Viaggio in Dalmazia/Del Primorie, o sia Regione Paratalassia degli Antichi/4. Del Mare, che bagna il Primorie; del suo livello; della Pesca

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4. Del Mare, che bagna il Primorie; del suo livello; della Pesca

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4. Del Mare, che bagna il Primorie; del suo livello; della Pesca
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§. 4. Del Mare, che bagna il Primorie; del suo livello; della Pesca.

Nel viaggio, ch’io ò avuto l’onore di fare con Voi, ò in vari luoghi creduto di ritrovare costanti, e chiari indizj dell’alzamento del livello del nostro Adriatico, del quale alzamento da’ tempi Romani a’ nostri convennero il Manfredi, e ’l Zendrini, e che adesso da alcuni si nega senza verun ragionevole fondamento, anzi in opposizione de’ fatti, da altri non si calcola punto nelle occasioni, che pur chiederebbono si calcolasse. Non è del momento il raccogliere tutte le osservazioni di fatto, che in favore di questo alzamento di livello somministra la Città di Venezia, dove il Governo è in necessità d’anno in anno d’alzare le piazze, che danno acqua alle pubbliche Cisterne, perchè dal XVI secolo, in cui per la maggior parte furono riparate, sino a’ dì nostri, il mare à guadagnato sopra i pavimenti nelle piene sciroccali; dove l’acque entrano in parecchj Tempj, che saranno certamente stati fabbricati in modo da contenervi i Fedeli all’asciutto; dove la gran Piazza di S. Marco, ad onta del nuovo pavimento, e de’ rialzamenti che vi si son fatti, è tratto tratto inondata: dove ne’ magazzini de’ Mercatanti l’acqua oltrepassa nelle piene le prevedute misure con danno, e deperimento grandissimo di merci. E questi danni urbani, e gli smantellamenti delle dighe, i pregiudizj cui soffrono le nostre Valli, e quelle de’ [p. 120 modifica]Comacchiesi, che si lamentano giornalmente del mare sopraffattore; la rovina parlante del non oggimai per qualunque dispendio che vi si faccia ben riparabile Porto d’Ancona, e del monte vicino, che vien rovinato a occhi veggenti; la Città di Conca sommersa poco lontano da Rimino; le fondamenta subacquee di Ciparum in Istria, che pur fu distrutta del DCCC, e tante altre osservazioni corrispondenti sono estranee al mio proposito. Io vi deggio parlare di ciò, che à rapporto al livello del mare lungo il litorale Primoriano.

In tutta la spiaggia dalle foci di Cettina sino a quelle di Narenta il mare à visibilmente perduto della sua antica estensione in superficie. Le ghiaje, le terre, le sabbie portate giù da’ monti pell’impeto de’ torrenti ànno colmato le Valli, e d’un lido, che anticamente sarà stato second’ogni apparenza portuoso, ànno fatto una spiaggia esposta ai venti, e totalmente priva di seni. Il mare infuria adesso contro questi nuovi terreni, e li va rodendo tanto più agevolmente, quanto ch’e’ non ànno gran connessione di parti. Per quanto s’abbassi la marea in que’ luoghi, dove il lido corroso sorge a perpendicolo, non si discuopre però mai altra materia che lo componga se non se ghiaje montane. I Promontorj, che in varj luoghi sporgono in mare dal Continente, invece di ricevere aumento, o fiancheggio, come dovrebbe accadere se il mare (come ad alcuno potrebbe venir in pensiero) cacciasse al lido le proprie ghiaje, perdono di giorno in giorno della loro estensione, e divengono scogli subacquei, capovolti, e staccati dal monte.

A queste osservazioni generali due di particolari ò potuto viaggiando pel Primorie congiungerne. L’una mi è stata dettata dall’Iscrizione scolpita nel vivo dello scoglio lungo il lido di Xivogoschie, nella quale è parlato non solo d’una fonte che non vi sgorga più, ma [p. 121 modifica]anche d’un tratto di podere ch’ella irrigava. Adesso il mare batte violentemente contro la rupe scritta, e di già colla reiterata percussione delle ghiaje litorali ne à pregiudicato di molto il pregevole monumento, che non si legge più intero. Il podere, il giardino, il viale ameno, per cui s’andava a questa fonte, che apparteneva, secondo il Ch. Signor Girolamo Zanetti, a Liciniano Imperadore, è tutto stato sommerso con essa insieme dal rialzato mare.

