Vita (Alfieri, 1804)/Epoca III./Cap. VII.

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Cap. VII. Ripatriato per un mezz’anno, mi do agli Studj Filosofici

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Cap. VII. Ripatriato per un mezz’anno, mi do agli Studj Filosofici
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[p. 152 modifica] 1768 umano; avendo bisogno di digerire la mia febbre nella piena solitudine. £ durante tutto il viaggio, nulla vidi in tutte quelle città di passo, Nancy, Straborgo, Basilea, e Ginevra, altro che le mura; nè mai aprii bocca col fidato Elia, che adattandosi alla mia infermità mi obbediva a cenni, e antiveniva ogni mio bisogno.

CAPITOLO SETTIMO.

Ripatriato per un mezz’anno, mi do agli Studj Filosofici.


1769 Tale fu il primo mio viaggio, che durò due anni e qualche giorni. Dopo circa sei settimane di villeggiatura con mia Sorella, restituendosi ella in città, tornai in Torino con essa. Molti non mi riconoscevano quasi più attesa la statura che in quei due anni mi si era infinitamente accresciuta; tanto era il bene che mi aveva fatto alla complessione quella vita variata, oziosa, e strapazzatissima. Nel passar di Ginevra io avea comprato un pieno baule di libri. Tra quelli erano le opere di Rousseau, di Montesquieu di Helvetius, e simili. Appena [p. 153 modifica]dunque ripatriato, pieno traboccante il cuore 1769 di malinconia e d’amore, io mi sentiva una necessità assoluta di fortemente applicare la mente in un qualche studio; ma non sapeva il quale, stante che la trascurata educazione coronata poi da quei circa sei anni di ozio e di dissipazione, mi avea fatto egualmente incapace di ogni studio qualunque. Incerto di quel che mi farei, e se rimarrei in patria, o se viaggerei di bel nuovo, mi posi per quell’inverno a stare in casa di mia Sorella, e tutto il giorno leggeva, un pochino passeggiava, e non trattava assolutamente con nessuno. Le mie letture erano sempre di libri Francesi. Volli leggere l’Eloisa di Rousseau; più volte mi ci provai; ma benchè io fossi di un carattere per natura appassionatissimo, e che mi trovassi allora fortemente innamorato, io trovava in quel libro tanta maniera, tanta ricercatezza, tanta affettazione di sentimento, e sì poco sentire, tanto calor comandato di capo, e sì gran freddezza di cuore, che mai non mi venne fatto di poterne terminare il primo volume. Alcune altre sue opere politiche, come il Contratto Sociale, io non le intendeva, e perciò le lasciai. Di Voltaire mi allettavano singolarmente le Prose, ma i di lui versi mi tediavano. Onde non [p. 154 modifica] 1769 lessi mai la sua Enriade, se non se a squarcetti; poco più la Pucelle, perchè l’osceno non mi ha dilettato mai; ed alcune delle di lui tragedie. Montesquieu all’incontro lo lessi di capo in fondo ben due volte, con maraviglia, diletto, e forse anche con un qualche mio utile. L’Esprit d’Helvetius mi fece anche una profonda ma sgradevole impressione. Ma il libro dei libri per me, e che in quell’inverno mi fece veramente trascorrere dell’ore di rapimento e beate, fu Plutarco, le vite dei veri Grandi. Ed alcune di quelle, come Timoleone, Cesare, Bruto, Pelopida, Catone, ed altre, sino a quattro e cinque volte le rilessi con un tale trasporto di grida, di pianti, e di furori pur anche, che chi fosse stato a sentirmi nella camera vicina mi avrebbe certamente tenuto per impazzato. All’udire certi gran tratti di quei sommi uomini, spessissimo io balzava in piedi agitatissimo, e fuori di me, e lagrime di dolore e di rabbia mi scaturivano del vedermi nato in Piemonte ed in tempi e governi ove niuna alta cosa non si poteva nè fare nè dire, ed inutilmente appena forse ella si poteva sentire e pensare. In quello stesso inverno studiai anche con molto calore il sistema planetario, ed i moti e leggi dai corpi celesti, fin dove si può arrivare a [p. 155 modifica]
capirle senza il soccorso della per me inapprendibile 1769 Geometria. Cioè a dire ch’io studiai malamente la parte isterica di quella scienza tutta perse matematica. Ma pure, cinto di tanta ignoranza, io ne intesi abbastanza per sublimare il mio intelletto alla immensità di questo tutto creato; e nessuno studio mi avrebbe rapito e riempiuto piò l’animo che questo, se io avessi avuto i debiti principj per proseguirlo.

