Ville e Castelli d'Italia/Il Castello Arnaboldi
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Il Castello di Carimate
Esso sorge, a circa quattro chilometri da Cantù, su vecchie murene spingentisi fra la lussureggiante vallata del Seveso e quella della Serenza, strettissima, profonda, dirupata, tutta a ceppi, risvolti e caverne. — Il Fiamma, Paolo Morigi, il Rampoldi, il Fabi nelle loro coreografie; il Corio, l'Amati nel dizionario coreografico, il Litta nella sua opera: Famiglie celebri, e l'Annoni nella Monografia e fatti di Canturio, ma sovra tutti il Ghinzoni nell'opuscolo che s'intitola appunto “Il Castello di Carimate„, danno interessanti notizie, che ne mettono in luce l'importanza non comune
parte superiore dello scalone. Le prime notizie intorno a questo Castello risalgono all'anno 1345, e pare sia stato Luchino Visconti a curarne la costruzione nella pieve di Cantù, nominandolo cittadella. Non mancano però ragioni, che lasciano credere già esistesse in precedenza, e Luchino non ne sia stato l'edificatore, ma il riedificatore. Nel 1380 Bernabò Visconti passò il Castello alla moglie Regina della Scala, che lo munì di opportune fortificazioni, e nel 1386, rimasto signore di Milano il solo Giovanni Galeazzo Visconti, lo donava alla sua seconda moglie Caterina, vedova di Bernabò, e questa il 10 Febbraio 1411 lo alienava a Giovanni Porro.
Nel 1415 Filippo Maria Visconti, regalava il Castello di Carimate a Domenico Ajcardi, già capo delle sue scuderie, per aver questi scoperta la congiura contro lui tramata, dal Malatesta, dall'Arcelli e dal Beccaria, e insieme gli conferiva il diritto di portare lo stemma e il nome dei Visconti. Nel 1434 poi, il Duca di Milano investiva del feudo di Carimate, Giorgio Scaramuzza Visconti Ajcardi; e nel 1477 Galeazzo Maria Sforza, lo riconfermava agli eredi Scaramuzza, il cui figlio Lancelotto Visconti, nel 1481, restaurava e riedificava il Castello.
Nelle pubblicazioni, che hanno dati e cenni intorno a questo castello, dal 1493 in poi, si trova tutto un seguito di interessanti notizie, che ne mette in bella luce l'alta importanza mano a mano venuta acquistando, e che non sarà inopportuno riassumere.
angolo del cortile verso ponente col pozzo. Gli ambasciatori di Massimiliano I, re dei Romani, nel Novembre del 1493, fatto lo sposalizio per procura, a nome del loro Sovrano, con Bianca Sforza, figlia del defunto duca Galeazzo Maria, ritornando in Germania con numerosa e ducale comitiva, sostarono a Meda; ma qui non tutti potendo trovar conveniente alloggio, una parte degli illustri signori, fra i quali Lodovico il Moro, dovette pernottare nel Castello di Carimate, come da un documento del ducale carteggio, in data di Carimate 4 Dicembre 1493.
Nel 1496 l'imperatore Massimiliano, chiamato in Italia da Lodovico il Moro, giunto da Como per recarsi a Pisa, soggiornò al Castello di Carimate, dal 26 Agosto al 1.º Settembre; e tre anni dopo, nel Settembre del 1499, esso offriva momentaneo sicuro rifugio alla famiglia del duca Lodovico, fuggente l'ira popolare, come ce ne dà prova una lettera da Milano, del duca stesso al fratello cardinale Ascanio, pur lui fra i profughi, e che per la brevità amiamo qui ripetere: “Reverendissimo et illustrissimo monsignore. — Con piacere havemo inteso la giunta de la reverendissima signoria vostra et monsignore de Sanseverino con nostri fioli a Carimate a salvamento, desiderando che nel progresso del camino nostro signore Dio li conceda il medesimo. — Mediolani primo Settembre 1499„. E altre notizie si hanno intorno a Carimate fino al 1626, anno in cui — con la morte di Annibale Visconti, discendente di Domenico Ajcardi, sepolto nella chiesa di Santa Maria dell'Albero, dove tutt'ora esistono lapidi che portano scolpito il nome di lui — estintasi la discendenza Scaramuzza Visconti Ajcardi, la Regia Camera, a mezzo del questore Gaspare Corriani, il 21 Settembre 1626, avocava a sè il feudo di Carimate. In quell'anno stesso però fra Gerolamo ed Ottavio Visconti s'inizia la lite per pretese su feudo; e il 14 Ottobre 1627, con un'ordinanza del Magistrato superiore, esso passa ad Ottavio Visconti, i cui discendenti lo tennero sino al 1795; fino alla morte, cioè, del cavaliere Lodovico Visconti, ultimo del ramo.