Il fiume Narenta, e la campagna da lui allagata, in cui trovansi sepolti i resti dell’Emporio Narona, mi somministrarono l’altra, che pur troppo è applicabile anche alla parte nostra, dove Adria, e Ravenna subirono la medesima sorte. Le acque ritardate nel loro corso dall’opposta crescente altezza de’ flutti, deposero intorno alle foci di Narenta un gran numero di banchi d’arena, d’alcuni de’ quali formaronsi dell’Isole basse, e paludose: ma di questo apparente prolungamento delle terre, ben si vendica il Mare giornalmente, rimontando sempre più addentro nell’alveo del Fiume medesimo, e costringendone le acque impedite dallo scaricarsi liberamente a spandersi pell’aggiacente pianura. Quel tratto di paese, ch’era una volta fecondissimo produttore di biade, e dominato da una florida Città, è adesso una vasta, e insalubre palude, dove appena trae la vita languendo una miserabile, e scarsa popolazione. Non sarebbe però difficile impresa il ridurre abitabile e fruttifera quella pianura; e vi s’incontrerebbero meno difficoltà che nel basso Polesine, poste le differenti combinazioni del sito; ma stando le cose in istato naturale il Mare vi à fatto ritrocedere il Fiume, ed allagate le terre. Il lago Scardonitano sarà forse stato anch’egli una pianura irrigata dal Tizio, prima che il Mare ne rispingesse il corso. [p. 122 modifica]

Il Canale, che separa la Penisola di Sabbioncello dal Continente, à tutta l’apparenza d’essere stato in tempi rimotissimi l’alveo del fiume Narenta. Il Monte, che forma quel Promontorio, non è d’origine Vulcanica, onde possa dirsi sorto di sotterra o di sott’acqua tal qual si vede; egli è manifestamente stato separato dalla continuità della gran massa, che forma il Continente, come le vicine Isole lo furono senz’alcun dubbio. Torcola, ignobile Isoletta abitata da Pastori soltanto, à una cava di tofo fluviatile, il quale non d’altronde che da un fiume tartaroso può aver l’antica sua origine; e nella struttura della medesima Isola restano degli altri segni riconoscibili d’antichi alvei. Così ne rimangono sull’Isola di Lesina, de’ quali farò parola a suo tempo.

