Viaggio in Dalmazia/Del Corso della Cettina, il Tilurus degli Antichi/2. Viaggio sotterraneo

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2. Viaggio sotterraneo

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§. 2. Viaggio sotterraneo.

L’abbondanza dell’acqua, che da questi Laghi, e dalle altre men ragguardevoli fonti concorre a formare il fiume Cettina, il vedere ch’egli esce tutto da un monte assai più picciolo di quelli, che sono soliti a dar origine ai fiumi nobili; il ricordare i marmi brecciati, da’ quali le sommità delle montagne Illiriche sono occupate, ci fece sospettare gagliardamente, che non fossero le sorgenti vere della Cettina quelle, presso alle quali ci trovavamo, ma sibbene diramazioni d’un fiume sotterraneo, di cui antico letto furono peravventura in rimotissimi secoli le alte pianure continue, che poi divennero dopo una lunga serie di squarciamenti sommità di montagne. Venuto di fresco dall’avere visitato il Bellunese, e que’ luoghi particolarmente, ne’ quali gli sfaldamenti delle montagne interrompono di sovente il corso de’ fiumi, Mylord Hervey riconobbe i vestigj pendenti delle rovine su le falde di Kozjak, di Gnat, e della Dinara, che apertamente mostrano l’interruzione degli strati loro essere stata cagionata da un vasto sobbissamento improvviso, e forse da una successione di sobbissamenti. Questa ragionevole, e sì ben appoggiata congettura ci determinò a penetrare nelle caverne, che serpeggiano [p. 65 modifica]pell’interno del monte fra i due Laghi sopraddescritti. Alcune di esse ad onta della loro asprezza, ed oscurità furono in altri tempi frequentate da uomini selvaggi, e forse anche feroci al paro degli Orsi; e vi si vedono tuttora de’ vestigj di muro fabbricatovi rozzamente per vieppiù renderne forte, ed angusto l’ingresso. È veramente fatica da selvaggi indurati alla vita ferrea l’aggrapparsi in quegli orridi ripostigli; io mi v’introdussi però replicatamente per esaminare a mio senno, non a mio agio, la struttura di que’ monti marmorei. S’insinuano colà fra’ pezzi di strati disequilibrati angustissime fenditure e tane, dove fa d’uopo ascendere strascinandosi a quattro gambe, non essendo per lunghi tratti possibile d’alzarvi il capo. In una di queste tane da marmotte, vicino all’apertura esterna, la superficie del masso inferiore come quella del superiore, che serve di volta all’angusto passaggio, sono tutte sparse di durissime ed acute punte di stalattite: più sù è reso così liscio il marmo dal frequente praticarvi degli antichi ladri, o selvaggi, che dopo d’avere sofferto molto, per trarmivi innanzi, io sdrucciolai addietro mio malgrado più volte. Da quelle angustie si passa in luoghi meno impraticabili, ma sempr’egualmente orrendi, e resi più tetri là dove sono più spaziosi dalla negrezza delle pareti affumicate. I barbari, che abitarono que’ baratri ne’ secoli passati, dovettero bene spesso arrischiare di fiaccarsi il collo, o d’affogarsi per calore, e pel denso fumo, cui tramandano le scheggie di sapino accese, che servono di fiaccole in quelle bolge infernali.

Voi sapete quanto deggia servire a somministrare idee giuste sopra la struttura interiore della parte del nostro Globo più vicina alla superficie questo insinuarsi or colle mani a terra, e col capo in giù, ora di sasso in sasso arrampicando pelle più tortuose, ingombre, ma[p. 66 modifica]lagevoli cavità de’ monti. Colà si può scoprire la Natura sul fatto, e raccogliere abbondanti materiali per fabbricare buone Teorie, o almeno buoni stromenti per distruggere le mal architettate. Io sono stato poco fortunato sino ad ora; tutte le caverne naturali de’ monti calcarei, nelle quali mi sono internato, si somigliarono; ma spero ancora di trovare un dì o l’altro qualche cosa, che si tragga dall’ordinaria monotonia, visitando montagne minerali non ancora sviscerate dagli uomini. Che belle lezioni di Chimica naturale denno trovarsi scritte nelle loro cieche spelonche! Dopo l’esame, ch’io ò fatto talvolta de’ Sistemi, e Classificazioni ordinate da’ più rinomati Orittologi, confrontando i Fossili colle descrizioni risguardanti la loro genesi, mi è sembrato di trovare, che la Natura fosse stata mal interpretata da’ principali suoi Sacerdoti. Ardirei quindi asserire, che la parte sotterranea della Scienza Naturale à d’uopo tuttora di grandi ajuti, e di osservazioni ben istituite da uomini non prevenuti, per essere tollerabilmente piantata.