Cessata così la linea maschile legittima del primo investito e presentandosi il caso di devoluzione contemplato dalle feudali investiture, il castello e il possesso camera da letto dell'attuale proprietario.di Carimate furono avocati e appresi dalla Camera, la quale li vendeva nel 1800 ai fratelli Cristoforo e Carlo Arnaboldi di Como, che ne fecero loro abituale villeggiatura.
il castello prima del restauro. Da più di un secolo il possesso e il Castello di Carimate sono dunque proprietà della famiglia Arnaboldi; ma per circa settant'anni, se esso non deperì interamente — avendo sempre conservata l'ossatura prima, il fossato, i sotterranei, che nei tempi andati servivano da scuderie agli uomini d'armi, gli spalti e le torri agli angoli di questi, sebbene muzzate — certo non guadagnò esteticamente e sempre più venne mutando la speciale caratteristica di simili costruzioni, completandosi il deturpamento già dall'epoca del barocco iniziata. Diviso in due proprietà, il Castello aveva più che altro, in quest'epoca, l'aspetto di un forte abbandonato, o meglio di una grande caserma, con finestre quadrate munite di persiane verniciate di verde e deturpato da tetto sporgente. Nell'interno poi andava subendo tutte le modificazioni necessarie alla vita casalinga, che le esigenze di comodità d'una vita più moderna cercavano di apportarvi, anche pel progressivo crescere dei componenti le due famiglie che vantavano la proprietà del Castello.
Tramezze, corridoi, finestruole d'ogni forma e misura, tagliavano in ogni direzione i vecchi ambienti e i soffitti; granai da un lato, fra il piano terreno e il primo, avevano ridotti gli ambienti a piccionaie alcuni adattati a serra, a rimessa, a legnaia, e quelli superiori mutati in magazzini; tutta insomma una sequela di deturpamenti, di modificazioni, rese necessarie da un complesso di circostanze, andava trasformando il bellissimo fabbricato Medio Evale, che aveva sfidato per lunghi anni le ingiurie dei tempi e degli uomini.
Solo nel 1874 Bernardo Arnaboldi Gazzaniga, Conte del Pirocco, riunito per eredità in una sola proprietà le terre ed il Castello di Carimate, sino allora divisi in famiglia, e nutrendo un vivo sentimento artistico e una vera passione per l'arte antica, si diede con ardire a restaurare il Castello. Cominciò dall'esterno e via via, passando alla ricerca dei vecchi ambienti, li abbellì con decorazioni dell'epoca e con mobili in parte antichi e in parte imitati dall'antico.
sala ad uso di pinacoteca.
salone di ricevimento.
Vari errori vennero commessi in questo restauro, che, fatto con minor fretta e con più accurato studio, avrebbe potuto riuscire veramente di eccezionale importanza, ma allora non erano ancora venute alla luce le opere che avrebbero potuto esser di valida guida, a chi soprassedette alla direzione di simili restauri, i quali erano assai trascurati. Ad ogni modo il conte Bernardo, che da non breve tempo attende, da solo, all'opera di miglioramento, ha già riparato a molti degli errori lamentati, sia nell'interno che all'esterno e si può dire che ormai poco manca al compimento del ristauro. Il castello di Carimate, di forma rettangolare, è alto quindici metri, ne misura cinquantacinque di lunghezza, e trentuno e mezzo di larghezza, verso gli spalti; trentotto e sessanta di lunghezza e ventidue e mezzo di larghezza, nella corte d'onore – ornata di cimeli e arricchita all'intorno d'un largo ballatoio, sostenuto da mensole e contromensole, tutte antiche, e intagliate. Il ballatoio, coperto da tetto, soffittato, spazioso, è decorato da affreschi del Campi, che, imitando l'antico, ritrasse i fatti storici più salienti che al Castello si riferiscono. Il tetto del grandioso fabbricato è nascosto dalla merlatura ghibellina, sostenuta da archi, che poggiano su mensole di pietra formanti una specie di galleria aperta.
