Viaggio in Dalmazia/De' Costumi de' Morlacchi/5. Virtù morali, e domestiche dei Morlacchi

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5. Virtù morali, e domestiche dei Morlacchi

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5. Virtù morali, e domestiche dei Morlacchi
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§. 5. Virtù morali, e domestiche dei Morlacchi.

Il Morlacco, che abita lontano dalle sponde del mare, e da’ luoghi presidiati, è generalmente parlando un uomo morale assai diverso da noi. La sincerità, fiducia, ed onestà di queste buone genti, sì nelle azioni giornaliere della vita, come ne’ contratti, degenera qualche volta in soverchia dabbenaggine, e semplicità. Gl’Italiani, che commerciano in Dalmazia, e gli abitanti medesimi del litorale ne abusano pur troppo spesso; quindi è che la fiducia de’ Morlacchi è scemata di molto, e [p. 55 modifica]va scemando ogni giorno più, per dar luogo al sospetto, e alla diffidenza. Le replicate, sperienze ch’essi ànno avuto degl’Italiani, àn fatto passare in proverbio fra loro la nostra malafede. Eglino dicono per somma ingiuria egualmente Passia-viro, e Lanzmanzka-viro, fede di cane, e fede d’Italiano. Questa mala prevenzione contro di noi potrebb’essere incomoda al viaggiatore poco conosciuto: ma non lo è quasi punto. Ad onta di essa, il Morlacco nato ospitale, e generoso apre la sua povera capanna al forastiere: si dà tutto il moto per ben servirlo, non richiedendo mai, e spesso ricusando ostinatamente qualunque ricognizione. A me più d’una volta è accaduto per la Morlacchia di ricevere il pranzo da un uomo, che non m’avea veduto giammai, nè poteva ragionevolmente pensare di dovermi rivedere in avvenire mai più.

Io non mi dimenticherò per sin che avrò vita dell’accoglienza, e trattamento cordiale fattomi dal Vojvoda Pervan a Coccorich. Il mio solo merito era d’essere amico d’una famiglia d’amici suoi. Egli mandò monture, e scorte a incontrarmi, mi ricolmò di tutte le squisitezze dell’ospitalità nazionale ne’ pochi giorni, ch’io mi trattenni in que’ luoghi, mi fece scortare dal proprio figlio, e dalle sue genti sino alle campagne di Narenta, che sono una buona giornata lontane dalle di lui case, e mi premunì di vettovaglie abbondantemente, senza che potessi spendere in tutto questo un quattrino. Dopo che fui partito dall’albergo di sì buon Ospite, egli, e tutta la sua famiglia mi seguitò cogli occhi, nè si ritirò in casa, che nel momento in cui mi perdette di vista. Questo affettuoso congedo mi destò nell’anima una commozione, ch’io non avea mai provata sino allora, nè spero di provare sovente viaggiando in Italia. Io portai meco il ritratto di questo generoso uomo, sì [p. 56 modifica]principalmente per aver il piacere di rivederlo anche di lontano, malgrado al mare, e alle montagne che ci separano, come anche per poter dare un’idea del lusso della Nazione negli abiti de’ suoi Capi (Tav. IV). Egli permise ancora, che fosse disegnato il vestito d’una fanciulla sua Nipote, molto differente da quello delle Morlacche del Kotar, e degli altri Territorj, ch’io aveva scorso.

Basta trattare con umanità i Morlacchi per ottener da loro tutte le possibili cortesie, e farseli cordialmente amici. L’Ospitalità è fra loro tanto virtù del benestante, quanto del povero; se il ricco v’appresta un agnello, o un castrato arrosto, il povero vi apparecchia un pollo d’India, del latte, un favo di miele o tal altra cosa. Questa generosità non è solamente pel forastiere; ella stendesi su tutti quelli, che ponno averne dibisogno.

Quando un Morlacco viandante va ad alloggiare in casa del suo Ospite, o parente, la fanciulla maggiore della famiglia, o la Sposa novella, se v’è, lo riceve baciandolo allo scendere di cavallo, o all’entrare nell’albergo. Il viaggiatore d’altra Nazione non gode facilmente di questi favori donneschi; al contrario, elleno gli si nascondono se sono giovani, e stanno in riserva. Forse più d’una violazione delle leggi ospitali le à rese guardinghe; o il geloso costume de’ Turchi vicini si estese in parte fra’ nostri Morlacchi.

Sinchè v’è di che mangiare in casa de’ benestanti d’un villaggio, che oggimai sono ridotti a un picciolo numero, non mancano i poveri vicini del necessario sostentamento. Quindi è che niun Morlacco si avvilisce sino al chiedere l’elemosina a chi passa pel suo paese. In tutti i viaggi, ch’io ò fatto pelle contrade abitate da questa Nazione, non m’è accaduto giammai [p. Tav. IV modifica]Tav. IV. [p. 57 modifica]d’incontrare chi m’abbia chiesto un quattrino. Io sì, che ò avuto bisogno sovente di chieder qualche cosa a’ pastori meschini, ma però liberali di quanto aveano; e molto più frequentemente, attraversando le loro campagne nel bollore della State, ò incontrato poveri mietitori, che venivano spontaneamente ad offerirmi, con una cordialità che m’inteneriva, l’otre da bere, e porzione delle loro rustiche provvigioni.

La domestica economia non è intesa punto dai Morlacchi comunemente; eglino somigliano in questo particolare agli Ottentotti, e danno fondo in una settimana a quanto dovrebbe loro bastare per molti mesi, solo che si presenti un’occasione di far galloria. Il tempo delle nozze, il dì solenne del Santo Protettore della famiglia, l’arrivo di parenti, o d’amici, e qualunque altro motivo d’allegria fa, che si beva, e si mangi intemperantemente quanto v’è in casa. È poi economo, e castiga se stesso il Morlacco nell’usar delle cose destinate a ripararsi dall’intemperie delle stagioni; di modo che se à il berretto nuovo, e la pioggia lo sorprenda, egli se lo trae, amando piuttosto di ricevere sul capo scoperto, e nudo la procella, che di guastare troppo presto il berretto. Così si trae le scarpe, se incontra fango, quando le non sieno più che sdruscite.

La puntualità del Morlacco è pell’ordinario esattissima, quando l’impossibilità non vi si opponga insuperabilmente. Se accade, che non possa restituire al prescritto tempo il denaro preso ad imprestito, egli viene con qualche presentuccio dal suo creditore a chiedere un termine più lungo. Avviene benespesso, che di termine in termine, e di regalo in regalo, egli paghi senza riflettervi il doppio di ciò, che dovrebbe.