[p. 17modifica]Del divin Sùrya, il core par ch’egli abbia smarrito:
Or vanne da Manàvaco, va, cerca di scoprire
Qual sarà mai la causa degli affanni del sire. »
Ma quel goffo Bramano potrò tenere a bada?
So ben che quanto dura gócciola di rugiada
In punta a un filo d’erba, tanto potrà durare
Il segreto in colui! Ma dove l'ho a cercare? (t'aggira intorno osservando).
Eccolo! Come scimmia dipinta, egli t là, muto,
Assorto avviciniàmoci. (apprestandosi a Maudvaco) L’almo signor saluto!
Manàvaco. Buondì, carina, (tra si) Ahi miserol vedendo lei, mi pare
Che il segreto, fendendo già il cor, voglia scappare!
(a Nipmtaì) Come avvien, signorina ? Com’EUa, abbandonando
La musica ed il canto, vien fin qui ?
NipunIca. Per comando
Della regina, io vengo per far visita a Lei.
Manàvaco. A me? La mia regina come servir potrei?
NiponIca. Veda: ella si lamenta chè aspramente la tratta
Il nostro sir ; meutr’ella dal duolo 4 sopraffatta,
Ei non se ne dà cura !
Manàvaco. Ma parli: e In che l’offese
Il sire mio compagno?
Nipunica. Di colei che lo rese
i [p. 18modifica]i8
VICRAMÒRVASI. — ATTO II.
Delirante d’amore quei profferito ha il nome
Innanzi alla regina
Manàvaco (ira sì). Che? Il mio signor? Ma come
Avrebbe egli medesimo svelato il suo segreto?
Ed or come io, Bramano, men’ posso star più cheto ?
Come frenar la lingua? (a Nipunlca)Vedsi, ecco...egli non solo
La sua consorte affligge me pur fa stare in duolo
Ricusando ogni cibo dal di ch’è folle e gramo
Per quella ninfa Urvasi
ii). BravoI T’ho preso all’amo!
Ecco infranto il segreto! Dame tosto novella
Alla regina io voglio (avviandosi).
Nipunica, a la bella
Figlia del re di Casi ripeta in nome mio
Ch’ella ormai si dia pace, che stanco son pur io
Di rimuovere il sire da cosi folle idea;
Gli volga ella il suo viso gentil come ninfèa,
E ritornar per fermo noi lo vedremo in sè.
Farò come Le piace ! («ce).
(dalla urna) Su, viva, viva il re!
In dissipar le tenebre
Dal guardo d’ogni gente
É Savitàr potente,
E simil possa è in te.
A un tratto, in mezzo all’aere
Degli astri il re s’arresta;
Tu pure all’ora sesta
Lena ripigli, o re.
Manàvaco Ah inteudo! Egli il palagio di giustizia ha lasciato
stando orecchio). E or viene a me : l'aspetto, per essergli dallato.
(finisce l'introduzione).
NlPUNÌCA (ira
Manàvaco.
Nipunìca.
(il re Pururàvasa in aspetto turbato e Manàvaco).
Pururàvasa. Da che alla vaga ninfa io volsi il guardo.
Quella gentil mi penetrò nel core;
Ed il cammino le segnò quel dardo
Con cui saetta non indarno Amore!
Manàvaco. Se tu sapessi inver qual triste cura
Affanna la vezzosa
Figlia del re di Casi.....
VICRAMÒRVASI. — [p. 19modifica]ATTO II.
Pururàvasa.
Manàvaco (tra n
Pururàvasa.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Hai tu per avventura
Svelato alcuna cosa
Del mio segreto?...
Ahimè ! Che dice mai I
Mi son fatto beffar da quella trista
Figlia di schiava, Nipunica, oh certo I
Perchè m’avrebbe fatto
11 sir cotal dimanda ?
Orben tu taci ?
Ecco vedi : ho paura
Che il tuo segreto non mi scappi via :
É inchiodata cosi la lingua mia
Che non può dar risposta !
Or si, va ben; ma intanto
Che fare per distrarmi ?
£ presto detto:
Andiamone in cucina
A far che cosa ?