I fondi del Mare Primoriano sono ineguali; la profondità dell’acqua vi è però sempre considerabile nel mezzo del Canale, che separa il Continente dall’Isole, e dovrebbe oltrepassare le cencinquanta passa. Nel seno di Narenta, come fra Sabbioncello, e Lesina è molto minore, a segno che sovente si vede il fondo. M’accadde di vedere nelle acque del Capo S. Giorgio di Lesina cosa, che può dar idea dell’accrescimento de’ fondi marini pell’accessione de’ Testacei, e Poliparj, che vi formano la crosta, di cui parla il Donati nel suo Saggio di Storia Naturale dell’Adriatico. Questo Scrittore si credette dopo lunghe osservazioni subacquee di poter concludere, che l’acque del Mare s’alzassero di livello in qualche ragione coll’alzamento de’ fondi prodotto dalle importate de’ fiumi, e da questa crosta, ch’egli avea in varj luoghi, e spezialmente nelle maggiori profondità ritrovata. Io tralascio d’esaminare se infatti deggia contribuire l’alzamento del fondo all’alzamento dell’acque in un seno di mare, nel quale l’ac[p. 123 modifica]que vengono dall’Oceano, d’onde tanto meno probabilmente dovrà venirne, quanto meno pel riempimento, ed interramento de’ fondi ne potrà il recipiente contenere; e vi parlerò soltanto di ciò che riguarda la crosta. Questa sembra ben lungi dal formarsi in ogni luogo; in alcuni fondi non si vede affatto, nè si trae di sott’acqua con veruno stromento: in altri è picciolissima cosa. Fuor del Capo S. Giorgio suddetto vedesi in poco fondo d’acqua un gran mucchio di urne antiche, che denno avere una dimora in quel sito di quattordici secoli per lo meno; molte di queste urne trovansi anche sparse a quattro, a due, a tre, colcate lontano dal maggior cumulo. Non sono sepolte, che anzi si vede loro più della metà del corpo; con mediocre spesa, e fatica si può trarne dal mare qualcheduna. Elleno ànno poco più d’un piede di diametro, e intorno a tre d’altezza; portano sovente il nome del Fabbricatore in belle, e riconoscibili lettere Romane. Sembra che il naufragio di qualche Vascello carico di stoviglie le abbia colà depositate. Ora il giro di tanti secoli nè le à nascose sotto la crosta di recrementi marini osservata dal Donati, nè questa crosta à ingrossato più di mezzo pollice su di esse, che ne sono e al di dentro, e al di fuori intonacate. Fa dunque d’uopo che la non sia così universale come peravventura egli si credette, o mostrò di credere, e che la non si formi sì presto come altri potrebbe forse pensare, e quindi che il sollevamento del fondo marino non sia tanto quanto si crede. Egli è poi probabile, e consentaneo alle leggi della Fisica, che le deposizioni de’ fiumi, e quelle de’ torrenti moltoppiù, si decantino in poca distanza dalle foci, d’onde ne segue piuttosto un prolungamento de’ Continenti, che altro cangiamento nella vasca del [p. 124 modifica]mare1. Questi prolungamenti de’ terreni litorali produrrebbero non v’à dubbio egualmente, che gl’interramenti de’ fondi, un alzamento di livello in qualche Lago: ma non pare che debbano farlo nel nostro mare, che comunica, e livellasi colle acque esteriori. L’alzamento di livello da’ secoli Romani a’ dì nostri essendo però un fatto incontrastabile, di cui oltre alle sopraccennate da me anche il Donati arreca molte prove, fa d’uopo da qualche altra più grande, e universale cagione ripeterlo. La subsidenza delle terre, colla quale alcun ingegnoso uomo si è studiato di spiegarlo, non può così ben quadrare a’ luoghi di fondo palustre, e a’ fondi sassosi che ne risulti un eguale effetto: vi vorrebbe poi un miracolo continuo perchè a Venezia in grazia d’esempio tutte le fabbriche s’abbassassero d’accordo, quantunque non tutte sieno della stessa data, o piantate nella stessa indole di suolo.

Io non so come si porti il mare intorno a codesta vostr’Isola ne’ luoghi lontani dalle imboccature de’ torrenti, o de’ fiumi, da’ quali non si vuol trarre alcuna regola, per esservi troppo visibilmente parziale il prolungamento delle terre. So bene, che nel Baltico (se alle attestazioni de’ Signori Celsius, e Dalin si voglia credere, e al celebre Signor Linneo) la [p. 125 modifica]terra abitabile s’accresce, e il mare ritirasi manifestamente abbassandosi di livello: ma per una strana fatalità, anche inquesto vollersi mescolare i Teologi del Nord (che dicono poi male de’ nostri) e ruppero talmente la testa alle persone negando ad alte grida quanto da’ sunnominati Osservatori venne asserito, che non se ne sa più che cosa credere.

Ma io mi sono lasciato ire ben lontano dal Primorie senz’avvedermene; lasciamoli contendere a loro piacere, e torniamocene alle nostre acque.

