché, sebbene molte tavole da Giovio mantovate sieno di valenti pennelli, nessun’opera pubblica egli indica di maestri di prim’ordine, quali sono un Correggio, un Raffaello, un Vinci ec. Parlai già delle otto gran colonne marmoree tratte da una rupe presso Mandello, e poste nella chiesa del Crocifisso.

L’amator delle scienze andava dianzi a visitare il lodato can. Gattoni per l’arpa suonata dagli spiriti aerei, cioè molti fili metallici tirati da una torre alla sua casa, i quali per alcune alterazioni dell’ammosfera, non ben determinate ancora, mettean a tempo a tempo un’inaspettata armonia. Le notizie storiche di Como possono leggersi, o compendiata nelle summentovate opere di Giovio, o estesamente nella Storia di Como di Rovelli.


Note

  1. L’epigrafe non è votiva non è di un Vibio Cominiano, non parla di Diana; ma è sepolcrale, e n’è autrice Domizia Domiziana, che con testamento destinò il sepolcro gentilizio o comune per sè, per lo marito, per la figliastra, pel cognato e per la suocera. Non l’abbiamo veduta cogli occhi nostri, ma un artista distinto, che suol villeggiare in que’ bei contorni, copiolla non a guari del marmo, e per sua bontà ci richiese del nostro. avviso. Veggasi intera, secondo l’apografo che ci fu presentato.

    dis          manibus

    vibiorum .   cominianorum

    valeri . pii et . severae

    claudianae

    et . severi . et . valeriae

    cominianae

    domitia . domitiana . cai . filia

    viva . sibi . legavit . monumentum

    marito . privignae . cognato et

    socru

    Abbiamo spiegati i gradi seccondo l’ordine dei nomi; ciò che ci pare più conforme all’intenzjone dell’epitaffio (Nota tratta dall’esemplare postillato dal sig. dott. Gio. Labus).

  2. Eccl. Medlio. Hist. pag. 468.
  3. Lettere Lombarde, Lett. xxii.
  4. E da Cremona son iti questi due cippi alla Villa de’ Picenardi, che si leggon così:
    1 2
    iovi matro
    Optimo . Maximo vis
    publius . caesivs publius . caesivs
    archigenes archigenes
    votum.solvit.libens.merito votum.solvit.libens.merito

    Sulla prima non occorron parole. Al viaggiatore erudito piacerà in vece risovvenirsi chi fossero le Matrone cui sciolse il voto Archigene, che die il nome ad Argegno. Intorno le quali non è forse improbabile 1'opinione di chi avvisò, che siccome ai Genj e alle Ninfe attribuivano gl’idolatri la cura e la protezione dei luoghi e dei fonti; così alle dee Madri e Matrone attribuissero quella dei vici e dei pagi. Tacendo gli autori, ciò par confermarsi dai marmi; poichè matronis rumanehabvs vediam in un’ara di Rumanheim; matronis vacallinehis in altra di Vachelendorff; matronis avfaniis; matribvs drittis; matribvs treveris in altre parecchie, e nella più elegante di tutte in honorem.domus . divinae dis (l. deabus) matrabvs (l. matrabus), vicani . vici . pacis. Forse derivano dalla superstizione che per le donne fatidiche aveano li antichi Galli, che l’ignoranza de’ popoli col proceder dei secoli divinizzò. Veggasi il Rothio de Imagunculis magicis Germanorum, il Keislero de Mulieribus fatidicis antiquitatis; il Cannegieter de Brittemburgo, Matribus Brittis. ec. (Nota tratta dall'esemplate postillato dal sig. dotto. Gio. Labus

  5. Opuscoli scelti Tom. I pag. 215.
  6. Op. Sc. Tom. VIII pag. 180.
  7. Opusc. sc. Tom. VIII pag. 272.
  8. Opusc. scelti, Tom. XVI pag. 361.
  9. Lib. 1 ep. 3.
  10. L’epigrafe onoraria di Caio Plinio Cecilio Secondo, lacera in parte, vuolsi legger supplita cosi:

    caio plinio . lucii . filio

    ovfentina caecilio

    secvndo . consuli

    avguri . cvratori . alvei . tiberis

    et . riparum . et . cloacarum . vrbis

    Cinque altre linee furonvi sotto allogate non sappiam quando, le quali non hanno con essa che fare. In fianco di lei vi ha quest’altra che parla di un liberto del Plinio Cecilio suddetto, la qual merita di essere veduta per gli accenti o spiriti, od apici che dir si vogliano, segnati sull’E. Se non fosse ormai dimostrato che ben rare volte furono incisi a tenor delle regole per le quali si sa che furono ritrovati, potrebbe questa servir di prova al combattuto sistema. Generalmente parlando, le lapidi accentate si riferiscono al tempo di Augusto, e dopo esso sino a Trajano o poco più. Dall’età di quest’ultimo è la seguente:

    caio coesidio

    evzélo

    vi . viro

    caius . plinivs

    philocalvs

    in . civis . tvtélam

    coedidivs

    evlélvu

    collégio . fabrum

    dedit . hs . ii (2000 sesterzi)

    locus . datus . decreto . collegii

    (Nota tratta dall'esemplare postillato dal sig. dott. Gio. Labus).

  11. Questa lapide onoraria per Caio Plinio Calvo non è più nel palazzo pubblico, ma nel palazzo dei Co. Giovii, ove si trasportarono quelle che si dicono in Vescovato, e quelle che erano in casa Tridi, anzi pressochè tutte le più importanti della città e della provincia, per discorrer le quali anche di fuga e per cenni in luogo di nota sarebbe d’uopo fare un volume (Nota tratta dall’esemplare postillato dal sig. dott. Gio. Labus).