Il succoso banchetto
Con cinque specie di vivande, adorno
Di ghiotte e di squisite
Confetture candite,
E con giulebbe od altra leccornia
Ogni malor varrebbe a cacciar vial
Agli squisiti intingoli dappresso
Tu — è ver — t’allegrerai ;
Dimmi: io che son nel desiderio assorto
D’un ben che forse non avrò giammai.
Come potrei coll trovar conforto ?
Che? Non ti sei tu messo
Sulla via della ninfa?
E che per questo?
Vo’ dir, quel bene non è poi cotanto
Conteso al tuo desire.
É sovruman diletto
L’essere preso della sua bellezza I
Inver, più curioso
Mi rendono i tuoi detti, amico mio :
Fosse una cima, per beltà, costei,
Siccome sono, per bruttezza, anch’io?
Come farne un ritratto, affé, potrei ?
Ella è cotal che adorna ogni ornamento,
E ogni cosa gentil l’ha per modello;
Tal quella ninfa è di beltà portento,
Ch’è l’ideal di quanto al mondo è bello 1 [p. 20modifica]20
VICRAMÒRVASI. — ATTO II.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Manàvaco.
Pururàvasa.
ManXvaco.
Pururàvasa.
Manàvaco.
Ahimè ! da che tu brami
Questa beltà divina,
Come l’augello Ciàtaco si pasce
D'illusiva rugiada,
Tu pur ti nutrì Hi celeste brina.
Solo un po’ d’aura fresca
Lo spirto affranto sollevar potria;
Or tn dunque Sci parco
Additami la via.
Qjial via ? Sarà di qua... (11 av/w^no) Vedi i recessi
Più nascosi del parco;
Ecco l’Austro gentil venirti incontro
Come ad ospite
Invero,
Ben chiamasti geutil quest’aura mite i
Il soffio profumato della brezza
Che irrora d’olezzante
Brina il fior di Madàva, ed accarezza
Le liane del Cùndi, in fra le piante
Amore e gentilezza
Si sposa insicm, che a me pare un amante !
Ei segua il suo costume; (avviandoli).
E nel boschetto il mio signor s’addentri.
Precedimi (entrambi fanno allo di entrare; il re con un tremilo)
Sperai
Olii — nell’ameno parco —
Di ritrovar sollievo alle mie pene,
Ma il contrario m’avviene:
Poi ch’io non trovo in cosi bel recinto
La pace onde il desio m’ha qui condotto,
Sembro colui che da marca sospinto
Voglia lottar con l’impeto del fiotto.
Ciò come avviene, o sire?
Tu sai ben che dapprima il dio d’amore
Dai cinque dardi l’alma mia saetta ;
SI ch’ella di lasciar non ha vigore
Q^el ben che indarno conseguir s’aspetta.
E poi la vista dei germogli in fiore
Sbocciati della selva in fra l’erbetta,
E il venticel che i lievi arbusti sfronda,
Render potranno l’alma mia gioconda ?
Via, cessi il tuo lamento !
Amore che fa pago ogni desio,
Amor fra poco ti farà contento I
VICRAMÒRV [p. 21modifica]ASI. — ATTO II.
Pururàvasa. Ben volentieri accetto,
Come un augurio, del Bramano il detto, (vanno in giro).
Manàvaco. Oh ! mira, signor mio,
Onesto recinto ameno,
Or che sovr'esso primavera scende.
Pururàvasa. Sì vaghe piante rimirar vogl’io:
Pari ad unghia di donna, all’orlo, t roseo,
Ne la corolla bruno t l’amaranto;
Dal fiammante color l'asòca tenero
Libero sboccia, il suo viluppo infranto.
Sul mango il fior dal polline adombrato
Quasi azzurrino divenir si vede:
Fra giovinezza ed allegria nel prato
Bella nel mezzo primavera siede.
Manàvaco. Oh guarda 1 Di Madàva
È questo un pergolato
A cui vengon gli sciami
D’api i fiorelli a punzecchiar d’intorno ;
Ricopre in giro coi frondosi rami
Un sedile di pietra;
Ed un asii perfetto
Parmi per te: sia dunque il ben accettoI
Pururàvasa. Come t’aggrada.