La pescagione delle Sardelle, e degli Sgomberi è la più ricca, che soglia farsi lungo le rive del Primorie. Il tempo di eseguirla è nelle notti oscure; il pesce viene ingannato dalle barche dette illuminatrici, che portando su la prua un fuoco di Ginepro, o di Sapino acceso, lo conducono a numerosi stuoli nelle reti vicino a terra. Ciascuna di queste reti, che chiamansi da Tratta, ricerca tre barche; una maggiore, in cui giace la Tratta medesima, e due minori fornite di legna, che servono di guida al pesce allettato dal loro lume a seguirle sin dentro alle reti. Tredici uomini sono impiegati per ciascheduna Tratta, e questi divengono eccellenti marinaj dopo pochi anni d’un tal esercizio, che gli espone sovente a combattere con improvvise nembate, o a vincere a forza di remi l’ostinazione or delle calme, ora de’ venti contrarj. L’arte Pescatoria fiorì altre volte in Dalmazia: ma dappoichè ai di lei prodotti, che spacciavansi felicemente pella Terra Ferma, sono stati a poco a poco maliziosamente da privati interessi surrogati gli stranieri, invece di perfezionarsi, e dilatarsi à perduto molte delle antiche industrie, ed è assai meno estesa a’ giorni nostri di quello fosse nell’età passata. Uno degl’impedimenti alla propagazione della Pesca è anche divenuto il prezzo delle resinose [p. 126 modifica]scheggie di Ginepro, e Sapino, di cui quegli abitanti esclusivamente si servono nell’illuminare: queste due spezie d’alberi sono oggimai quasi sterminate da’ monti litorali, e dagli scogli. Sarebbe facile il superare quest’obbietto colla sostituzione d’un ben inteso fanale simile a quelli, che si usano da’ pescatori Francesi del Mediterraneo, che vanno di notte in cerca degli Sgomberi, e delle Sardelle; questo ripiego farebbe scansare una riflessibile parte delle spese, che abbisognano per una Tratta, e risparmierebbe anche l’opera di qualche uomo, ch’è un animale da tener caro in un paese poco popolato come la Dalmazia.

La Pesca delle Sardelle, e degli Sgomberi s’incomincia all’aprire di Primavera, e dura tutta la State, e buona parte d’Autunno, eccettuandone le notti vicine a’ Plenilunj, che sono troppo chiare. Pretendono i Pescatori d’aver osservato, che gli stuoli di queste due spezie di Pesci vengano dal mezzo del Golfo, e si perdano pel Canale del Primorie cercando pastura; eglino dicono ancora, che la pastura, di cui si compiacciono particolarmente, sono varie spezie d’Ortiche marine, chiamate nel dialetto pescatorio Klobuci, o sia cappelletti, che cacciate dal vento vengono galleggiando a quelle rive. Gli Sgomberi, e le Sardelle gl’inseguono, mostrandosi avidissime di questi, e d’altri animali gelatinosi congeneri, de’ quali gran varietà ritrovasi presa nelle reti sovente, ma che sono difficilissimi da osservare, perchè fuor d’acqua scompongonsi facilmente, e si dileguano. È anche cibo appetito da’ pesci emigranti l’insetto detto Morska Buba, o sia Pulce marina, che rassomiglierebbe all’Onisco Assillo di Linneo, e trovasi nuotando a sciami pell’acque: come lo sono certe Scolopendre lunghe poco più d’un pollice e mezzo, conosciute da’ Pescatori sotto la generale [p. 127 modifica]denominazione di Glistine, o sia vermi, e da taluno col nome di Glistine stonoghe, cioè vermi da cento piedi. Questi poveri insetti in tempo di notte sogliono dare anche nell’acqua tranquilla una vivissima luce argentea, che dev’essere la loro rovina. Io ne ò veduto talvolta camminare ne’ luoghi di poco fondo con grandissima compiacenza mia nell’oscurità delle notti estive; e fu loro ventura che non fossi uno Sgombero.