Fra le peregrinazioni di sotterra, che ponno recar piacere agli Amatori della Geografia fisica, merita d’essere contata quella, che noi fecimo nella più estesa Caverna delle fonti di Cettina. Ella ci à dato qualche cosa più che gli altri viaggi sotterranei, per le viscere de’ monti calcarei. Poco cammino vi si può far in piedi presso la bocca. Noi dovemmo curvarci di molto, poi metterci a terra, e strascinarci sul ventre per uno stretto, aspro, e limaccioso sentiero, atto a far cangiare d’opinione la maggior parte de’ curiosi. I lavori comuni degli stillicidj, ne’ quali c’incontrammo sovente, son colaggiù tanto varj, e moltiplicati quanto si può desiderare in angusti luoghi, dove non ponno essere magnifici come nelle Grotte d’Antiparo, e nella Caverna [p. 67 modifica]Baumanniana. Il più curioso, non il più frequente scherzo che vi si vegga, sono certe vasche fatte a foggia di gran conche embricate, una delle quali, ch’io ò particolarmente osservata, à gli embrici oltre mezzo piede larghi; ed assai ben configurati. Questi non posano già sul suolo, ma dal centro della conca partono curvandosi all’infuori; la conca non à grossezza maggiore di quattro dita, ed è capace di molt’acqua, imperocchè à oltre due piedi, e mezzo di lunghezza. Non si potrebbe dall’Arte eseguire pezzo più bello per decorarne una fonte, o una grotta di giardino; dall’Arte dico, che la Natura volesse imitare, non adornarla. Quelle medesime acque, che da poco più di due piedi d’altezza cadendo la gran Conca embricata lavorarono assai regolarmente, formano de’ modelli di fortificazione molto ben intesi, vuoti nel mezzo, e circondati da bastioncini, e muraglie non più alte di tre in quattro pollici. Nè vi crediate, che l’immaginazione ci abbia fatto in que’ lavori trovare una perfezione, che non vi sia poi veramente; la Natura gli à architettati in modo sì maestrevole, che merita una particolar attenzione. Ella vi è stata ancora più esatta, che nel lavorare la Pietra Matematica, che trovasi nel Martignone, poco lontano da Bologna. Mentre noi andavamo carponi pella Caverna, incontrammo anche qualche picciola piscina, in cui gran quantità di laminette saline candidissime calcareo-spatose erano ammucchiate, stesesi durante una lunga successione di tempi su la superficie dell’acqua come un velo petroso; e poi successivamente calate a fondo, per dar luogo alla formazione d’un’altra lamina salma; curiosità1, che io avea già [p. 68 modifica] parecchie volte veduto, errando pelle sotterranee vastissime petraje di Costoggia nel Vicentino. D’egual candore, e lucidezza splendono molti torsi, che quà, e colà s’alzano immediatamente sotto le gocciaje più provvedute di parti pseudo-alabastrine, e che pajono veramente a prima vista nati fuor della terra come gli asparagi. La rilucente bianchezza loro, è ancora più paragonabile alla neve, che allo zucchero in pani. L’apparenza di vegetazione, che ingannò il cel. Tournefort, e più recentemente il dottissimo Autore della Storia Fossile del Pesarese, non ci sedusse però. Il Naturalista Francese, non era egualmente profondo nella Litologia, come nella Botanica, e quindi non gli si vuole fare un delitto d’aver creduto vero ciò, ch’era soltanto apparente: ma molto più è scusabile il nostro Italiano, che fidandosi d’Osservatori assai meno oculati di lui piantò le sue deduzioni su fatti poco dimostrati. Egli è ben lontano da’ pregiudizj delle scuole, che seguendo troppo letteralmente il buon vecchio Plinio, accordarono anche alle pietre la facoltà di vegetare. Fra tutti i marmi, questa spezie d’Alabastro, stillatizio, calcareo gli parve la sola, a cui dovess’essere accordata la vegetazione, chiaramente, ed espressamente da lui medesimo negata alle altre. Il forellino, cui sogliono avere nel centro le colonne, e i torsi che sorgono dal suolo delle caverne; l’essergli stato asserito, che non istilava acqua dalle volte delle grotte; e qualche altra simile inesattezza d’osservazione lo fè pensare ad espor[p. 69 modifica]re, con somma modestia però, quanto gli venne suggerito dal proprio felicissimo ingegno per spiegare la genesi di que’ torsi isolati. Io ò letto con piacer vero le ingegnose congetture dell’ottimo Filosofo, cui amo, e venero: ma le mie osservazioni contrarie a quelle, che gli furono comunicate, non mi permisero d’essere in opinione con lui. Il canale longitudinale si osserva egualmente ne’ torsi, che sorgono da’ pavimenti, e nelle strie stalattitiche pendenti dalle volte delle caverne, l’origine delle quali si vede ben chiaramente. Se l’acqua non istillava dalle volte allorchè i corrispondenti del dotto Scrittore furono a far osservazioni nelle grotte sotterranee, il che avranno eseguito in giornate serene, essi l’avrebbono sentita stillare in giorni piovosi. Così anche in Venezia dalla volta del Ponte di Rialto, e dalla facciata della Chiesa de’ Gesuiti pendono le strie, lungo le quali scorre l’acqua, e le accresce dopo le pioggie.