Manàvaco. Oh vial
Qui—riposato nella queta ombrìa
Dei teneri virgulti rampicanti —
Dimentica in buon’ora
Questa ninfa gentil che t’addolora.
Pururàvasa (sospirando).
No, l'occhio mio che il fascino ha sentito
Di quel viso gentil, qui, non rimane
In si bel parco, avvinto alle liane
Dal germogliar fiorito!
Pur si pensi un rimedio
Manàvaco. Oh volentieri !
Ma almeno il tuo lamento
Non mi venga a turbar ne’ mici pensieri, (mani/aianio un presagio,
Ohi quel che v'è da fare in cor già sento [ira si).
Pururàvasa. Posseder quella ninfa io spero invano,
Ch’è pari a luna in suo maggior chiarore:
E pur qual gioco strano
Di me si prende Amore
Che delira ad un tratto la mia mente,
Quasi l’atteso ben fosse presente? (si leva /urlato). [p. 22modifica]22
VICRAMÒRVASI. — ATTO n.
ClTRALÈCA.
Urvàsi.
Citralèca.
Urvàsi.
Citralèca.
Urvàsi.
Citralèca.
Urvàsi.
Citralèca.
Urvàsi.
Citralèca.
Urvàsi.
Citralèca.
Urvàsi.
(indi scendono dal cielo URVÀSI e ClTRALÈCA).
[dall'altra parte della scena’].
Or dimmi, amica Urvàsi,
Ove si va senza cagion?
M’ascolta:
Dcll’Emacuto sulla-vetta un giorno
La sciarpa mia gemmata
S’era fra i rami d’un viticchio avvolta:
« Scioglila, » allor ti dissi;
E tu mi rispondesti alla tua volta :
« La s'é tanto impigliata
Ch’io scioglierla non so.» Rammenti? Orbene,
Dove si vada mi domandi ancora ?
Dimmi: sei tu diretta
Al sire Pururàvasa?
Purtroppo,
Gli affetti miei non tèmpera il pudore;
Ma il mio desire è questo.
E chi t’annunzia a lui?
M’annunzia il core!
Pur ci si pensi alquanto
Perchè pensar se a ciò m’esorta Amore?
Più non aggiungo
Additami un sentiere
Che senza impaccio mi conduca a lui.
Sta pur sicura; chè addestrata io fui
Dal maestro dei numi in quella scienza
Che « Invincibile » è detta
E che invisibil rende;
Si che i nimici degli dei giammai
Raggiunger ne potranno.
11 cor già tutto intende.
Ma incerta la paura ancor mi rende. (entrambe rappresentano il giro per
Oh guarda, amica Urvàsi: [l’aria).
Alla magione del gran re siam giunte
Ch’è divenuta ornai
Dell’eccelsa città di Pratistàna
Ornamento superbo,
Che si rispecchia nelle limpid’acque
Dell'alma Baghiràti,
Quell’acque che più pure si fan dove
Incontro ad essa la Giamùna muove.
Perchè non dire che il celeste Svarga
Ha cangiato il suo posto?
E dove è mai colui
Che sempre aita gl’infelici?
VICRA [p. 23modifica]MÒRVASI. — ATTO II.
2?
ClTRALÈCA.
Urvàsi.
Citralèca.
Urvàsi.
Citralèca.
Manàvaco.
Urvàsi.
Citralèca.
Urvàsi.
Manàvaco (/# disparte),
Pururàvasa.
Manàvaco.
Urvàsi (« si).
Pururàvasa.
Or vedi :
Scendendo in sì bel parco, «
Che d’Indra il bosco di delizie pare.
Noi lo potrem cercare. (entrambe si allontanano; Citralica teorie il re).
Ecco il re, mia diletta, egli ti guarda,
Come il beato Ciàndro
In mezzo al ciel levandosi, rimira
Il bel chiaror lunare.
Ora ch’io lo rivedo, al guardo mio %
Appar più bello!
Andiamogli dappresso
10 no, per ora; ma invisibil bramo
Restar daccanto a lui,
Ascoltarne ogni detto
Or ei qualcosa al suo Braman confida.....