Oltre la Pesca de’ due accennati generi, e le reti da Tratta che vi si adoperano, altre reti soglionsi usare per far preda di Ghìrize, o Smaride, ignobile e picciolo pesce, che s’insala a beneficio del minuto popolo, e per cogliere i Muggini detti Chiffle da’ Pescatori. La Pesca delle Ghirize è quasi d’ogni stagione; quella de’ Muggini si suol fare unicamente in Autunno lungo i lidi del Primorie. Questi s’aggirano in occasione di gran pioggie, o di venti Boreali intorno alle foci del Fiume Narenta, dove vanno a far le ceremonie loro matrimoniali. I Primoriani escono con una sola barca equipaggiata di nove uomini alla pesca de’ Muggini, che si fa di chiaro giorno; due sentinelle occupano qualche luogo eminente del lido per conoscere dal movimento dell’acqua da qual parte vengano gli stuoli, ed avvertirne quei della barca, da’ quali destramente sono calate le Tratte ne’ siti, e ne’ momenti opportuni. A questa Pesca, che dura poco tempo, è spesso congiunta quasi per compenso una favorevole fortuna, per cui dopo poche ora di viaggio le barche ritornano cariche di preda. I Muggini sogliono essere da’ Primoriani spaccati, e messi in sale, come s’usa di fare a Comacchio: ma questi pesci sono più grandi in Dalmazia; i Pescatori specialmente di Macarska n’estraggono le bottarghe, che seccate al Sole conservansi lungamente, e riescono d’uno squisito sapore. I ghiotti le trovano più delica[p. 128 modifica]te, che quelle del Mar di Grecia, quantunque sieno molto minori di mole.

Non è facile il calcolare quanto pesce insalato metta in commercio annualmente il Primorie; questa materia è malissimo sistemata per tutta la Dalmazia, ed anche ne’ luoghi, dove i risultati della Pesca sono molto più degni di riflessione. Certa cosa è, che i Macherani (quantunque, in premio della spontanea dedizione abbiano molte esenzioni nel portare alla Scala di Venezia i loro prodotti) si contentano pell’ordinario di vendere il salume agli stranieri. Pretendono d’essere stati addottrinati dalla sperienza, e d’aver trovato maggior vantaggio nel contrattare co’ mercatanti Regnicoli, o Papalini, che co’ nostri. Da vent’anni in poi dicono, che la pescagione è diminuita, e che appena si ritraggono dall’esercitarla profitti che compensino le spese. Io non crederei però, che il pesce n’avesse colpa, e che meno abbondanza ne venisse in cerca di pascolo pel Canale del Primorie; quantunque anche questo possa esser vero, e forse sia da accusarne il deterioramento de’ fondi vicini ai lidi, ne’ quali precipitano coll’acque insieme da’ monti spogliati di boschi terre d’ingrato sapore, e sterili ghiaje. Mi sembra però probabile, che l’impoverimento generale, e progressivo della popolazione Dalmatina sia la principal cagione dell’infelicità delle pesche; l’impotenza fa scemare d’anno in anno il numero delle barche peschereccie, e per conseguenza va mancando il numero de’ Pescatori coraggiosi, che battano il mare, e ne traggano ricche prede, anche nelle notti nuvolose, come altre volte facevano. Sarebbe necessario, non che utile, il promuovere con adattati incoraggimenti l’esercizio, e la moltiplicazione di quest’Arte a segno, che i Pescatori s’incomodassero gli uni cogli altri. La Marina Nazionale vi gua[p. 129 modifica]dagnerebbe moltissimo, lasciando anche da parte l’aumento del prodotto, e i comodi di commercio, che se ne potrebbono trarre. La vostra nobilissima Nazione, Mylord, somministra un esempio luminoso dell’influenza dell’Arte pescatoria nelle forze marittime. È vero che noi non abbiamo nell’Adriatico Balene da combattere, nè la gran quantità de’ pesci polari, che inondano i Mari del Nord: ma egli è vero altresì, che la nostra navigazione non è ordinariamente diretta all’America, nè alla China, e quindi il Pescatore uso a battere il nostro Mare in qualunque stato diviene attissimo marinajo pe’ bisogni che abbiamo.

De’ pesci inquilini erranti da per se soli come a dire Dentici, Congri, Orate, e simili usano andar a caccia pur di notte con barche illuminate, e sono meravigliosamente destri nel coglierli colla Foscina, ch’è una lunga lancia di legno armata all’estremità d’un pettine di ferro, che à i denti fatti in foggia d’amo. I Tonni, le Palamide, le Lizze, i pesci Spada, e i Goffi non di raro si trovano anch’essi alle mense di Macarska.