Le frequenti manifestissime disequilibrazioni, e rovine parziali di strati antichi ora di pietra dolce, ora di marmo calcareo, che in quelle profondità s’incontrano, ci confermavano ad ogni passo nell’opinione, che un fiume sotterraneo rodesse le loro basi. Dopo lungo cammino giunsimo a un Ponte naturale, formato da un arco di strato rimasto in aria, e per di sotto al quale scaricansi le acque eventuali delle vicine montagne, che un ampio canale sotterraneo fra strato e strato si sono scavato. Colà volle, allorchè vi fummo insieme, riposarsi alquanto Mylord; e con una presenza di spirito, ch’è ben rara anche presso i Filosofi, restato solo fra quelle densissime tenebre, mandò addietro per far provvisione di scheggie di sapino il Morlacco, che gli serviva di guida, onde aver fiaccole che bastassero a proseguire il viaggio. Quel Ponte non à più [p. 70 modifica]che dieci in dodici piedi di corda, e circa altrettanti di saetta. Egli sembra un modello del Ponte di Veja già descritto dal Ch. Signor Betti, e bene o male ridescritto da me2; e serve a dimostrare, che il mio illustre Amico Signor Brigadiere Lorgna, oggimai celebre fra’ Matematici d’Europa, spiegò meglio d’ogn’altro il modo, col quale si formano per opera delle acque rodenti sì fatti lavori d’Architettura naturale. Forse anche questo vorrebbero far passare per uno scherzo della Natura coloro, che da un di lei cappriccio stimarono fatto di getto tutto ad un tratto quello che vedesi ne’ monti Veronesi; poichè non v’è stravaganza, che non si giunga a dire quando si vuol sostenerne una prima: e avrebbe per certo il torto chi si volesse prendere il fastidio di far intendere ragione a questa strana razza di Filosofanti. Noi giunsimo al Ponte sotterraneo, saltando di rovina in rovina, e trovammovi assiso l’Amico nostro. Nessun Vescovo dell’antica Chiesa penetrò certamente giammai in Catacombe più nere, e malagevoli di quelle, cui prima d’ogni altro portossi ad osservare il Vescovo di Derry. Il luogo, dov’egli ci attendeva, è un vero tratto dell’Inferno di Dante, molto opportuno per chi volesse ruminarvi le notti di Young, ed annerirle ancora di più.