Va pure a tuo diletto. (entrambe eseguono ciò che basino dello).
[dall’altra parte della scena]
Ecco, ho trovato un bandolo
Per un convegno con la tua diletta,
Colei che posseder tu speri indarno.
[idall’altra parte]
Chi sari la felice creatura,
Che all’amore di lui sè stessa allieta?
A che fantasticar cosi perplessa ?
Citralèca, ho paura
D’indovinare io stessa
Col mio potere arcano
11 nome di colei ch’ei brama invano I
Dunque, il rimedio è pronto
Per ottener l'amabile convegno.
Su via, dillo: qual è?
Vedi, son due:
O t’addormenti, perchè in sogno almeno
Possa la ninfa a te venir daccanto;
O ritrai su d’un foglio il caro aspetto
Della leggiadra Urvàsi,
Si che in mirarla alfin trovi diletto I
[dall’altra parte]
Consòlati, o mio cor, salvo tu sei I
[dall’altra pane]
Dei tuoi consigli — ahimè ! — che far potrei ?
D’amore ai dardi il cor già fatto segno
Irto è di spine, e fiacco ogni desio ;
Or come vuoi che un tenero convegno
Con la bella in un sogno aver poss’io?
24 VICRAMÒRVASI. — ATTO I [p. 24modifica]I.
Citralèca.
Urvàsi.
Manàvaco (al re).
E se quel volto pingcrò, si pregno
Di lagrime sarà quest'occhio mio,
Che la pupilla dal gran pianto ingombra
Del caro aspetto non vedrà che un’ombra.
Udisti dunque?
Udii,
Ma non è pago il core!
Non so un consiglio ritrovar migliore.
Pururàvasa (sospirando).
Urvàsi.
Citralèca.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Manàvaco.
Urvàsi (fra ii).
Purur. (leggendo).
O quella ninfa ignora
La ferita d’amor che m’addolora,
O dal divino suo potere avvezza
Tutto a saper, l’affanno mio disprezza.
T’allegra dunque, Amore,
Tu che un vano desio m’hai posto in core!
Tu che ponesti in lei cotal diletto
Donde cogliere nn frutto invan m’aspetto I
Che ascolto ! Adunque il sire
A me volge il pensiero?
Andargli incontro? Ah no, non ho l’ardire...
Che far?... Sovra una foglia di betulla
Col mio potere imprimerò uno scritto
Per lanciarlo a’ suoi piedi
Oh sì, ch'ir ben pensatoi (Urvdsi fa atto di tcriverc mila foglia e poi la
[dall'altra parte delta scena] [latria cadere).
Qual meraviglia I Ahimè I Che sarà mai ?
D’un serpente è la spoglia
Foss’ei venuto giù per divorarmi ?
No, t’inganni : è una foglia
Di betulla e uno scritto reca impresso
Oh! Che? La ninfa bella,
Mossa alfine a pietà de’ tuoi lamenti,
Avrebbe, là, su quella
Foglia per te segnati
D’amor teneri accenti
Senza mostrarsi a noi ?
Tutto è concesso
A divina natura I (prende il foglio e legge con gioia).
Hai colpito nel segno
Or che v’è impresso
Almen saper vorrei.
Cortese invero, o mio braman, tu sei.
[dall'altra parte]
« Qual tu signore, amasti
Me ch'ho ignorato l'amor tuo finora.
Desiosa di te fui sempre anch’io ;
VICRAMÒRVA [p. 25modifica]SI. — ATTO II.
Urvàsi.
Citralèca.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Urvàsi (a si).
Pururàvasa.
Manàvaco.
UrVÀSI (ih disparte).
Citralèca.
Più non m’fc grato riposar sul letto
Dei morbidi viluppi
Di corallina; i profumati venti
Che manda a me di Nàndano la selva
Sono per le mie membra
Lingue di Gamme ardenti ».
[dall'altra parte]
Che dirà? Che ti sembra?
Che può mai dire se le membra affrante
Egli ha siccome steli
D’appassita ninfea?