Il Delfino, e i Tursioni congeneri ad esso vagano liberamente per quelle acque; nè vi fu sino ad ora chi abbia volto il pensiero a trar partito da questa picciola specie di Cetacei del nostro mare. I pescatori Dalmatini ànno una sorte d’amicizia, e di gratitudine ai delfini, facendo loro un merito del cacciar il Pesce alle barche illuminate, o sia che peschino colle Tratte, o colla Foscina; in quest’ultimo caso i Pescatori non mancano di gettare dalla barca al Delfino qualche grosso pesce come per dividere la preda con esso. S’io avessi avuto l’agio, ed opportunità necessaria, mi sarei provato a far toccare con mano a qualche pescatore men irragionevole degli altri il danno, che apportano questi [p. 130 modifica]animali voraci alla pescagione, e il vantaggio che dalle loro carni messe in sale, e dal loro grasso squagliato può ricavarsi.

I Vitelli marini rare volte si mostrano nel Canale del Primorie, ma non infrequentemente si vedono presso le foci di Narenta. Eglino amano i fondi interrotti da scogli ed Isolette, per uscire all’aria sovente; e quindi spesse volte se ne incontrano lungo le coste dell’Istria, e fra l’Isole del Quarnaro. Gli abitanti del Litorale attribuiscono a questo anfibio una grandissima propensione alle uve, e protestano asseverantemente, che in tempo di notte egli esce a succhiare i grappoli pendenti dalle Viti, nella stagione opportuna.

Tre sorte di pesci velenosi, o dannosi trovansi sovente nelle reti de’ Pescatori; il pesce Colombo, detto Xutuglia, o Xutizza pella giallezza del suo colore, ch’è la Pastinaca marina, il pesce Pauk, o Ragno, e la Scarpena, o pesce Scorpione. Il veleno di questi tre pesci consiste nella puntura della spina, che ànno sul capo, da cui diligentissimamente si guardano i Pescatori. Se però ad onta delle precauzioni si trovano trafitti, alla ferita della Scarpena applicano il fiele dell’animale medesimo: a quella del Ragno, e del Colombo rimediano col fielebianco (dicon essi) della Loligine, detta in loro dialetto quasi latinamente Lighgna, od Oligagn. il migliore però di tutti i rimedj si è un forte strettoho alla parte affetta, e un taglio, per cui scorra fuori il sangue avvelenato. La Torpedine vi è comunissima, e si chiama Trnak; l’irrigidimento del piede che la preme, o del braccio che la tocca, non suole aver mai lunga durata, o conseguenze.

Le Conchiglie di questo Mare non sono gran cosa, nè rispetto alla varietà loro, nè rispetto alla bellezza. Le Pinne, che in alcun luogo di fondo fangoso vi cre[p. 131 modifica]scono all’altezza di due piedi, danno una cattiva sorta di perle di colore piombato, e quella spezie di seta, di cui Voi avete veduto in Dalmazia de’ lavori. Un Naturalista, che volesse intieramente occuparsi di ricerche Conchiliologiche, e Zoofitologiche troverebbe però certamente ampio pascolo alla sua curiosità ne’ fondi dell’Adriatico, e potrebbe unire un gran numero d’osservazioni curiose; da che si può dire francamente che Marsigli, e Donati appena sfiorarono questa messe vastissima. I lavori petrosi, e legnosi de’ Polipi deggiono essere moltiplicatissimi nelle profondità subacquee, e non di raro qualche pezzo di Madripore, o di Corallo dà fuori. La Pesca di quest’ultimo genere è a’ dì nostri trattata con un po’ d’oscitanza, perchè forse qualche serie di combinazioni disfavorevoli ne à disgustato il Fermiere.

  1. „Quanto più li Testacei, Crostacei, e Poliparj sopra una tal crosta si propagano, tanto più ella si riempie delle spoglie, e degli scheletri de’ medesimi, ed accresce la propria mole, e perciò s’inalza il letto del Mare, al quale accrescimento però viene, e fu assai più somministrato dal disfacimento di qualche Isola, che alcuna volta avvenne nel nostro Adriatico; dalle ruine ec. . . Vedete come sia necessario, che il fondo del mare s’accresca, ed accrescendosi questo, come l’acque debbano inalzarsi, ec. Donati p. XI. XII.