Vita (Alfieri, 1804)/Epoca II./Cap. IX.

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Cap. IX. Matrimonio della Sorella. Reintegrazione del mio onore. Primo Cavallo

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Cap. IX. Matrimonio della Sorella. Reintegrazione del mio onore. Primo Cavallo
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[p. 91 modifica]corpo disanimato, giaceva sempre, e non rispondeva 1764 niente a nessuno qualunque cosa mi si dicesse. E stava così delle ore intere, con gli occhi conficcati in terra, pregni di pianto, senza pur mai lasciare uscir una lagrima.

CAPITOLO NONO.

Matrimonio della Sorella. Reintegrazione del mio onore. Primo Cavallo.


Da questa vita di vero bruto bestia, mi liberò finalmente la congiuntura del matrimonio di mia sorella Giulia, col Conte Giacinto di Cumiana. Segui il dì primo Maggio 1764, giorno che mi restò impresso nella mente essendo andato con tutto lo sposalizio alla bellissima villeggiatura di Cumiana distante, dieci miglia da Torino, dove passai più d’un mese allegrissimamente, come dovea essere di uno scappato di carcere, detenutovi tutto l’inverno. Il mio nuovo Cognato avea impetrata la mia liberazione, ed a più equi patti fui ristabilito nei dritti innati dei Primi Appartamentisti dell’Accademia; e così ottenni l’eguaglianza con i compagni mediante più mesi di durissimo arresto. [p. 92 modifica]
1764 Coll’occasione di queste nozze aveva anche ottenuto molto allargamento nella facoltà di spendere il mio, il che non mi si poteva oramai legalmente negare. E da questo ne nacque la compra del mio primo Cavallo, che venne anco meco nella villeggiatura di Cumiana. Era questo Cavallo un bellissimo Sardo, di mantello bianco, di fattezze distinte, massime la testa l’incollatura ed il petto. Lo amai con furore, e non me lo rammento mai senza una vivissima emozione. La mia passione per esso andò al segno di guastarmi la quiete, togliermi la fame ed il sonno, ogni qual volta egli aveva alcuno incomoduccio; il che succedeva assai spesso,perchè egli era molto ardente, e delicato ad un tempo; e quando poi l’aveva fra le gambe, il mio affetto non m’impediva di tormentarlo e malmenarlo anche talvolta quando non volea fare a modo mio. La delicatezza di questo prezioso, animale mi servi ben tosto di pretesto per volerne un altro di più, e dopo quello due altri di carrozza, e poi uno di calessetto, e poi due altri di sella, e così in men d’un anno arrivai sino a otto, fra gli schiamazzi del tenacissimo Curatore, ch’io lasciava pur cantare a suo piacimento. E superato così l’argine della stitichezza e parsimonia di codesto [p. 93 modifica]
mio Curatore, tosto traboccai in ogni sorte di 1764 spesa, e principalmente negli abiti, come già mi par d’avere più sopra accennato. V’erano alcuni di quegli Inglesi miei compagni, che spendevano assai; onde io non volendo essere soverchiato, cercava pure e mi riusciva di soverchiare costoro. Ma, per altra parte quei giovinotti miei amici di fuori dall’Accademia, c coi quali io conviveva assai più che coi forestieri di dentro, per essere essi soggetti ai lor padri, avevano pochi quattrini; onde benché il loro mantenimento ’fosse decentissimo, essendo essi dei primi Signori di Torino, pure le loro spese di capriccio venivano ad essere necessariamente tenuissime. A risguardo dunque di questi, io debbo per amor del vro confessare ingenuamente di aver allora praticata una virtù, ed appurato ch’ella era in me naturale, ed invincibile: ed era di non colere nè potere soverchiar mai in nessuna cosa chi che sia, ch’io conoscessi o che si tenesse per minore di me in forza di corpo, d’ingegno, di generosità, d’indole, o di borsa. Ed in fatti, ad ogni abito nuovo, e ricco o di ricami, o di nappe, o di pelli ch’io m’andava facendo, se mi veniva fatto di vestirmelo la mattina per andare a Corte, o a tavola con i compagni [p. 94 modifica]
1764 d’Accademia, che rivaleggiavano in questo vanézze eoa me, io poi me lo spogliava subito al dopo pranzo, ch’era l’ora in cui venivano quegli altri da me; e li faceva anzi nascondele perchè non li vedessero, e me ne vergognava in somma con essi, come di un delitto; e tale in fatti nel mio cuore mi pareva, e l’avere, e molto più il farne pompa,delle cose che gli amici ed eguali miei non avessero. E cosi pure, dopo avere con molte risse ottenuto dal Curatore di farmi fare una elegante Carrozza, qosa veramente inutilissima e ridicola per un ragazzaccio di sedici anni in una città così microscopica come Torino, io non vi saliva quasi mai, perchè gll amici non l’avendo se ne dovevano andare, a sante gambe sempre. E quan to ai molti Cavalli da sella, io me li facea perdonare da loro, accomunandoli con essi; oltre che essi pure ne aveano ciascuno il suo, e mantenuto loro dai rispettivi genitori. Perciò questo ramo di lusso mi dilettava anche più di tutti altri, e con meno misto di ribrezzo, perchè in nulla veniva ad offendere gli amici miei.

Esaminando io spassionatamente e con r amor del vero codesta mia prima gioventù, mi pare di ravvisarci fra le tante storture di un’età bollente, oziosissima, ineducata, e