Vedi: per me che ho fame,
Invito alla fortuna
É la cagion di questo tuo conforto.
Che dici tu ? Conforto ? i
Pei dolci sensi in questa foglia impressi,
Rivelanti in entrambi cgual desio,
Parmi che al suo congiunto il volto mio
Ebbro il suo sguardo ne* miei sguardi avessi!
[m disparte]
Son concordi perciò gli affetti nostri!
[dall’altra parte]
Amico, or non vorrei
Sciupare col sudor delle mie dita
Cosi bella scrittura:
Su, prendi ; il pegno della mia diletta
Affido alla tua cura.
Urvàsi bella se fmor mostrato
T’ha di sue brame il fiore,
Fra poco a te vorrà mostrarne il frutto !
Qui resto, amica, a ricompormi alquanto,
A lui tu vanne intanto.
In nome mio saluta
Quel pio sovrano e il mio pensier gli svela.
(Citralèca si avvicina al ")
Viva, viva il gran re 1
Pururàvasa (con sorpresa e rispetto). Sii benvenuta!
(si guarda d'intorno).
Il mio core, o gentil, non si consola,
Giacché teco mirarla or non m’è dato;
Tal la Yamùna appar, se al Gange allato
In pria fu vista e poi si vede sola !
Citralèca.
Che? Non si scorge pria
Il raggiar della nube e poscia il lampo?
4 [p. 26modifica]26
VICRAMÒRVASI. — ATTO II.
Manàvaco (a si). Perchè non venne Urvàsi ? Orben, frattanto
Si parli con costei.
Purur. (a Citralèca). Ecco un sedil, ripòsati
Citralèca {udendo). Signore,
Urvàsi a voi s’inchina
E vi fa dir
Pururàvasa. Che mai ?
Citralèca. « O Re, mio salvatore
Un di tu fosti, quando
Fui da’ nemici degli dei ghermita:
Colpita or io dall’amoroso affanno
Che in me produce il tuo leggiadro aspetto,
Ancor pietà, signore, io ti domando. »
Pururàvasa. Di quella ninfa cui l'affanno assale
Alfin mi dài tu nuova;
E pur non vedi che un affanno eguale
Anche quest'alma prova!
Vedi, o fanciulla, che d’eguali ardori
Vivono i nostri cuori :
Ferro e ferro saldar, gentil, convienti
Ora che son roventi.
Citral. (appressandoli] Vieni: Amore per te s'è fatto mite,
ad Urvdsi). Del tuo diletto messaggera io torno.
Urv. {Umida e imarrita). E dimmi un po’, incostante,
Vorresti tu lasciarmi sola?...
Citralèca ( lorridcndo). Oh amica !
Vedrem fra qualche istante
Chi è mai che l’altra abbandonar desia!
Su — presto, in te ritorna.
Urvàsi (smarrita, ti avvicina con vergogna). Evviva il sire 1
Oh! sempre, sempre vincitore ci sia!
Pururàvasa {con gioia). Oh sì I Davvero ho vinto, or che il tuo grido
Me vincitor saluta,
Poiché tu, ninfa, nel terrestre lido
Da Indra sei venuta.
(il re prende per mano Urvdii e la fa adagiare lui ledile).
Manàvaco. Oh I qual modo è cotesto?
Ma perchè non saluta
Ella il Braman, del re fido compagno? ( Urvdsi, sorridendo, s'inchina).
Or sia Li benvenuta!
[daJl’inlemo]
Messaggero divino. Presto — Urvàsi n’adduci, o Citralèca.....
« Per voler d'Indra qui mandato io fui ;
Le deità supreme ad esso unite
VICRAMÒRVASI. — [p. 27modifica]ATTO II.
27
ClTRAI-ÉCA (ad Urvdii).
Urvàsi (sospirando).
ClTRAJLÈCA.
PuRURÀV. (emettendo con]
grande itento la voce).
Urvàsi.
Bramano udir quel novo dramma in coi
Dall’otto essenze del piacer condite .
Due parti fflr da Bàrata composte:
Designate per quelle entrambe foste. »
(tutti ascoltano, Urvdsi finge un deliquio). " .