Tra queste dolci e nobili occupazioni, che dilettandomi pure, accresceano nondimeno notabilmente la mia taciturnità, malinconia, b nausea d’ogni comune divertimento; il mio ’ Cognato mi andava continuamente instigando di pigliar moglie. Io, per natura, sarei stato, inclinatissimo alla vita casereccia; ma l’aver veduta l’Inghilterra in età di diciannove anni, e l’aver caldamente letto e sentito Plutarco all’età di venti anni, mi ammonivano, ed inibivano di pigliar moglie e di procrear figli in Torino. Con tutto ciò la leggerezza di quella stessa età mi piegò a poco a poco ai replicati consigli, ed acconsentii che il Cognato trattasse per me il matrimonio con una ragazza erede, nobilissima, e piuttosto bellina, con occhi nerissimi che presto mi avrebbero fatto smetre il Plutarco, nello stesso modo che [p. 156 modifica]
1769 Plutarco forse avea indebolito in me la passione della bella Olandese. Ed io confesserò di aver avuto in quel punto la viltà di desiderare la ricchezza più ancora che la bellezza di codesta ragazza; speculando, in me stesso, che l’accrescere circa di metà la mia entrata mi porrebbe in grado di maggiormente fare quel che si dice nel mondo buona figura. Mala mia buona sorte mi servi in questo affare assai meglio che il mio debile e triviale giudizio, figlio d’infermo animo. La ragazza,che da bel principio avrebbe inclinato a me, fu svolta da una sua zia a favore d’altro giovinetto signore, il quale essendo figlio di famiglia con molti fratelli, e zìi, veniva ad essere allora assai men comodo di me, ma godeva di un certo favore in Corte presso il Duca di Savoja erede presuntivo del trono, di cui era stato paggio, e dal quale ebbe in fatti poi quelle grazie che comporta il paese. Oltre ciò, il giovine era di un’òttiraa indole, e di un’amabile costumatezza. Io, al contrario, aveva taccia di uomo straordinario in mal senso, poco adattandomi al pensare, ai costumi, al pettegolezzo, e al servire del mio paese, e non andando abbastanza cauto nel biasimare je schernire quegli usi; cosa, che (giustamente a dir vero) non si perdona. Io fui [p. 157 modifica]
dunque solennemente ricusato, e mi fu preferito 1769 il sudetto giovine. La ragazza fece ottimamente per il bene suo, poiché ella felicissimamente passò la vita in quella casa dove entrò; e fece pure ottimamente per l’util mio, poiché se io incappava in codesto legame (Ji moglie, e figli, le Muse per me certamente cran ite. Io da quel rifiuto ne ritrassi ad un tempo pena e piacere; perché mentre si trattava la cosa io spessissimo provava dei pentimenti, e ne avea una certa vergogna di me stesso che non esternava, ma non la sentiva perciò meno; arrossendo in me medesimo di ridurmi per danari a far cosa che era contro il mio intimo modo di pensare. Ma una picciolezza ne fa due, e sempre poi si moltiplicano.Cagione -di questa mia non certo filosofica cupidità, si €ra l’intenzione che già dal mio soggiorno in Napoli avea accolta nell’animo di attendere quando che fosse ad impieghi diplomatici. Que«to penslere veniva fomentato in me dai consigli del mio Cognato, cortigiano inveterato; onde il desiderio di quel ricco matrimonio era come la base delle future ambascerie, alle quali meglio si fa fronte quanto più si ha danari. Ma buon per me, che il matrimonio ito in fumo mandò pure in fumo ogni mia [p. 158 modifica]
1769 ambasciatoria velleità; nè mai feci chiesta nessuna di tale impiego, e per mia minor vergogna questo mio stupido e non alto desiderio nato e morto nel mio petto, non fu (toltone il mio Cognato) noto a chi che sia.

Appena iti a vuoto questi due disegni, mi rinacque subito il pensiero di proseguire i miei viaggi per altri tre anni, per veder poi intanto quello che vorrei fare di me. L’età di ao anni.mi lasciava tempo a pensarci. Io aveva aggiuntati i miei interessi col Curatore, dalla di cui podestà si esce nel mio paese al suonar dei venti anni. Venuto piò in chiaro delle cose mie, mi trovai essere molto piò agiato che non m’avea detto il Curatore fino a quel punto. Ed egli in questo mi giovò non poco avendomi piuttosto avvezzato al meno che al piò. Perciò d’allora in poi quasi sempre fui giusto nello spendere. Trovandomi dunque allora circa»5oo zecchini 4* effettiva spendibile entrata, c non poco danaro di risparmio nei tanti anni di minorità, mi parve pel mio paese e per un uomo solo di essere ricco abbastanza, e deposta ogni idea di moltiplico mi disposi a questo secondo viaggio die volli fare con piò spesa e maggiori comodi.