Tre torri di forma quadrata: una all'ingresso, dove tutt'ora si vedono le traccie d'un ponte levatoio, l'altra all'angolo sud-ovest, dell'altezza di quarantacinque metri, scoperta, ma ricostruita per metà con buona imitazione, e la terza all'angolo nord-ovest, non ancora restaurata, campeggiano maestosamente. A destra della facciata, che domina una spaziosa piazza inclinata, un corpo di fabbrica avanzato, restaurato con giusto criterio artistico, che già serviva di corpo di guardia e per prigioni, s'innalza verso levante, dando al fabbricato, tutto di mattoni e intersecato da bifore ogivali, ornate di terrecotte, un assieme maestoso, imponente, monumentale, che si riscontra nei quattro lati per le cinquanta e più finestre, le porte, la spaziosità degli spalti, alcuni merlati, ornati da fiori e piante tropicali, per la diversità delle scene che presenta, delle mura che s'innalzano, si innestano, avanzano, ornate di ruderi coperti d'ellera e di rose.
sala da pranzo. Nell'interno, poi, un severo bellissimo scalone dalla riuscita decorazione, ornato d'armi, da arazzi, da vasi; quattordici sale terrene, riccamente decorate da pitture, tappezzerie di stoffa, veramente belle per l'imitazione dell'epoca, alcune adibite ad uso di pinacoteca, e dove sono raccolti buoni quadri, le altre ad uso biblioteca e museo, a sale di conversazione, da pranzo, che è una delle più belle, di ricevimento, e ventidue camere superiori, in stile di epoche differenti, assai interessanti per arazzi, ceramiche, stoffe, mobili, vasi, piccoli armadi, trofei d'armi, cassoni, pergamene, statuette in legno, busti e oggetti diversi, in bronzo e avorio, completano l'interesse di questo Castello, che all'originalità architettonica dell'epoca unisce il gusto di una signorilità non comune. Mobili e oggetti sono sparsi nelle diverse sale con artistica severità, in armonia allo stile, all'ambiente e danno alla sfarzosa dimora il carattere d'un vero museo.
veduta del castello dal parco, dal lato di levante e mezzanotte. Il restauro, sia dal lato della decorazione, che da quello dell'arredamento, oggi si può dire presso che compiuto e riuscito; e il Castello, se non rimesso nello stato che vantava nel miglior periodo della sua storia, certo avvicinatosi di molto a quell'epoca, si presenta fra le più invidiate per la posizione sua, che domina un ampio panorama, e per essere circondata da un ampio giardino, che più propriamente si potrebbe chiamare parco, scendente giù fra i pittoreschi dirupi della Serenza, popolato da una ricca vegetazione di quercie, castani, coniferi, e da eleganti serre fornite da numerose collezioni di fiori. È visitato nel corso dell'anno da parecchi forestieri, e meriterebbe per la sua importanza, una più estesa illustrazione se lo spazio ce lo permettesse. Nel cimitero vicino figura nella cappella gentilizia di stile gotico fiorentino, una fra le più insigni opere dello scultore Tantardini, che in un bellissimo monumento mortuario, riunì i caratteri della scuola Greca, Medio Evale e Moderna.
- Testi in cui è citato Galvano Fiamma
- Testi in cui è citato Paolo Morigia
- Testi in cui è citato Giovanni Battista Rampoldi
- Testi in cui è citato Massimo Fabi
- Testi in cui è citato Bernardino Corio
- Testi in cui è citato Amato Amati
- Testi in cui è citato Pompeo Litta Biumi
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- Testi in cui è citato Carlo Annoni
- Testi in cui è citato Pietro Ghinzoni
- Testi in cui è citato Filippo Maria Visconti
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