Dimmi: l'annunzio del divin messaggio
Hai poc’anzi ascoltato?
Orbene, dal gran re togli commiato. «
Ma se parlar non posso
O nobil sire,
Urvàsi, ch’è all’altrui voler soggetta,
Vuole, nel dirvi — addio — ,
Inchinarsi al voler del sommo dio!
No, del comando di quel dio supremo
Violatore io non sarò, ma pure,
Di me vi ricordate
Ed or che ho più da far degli occhi miei ?...
(Urvdsi, mostrando il dolore della separazione dal re. Io gutrda e ti allontana
con la sua compagna).
Manàvaco (cercando la] Oh I Dove è mai la foglia?
foglia di betulla) (a me^a] Incantato a mirar la bella Urvàsi,
voce, tra ti, imarrito). Ahimè, la foglia m’è sfuggita via;
Nè me ne sono accorto !
Pururàvasa. Che vorresti tu dirmi?
Manàvaco. Ecco, volevo dirti: Su, fa core!
Nutre Urvàsi per te si vivo affetto,
Che, pur da te divisa,
Ti sarà stretta da tenace amore.
Pururàvasa. Eguale speme anch’io nutro nel core.
Se schiave d’altri son quelle vezzose
Membra, il suo cor non è ad alcun soggetto:
Ed ella in me gemendo lo ripose,
Quel cor che appare dal tremar del petto.
Manàvaco (a si).
Pururàvasa.
Manàvaco (guardandoti]
intorno smarrito).
Qual fremito m’assale?
Un bel momento — oh certo! — il mio compagno
Mi chiederà la cara foglia ed io
Or senti, amico mio,
Come potrei lenir tanto dolore? (poi, come ricordandoti)
Su, dàmmi quella foglia.
Strano davverl Com’è che non si vede?
Oh intendo! Quella foglia di betulla
Dal cielo a noi discesa
Ha con la ninfa la sua via ripresa ! [p. 28modifica]28
VICRAMÒRVASI. — ATTO ti.
Ausinàri. '
Nipunica.
AuSINÀRI (andando intorno]
ed osservando).
Pururàvasa (con dispetto). Sempre stolto i costui I
Manàvaco (levandosi). Sarà di qui, sarà di li, cerchiamo I
(ialiti ballando in varie guise).
[indi mirano la regina AUSINÀRI, NipunìCA e il corteggio della regina).
(llall’allra parie della scena)
Vero? Tu il sir vedesti
Col suo Braman, là, sotto il pergolato?
Che? Forse io sempre non ti dissi il vero?
Cli’è mai cotcsta foglia
Che il vento fa aggirare?
Una corteccia verdeggiante appare
Nipunìca (osservandola). Quest’e una foglia di betulla, e porta
In sul rovescio alcune cifre impresse.
Oh! ve’ come s’impiglia
D’intorno al tuo calzarci
(la raccoglie) Posso leggere?
In pria
Tu quelle cifre osserva;
Se leggerle convien, leggi, t’ascolto.
Nobil signora, in questo foglio io veggio
Lo scandalo regale
Riconfermarsi appien : questo e uno scritto
Che al sir la ninfa invia,
E viene in nostra mano
Per la stoltezza di quel buon Bramano.
Or leggi pur, se vuoi, (l'ancella legge).
Oh si ! Con un tal pegno
Al bel ganzo di ninfe andremo innante !
Sono agli ordini tuoi.
Vento gentil, di primavera amante.
Ausinàri.
Nipunìca (esegue).
Ausinàri.
Nipunìca.
Pururàvasa (a «').
A profumar rivolto,
Delle fiorite piante
Reca per via raccolto
11 polline olezzante.
Rapir dal prato folto
Puoi tante cose e tante,
Ma, di’, pcrchi m’hai tolto
Il pegno dell’amante?
Forse non sai che, domo
Dalle amorose pene,
Senza conforto, l’uomo
Allevia il suo tormento,
E solo si sostiene
Con cento inezie e cento?
VICRAM [p. 29modifica]ÒRVASI. — ATTO n.
Nipunìca.
Ausinàri.