Non eravamo contenti affatto dell’alveo manifestamente scoperto, per lo quale le acque piovane scaricavansi, passando di sotto al rustico ponte marmoreo; noi chiedevamo di più, e ci dolevamo che un maggior grado solamente di probabilità fosse accresciuto al sospetto, cui [p. 71 modifica]avevamo concepito d’un fiume sotterraneo, e non piuttosto si fosse il vero, e perenne fiume trovato. Pareva che non si potesse scendere più oltre, così ripidi ed alti erano i fianchi del Ponte. Questa difficoltà non ci trattenne però; noi ci calammo ad uno ad uno giù pel sasso, che sporge in fuori rendendo più difficile la discesa, e ci posimo in istato di proseguire le indagini. Il marmo, su del quale ci trovammo, è di quel precisamente medesimo impasto, che forma la base della Liburnia, e dell’Isole aggiacentivi, del quale ò fatto incidere un esemplare nelle mie Osservazioni sopra l’Isola di Cherso ed Osero3. Que’ corpi tubulosi, osteomorfi, cangiati in spato calcareo, resistono colaggiù precisamente come fanno sul lido del mare all’erosione dell’acque, piucchè non fa il cemento petroso, che gli unisce, e quindi sono assai prominenti. Fecimo pochi passi, scendendo alquanto pella schiena di quello strato inclinato, che c’incontrammo in parecchi laghetti, e pozzi. Egli è manifesto, che questi si sono aperti nello strato medesimo per isprofondamenti cagionati dal gran volume delle acque superiori, che non aveano sfogo, e che, nel tempo dello squagliamento delle nevi, deggiono aver fatto violenza da tutti i lati in quelle Caverne per agevolarsi l’uscita. Questi pozzi ci fecero intendere che noi stavamo su d’una volta, e che sotto di essa tutto era occupato dall’acqua; gli orli loro marmorei non mostravano in quel baratro grossezza maggiore di due piedi, ch’è la solita de’ corsi di quell’impasto, anche su le sponde del [p. 72 modifica]Quarnaro. Gettammo varj pezzi di sassi bianchi nell’acqua limpidissima de’ laghetti, e per quasi un minuto gli accompagnammo coll’occhio, poi li perdemmo di vista senza che avessero toccato il fondo. Vollimo anche assicurarci del corso di quelle acque, che pella scrupea ineguaglianza de’ luoghi, dai quali passano, deggiono necessariamente perdere l’impeto del corso loro naturale, e sembrano quasi stagnanti. Alcuni pezzuoli di carta ci chiarirono però del vero, lentamente movendosi secondo la direzione dell'acqua ne’ pozzi, che sono pur chiusi tutto all’intorno. Io sperava di vedere qualche pesce in que’ luoghi sino allora intentati: ma non potei scoprirne veruno, sia perchè non ve n’abbiano veramente, sia perchè il comparire de’ lumi, o piuttosto il romore delle voci alte, e numerose gli avesse spaventati, e fatti fuggire più addentro.

Uscito dalle Caverne contentissimo d’esservi entrato sì la prima che la seconda volta non mi potei trattenere dal dare un’occhiata alle alte montagne, che fiancheggiano il corso attuale della Cettina, le vette delle quali attraversò indubitabilmente un fiume ne’ secoli antichi, e second’ogni probabilità quel medesimo, che ora parte sotterraneamente, parte alla scoperta per nuovo cammino portasi al mare, lasciando abbandonati per sempre i vasti letti di sassi fluitati, fra’ quali errando liberamente scavavasi gli alvei temporarj a cappriccio ne’ tempi più lontani da noi.

Gli abitanti delle campagne bagnate dal fiume Cettina, ch’erano ne’ tempi andati soggetti al Governo Ottomano, e più frequentemente trovavansi a portata d’esaminare gli accrescimenti del fiume, osservarono che questi aveano una costante analogia coll’escrescenza del Lago di Busco-Blato, venti buone miglia lontano dalle sorgenti di Jarebiza di là dalle montagne. Eglino [p. 73 modifica]ne conchiusero, che v’era una comunicazione sotterranea fra il Busco-Blato, e ’l Fiume; nè la distanza, e l’altezza de’ monti intermedj gl’impedì dal formare una congettura sì ragionevole. Quel Lago è così abbondante di pesci, che nell’abbassarsi delle acque i porci se ne nodriscono; e questo cibo li rende enormemente obesi. I Morlacchi sudditi Ottomani, che abitano le sponde del Busco-Blato profittano della quantità, e grassezza del pesce per farne oglio. Eglino lo traggono col semplice metodo di friggere il pesce nelle padelle; il grasso che vi si disfà colano, e ripongono in giarre pegli usi domestici di tutto l’anno. Non ò potuto rilevare se abbiano un costante periodo le acque del Busco-Blato, come quelle del celebre Lago di Czirkniz: ma un qualche periodo ànno certamente, su di cui contano gli abitanti de’ vicini luoghi.

  1. V. Arduini, Lettere Orittografiche nel T. VI della Nuova Raccolta d’Opuscoli, che si pubblica periodicamente in Venezia da Simone Occhi. Queste Lettere, e parecchi altri pezzi di varj Autori Italiani, che appartengono alla Storia Naturale Fossile, meriterebbero d'essere ripubblicati, e resi più universalmente noti, ed utili.
  2. Giornale d’Italia T. II. N.° LI. Pag. 401. Vedi Descrizione del Ponte di Veja di Zaccaria Betti. Verona. in 4. fig.
  3. Saggio d’Osservazioni su l’Isola di Cherso, ed Osero. Ven. 1771. Fig. I. pag. 106.