Manàvaco (cercando]
c enervando).
Pururàvasa.
AUSIN. (avanzandoti]
con impeto).
PURUR (allenilo, fra ti),
AUSINÀRI.
PuRUR. (a Manàvaco).
Manàvaco.
PURUR. (alta regina).
Ausinàri.
Manàvaco.
Ausinàri.
Manàvaco.
PURUR. (a Manàvaco).
Ausinàri.
Pururàvasa.
Ausinàri.
[daJrallra parte]
Cereali la foglia di betulla oh! senti?
Stiamo a veder, ma taci.
Oh ve’! M’hanno ingannato
Le penne d'un pavon, con quel colore
Azzurro come il fiore
Della ninfèa sbocciato
Misero me I Quasi morir mi sento !
O nobil signor mio, cessi il tormento '
Che tanto vi molesta:
La vostra foglia di betulla è questa.
Ahi ! la regina (con imbarazzo) Benvenuta 1
O meglio
Dite ch’io son la malvenuta.....
Amico,
Ed or, come schermirsi ?
Colto in flagranti non ha schermo il ladro!
Credimi: inver non era
Colesta la mia foglia desiata ;
Segnata era su quella una preghiera
Quando la propria sorte alfin si trova,
Nasconderla ben giova.
Oh via! nobil regina,
Ella un buon cibo a preparar s’affretti,
E allora il signor mio,
No, d’altro cibo non avrà desio,
Nipunìca diletta,
Savio consiglio, suggerì l’amico:
Desioso era il sir d’un nuovo pasto,
Ma deluso è rimasto!
Pur Ella sa, mia nobile regina,
Che variar di gusto a tutti è grato.
Ma vorrai tu per forza
Farmi apparir colpevole, insensato?
Voi colpevol non siete: oh! se v’è alcuno
Che tal nome si mena, o re, son io;
Che, a voi recando impaccio,
Vi sto dinnanzi. Nipunica, andiamo.
(si avi’ia sdegnata).
SI colpevole, è ver, son io diletta:
Ti calma alfin; chè, se cagion di sdegno
V’ è tra lo schiavo e chi d’ossequio è degno,
Qpei sempre ha torto e a lui la colpa spetta.
(cade ai piedi della regina).
Vanne infedel ; se d’arrendevol core
Son io vèr te, l’ossequio tuo non voglio: [p. 30modifica]5°
VICRAMÒRVASI. — ATTO U.
Nipunìca.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Manàvaco.
Pururàvasa.
Anzi s’accresce il mio sospetto adesso
Ch’io ti vedo cosi, mite e dimesso.
Di qua, signora
(la regina lascia il re ed esce col corteggij).
Inver, la tua consorte
Da te s’è allontanata
Come fiumana cui la pioggia ingrossai
Ebbi nemica sortei
Ogni ossequio gentil, ma senza amore,
Pur quando sia di cari accenti adorno,
Di donna accorta non lusinga il core,
E a gemma é par con oro falso intorno.
Ben è vero: non pub chi soffre agli occhi
Di viva fiamma sopportar la luce.
Pur, benché sia rivolto
Sempre alla vaga ninfa il mio pensiero,
In alto pregio ho la regina; intanto
Poiché l’ossequio mio
EU’ha con tanta irriverenza accolto,
Egual contegno vo’ serbarle anch’io.
Via, non si parli più della regina;
Ora a me pensa che ti sto d’attorno
E di cibarmi ho d’uopo.
Vedi, é l’ora del bagno,
Del desinare.....
Oh come?
È gii passata una meti dèi giorno?
Soffocato il pavon dall’aria afosa,
Avido di frescura,
Entro il cavo dell’albero si posa;
D’api uno sciame sopra
La carnicara folta s'assecnra
Ed il fogliame a punzecchiar s’adopra.
L’anitra lascia il caldo rivo, e ’l fiore
Delle ninfèe sol brama:
E, de la gabbia molle abitatore,
Il pappagallo or gira
Nel chiuso uccellatolo, ed « acqua » esclama,
E balbettando ognor « acqua » sospira.
(co/i vanno via).
(FINISCE a 2° ATTO).